Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179025
Costantino Rodella 3 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Né lasciava di rivivere anche i Maestri delle scuole inferiori alla sua, come fanno i più de’ragazzi, che, avanzati di classe, credendosi non so che, tolgono il saluto agli insegnanti, appena si son sottratti alla loro disciplina, o peggio li guardando con un piglio beffardo, come se i maestri abbiano avuto un gran torto nell’addottrinarli: bella riconoscenza in vero, che conservano a chi loro ammannì il pane del sapere! Egli invece riguardò sempre con amorevolezza e con venerazione tutti i suoi Maestri, e dappertutto dove li incontrasse, loro dava segno di massimo rispetto. Entrato poi nella scuola per la lezione, andava subito al suo posto, che aveva riguardo fosse sempre pulito. Dio ne liberi dal pur pensare che egli tormentasse i vicini! Aveva sempre in testa la massima latina: Age quod agis; (Bada a quel che fai); onde in ricreazione era tutto a divertirsi; in iscuola tutto nell’imparare. La sua regola era; rispettare ogni persona e ogni cosa; quindi né col temperino si metteva a tagliuzzare di soppiatto il banco; né venutogli alle mani un quaderno, o libro non suo, lo sciupava con figuracce strane, o stracciava. Il che è pur un brutto vezzo de’ fanciulli di guastar i banchi, lacerar quaderni o libri, sgorbiarli, senza alcun pro, solo spinti da un brutto desiderio di distruzione. Chi non ha rispetto della roba altrui, gli predicava suo padre, non ne ha pure della sua, e fare sprezzo delle sostanze degli altri è lo stesso che farne ai padroni. Tenacissimo del segreto, si sarebbe fatto coscienza di accusare alcuno; né avrebbe come si dice, fatto la spia per l’oro del mondo; anche quando doveva egli soffrir castigo in luogo altrui. Era poi franco e coraggioso a confessare i suoi falli. Una volta, per non so qual caso, mentre il maestro spiegava, inavvertentemente fece cadere un vocabolario, il che produsse un tal rumore, che tutta la scuola scoppiò in una gran risata. Il professore per non sapere chi avesse ciò fatto, e attribuendo questo ad arte per disturbare, diede un penso generale a tutta la scuola. Enrichetto, perché i condiscepoli non avessero a sopportar castigo per lui, si alzò, e confessò, egli essere l’autore dello scandalo. Il maestro levò il penso agli altri e lodando la franchezza sua, perdonò pure a lui. Il che fu un bell’esempio, che fu lodevolmente seguito dai compagni in casi consimili. Nella sua scuola v’erano alcuni giovani orgogliosi e superbi; perché conoscendosi ricchi di molto, e di illustre casato, come se avessero carne ed ossa di materia diversa dagli altri, si pensavano di poter disprezzare tutti; ebbene costoro erano il ridicolo di tutto il collegio. Enrichetto pensava che nella scuola gli alunni si devono considerare tutti di una medesima condizione. Chi sa il futuro, gli diceva sempre il padre? Il povero figlio dell’operario,che avete lì al fianco nella scuola, potrà forse divenire ministro di stato, legislatore o generale d’armata. Chi avrebbe immaginato che il semplice della scuola di Aiaccio si sarebbe cinto il capo colla corona di Francia? Nel suo quaderno di memoria aveva trascritto questi avvertimenti che il Giusti, dava a un suo nipotino. « Ama i tuoi compagni, amali come ami te stesso. Se vedi taluno di loro o poco attento allo studio, o poco disposto ad intendere, compatiscilo, aiutalo se puoi, e sii sempre più grato alla natura, che t’ha voluto privilegiare del dono dell’ingegno e di quello della buona volontà. Guardati dal godere dei castighi, guardati dal far osservare ai superiori le mancanze degli altri. Tutti si manca, tutti possiamo trovarci nel caso di meritare un castigo. Ti sia sempre nella mente che compiacersi dei mali dei nostri simili è crudeltà, rilevarne i difetti è malignità, riportare i fatti, o i discorsi dell’amico per nuocergli è perfidia, no, no, tu non sarai né maligno, nè perfido, nè crudele. Se vedrai taluni, portati o dalla loro cattiva vita, o da indole male avvezza, cadere in questi pessimi vizi, ne vedrai nello stesso tempo altri serbarsene esenti, tu va coi migliori, e da codesto piccolo mondo impara a vivere fra gli uomini e a distinguere i buoni dai cattivi. » Se i tuoi superiori, contenti di te, ti faranno conoscere d’averti caro sopra gli altri, mostratene grato, ma non te ne insuperbire, non te ne approfittare mai per soverchiare i compagni. » Se poi vedi che altri sia accarezzato più di te cerca di fare il tuo dovere e di meritare altrettanto, ma non invidiare mai nessuno. L’invidia, mio caro, è la passione più brutta, più tormentosa, più vergognosa che possa contaminare il cuore dell’uomo. » L’invidioso, sentendosi turpe e meschino appetto agli altri e inetto nel medesimo tempo a togliersi di dosso e la turpitudine e la meschinità, vive in guerra e in angoscia continua con sé e con altrui. » Quando t’ avvenisse di cadere in qualche errore, se questo tuo errore potesse nuocere agli altri, confessalo liberamente, anco senza esserne richiesto. Avresti piacere di soffrire per cagion di un altro? Non permettere che altri soffra per cagion tua. Sai che chi confessa un errore ha già cominciato a correggersi. Questa cosa ti costerà pelle prime, ma poi t’empirà l’anima di quella soddisfazione, che si prova a darci per quello che siamo e a procedere con lealtà ». Se a volte il maestro doveva lasciare per qualche minuto la scuola, era tanta la prevalenza che egli aveva acquistata sui compagni, che per la sua esortazione, si continuava a mantener il silenzio; osservando esser questo un bel segno di garbatezza e di civiltà, mantenersi in disciplina, quando avrebbero potuto romperla impunemente. Se per caso per isbaglio il maestro l’avesse punito, egli non si levava mica subito con piglio arrogante a difendersi; ma aspettava che la scuola fosse finita; indi rispettosamente s’accostava a lui, e chiariva le sue ragioni. Ora vedete che cosa fa un buon esempio; la classe, dove era Enrichetto, era sempre una classe disciplinata, studiosa, e quella in cui fosse più cordialità e più delicatezza.

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Quantunque niuna pena abbiano ordinato le leggi alla spiacevolezza ed alla rozzezza dei costumi, noi veggiamo nondimeno che la natura istessa ce ne castiga con aspra disciplina, privandoci per questa cagione del consorzio e della benevolenza degli uomini. - GIOVANNI DELLA CASA.

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In quella un signore, di modi gentili, venne a lui, era il cancelliere, il quale, o per aver conosciuta la sgarbatezza degli impiegati, o per aver intese le parole del signor Carlo, o per naturale pulitezza, con bel garbo sì fece mostrare la cedola di citazione, indi si diede a scorrere un libraccio, che era aperto sur un leggìo, poi disse: la causa, in cui essi son testimoni, vedremo di metterla per la prima, onde non abbiano ad indugiar troppo. Indi accortosi che le signore erano nella sala d'ingresso confuse coi tagliaborse e simile genìa, le fece cortesemente passare nel suo gabinetto. Onde il signor Carlo se gli mostrò di molto obbligato, e volse in bene quella bizza, che gli era montata contro quell'uffizio. Tanto è vero che un piatto di bella cera fa dimenticar ogni dispetto; come basta uno sgarbato per mettere in discredito tutta una società. Finalmente come Dio volle s'aprì il dibattimento; eran le dieci ben ribattute! Uditi i testimoni pro e contro, l'avvocato, rappresentante il Pubblico Ministero, fece un'aringa provando la colpevolezza delle due donne. L'avvocato difensore invece protestò con modi, sdegnosi contro l'avvocato fiscale; perchè aveva dato del ladro alle sue clienti, che dimostrò innocenti come colombe. Onde ne venne un battibecco, piuttosto accanito fra i due oratori. Enrichetto a sentirli scagliarsi parole, che non erano punto elogi, li credè nemici giurati; ma quale fu il suo stupore nel vederli dopo la causa escir a braccetto ridendo e scherzando, come amici di lunga data! Fra sè pensava, perchè investirsi con tanta furia? Non potrebbero esporre a modo e con decoro le proprie ragioni, senza discendere ad atti e a parole che si direbbero insulti belli e buoni? Ed uscì colla persuasione che anche un galateo per i tribunali non giungerebbe a sproposito.

Pagina 70

Galateo morale

197300
Giacinto Gallenga 32 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
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E io non so capire, parlando delle stampe oscene, come certi industriali abbiano il triste ardire di sfidare così apertamente la decenza e il buon costume sciorinando sui banchi, nelle bacheche delle incisioni, delle litografie, delle fotografie in ispecie, sulle quali stanno disegnati tutti i misteri della lussuria e sono un così aperto invito alla corruzione dei giovanetti. «Se le immondizie delle case, scrive il Tommaseo, ammontassersi nel bel mezzo delle vie più frequenti e ammorbassero con la vista e con gli aliti, non si attenderebbe il cenno dell'autorità per accorgersene e l'opera sua per isbrattarsene. Delle buccie che sono pericolo di caduta i passanti si lagnano e di coteste reti vilmente tese all'innocenza non si sdegneranno?». In Londra esiste da gran tempo una società che ha per suo scopo di far guerra al mal costume col citare dinanzi ai tribunali i negozianti di libri, stampe, e ogni sorta di pubblicazioni immorali. Nel solo 1869 ben cinquanta di quei trafficanti vennero condannati, e distrutte per sentenza dei giudici un immenso numero d'incisioni, di fotografie, non che di canzoni oscene. Che mèsse abbondante non si raccoglierebbe di questa vergognosa merce in Italia, quando la polizia, secondata dai cittadini onesti, si mettesse per davvero a far guerra a queste turpitudini! e facesse insieme scomparire dai luoghi pubblici quelle certe suonatrici ambulanti che accompagnano le graffiature e gli strappi delle loro stuonate chitarre con certe laide canzoni, eruttate dalle fauci affaticate dall'acquarzente!

Pagina 105

Agli impiegati poi delle biblioteche, dei gabinetti di lettura raccomando di usare in massima gentilezza coi frequentatori; di non darsi più importanza di quella che abbiano realmente col rispondere altezzosi alle altrui discrete domande, o non curandosi di soddisfarle, urtando insomma le convenienze colla loro inurbana condotta, mettendosi in certo qual modo in contraddizione colle viste del Governo, delle amministrazioni, dei privati che intesero col loro interessamento, colle loro generose offerte in favore delle biblioteche, di provvedere all'educazione, all'ammaestramento, alla civiltà dei singoli cittadini. In una parola impiegati e lettori sieno nelle loro relazioni puliti e cortesi: ci guadagneranno tutti, ci guadagnerà il credito del paese che deve essere in cima de'nostri pensieri.

Pagina 115

Conducendole al caffè, al teatro od in altri pubblici luoghi, prenderai le tue misure onde non abbiano a rimanere in piedi, o disagiate: e procurerai eziandio che fra i vicini non si trovino persone scostumate le quali possano coi loro atti, colle parole loro, coi loro sguardi dare ad esse argomento di arrossire: spiega loro, per quanto puoi chiaramente e pulitamente il senso dell'azione che viene rappresentata.

Pagina 131

«Quando gli operai, scrive lo Smiles, colla loro industria e moralità abbiano conquistata l'indipendenza, cesseranno di guardare lo spettacolo dell'agiatezza altrui come un affronto, un'ingiustizia verso di loro e non sarà più possibile agli intriganti di farsi un capitale politico delle sventure immaginarie del povero popolo».

Pagina 177

Ah pur troppo, questi uomini che hanno fatto divorzio pertinacemente dal dovere è difficile, per non dire impossibile, che abbiano il coraggio della riabilitazione: nei solchi tracciati dal violento torso delle passioni rado è che germoglino ancora il sorriso e la speranza; il tedio, lo sconforto sono i seguaci inesorabili del vizio allorché presto ha stampate le sue traccie profonde nel cuore! Ma la moglie! Avvien talvolta che un invincible sentimento di desolazione penetri alfine nel cuore di colei che, stanca di dispiaceri, di stenti e di lacrime, stanca di un continuo sacrifizio corrisposto con durezze, con violenze, con percosse dice a se stessa con disperato consiglio: che a nulla valgono la fede, la rassegnazione, l'amore con un uomo brutale e crudele; da questo punto incomincia la vendetta di questa moglie fino allora così mansueta, così amorosa, così fedele; vendetta che colpisce tutta la società, che legherà d'infamia alla famiglia dell'operaio, peggiore della passata miseria; infamia cui non valgono a coprire e a mitigare né i cessati bisogni, né le splendide vesti, né le ignobili protezioni. E quel che dissi della moglie, dicasi pure delle sorelle, delle figlie dell'operaio: la corruzione di tante povere anime non ha così frequente la sua origine nel predominio dei sensi e dell'ambizione, quanto nell'assoluta miseria derivante dall'ozio e dalla intemperanza, i due vizi capitali di molti operai e delle loro famiglie.

Pagina 180

E sempre più mi convinco che il difetto della virtù civili e morali non può essere in costoro supplito nemmeno dall'ingegno e dallo spirito quando e'li abbiano, e che gli impieghi non possono, al dire dell'arguto Swift, venir confidati a più pericolose mani che a quelle degli uomini, quantunque grandi, privi di virtù e di cortesia.

Pagina 209

Tristo quello scolare che rileva i difetti de' propri compagni, che ne riferisce le parole, i fatti ai superiori, ai maestri onde quelli ne abbiano riprensione e castigo. Tristo quel discepolo che insuperbisce degli elogi dei maestri, e se ne avvantaggia a soperchiare, ad umiliare i suoi compagni.

Pagina 240

Pagina 285

Non deve il legale confondere con impazienze, con frizzi, con sarcasmi vieppiù la testa a quei poveracci che ne han già di troppo il più delle volte di dover litigare, proprio trascinati pei capelli dalle male arti dei birboni, perché abbiano ancora a studiare di schermirsi dagli scherzi e dalle brutalità dell'avvocato o del causidico che si sono scelti a patrocinatori.

Pagina 296

È difficile che un poeta, uno scrittore, un pittore, un maestro abbiano la modestia di credersi, o almen di dirsi mediocri; ma è più difficile ancora che quella abilità e quella fama che si sono procacciata vogliano riconoscerla dovuta allo studio, alla perseveranza adoperata ad acquistarsela; no, essi la devono unicamente, senza verun loro sforzo, al genio che li inspira, alla scintilla che li accende, all'estro che li trasporta. Questa melanconia che in certuni non è che ridicola, perché non li distoglie dallo applicarsi a mantenere ed accrescere quella riputazione che il mondo ha già ammesso in loro, e funestissima in altri i quali, abbandonandosi alla dolce illusione di essere creature privilegiate, trascurano di assecondare, lavorando, quelle qualunque fortunate disposizioni che possono aver sortite da natura, e si cullano in un soave far nulla che li conduce poi miseramente a cadere nel marasmo e nell'apatìa dello scoraggiamento.

Pagina 321

L'umorismo di costoro è il vero castigat ridendo mores degli Orazi e dei Fedri, di cui la satira e la favola mite e pudica fecero assai più bene agli interessi dell'umanità o della civiltà che non abbiano fatto gli osceni e feroci epigrammi di un Giovenale e di un Marziale. Umoristi nel loro genere furono gli Addison, i Fiedling, i Goldsmith, i Molière, i De-Maistre, i Dickens, e lo stesso Shakspeare, che nelle sublimi e patetiche sue creazioni si valse di alcuni lepidi tratti onde sollevar la mestizia negli animi de'spettatori alle sue commoventi tragedie. Ma voi non trovereste in quelle pagine festevoli, in quelle artistiche illustrazioni una frase, una parola, uno scherzo, un disegno men che delicato; le arguzie di quegli scrittori, di quegli artisti sono un solletico, sono una puntura sì; ma essi non fanno arrossire chi legge ed ascolta coll'arrogante pretesa di volerlo correggere. Il vero umorista non odia i fratelli, non odia i nemici, non carpisce l'altrui confidenza; e delle altrui colpe non si fa né complice, né delatore. Egli non si scosta mai da quella serenità di linguaggio che dinota l'amico benevolo piuttosto che l'agro censore, e in mezzo al suo riso tu vedi sovente spuntar la mestizia e l'arguto epigramma trasformarsi in dolente elegia. Nell'umorista prevale l'affetto, egli ha fede nell'ideale, il suo riso è compianto, e proviene dal desolante confronto di quella perfezione coi difetti, coi vizi reali della società in cui egli vive, di cui è parte egli stesso; per cui la sua satira non giunge mai al disprezzo, alla derisione de' suoi compagni di sventura e di colpa. Insomma l'umorista non denigra, non lacera, non minaccia, non insulta; e in tutti i suoi scritti, in tutti i suoi discorsi tu scorgi sempre la soave natura dell'uomo sensibile, temperato, religioso e civile.

Pagina 342

«Nel novero di coloro che sberteggiano la religione credete voi che ve ne abbia uno su mille al quale le convinzioni, la logica, la ragione, le sobrie ricerche dell'antichità abbiano fornite queste celie irreligiose? No, la loro vita è quella che potrà, spiegarvi la loro passione. La religione che prescrive tante privazioni è un'importuna compagna per coloro che non vogliono contenersi; e si osserva generalmente che questi miserabili sofismi ragunati dagli uomini contro la religione, per quanto importanti possano sembrare attraverso alle passioni e ai pregiudizi che danno loro una apparenza di corpo, finiscono nondimeno, allorché la forza dei loro appetiti è smorzata, ch'è calmato il fuoco dei loro desideri, per arrendersi alla ragione ed al buon senso; questi due amici degli uomini non tardano a ricondurre queste pecore smarrite al loro ovile».

Pagina 343

Per quanto la libertà, per quanto le vicende dei tempi abbiano sottratto alla potenza, all'autorità delle persone religiose, il loro concorso nelle faccende civili, il loro predominio negli affari spirituali e quindi il loro contatto colla grande maggioranza delle popolazioni, è tuttavia così esteso che è sommamente a desiderarsi che nel disimpegno dei medesimi i loro modi sieno improntati alle norme dei riguardi sociali; come è egualmente a desiderarsi che quanti si trovano in relazione colle medesime non si scostino mai, trattando e conversando, da ciò che è dovere di ogni bennato cittadino di osservare verso ogni ceto di persone, vo' dire l'urbanità, la gentilezza. La massima parte degli urti che avvengono fra le autorità ecclesiastiche e laiche, fra i sacerdoti e gli altri cittadini, più che dalla incompatibilità degli interessi hanno origine dalla mancanza in una od in ambe le parti di quella trattabilità la quale, senza nulla detrarre ai rispettivi diritti, serve moltissimo a mitigare l'asprezza delle reciproche esigenze. Ai partigiani arrabbiati, ai settari d'ogni colore lasciamo il tristo privilegio della brutalità, e della intolleranza. «Contentiamoci di schivare, come bene osserva il D'Azeglio, i fanatici di ogni razza; schiviamo chi usa la religione come mezzo, ma accettiamo chiunque la professa come fine e con onesti intendimenti».

Pagina 356

Ciò sarebbe un far grave torto a quella riputazione di distacco dei loro cuori dai beni terrestri, di quella personale abnegazione che dev'essere prerogativa del loro ministero; come sarebbe un far grave torto alla loro sensibilità, a cui non è a credersi abbiano rinunciato vestendo le divise sacerdotali, il supporre che possano rimanere indifferenti ai dolori dei loro fratelli; come mostrerebbero di dimenticare, abbandonandosi alle antipatie e alle vendette contro gli antagonisti del secolo, cito i ministri di un Dio schernito e crocifisso debbono, quand'anche scherniti e crocifissi anch'essi ingiustamente da dispotiche leggi, saper, come Cristo, e soffrire e perdonare.

Pagina 357

Ora come potrebbe, a cagion d'esempio, raccomandare dal pergamo la soavità del perdono chi la trasformasse in bigoncia da trivio, col suo concitato accento, col suo gesticolare furibondo, con allusioni maligne, con ingiurie, fino a costringere talvolta, pel debito che essi hanno di tutelar la sicurezza pubblica, minacciata da quell'eloquenza energumena, gli ufficiali del Governo ad ammonirli e ad intervenire perchè non abbiano luogo e scandali e tumulti? «Io ho stimato sempre, scrive Tommaseo, pericolosa ed inutile quella rabbia, quella malinconia imitativa con cui da certi predicatori s'intuonano le verità generose; giacché serve questo piuttosto ad intristire, ad uggire che ad ammaestrare ed a commuovere. Credete voi d'ispirare grande reverenza ed affetto recitando periodi e versi canori con voce sepolcrale, coi capelli irti, con le mani aggranchiate a mo' d'artigli? Le più innocue verità pronunziate a questa modo diventano sospette». Ah si lascino agli oratori profani, si lascino agli artisti da scena questi artifizi; il prete, per quanto riesca a perfezionarsi in simili esercizi, non arriverà mai a distogliere dalla mente degli uditori il pensiero degli sforzi che ei deve aver fatto per giungere ad imitare con esattezza le pose, l'accento, lo slancio di un tragico consumato nell'arte sua; e questo pensiero basta a neutralizzare quell'effetto religioso che dev'esser il fine del sacro oratore, sostituendo allo spiro della divina parola una semplice sensazione di piacere più o men viva, e simile a quella che si prova a udir declamare le tragedie di Shakspeare o di Alfieri, quando non serva a destare nel sacro tempio una ilarità o ad eccitare furibonde passioni che mal si confanno alla grandezza e santità del luogo, non che alla dignità di colui che da modesto banditore del Vangelo si è trasformato in una parodia di attore da scena.

Pagina 358

Angelo di pace, spirito gentile vorrei fosse ognora il sacerdote al capezzale di chi soffre; e, se fosse ciò possibile alla sua natura generalmente indurita dalla frequenza degli spettacoli di umani dolori a cui esso assiste, vorrei che il suo pianto talor si mescesse a quel delle madri, delle figlie, delle spose, che circondano il caro oggetto delle loro affezioni; la durezza, l'indifferenza che dimostrano alcuni preti accanto al letto di chi muore, quelle parole stereotipate di conforto ai gemiti dei congiunti, agli spasimi del morente, quelle preghiere recitate con monotono accento, colle quali accompagnano le agonìe di un loro fratello sono indizio di quell'assoluta mancanza di sensibilità e di gentilezza che offende profondamente colui che vi assiste collo strazio nell'anima, e darebbero quasi a credere che, indossando la veste del prete, essi abbiano dismessa quella dell'uomo. Cristo pianse sulla tomba di Lazzaro amico suo!

Pagina 363

E tuttavia la civiltà avrebbe vasto campo a spiegarsi su quegli stessi campi di battaglia dove sembra che gli uomini non abbiano altro scopo che quello di uccidersi. Un militare, per quanto sia valoroso, anzi appunto perché valoroso, non dove aver chiuso l'animo a un sentimento di commiserazione per quegli stessi nemici che il dovere gli impone di non risparmiare combattendo». E questo valore dee in lui cedere alla pietà allorché trovasi in presenza di un inerme, di un vecchio, di una donna, di un fanciullo, dello stesso suo nemico ferito e giacente. Le guerre al dì d'oggi dovrebbero aver perduto quel carattere bestiale ed atroce per cui eran lecite un giorno le sevizie contro i prigionieri; né può un generale, senza incontrar la taccia di selvaggio, lasciar abbandonati sul campo in preda alle malattie, alla fame, agli spasimi delle ferite i militari della parte nemica, tralasciando di porgere loro quelle cure istesse, quegli stessi conforti che è in dovere di prestare ai soldati proprii; o peggio opponendosi a che queste cure, questi conforti vengano porti loro dai commilitoni, rifiutando, anche a costo di promuovere stragi epidemiche, qei brevi armistizi che sono indispensabili per dar sepoltura agli estinti. Si, la civiltà presente dovrebbe arrossire pensando agli esempi di pietà in guerra di cui ci danno argomento le storie antiche di Grecia, di Macedonia, di Roma. Citeremo un Alessandro, un Scipione che rispettavano nell'ebbrezza delle loro vittorie le madri, le mogli, le sorelle dei loro più fieri nemici; un Epaminonda che non si macchiò mai d'una crudeltà verso i crudelissimi Spartani da lui umiliati e vinti; un Coriolano che rinunciava alla sua vendetta davanti alle lagrime della supplice Veturia; un Scipione Nasica che si opponeva alla fiera ostinatezza di Catone nel volere Cartagine distrutta.

Pagina 378

Non iscompariscano, no, dalla nostra memoria, dal nostro cuore quegli innumerevoli esempi di fedeltà, di eroismo di cui fummo testimoni nei soldati italiani; e non siamo loro avari di incoraggiamento, mostrando loro colla nostra gentilezza, colla nostra simpatìa che non siamo indegni del loro sacrifizio e del loro affetto; ed abbiano essi nella nostra riconoscenza un compenso alle fatiche, ai pericoli, cui vanno incontro nelle battaglie, nelle epidemie e in occasione di ogni cittadina sventura. Non abusiamo della nostra indipendenza, traendoli, colle nostre critiche dissennate e provocatrici, in discussioni, in lotte che li possono compromettere in faccia alla propria dignità, in faccia alla disciplina. Il soldato non può dirsi, pur troppo, libero al pari d'ogni altro cittadino poiché non può esprimere, in certi argomenti, la propria opinione; fa dunque atto villano chi sparla in sua presenza del sovrano o dei superiori. Si mostrerebbe poi non incivile soltanto, ma crudele per giunta chi esagerasse, parlando con lui o davanti a lui, il merito del sapere, del valore del soldato nemico, poiché sarebbe come dire al soldato nostro fratello che da noi lo si tiene, al paragone dell'austriaco, del francese, del prussiano, in conto di un ignorante e d'un vigliacco.

Pagina 389

Entriamo in mezzo ad una di queste povere famiglie nella quale sia da qualche tempo scomparsa l'armonia dei cuori, in cui il santo e dolcissimo affetto di marito e di moglie, i vicendevoli trasporti di due anime teneramente unite abbiano dato luogo alla freddezza, alla noia, al dispetto. Che aspetto desolato han quelle stanze! com'e tristo quel focolare dove le fiamme dell'affetto non brillarono che pochi istanti, lasciando nelle scarse ceneri non altro che l'indifferenza e l'abbandono! E queste case son tante! son tanti questi connubii in cui la luce di un amore che doveva essere eterno non ebbe che la breve durata d'un lampo! e ogni giorno che passa si trae dietro una speranza! e le illusioni cadono ad una ad una, come le foglie morte nei mesti giorni d'autunno! Ah guai per le famiglie dove il marito comincia ad accorgersi che la compagnia di sua moglie gli diventa noiosa, e che prova il bisogno di rivolgersi altrove per cercar distrazione! Ah guai a coloro pei quali la casa non è che una locanda e la moglie vi è considerata come una persona di servizio a cui vengono imposte da un disumano padrone le più dure, le più umilianti fatiche; pei quali l'angelo consolatore dell'uomo diventa la vittima della brutalità, maritale; e i figli, gioia e speranza della vita, non sono che un impaccio al libero vivere. In codeste anime aridissime è naturale che la gentilezza, pianta delicata che non alligna fuorché in un fondo di sensibilità e d'amore, non possa gettare le sue radlici. «Ah chi può descrivere, esclama il Bugeaud, gli spasimi d'una donna che il suo immenso amore verso il compagno della vita vede corrisposto colla indifferenza e col disprezzo? che avendo dato con islancio generoso tutto il suo cuore, nulla ricevette in cambio di un tanto affetto? Il martirio di queste povere anime, martirio che si compie nel segreto delle pareti domestiche, è da paragonarsi a quel truce supplizio che era in uso presso barbare nazioni, e che consisteva nel legare una creatura viva ad un freddo cadavere, e ambedue rinchiuderli in una camera istessa». Nei sacrifizi che offrivano gli antichi a Giunone, la quale soprastava giusta la loro credenza ai connubii, toglievasi dalle vittime il fiele e gettavansi dietro l'altare come a significare che nulla, fra le dolcezze del matrimonio, vi doveva essere d'ingrato e d'amaro.

Pagina 41

Per diversi motivi è bene che i ricchi abbiano sott'occhio i poveri ed i poveri conoscano i ricchi. Chi ha giovinette da educare imiti questo sistema: più presto s'impara che non tutti trovano il pranzo in tavola a suon di campanello, e meglio è». E infatti chi non conosce il povero, chi secolui non conversa è facile che resti ingannato allorché si crede di porgergli aiuto: ond'e che presto si svoglia di essere lo zimbello delle male arti di chi si abusa della carità sua; né i poveri a loro volta prenderebbero in odio gli abbienti, se dal contatto coi medesimi venissero ad acquistar la convinzione che quelle ricchezze non sono inutili a loro stessi che si troverebbero di molti più poveri se non avessero che altri poveri intorno a sé; verrebbero i poveri a persuadersi che, per quanto privi di beni materiali, essi sono tuttavia in grado di possedere al par dei ricchi una ricchezza di affezione di cui possono far parte, non alle loro famiglie soltanto, ma a tutti quelli da cui ricevono benefizio; e che è il miglior modo per loro di sdebitarsi degli obblighi che hanno incontrato verso la carità degli altri.

Pagina 419

Ben può darsi tuttavia che le visite si abbiano in certi casi a prolungare, quando la persona visitata sia nella nostra massima intimità, o un infermo a cui sia grata la tua compagnia, o un uomo colpito da sventura che si mostri bisognevole del tuo conforto; la durata di queste visite speciali è suggerita dalla natura delle circostanze e non ha altro limite fuorché quello che può essere segnato dalla carità e dall'affetto. Nei casi ordinarii i migliori consiglieri sono l'usanza... e l'oriuolo. Vuolsi ognora avere riguardo al grado e alle occupazioni della persona visitata; e scegliere le ore in modo da recarle il massimo piacere e il minor disturbo possibile. Evitare sopratutto l'ora del pranzo onde non costringere il visitato ad invitarvi ad assistervi, ovvero ad interrompere in refezione e passare in altre camere a ricevervi. In un modo o nell'altro sareste causa d'incomodi; ad un umile desco sopratutto non può giungere caro un visitatore improvviso. E quando siete ad accorgervi di essere capitati inopportuni, affrettatevi a prendere congedo, prima che qualche segno d'impazienza, prima che alcuno di quei moti involontari che indicano irritazione in colui che è costretto (forse anco assediato da affare premuroso) a subirsi la vostra compagnia, non ve ne renda più chiaramente avvisati. Né, congedandovi, vi sarebbe lecito mostrare dispetto; anzi vi converrà meglio dar a vedere di esser costretti a partire, onde non obbligare l'altrui cortesia a farvi delle istanze per rimanere; a chiedervi scuse di dovervi dopo alcun tempo lasciare; lo stesso dicasi se il visitato era in procinto di uscire, quand'anche ei vi sollecitasse a fermarvi.

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Non aspetterai che ti sia porta la sedia dai padroni o da altre persone che ti abbiano preceduto nella casa; e se non si trovano servi in camera, prendila tu stesso. Uomo, non ti metterai a sedere sul divano accanto alle signore, né spingerai loro addosso la tua sedia fino a toccarne le vesti coi piedi. Non ti metterai a sedere prima delle signore, del vecchi o di persone che occupino in società grado più elevato del tuo. Seduto e non sdraiato, nemmeno in casa del tuo amico. Non tenere arrovesciato il capo e la persona, le gambe allargate smisuratamente o accavalciate l'una sull'altra, tanto meno poi prendersi una gamba o un piede ad accarezzare; non cacciar le mani in seno o nei calzoni, né poggiar gomiti o braccia sui tavoli, né far telegrafo delle mani parlando, né dimenarsi sulla sedia a rischio di scivolartene in terra. Guardati nelle tue visite dai profumi di aglio, di cipolle ed altri cibi indigesti, come da quelli degli unti e delle manteche che possano eccitare in altri la nausea e le convulsioni. Nemmeno non farai in conversazione rumori importuni, stamburando a mo' d'esempio colle dita sui mobili, graffiando i cristalli delle finestre, battendo il pavimento co'piedi, ecc.

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E qui cadono in acconcio alcuni saggi detti del nostro giovane di anni e oramai vecchio di gloria, Leopoldo Marenco: «L'essere, o per lo meno il parer scettici e corrotti a vent'anni è oggigiorno una moda che si vergognerebbe di non seguire ogni più innocuo a cui quattro peli sul mento abbiano dato il diritto di fuggir di mano al pedagogo o dalla provvida affettuosa vigilanza dell'occhio materno. Giovani che non fecero mai esperimento di uno di quegli infortunii che radono talvolta dal cuore e dalla mente dell'uomo sentimenti e credenze quasi uragano che abbatte, sterpa, inaridisce ai campi le verdi speranze, tu li vedi a vent'anni fiaccati dall'ozio, abbrutiti dal vizio parlar della vita disperatamente, non credere né a virtu, né a felicità, quindi a libidine di sensualità e di guadagno ridurre tutto quanto lo scopo della umana esistenza. «In fondo in fondo sono della pasta di cui è formato ogni citrullo..... e in realtà né scettici né disperati. Oh guarda, guarda dove va a cacciarsi l'ambizione!..... Nel voler passare a qualunque costo per fina schiuma di roués, essi appena giunti alle soglie della vita; onde fa d'uopo per tutto ciò che ha profumo d'onesto forzar le labbra a sbadiglio o armarle d'un sogghigno derisore e satanico.— Povere labbra! e appena le premi, stillano ancora il latte della balia».

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Nell'assegnare i posti si deve procurare di non avvicinare allo stesso tavolo persone che siano le une alle altre notoriamente invise, o che abbiano avuto qualche disputa recente, della quale non si sieno per anco rappattumate, per evitare il pericolo di riaccenderla e di inviperirla. Bisogna aver riguardo alle orecchie e ai nervi delle persone, eliminando possibilmente dalle sale di conversazione i giuochi troppo rumorosi e che richiedono soverchio vociare nei giuocatori, onde non ne venga assordata l'adunanza, e impedito il discorrere di coloro che non prendon parte al giuoco. I padri e le madri si guardino sommamente dallo ammettere nelle conversazioni certi giuochi così detti innocenti, nei quali va a perdersi appunto l'innocenza e il candore dei giovanetti e delle fanciulle.

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Prima d'invitar persone a pranzo, consulta il cuoco dapprima e poi le dimensioni della tua tavola e la capacità della tua sala; onde gli ospiti non abbiano ad uscire di casa tua in compagnia della fame, né siano costretti a starsene pigiati l'uno addosso all'altro, né i servitori sieno impediti di poter circolare liberamente attorno. Dà aria alla tua sala da pranzo se d'estate; tienla ben calda in inverno; l'eccessivo calore però oltre all'esser sfavorevole all'appetito ecciterebbe, misto ai vapori delle vivande, la nausea de' tuoi commensali; tornerebbe poi vano qualunque apparecchio gastronomico, qualunque sforzo per tener desta l'allegria, quando i convitati si sentissero irrigidire le membra e fossero costretti a soffiarsi sulle dita. Anche la luce vuol essere temperata onde le persone non restino abbacinate mangiando; se di sera, non risparmiare le candele, il gas, il petrolio; giacché l'oscurità soverchia nuoce all'effusione; i convitati non devono rimanere nella penombra, ma potersi vedere distintamente da un capo all'altro della tavola. Le sedie sieno ben solide e comode per non dar occasione a capitomboli, né alcuno sia costretto a far della ginnastica per tenervisi in equilibrio o sentirsi le membra a indolenzire.

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Il miglior eccitamento è la buona cena, il far allegro, l'ameno discorso onde abbiano i tuoi invitati la lieta convinzione di farti piacere col prender parte al tuo pranzo. Del resto libertà piena a tutti di prender consiglio unicamente dal proprio ventricolo e dal proprio appetito pel numero e la qualità dei cibi. E così non obbligherai nemmeno alcuno a bere fuor misura; una persona ammodo non ama di ubbriacarsi; né tu devi ammettere al tuo desco quegli insaziabili beoni, a cui il naso se tu li osservi, par che rifigli il vino eccessivo di cui han ripieno lo stomaco. Non encomierai la valentìa del tuo cuoco, né i cibi rari e delicati, né la prelibatezza de' tuoi vini, né vanterai il valore del tuo vasellame, delle tue porcellane, delle tue argenterie.

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Deve la Francia libera e grande una testimonianza di memoria e di rimpianto ad uno de'più grandi uomini che abbiano in loro vita giovato alla libertà». E l'Italia? L'Italia che si è scossa finalmente dai gioghi secolari delle sue tante tirannidi, l'Italia dimenticherà essa i suoi figli che l'aiutarono, anche a costo della vita, in quella impresa circondata di tanti pericoli, resa difficile per tanti inganni, per tante codardie d'interni nemici? Dimenticherà l'Italia, i suoi D'Azeglio, i suoi Cavour, i Balbo e i Gioberti, i Pepe ed i Farini? Dimenticherà Manin? Dimenticherà Carlo Alberto e i suoi fidi di Goito e di Santa Lucia? i vincitori di Palestro, di San Martino, di Marsala, di Roma? Dimenticherà le vittime di Custoza e di Lissa? Dimenticherà i prodi dei prodi, di cui ogni nome suona una gloria, un sacrifizio all'Italia, la madre e i fratelli Cairoli? E sulle tombe di quei generosi non sacrificheranno gli Italiani le loro rivalità, le loro invidie, i loro odii, le loro vendette?

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I racconti, gli esempi si traggano dalla vita ordinaria degli uomini industri, operosi ed onesti, come dei Francklin, degli Stephenson, dei Mosca, dei Micca, di quegli uomini insomma che lasciarono piè e gloriose memorie nelle città e nelle famiglie; onde la emulazione dei giovanetti sia tratta piuttosto verso quelle soavi, medeste ed eroiche virtù domestiche e di patria, che non verso le straordinarie e favolose gesta dei paladini: aspirino a divenir galantuomini piuttosto che conquistatori; o se pur volete intrattenerli di conquiste e di eroi, insegnate loro come le prime si abbiano ad ottenere, perché dir sì possano veramente utili e gloriose, nel campo dell'industria, della scienza, della morale, non essendo ordinariamente le altre che azioni vane e compiute da uomini ambiziosi con danno della civiltà e dell'umanità: «se volete poi far loro intendere, eroe che sia, dite pur loro con Massimo D'Azeglio, eroi sono quelli che non gli altri a sé ma agli altri sacrificano se stessi - Dite loro che le nazioni possono stare e prosperare senza genii: ma viver non possono a lungo senza galantuomini».

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A qualunque condizione essi appartengano, sia il vestir loro decente e modesto, onde non abbiano ad inorgoglirsi osservando la differenza tra i loro abiti costosi e brillanti con quelli dei fanciulli delle classi inferiori; poichè ciò farebbe nascere in loro un sentimento di disprezzo per la mediocrità e povertà, mentre voi sapete che il disprezzo voi non dovete in quei teneri cuori ispirarlo fuorché per il vizio.

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Ed ecco ciò ch'egli scrive: «I nostri studi abbiano principle e ispirazione dal santo nome di madre. La madre ci vien educando a una scuola diurna di misericordia: e questa ricca vena, siccome il latte, ella trasfonde nei figli. L'affetto materno è tra le più indubitabili cose e porta in sé il testimonio di sé. Né più certo segno d'affetto può l'amico lasciare all'amico, che facendolo figlio della madre sua propria: né donna può usare verso il figliuolo dell'uomo titolo più intimo, né uomo può a donna attestare con altro nome più pieno la sua riverenza».

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Vuolsi eziandio degli amici lontani, anche all'infuori delle accennate circostanze, far menzione talvolta coi presenti, acciocché questi nell'udirli abbiano ragione a conchiudere, che essi pure, quando assenti, non verranno da te lasciati in oblio. Insomma devi schivare coll'amico ogni parola, ogni atto che suonino avversi alla civiità, alla gentilezza, alla morale. E allora dirai di avere un vero amico, quando nei vostri rapporti nulla vi si potrà rimproverare che torni o a lui o a te di disdoro. Come tu vedi, questa amicizia è ben difficile a ottenersi, più difficile a serbarsi. L'amicizia vuol cuori generosi e leali, anime serene od oneste, nature forti e gentili. Quanti ve ne sono a questo mondo?

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