Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Mitchell, Margaret

221070
Via col vento 13 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Nessuno piú di me desidera servire la nostra Causa, e sono felice che le mie figlie abbiano gli stessi sentimenti, ma per disgrazia...» Continuava ancora sullo stesso tono, ma Rossella non terminò la lettura. Questa volta era veramente spaventata. Non si sentiva piú audace e temeraria. Si sentiva giovine e colpevole come quando aveva dieci anni e aveva scaraventato a Súsele un biscotto imburrato attraverso la tavola. Gli aspri rimproveri di sua madre, sempre cosí dolce, e il pensiero di suo padre che veniva apposta per parlare col capitano Butler, la turbarono fortemente. Ora comprendeva la serietà della faccenda. Geraldo sarebbe severo. Una volta, ella sapeva di potere evitare i castighi sedendo sulle sue ginocchia e facendosi gattina e carezzevole. - No... non vi sono cattive notizie? - balbettò Pittypat. - Il babbo arriva domani per castigarmi a dovere - rispose Rossella dolorosamente. - Prissy, cercami i sali - sussurrò Pittypat allontanando la sedia dalla tavola dov'era il piatto mezzo vuoto. - Sento... mi pare di svenire. - Essere dentro tasca tua sottana - fece Prissy che era rimasta a gironzolare attorno a Rossella intuendo un dramma sensazionale che l'avrebbe riempita di gioia. Vedere Geraldo adirato era sempre una cosa divertente, purché la sua ira non fosse diretta sopra di lei. Pitty frugò nella sua gonna e si portò la boccettina al naso. - Voialtre dovete restare accanto a me e non lasciarmi sola neanche un minuto - esclamò Rossella. - Vi vuol cosí bene papà, che se siete con me non farà tante storie. - Non potrò - fece Pitty debolmente alzandosi in piedi. - Mi... mi sento male. Debbo andarmi a mettere a letto. Vi resterò tutto domani. Gli farai le mie scuse. «Vigliacca!» pensò Rossella guardandola irritata. Melly venne in soccorso, benché fosse pallida e sgomenta alla prospettiva di trovarsi dinanzi al furibondo signor O'Hara. - Io... ti aiuterò a spiegargli che l'hai fatto per l'ospedale. Certo lo capirà. - No, non capirà - si lamentò Rossella. - E io morirò se devo tornare a Tara in disgrazia, come minaccia la mamma! - No, non puoi tornare a casa! esclamò Pittypat scoppiando in pianto. - Se tu te ne andassi, sarei costretta... sí, costretta a pregare Enrico di venire a stare con noi e tu sai che con Enrico io non posso vivere. Eppure sono cosí nervosa a stare in casa di notte, sola con Melania, con tanti stranieri in città! Tu sei cosí coraggiosa, che con te non m'importa di non avere un uomo! - No, non può riportarti a Tara! - disse Melly che sembrò anche lei sul punto di piangere. - Questa adesso è la tua casa. Che cosa faremo senza di te? «Sareste ben liete di farne a meno, se sapeste quello che veramente penso di voi» disse fra sé Rossella scontenta, desiderando che vi fosse qualche altra persona, piuttosto che Melania, per sventare le minacce di Geraldo. Era noioso essere difesa da una persona antipatica. - Forse dovremo posporre il nostro invito al capitano Butler - cominciò Pitty. - Impossibile! Sarebbe il colmo della scortesia! - esclamò Melania desolata. - Accompagnami in camera. Mi sento proprio male - gemette Pitty. - Oh, Rossella, come hai potuto far succedere questo? Pittypat era a letto sofferente quando Geraldo arrivò nel pomeriggio dell'indomani. Gli espresse molte volte il suo rammarico attraverso la porta chiusa, e lasciò che le due ragazze sgomentate presiedessero la tavola della cena. Geraldo serbava un silenzio minaccioso, benché avesse baciato Rossella e pizzicato le guance di Melania affettuosamente, chiamandola «cuginetta». Rossella avrebbe preferito di molto imprecazioni, grida e accuse. Fedele alla sua promessa, Melania rimase attaccata alle gonne di Rossella, come una piccola ombra; e Geraldo era troppo gentiluomo per rimproverare sua figlia dinanzi a lei. Rossella fu costretta a riconoscere che Melania si comportava benissimo, regolandosi come se non fosse accaduto nulla; e riuscí perfino a trascinare Geraldo a discorrere, dopo che la cena fu servita. - Voglio sapere tutto della Contea - disse, guardandolo con un gaio sorriso. - Lydia e Gioia scrivono di rado e so che voi siete al corrente di tutto quanto succede. Parlateci del matrimonio di Joe Fontaine. Geraldo si ringalluzzí al complimento e disse che le nozze erano state senza chiasso, «non come quelle di voialtre» perché Joe aveva avuto solo pochi giorni di licenza. Sally, la piccola Munroe, era molto bellina. No, non ricordava come era vestita, ma aveva sentito dire che non aveva un «abito del secondo giorno». - Davvero? - fecero le ragazze scandalizzate. - È naturale, dal momento che non ha avuto un secondo giorno - spiegò Geraldo con una grassa risata, senza ricordarsi che queste osservazioni non erano adatte per orecchie femminili. Questa risata risollevò lo spirito di Rossella e ferí la delicatezza di Melania. - Perché Joe ritornò in Virginia l'indomani - si affrettò ad aggiungere Geraldo. - Quindi non vi sono state visite né balli. I gemelli Tarleton sono a casa. - Lo abbiamo saputo. Sono guariti? - No, sono stati feriti gravemente. Stuart ha avuto una pallottola in un ginocchio e Brent in una spalla. Avete anche saputo che sono stati citati all'ordine del giorno, per il loro coraggio? - No, raccontaci! - Sono due scervellati... tutti e due. Credo che in loro vi sia del sangue irlandese - proseguí Geraldo compiaciuto. - Non mi ricordo piú che cosa hanno fatto, ma Brent adesso è luogotenente. Rossella fu contenta di apprendere le loro imprese; contenta alla maniera di una proprietaria. Una volta che un uomo era stato suo spasimante ella era convinta che continuasse ad appartenerle; e tutte le buone azioni di lui risultavano a suo favore. - E ho sentito anche dire che vi stanno dimenticando entrambe. Pare che Stuart abbia ricominciato a corteggiare alle Dodici Querce. - Gioia o Lydia? - interrogò Melania eccitata, mentre Rossella spalancava tanto d'occhi, quasi indignata. - Naturalmente, Lydia. Non le faceva già la corte prima che questa mia civetta gli strizzasse l'occhio? - Oh! - esclamò Melania imbarazzata dall'espressione di Geraldo. - E oltre a questo, il giovine Brent ha preso a girare intorno a Tara. Rossella non trovò parole. La defezione dei suoi spasimanti le sembrò quasi un insulto. Specialmente se ricordava come erano stati furibondi i due gemelli, quando ella aveva detto che avrebbe sposato Carlo. Stuart aveva perfino minacciato di ammazzare Carlo o Rossella, o se stesso o tutti e tre. Era stata una cosa divertentissima. - Súsele? - chiese Melly con un lieto sorriso. - Ma credevo che Mr. Kennedy... - Quello? - fece Geraldo. - Franco Kennedy se la prende comoda. Ha paura della sua ombra. Se non si decide a parlare gli domanderò quali sono le sue intenzioni. No, si tratta della mia piccola. - Carolene? - Ma è una bambina! - esclamò aspramente Rossella ritrovando la parola. - Ha circa un anno di meno di quello che avevi tu quando ti sei sposata - ritorse Geraldo. - Invidii forse alla tua sorellina il tuo antico spasimante? Melly arrossí, non essendo abituata a quella franchezza; e accennò a Pietro di portare la torta dolce di patate. Cercò freneticamente un altro argomento di conversazione che fosse un po' meno personale e che distogliesse il signor O'Hara dallo scopo del suo viaggio. Non riuscí a trovar nulla, ma Geraldo una volta preso l'aire non aveva bisogno di altro stimolo, se non di un uditorio. Parlò dei rubalizi del commissario dipartimentale, che ogni mese aumentava le sue richieste; della supina stupidità di Jefferson Davis e della volgarità degli irlandesi che si erano arruolati nell'esercito yankee per il vile denaro. Quando fu portato il vino sulla tavola e le due ragazze si alzarono per lasciarlo solo a bere, Geraldo fissò uno sguardo severo su sua figlia e le ordinò di rimanere con lui alcuni minuti. Rossella lanciò un'occhiata disperata a Melly, la quale torse il fazzoletto, impotente, e uscí richiudendo piano la porta scorrevole. - Dunque, signorina! - muggí Geraldo versandosi un bicchiere di Porto. - Avete un bel modo di agire! Cercate già un altro marito mentre siete vedova da cosí poco tempo? - Non gridar tanto, babbo. I servi... - Certamente sono già al corrente, e tutti quanti sanno la nostra disgrazia; la tua povera mamma si è dovuta mettere a letto ed io non ho piú il coraggio di tener alta la fronte. È una vergogna. No, gattina, è inutile che cerchi di venirmi intorno con le lagrime questa volta - aggiunse in fretta e con un certo panico nella voce, vedendo Rossella battere le palpebre e torcere la bocca. - Ti conosco, hai civettato perfino alla veglia funebre di tuo marito. Non piangere. Stasera non dirò altro perché devo vedere questo bravo capitano Butler che fa cosí poco conto della reputazione di mia figlia. Ma domattina... via non piangere. Non serve proprio a nulla. Quel ch'è sicuro è che ti riporterò domani a Tara prima che tu ci disonori tutti un'altra volta. Non piangere, tesoro. Guarda che cosa ti ho portato. Non è un bel regalo? Guarda, ti dico! Come hai fatto a creare tutto questo impiccio, costringendomi a venir qui con tutto il mio da fare? Non piangere!

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Lasciate pure che abbiano l'aureola; la meritano. Vedete che sono sincero. D'altronde, l'aureola è la sola cosa che resterà loro fra uno o due anni. - Come fate a dire queste cose quando sapete che l'Inghilterra e la Francia stanno per venire in nostro aiuto... - Ma come, Rossella! Avete letto i giornali! Sono molto stupito. Non fatelo piú; è una lettura che genera confusione nel cervello delle donne. Per vostra informazione, vi dirò che sono stato in Inghilterra meno di un mese fa e posso assicurarvi che essa non ha nessuna intenzione di venire in aiuto alla Confederazione. L'Inghilterra non scommette mai sul cane o sul cavallo che è in condizioni di inferiorità; e questa è la sua forza. Inoltre, quella grassa olandese che è sul suo trono è un'anima timorata di Dio e non approva la schiavitú. È capace di lasciare che migliaia di operai delle filature muoiano di fame perché manca il cotone; ma non sparerà mai un colpo in favore dello schiavismo. Quanto alla Francia, quella pallida imitazione di Napoleone che la governa ha troppo da fare nel Messico per occuparsi di noi. Anzi benedice la guerra, perché ci impedisce di andare a scacciare dal Messico le sue truppe... No, Rossella; l'idea degli aiuti stranieri è una fola dei giornali per risollevare il morale dei nostri. La Confederazione è agli sgoccioli. Io stesso, penso di non poter continuare i miei viaggi per piú di altri sei mesi. Dopo, sarebbe troppo rischioso. E venderò le mie navi a qualche imbecille di inglese che crederà di poter fare quello che ho fatto io. Ma questo non mi preoccupa. Ho guadagnato abbastanza; e il mio denaro è nelle banche inglesi, in oro. Non voglio di questa cartaccia. Come sempre, le sue parole - che agli altri suonavano tradimento e perfidia - all'orecchio di Rossella apparivano piene di buon senso e di verità. Eppure avrebbe dovuto anche lei essere infuriata e scandalizzata; o perlomeno fingere di esserlo. Sarebbe stato un atteggiamento piú degno di una signora. - Credo che quanto ha scritto di voi il dottor Meade sia giusto, capitano Butler. Il solo modo di redimervi è arruolarvi dopo aver venduto le vostre navi. Siete di West Point e... - Parlate come un predicatore battista che tiene un discorso per reclutare degli adepti. E se io non ho nessun desiderio di redimermi? Perché dovrei combattere per difendere un sistema che mi ha scacciato? Sarò invece ben lieto di vederlo distrutto. - Non so di che sistema parliate - replicò ella sgarbata. - No? Eppure ne fate parte, come ne facevo parte io; e sono sicura che non lo amate piú di quanto lo ami io. Perché sono la pecora nera della famiglia Butler? Perché non mi sono adattato a fare tante cose che bisognava fare soltanto perché sono sempre state fatte... Cose innocenti che non bisogna fare per la stessa ragione... Cose che infastidiscono perché sono prive di senso comune... Il non aver sposato una signorina di cui avete forse sentito parlare non è stato altro, per me, che l'ultima goccia che ha fatto traboccare il calice. E perché avrei dovuto sposare una noiosa scioccherella per l'unica ragione che un incidente mi ha impedito di ricondurla a casa prima che annottasse? E perché dovevo permettere a quel selvaggio di suo fratello di ammazzarmi, se io tiravo di pistola meglio di lui? Forse, se fossi stato un gentiluomo mi sarei lasciato uccidere e questo avrebbe cancellato la macchia dal blasone dei Butler. Ma... la vita mi piace. E cosí sono rimasto vivo e mi son divertito... Quando penso a mio fratello che vive fra le sacre mucche di Charleston ed è pieno di rispetto per esse, e mi ricordo quella donna indigesta che è sua moglie e quei suoi insopportabili balli provinciali... beh, vi assicuro che riconosco che aver troncato i rapporti col sistema ha i suoi compensi. Il nostro modo di vivere negli Stati del Sud, cara Rossella, è antiquato come il sistema feudale del medioevo. Il miracolo è che sia durato tanto. Doveva finire; e siamo vicini a questo. E volete che io mi metta ad ascoltare dei predicatori come il dottor Meade e mi ecciti al rullo dei tamburi ed afferri un moschetto per andare a spargere il mio sangue per Marse Robert? Ma per che imbecille mi prendete? Baciare la mano che mi ha percosso non è nel mio stile. Fra me e il Sud, la partita è regolata. Il Sud mi ha cacciato a morir di fame; non sono morto e ho guadagnato tanto denaro su quella che sarà la morte del Sud, da compensarmi per i diritti di primogenitura che ho perduti. - Siete abbietto e venale - ritorse Rossella; ma pronunciò queste parole automaticamente. La maggior parte di quanto egli diceva le entrava in un orecchio e usciva dall'altro, come la maggior parte delle conversazioni che non erano di argomento personale. Ma alcune cose erano giuste. Tutte le sciocchezze che comporta la vita tra persone per bene! Fingere di aver sepolto il proprio cuore mentre non era vero... E veder tutti scandalizzati quella volta che aveva ballato alla festa di beneficenza! E il modo in cui la guardavano ogni volta che diceva o faceva qualche cosa di diverso da tutte le altre... Eppure, rabbrividí udendolo attaccare tutte le tradizioni che le davano maggiormente noia. Aveva vissuto per troppo tempo fra persone che dissimulavano educatamente, per non sentirsi disorientata nell'udire manifestare in parole i propri pensieri. - Venale? No; sono soltanto lungimirante. Può darsi che questo sia semplicemente sinonimo di venale. Almeno, cosí dice chi non è previdente. Qualsiasi leale confederato che avesse avuto in cassa mille dollari nel 1861 avrebbe potuto fare quello che ho fatto io; ma pochi sono stati tanto previdenti da approfittare dell'occasione. Per esempio, subito dopo la caduta del Forte Sumter e prima che si stabilisse il blocco, io comprai parecchie migliaia di balle di cotone a bassissimo prezzo e le portai in Inghilterra, dove sono ancora nei magazzini di Liverpool. Non le ho vendute fino ad ora e le terrò finché le filande inglesi ne avranno bisogno e mi pagheranno il prezzo che vorrò. Non sarei sorpreso di ottenerne un dollaro a libbra. - Avrete un dollaro a libbra quando Pasqua verrà di maggio! - Invece sono persuaso che lo avrò. Il cotone è già arrivato a due cents la libbra. A guerra finita sarò ricco, perché sono stato previdente... pardon, venale. Vi ho già detto una volta che i momenti buoni per guadagnare sono due: quando si costruisce un paese e quando lo si distrugge. Lentamente nel primo caso, rapidamente nel secondo. Ricordatevi le mie parole. Forse un giorno vi potranno servire. - Apprezzo molto i buoni consigli - rispose Rossella con tutto il sarcasmo di cui fu capace. - Ma non ne ho bisogno. Credete che il babbo sia povero? Ha già piú di quanto può occorrermi; e oltre a questo, ho l'eredità di Carlo. - Credo che gli aristocratici francesi pensassero press'a poco lo stesso fino al momento in cui salirono sul carro che li portava alla ghigliottina.

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. - Ringrazia Dio che non abbiano bruciato la tua casa - replicò la nonna, appoggiando il mento al suo bastone. - Il cotone si può coltivare ancora, mentre la casa non si ricostruisce. A proposito, avete cominciato a raccogliere il cotone, voialtri? - No, - rispose Rossella; - ma è quasi tutto rovinato. Non credo che ve ne sia piú di tre balle. E poi, tutti i nostri negri-contadini se ne sono andati e non c'è nessuno per raccoglierlo. - Dio mio, tutti i contadini andati via e nessuno per raccoglierlo! - scimmiottò la nonna, lanciando a Rossella uno sguardo satirico. - E le tue belle manine, e quelle delle tue sorelle? - Io raccogliere il cotone? - esclamò Rossella inorridita, come se la nonna avesse suggerito un delitto. - Come una contadina? Come una stracciona? Come le donne di Slattery? - Straccioni! Dio mio, com'è delicata e signorile questa generazione! Ti dirò che quando io ero una bambina, mio padre perse tutto il suo patrimonio, e io non ebbi paura di lavorare con le mie mani, anche nei campi, finché papà non mise assieme abbastanza denaro per comprare degli altri schiavi. Ho zappato la terra, ed ho raccolto il cotone, e se sarà necessario, lo farò ancora. - Ma allora - esclamò la nuora lanciando sguardi imploranti alle due ragazze perché la aiutassero a lisciare le penne rabbuffate della vecchia, - erano altri tempi, e adesso tutto è cambiato! - I tempi non cambiano mai quando c'è bisogno di lavorare - affermò la vecchia senza lasciarsi addolcire. - Ed io mi vergogno per te, Rossella, di sentirti parlare come se il lavoro onesto fosse una cosa indegna. Per cambiare argomento Rossella si affrettò a chiedere: - E che notizie dei Tarleton e dei Calvert? Si sono rifugiati a Macon? Hanno avuto la casa incendiata? - Gli yankees non sono arrivati a casa Tarleton, perché come la nostra, è lontana dalla strada maestra; ma sono andati dai Calvert e hanno rubato tutte le provviste e il pollame, e hanno fatto fuggire tutti i negri. Era Sally che aveva cominciato a parlare, ma la nonna l'interruppe. - Sicuro! Promisero a tutte le negre abiti di seta e orecchini d'oro! E Catina Calvert ha raccontato che alcuni soldati son partiti portando in groppa delle stupide negre. I risultati saranno dei bambini gialli, e non credo che il sangue yankee migliorerà. - Oh, mamma! - Non fare quella faccia scandalizzata, Giovanna. Siamo tutte maritate, no? E Dio sa che abbiamo visto dei bambini mulatti anche prima di ora! - Come mai non hanno bruciato la casa dei Calvert? - La casa è stata salvata per gli sforzi combinati della seconda signora Calvert e di quel suo sorvegliante yankee, Hilton - rispose la vecchia signora, la quale parlava sempre della ex- governante come della o seconda signora Calvert» benché la prima fosse oramai morta da venti anni. «Noi siamo simpatizzanti con l'Unione» - continuò con voce nasale e strascicata rifacendo l'accento yankee. Ed affermò che tutti i Calvert erano yankees. Pensare che il signor Calvert è morto nel Wilderness! E Raiford a Gettysburg e Cade è nella Virginia, con l'esercito! Catina era cosí mortificata che avrebbe preferito che la casa fosse incendiata! Disse che Cade diventerebbe idrofobo il giorno in cui, tornando a casa, venisse a saperlo. Ma questo è ciò che accade quando un uomo sposa una yankee: né orgoglio né dignità; non pensano che alla loro pelle... Ma come mai non hanno incendiato Tara, Rossella? Per un attimo Rossella tacque. Sapeva che la domanda seguente sarebbe: «E come state tutti? Come sta la cara mamma?» E non poteva, no, non poteva dire che Elena era morta. Sapeva che se avesse pronunciato quella parola dinanzi a quelle donne simpatiche sarebbe scoppiata in lagrime; e non doveva piangere. Non aveva pianto da quando era arrivata a casa; ed era certa che se aprisse la via alle lagrime, tutto il suo coraggio svanirebbe. Ma capiva anche che se taceva, le Fontaine non le perdonerebbero mai di aver loro nascosto quella notizia. - Suvvia, parla - proseguí con asprezza la vecchia. - Non lo sai? - Ecco: io sono arrivata a casa l'indomani della battaglia - rispose in fretta - e gli yankees erano andati via. Il babbo mi disse che... non avevano bruciato la casa perché Súsele e Carolene stavano tanto male che non si poteva trasportarle altrove. - È, la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve. - La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori. - E ora come stanno le ragazze? - Molto meglio; ma sono debolissime. - Poi, vedendo la domanda sulle labbra della vecchia signora, si affrettò a cambiare conversazione. - Volevo appunto... volevo chiedervi se potete prestarci qualche cosa da mangiare. Gli yankees hanno distrutto tutto, come uno stormo di cavallette. Ma se siete poco provviste, ditemelo francamente e... - Manda Pork con un carretto e ti daremo la metà di quello che abbiamo: riso, farina, prosciutto, qualche pollo. - No, questo è troppo! Io... - Non una parola! Non voglio sentirla. Altrimenti, perché si sarebbe vicini? - Siete cosí buona che non so... Ma ora debbo andare. A casa saranno preoccupati di non vedermi ancora tornare. La nonna si alzò bruscamente e prese Rossella per un braccio. - Voi due rimanete qui - disse alle altre. - Debbo dire una parola a Rossella. Aiutami a scendere gli scalini, Rossella. La signora giovane e Sally salutarono Rossella, promettendo di andare presto a trovarla. Erano divorate dalla curiosità di sapere di che cosa dovesse parlare la nonna; ma sapevano che questa non lo avrebbe mai detto. Con la mano sulla briglia del cavallo, Rossella attendeva, col cuore angosciato. - Ora dimmi: - cominciò la vecchia - che cosa c'è che non va bene a Tara? Che cosa ci nascondi? Rossella fissò gli occhi acuti che la guardavano e comprese che potrebbe parlare senza piangere. Nessuno piangeva dinanzi alla nonna Fontaine, a meno che non ne avesse il permesso da lei. La mamma è morta - disse piano. La mano appoggiata al suo braccio si strinse e le palpebre grinzose ebbero un battito. - L'hanno uccisa gli yankees? - È morta di tifo. Il giorno prima del mio arrivo. - Non ci pensare. - La voce era severa; e Rossella vide che la nonna inghiottiva con sforzo. - E tuo padre? - Il babbo è... il babbo non è piú lo stesso. - Che vuoi dire? È ammalato? - Il colpo... è cosí stranito... non è... - Non dirmi che non è piú in sé. Il colpo gli ha toccato il cervello? Fu un sollievo per lei udire enunciare cosí schiettamente la verità. Com'era buona la vecchia a non dirle parole di simpatia che l'avrebbero fatta piangere! - Sí - rispose con tristezza - ha perduto il senno. Sembra come addormentato e a volte non si ricorda che la mamma è morta. Rimane delle ore ad aspettarla pazientemente, lui che era cosí impaziente! Ma è peggio quando si ricorda... Improvvisamente balza in piedi e corre fuori di casa, fino al nostro cimitero. Ritorna trascinandosi, con gli occhi pieni di lagrime e dice: «Caterina Rossella, la mamma è morta. La mamma è morta». E lo ripete all'infinito, tanto che mi par di impazzire. Di notte, qualche volta, sento che la chiama; allora scendo dal letto e vado a dirgli che è andata a trovare uno schiavo ammalato. E lui brontola perché dice che si strapazza sempre per curare gli altri. È difficile farlo tornare a letto: è come un bambino. Come vorrei che il dottor Fontaine fosse qui! So che farebbe qualche cosa per il babbo. E anche Melania ha bisogno del medico. Non si è rimessa come dovrebbe dopo il parto e... - Melly... un bambino? Ed è con te? - Sí. - E perché non è a Macon con sua zia e i suoi parenti? Non mi pareva che tu avessi gran simpatia per lei, benché fosse sorella di Carlo. Andiamo, via, raccontami. - È un po' lungo, nonna Fontaine. Non volete rientrare in casa e mettervi a sedere? - Posso stare in piedi - fu la breve risposta. - E se racconti la storia dinanzi alle altre, si mettono a piangere e ti fanno commuovere e dopo ti senti male. Avanti, racconta. Rossella cominciò semplicemente a narrare l'assedio e lo stato di Melania; e mentre andava avanti, trovava negli occhi che la fissavano le parole di sgomento e di orrore che da principio le erano mancate. Tutto le tornò in mente: il calore estenuante della giornata in cui era nato il bimbo, il terrore, la fuga, l'abbandono di Rhett. Parlò dell'oscurità della notte, dei fuochi che potevano essere di amici o di nemici, degli uomini e dei cavalli morti che aveva incontrato lungo la strada, delle rovine fumiganti, della fame, della desolazione, della paura che anche Tara fosse bruciata. - Credevo che arrivando a casa avrei deposto il tremendo fardello. Credevo che mi fosse già accaduto quanto di peggio poteva accadere; ma quando seppi che era morta, compresi che cosa era veramente il peggio. Abbassò gli occhi e attese che la nonna dicesse una parola. Il silenzio era cosí prolungato che temette di non essere stata compresa. Finalmente udí la voce; parlava con un tono di bontà assolutamente nuovo. - Figliuola, è male per una donna trovarsi di fronte al peggio che le può accadere, perché dopo di questo non ha piú paura di nulla. Ed è male, per una donna, non aver paura di nulla. Credi che non capisca tutto quello attraverso cui sei passata? Ho capito benissimo. Avevo circa la tua età quando avvenne la rivolta degli indiani, dopo il massacro del Forte Mims... - la sua voce era stranamente lontana - e riuscii a nascondermi fra i boschi e vidi la nostra casa incendiata e i miei fratelli e sorelle scotennati dagli indiani. E io non potevo fare altro che supplicare il Cielo perché la luce delle fiamme non rivelasse il mio nascondiglio. Trascinarono fuori mia madre e la uccisero a pochi metri dal luogo dove io ero sdraiata nel sottobosco. E anche a lei tolsero il cuoio capelluto; e ogni indiano le ficcava il suo tomahawk nel cranio. Io ero la beniamina della mamma... e vidi tutto questo. La mattina mi avviai all'accampamento piú vicino, che era a circa trenta miglia. Mi ci vollero tre giorni, attraverso le paludi e gli indiani; i nostri, quando li trovai, mi credettero pazza... Là conobbi il dottor Fontaine, che si occupò di me. Sono passati cinquant'anni; e da allora non ho mai piú avuto paura di nulla, perché sapevo che nulla di peggio potrebbe ormai accadermi. Dio vuole che le donne siano creature timide; in una donna che non ha paura è qualche cosa di innaturale... Rossella, cerca che ti rimanga sempre qualche cosa di cui temere... e cerca che ti rimanga qualche cosa da amare... Tacque e rimase con gli occhi fissi, come se rivedesse il giorno in cui aveva avuto paura, mezzo secolo prima. Rossella si mosse impaziente. Aveva creduto che la nonna l'avrebbe compresa e forse l'avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi. Ma, come tutti i vecchi, si era messa a parlare di cose avvenute tanto e tanto tempo prima; cose che non interessavano nessuno. Si pentí di essersi confidata a lei. - Ora vai, bambina; altrimenti a casa staranno in pensiero - riprese a un tratto la vecchia signora. - Manda Pork col carretto oggi nel pomeriggio... E non credere di poter deporre il tuo fardello, perché non lo puoi. Lo so.

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- Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di piú... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò; e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di cameratismo. «Bisogna ammettere» disse fra sé rimuginando «che è sempre presente quando c'è bisogno di lei.»

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. - Non basta che ci abbiano sconfitti e ridotti alla miseria? Devono anche agire. da furfanti? La guerra era finita, la pace era stata dichiarata, ma gli yankees potevano ancora derubarla, farla morir di fame, cacciarla dalla sua casa. - E io credevo che con la fine della guerra, tutti i guai fossero terminati! - No, signora. I guai non fanno che cominciare. - E quanto vogliono farci pagare di tasse supplementari? - Trecento dollari. Rimase un attimo come colpita dal fulmine: trecento dollari! Era lo stesso come se avesse detto tre milioni. - Ma... allora... bisognerà che mettiamo assieme trecento dollari in qualche modo! - Sí, signora... e anche un arcobaleno, una luna e un sole. - Ma Will! Non possono vendere Tara! In che modo... Gli occhi chiari di lui espressero piú odio e piú amarezza di quanto ella potesse immaginare. - Non possono? Possono fare tutto ciò che vogliono, e lo faranno! Il paese, cara miss Rossella, è rovinato. Questi politicanti e questi rinnegati hanno il diritto di votare e la maggior parte di noi democratici no. Nessun democratico può votare, se nel 1865 era iscritto nei registri delle tasse per piú di 2000 dollari. Cosí rimangono escluse persone come vostro padre, Mr. Tarleton, i McRae e i ragazzi Fontaine. Nessuno che abbia avuto il grado di colonnello o un grado superiore durante la guerra, può votare; e scommetto che qui vi erano piú colonnelli che in qualsiasi altro Stato della Confederazione. E sono esclusi tutti coloro che avevano qualche ufficio nel governo confederato: nonché giudici e notai. Insomma, chiunque abbia avuto una carica prima della guerra non ha diritto di voto. Né le persone di qualità, né i ricchi, né l'aristocrazia. Io potrei votare se prestassi il loro maledetto giuramento. Non avevo un soldo nel '65, e non ero colonnello né altro di notevole. Ma non voglio giurare. No, che il diavolo li porti! Se gli yankees avessero agito bene, avrei fatto giuramento di fedeltà; ma non lo farò. Anche se non dovessi mai piú votare. Ma gentaglia come Hilton può votare e farabutti come Giona Wilkerson, e proletari come gli Slattery, e gente da nulla come McIntosh; tutti questi possono votare. E dirigere la cosa pubblica. E se vogliono richiedervi delle tasse supplementari anche dieci volte maggiori, sono padroni di farlo. Tale e quale come un negro può uccidere un bianco senza essere impiccato, oppure... - S'interruppe imbarazzato, e il ricordo di ciò che era accaduto a una donna bianca che viveva sola in una fattoria isolata presso Lovejoy apparve ad entrambi... - Codesti negri possono fare contro di noi qualunque cosa; e il «Freedmen's Bureau» e i soldati li proteggono con le armi, mentre noi non abbiamo diritto di votare né di ribellarci. - Votare! - esclamò Rossella. - Cosa c'entra il votare con tutto questo? Stavamo parlando delle tasse... Tutti quanti, Will, sanno che Tara è un'ottima piantagione. Possiamo ipotecarla per una cifra sufficiente a pagare le tasse, se è necessario. - Miss Rossella, voi non siete stupida; ma a volte parlate come se lo foste. Chi ha del denaro da prestarvi? Chi, eccettuato i «carpetbaggers» che stanno cercando di spodestarvi? - Ho gli orecchini di brillanti dello yankee. Potremmo venderli. - Ma chi volete che abbia dei quattrini per comprarli? La gente non ha denaro per comprare un po' di carne. Se voi avete dieci dollari in oro, giuro che è piú di quanto abbia qualunque altro dei vostri vicini. Rimasero nuovamente in silenzio e Rossella ebbe l'impressione di urtare contro un muro di pietra. E questo le era accaduto tante altre volte in quest'ultimo periodo. - Che dobbiamo fare, miss Rossella? - Non lo so - rispose cupamente. E in quel momento le parve che non glie ne importasse nulla. Si sentí improvvisamente cosí stanca che tutte le sue ossa le dolsero. Perché lavorare e lottare e affaticarsi disperatamente? Al termine di ogni lotta le sembrava che la sconfitta l'attendesse per schernirla. - Non lo so - ripeté. - Ma non diciamolo al babbo. Si turberebbe. - Non lo dirò. - L'avete detto a nessuno? - No, sono venuto subito da voi. Sí, tutti venivano direttamente da lei quando vi erano delle cattive notizie. Ed oramai non ne poteva piú. - Dov'è il signor Wilkes? Forse potrà darci qualche idea. Will rivolse verso di lei il suo sguardo dolce ed ella sentí, come nel giorno in cui era giunto Ashley, che egli sapeva tutto. - È nell'orto a spaccare legna. Ho sentito il rumore della scure mentre rimettevo il cavallo. Ma certo non ha piú denaro di quanto ne abbiamo noi. - Se voglio parlare di questo con lui, ne avrò bene il diritto, no? - ribatté aspramente Rossella alzandosi e respingendo con un calcio il pezzetto di tappeto. Will non si offese, ma continuò a stropicciarsi le mani dinanzi al fuoco. - È meglio che prendiate il vostro scialle, miss Rossella; fuori fa freddo. Ma ella uscí senza mettere nulla sulle spalle, perché lo scialle era al piano di sopra, e il suo bisogno di vedere Ashley per sfogarsi era troppo urgente. Che fortuna se lo trovasse solo! Da quando era tornato non aveva mai avuto modo di scambiare una parola con lui in particolare. C'era sempre la famiglia intorno; sempre Melania che ogni tanto gli toccava una manica, come per assicurarsi della sua presenza. La vista di quel gesto aveva rianimato in Rossella tutta la gelosia che era rimasta sopita durante i mesi in cui aveva ritenuto che Ashley fosse morto. Ora era decisa a parlare con lui solo e nessuno potrebbe impedirglielo.

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. - Che peccato che non vi abbiano impiccato! - Temo che vi siano altri che condividono la vostra opinione. Andiamo, Rossella, siate piú dolce. Avete l'aria di avere inghiottito un bastone di scopa. Certamente avete avuto il tempo di rimettervi dal mio... hum! piccolo scherzo. - Uno scherzo? - Ma sí. E smettete quella faccia indignata che ritenete doverosa. Posso sedermi? Egli piombò su una sedia accanto a lei e sorrise. - Ho saputo che non siete stata capace di aspettarmi neanche due settimane! Come sono volubili le donne! - Ed emise un sospiro beffardo. Poi riprese: - Ma ditemi la verità, Rossella, fra amici: proprio amici vecchi e intimi: non sarebbe stato piú saggio aspettare che io uscissi di prigione? O il fascino delle nozze legittime col vecchio Franco Kennedy era piú allettante di una relazione illecita con me? Come sempre, il suo scherno suscitò la collera di lei; una collera mista al riso destato dalla sua sfacciataggine. - Non siate assurdo. - E vorreste soddisfare la mia curiosità su un punto che mi preoccupa da qualche tempo? Non avete avuto nessuna ripugnanza femminile all'idea di sposare non un uomo solo, ma due per i quali non avevate né amore né affetto? - Rhett! - Ho capito. Ho sempre pensato che le donne hanno una durezza e una sopportazione sconosciuta agli uomini, malgrado ciò che mi hanno insegnato nella mia infanzia, e cioè che le donne sono creature fragili, tenere, sensibili. Ma dopo tutto, è di pessimo gusto che marito e moglie si amino, secondo il codice dell'etichetta continentale. In questo gli europei hanno ragione. Matrimonio per convenienza e amore per piacere. E voi siete piú vicina al vecchio mondo di quanto io credevo. Come sarebbe stato piacevole gridargli: - Non mi sono sposata per convenienza! - Ma, disgraziatamente, qualunque sua protesta non avrebbe fatto che suscitare osservazioni anche piú pungenti da parte di lui. - Come correte! - rispose freddamente. Poi, desiderosa di mutare argomento chiese: - Come avete fatto a uscire di prigione? - Oh, cosa da poco! - rispose con gesto ampio. - Mi hanno rilasciato stamattina. Ho impiegato un delicato sistema di ricatto su un amico di Washington che è un pezzo grosso del governo federale. Uno dei patrioti unionisti dai quali compravo moschetti e crinoline per la Confederazione. Quando il mio caso doloroso fu portato dinanzi a lui in un dato modo, egli si affrettò ad usare la sua influenza e cosí fui liberato. È l'influenza che conta, Rossella. Ricordatevelo quando sarete arrestata. Innocenza o reità sono semplici questioni accademiche. - Giurerei che non eravate innocente. - Infatti, ora che sono fuori dai ceppi, ammetto francamente di essere colpevole come Caino. Uccisi il negro. Colui era stato sfacciato con una signora; che altro poteva fare un gentiluomo del Sud? E giacché sono in vena di confessioni, ammetterò anche di avere ucciso un cavalleggero yankee dopo un alterco in una bettola. Non sono stato accusato di questo peccatuccio; quindi può darsi che qualche povero diavolo sia stato impiccato per me. Parlava cosí allegramente dei suoi delitti che Rossella si sentí gelare il sangue. Parole di rovente indignazione le salirono alle labbra; ma improvvisamente ella ricordò lo yankee che dormiva sotto il noce americano a Tara. Non le aveva mai turbato la coscienza piú che se le fosse avvenuto di calpestare un rifiuto. Non poteva erigersi a giudice di Rhett essendo colpevole come lui. - E dal momento che sto vuotando il sacco, vi dirò in tutta confidenza (cioè, con preghiera di non dirlo a miss Pittypat!) che avevo il denaro messo in salvo in una banca a Liverpool. - Il denaro? - Sí; quello che gli yankees cercavano con tanto ardore. Vedete, Rossella, non è stato per brutale malvagità che vi ho rifiutato la somma che mi chiedevate. Se vi avessi rilasciato un assegno, coloro avrebbero potuto averne sentore; e probabilmente non avreste incassato neanche un centesimo. La mia sola probabilità di salvezza consisteva nel non far nulla. Sapevo che il denaro era al sicuro, perché anche se avessero scoperto dov'era e avessero tentato di togliermelo, io avrei fatto il nome di tutti i patrioti yankees che mi avevano venduto proiettili e munizioni durante la guerra. Sarebbe stato uno scandaluccio, perché parecchi di essi sono adesso dei pezzi grossi a Washington. In realtà, è stata la mia minaccia di parlare che mi ha aperto le porte del carcere... - Ciò significa che... attualmente avete l'oro della Confederazione? - Non tutto. Dio mio, no! Vi sono piú di cinquanta ex-capitani (di quelli che facevano del contrabbando di guerra) che ne hanno un buon quantitativo messo in serbo a Nassau, in Inghilterra, al Canadà. Io non ho che un mezzo milioncino. Pensate, Rossella: mezzo milione di dollari, se voi aveste contenuto la vostra impazienza e non vi foste affrettata a rimaritarvi! Mezzo milione di dollari. Il pensiero di tanto denaro le diede quasi un malessere fisico. Non rilevò neppure le parole beffarde di Rhett. Stentava a credere che in questo mondo cosí povero potesse esservi tanto denaro. E vi era qualcuno che lo possedeva senza darvi importanza e senza averne bisogno. E lei aveva soltanto un marito vecchio e ammalato e quella sudicia botteguccia che stava tra lei e il mondo ostile. Non era giusto che un reprobo come Rhett Butler fosse cosí ben provvisto; e lei, che aveva un grave carico sulle spalle, possedesse tanto poco. Lo detestava, vedendolo lí, seduto in atteggiamento da damerino e sentendosi motteggiare da lui. Ebbene, non gli darebbe la soddisfazione di complimentarlo per la sua abilità. Cercò qualche parola pungente che potesse ferirlo. - Probabilmente credete che sia onesto tenere per voi il denaro della Confederazione. Non è altro che ladrocinio; ed io non vorrei avere sulla coscienza una cosa simile. - Dio, come è acerba oggi l'uva! - esclamò Rhett. - E chi avrei derubato, secondo voi? Non gli rispose, cercando chi, veramente, fosse stato derubato. Dopo tutto, egli aveva fatto soltanto ciò che Franco aveva fatto in misura minore. - La metà del denaro - continuò Rhett - è onestamente guadagnato da me, con l'aiuto di onesti patrioti unionisti i quali non cercavano che di vendere all'insaputa dell'Unione, pur di guadagnare il cento per cento sulla loro mercanzia. In parte ho guadagnato sul cotone che comprai in principio della guerra, vi ricordate?, a bassissimo prezzo e immagazzinai, per rivenderlo a un dollaro la libbra quando le fabbriche inglesi ne ebbero bisogno. E in parte l'ho guadagnato con le speculazioni sui viveri. Perché gli yankees avrebbero dovuto godere il frutto del mio lavoro? Il resto apparteneva alla Confederazione. Era il ricavato del cotone della Confederazione che io riuscii ad esportare attraverso il blocco e vendetti a Liverpool a prezzi favolosi. II cotone mi era stato dato in buona fede perché io comprassi col ricavato cuoio, armi e munizioni. Ed io lo presi in buona fede a questo scopo. L'ordine era di depositare il denaro nelle banche inglesi, a mio nome, per far sí che io avessi del credito. Ma quando il blocco divenne piú stretto, vi ricordate?, non mi fu piú possibile entrare o uscire dai porti, e il denaro rimase in Inghilterra. Che dovevo fare? Togliere quell'oro dalle banche inglesi, come un imbecille, e cercare di portarlo a Wilmington? Per farlo catturare dagli yankees? È colpa mia se il blocco divenne piú stretto? È colpa mia se abbiamo perduto la guerra? Sí, il denaro apparteneva alla Confederazione. Ma questa, che io sappia, non esiste piú... A chi dovrei dare il denaro? Al governo yankee? Ditemi voi... Se sapeste come mi dispiacerebbe essere ritenuto un ladro! Trasse di tasca un portasigari di cuoio, ne tolse un lungo sigaro, lo annusò mentre la fissava con finta ansietà, come se pendesse dal suo labbro. «Che lo colga la peste!» pensò Rossella. «Riesce sempre ad avere la meglio. Nei suoi ragionamenti vi è sempre qualche cosa che zoppica, ma io non riesco a trovare qual è il punto debole.» - Potreste - disse poi dignitosamente - distribuirlo a quelli che sono bisognosi. La Confederazione è crollata; ma vi sono tanti e tanti confederati che muoiono di fame con le loro famiglie. Egli gettò indietro la testa e rise volgarmente. - Non siete mai tanto carina o tanto assurda come quando tirate fuori queste frasi ipocrite - esclamò francamente divertito. - Bisogna che diciate sempre la verità, Rossella. Non sapete mentire. Gli irlandesi sono i peggiori mentitori del mondo. Andiamo, siate sincera. Non vi è mai importato nulla della Confederazione e vi infischiate altamente dei confederati che soffrono la fame. Gettereste alte strida di protesta se io soltanto proponessi di dar via tutto quel denaro, a meno che non cominciassi col dare a voi la parte del leone. - Non so che farmene del vostro denaro - ribatté Rossella cercando di essere freddamente dignitosa. - Davvero! Eppure le vostre mani provano un folle desiderio di afferrarlo. Se ve ne mostrassi la quarta parte vi balzereste sopra. - Se siete venuto qui per insultarmi e schernire la mia povertà, vi saluto! - ritorse Rossella cercando di deporre il pesante registro che aveva sulle ginocchia a fine di potersi levare in piedi per mostrarsi piú imponente. Egli fu immediatamente in piedi chino sopra di lei, ridendo e respingendola nella poltrona. - Ma non smetterete mai di perdere la calma quando vi si dice la verità? Volete dire quello che pensate sul conto degli altri e non volete che si sia sinceri sul conto vostro! Non vi sto affatto insultando. Credo anzi che il desiderio di acquistare sia una virtú. Queste parole la raddolcirono alquanto. - Non sono venuto per schernire la vostra povertà - continuò Rhett - ma per augurarvi vita lunga e ogni felicità nel vostro matrimonio. A proposito, che cosa ha detto del vostro ladroneccio la sorellina Súsele? - Del mio che cosa? - Dell'averle rubato Franco sotto il naso. - Io non... - Andiamo, non discutiamo sulle parole. Che cos'ha detto? - Non ha detto nulla. - Gli occhi di lui brillarono nell'udire questa menzogna. - Com'è altruista quella figliola! E ora, parlatemi della vostra povertà. Ho diritto di essere al corrente, dopo la vostra visitina in carcere... Dunque, Franco non ha tanto denaro come speravate? Non vi era modo di sfuggire alla sua impudenza. O bisognava aderire o pregarlo di andarsene. Cosa che in quel momento non desiderava affatto. Le sue parole erano pungenti, ma dicevano la verità. Egli sapeva il suo operato e le ragioni che l'avevano spinta; ma le sue domande, benché espresse crudamente, avevano un tono di cordialità. Era la sola persona a cui poteva aprirsi con schiettezza. E sarebbe un sollievo, perché era tanto tempo che non si sfogava con nessuno. - Non avete avuto il denaro per le tasse? Non ditemi che il lupo è ancora alle porte di Tara! - Il tono della sua voce era mutato. Ella alzò gli occhi ad incontrare quelli di lui e vide in essi un'espressione che a tutta prima la stupí e la intrigò, ma subito dopo la fece sorridere; un sorriso dolce e seducente che raramente, ora, appariva sul suo volto. Era una gran canaglia, quell'uomo; ma come sapeva essere carino certe volte. Ora comprendeva il vero scopo della sua visita; non era venuto per prenderla in giro ma per accertarsi che aveva avuto il denaro per il quale l'aveva vista cosí disperata. Comprendeva adesso che si era affrettato ad accorrere presso di lei appena liberato, senza aver l'aria di precipitarsi, per prestarle il denaro se ne aveva ancora bisogno. Eppure la tormenterebbe, l'insulterebbe e negherebbe che questa fosse la sua intenzione, se ella glielo dicesse. Anche in questo, quell'uomo era al di là della sua comprensione. Le voleva veramente bene, piú di quanto volesse ammettere? O aveva qualche altro motivo? Questo era forse piú probabile. - No - gli rispose - il lupo non è piú alle porte. Ho... ho avuto il denaro. - Ma non senza fatica, immagino. Siete stata capace di padroneggiarvi finché avete avuto al dito l'anello nuziale? Ella cercò di non sorridere a questa precisa ricapitolazione della sua condotta, ma non riuscí a nascondere le fossette delle sue guance. Egli sedette di nuovo stendendo comodamente le gambe. - Dunque, parlatemi della vostra povertà. Quella canaglia di Franco vi ha indotta in errore sulle sue condizioni? Bisognerebbe frustarlo, per avere abusato di una creatura debole e ingenua! Suvvia, Rossella, ditemi tutto. Non dovete avere segreti per me: so troppe cose di voi! - Siete proprio... No, non so quello che siete, Rhett! Non mi ha precisamente tratta in inganno, ma... - Improvvisamente fu felice di potersi sfogare. - Rhett, se Franco incassasse tutto il denaro che gli devono! Non sarei piú preoccupata di nulla. Ma vi sono piú di cinquanta persone che gli debbono del denaro, e Franco non glielo vuol chiedere. Dice che un gentiluomo non può far questo coi propri amici. E ci vorranno dei mesi per avere queste somme; o forse non si avranno mai! - Ebbene? Non avete abbastanza da mangiare finché questa gente paga? - Sí, ma... Ecco, mi servirebbe del denaro proprio adesso. - I suoi occhi brillarono al pensiero della segheria. Forse... - Per che fare? Altre tasse? - Che ve ne importa? - M'importa, perché a momenti mi chiederete un prestito. Oh, conosco tutti gli approcci. E vi presterò la somma... senza la graziosa garanzia che mi avete offerto poco tempo fa, cara signora Kennedy. A meno che voi non insistiate... - Siete il piú perverso... - Niente affatto. Volevo soltanto chiarirvi la cosa senza indugio, perché capivo che questo vi preoccupava. Non è il caso. Vi presterò il denaro, ma voglio sapere come lo spenderete. Credo di averne il diritto. Se è per comprarvi dei bei vestiti e una carrozza, ve lo do con la mia benedizione. Ma se è per comprare un paio di calzoni nuovi per Ashley Wilkes, dovrò declinare il piacere di offrirvelo. Ella divenne rossa di rabbia e balbettò senza riuscire a spiccicar parola. Ma poi proruppe: - Ashley Wilkes non ha mai accettato un centesimo da me! Non riuscirei a farglielo accettare neanche se morisse di fame! Voi non capite com'è orgoglioso e rispettabile! Certo non potete capirlo, essendo quello che siete... - Non cominciate con le ingiurie. Altrimenti potrei darvene io qualcuna che supererebbe le vostre. Dimenticate che sono stato da miss Pittypat e che quella cara creatura racconta tutto quello che ha in corpo quando trova un ascoltatore di buona volontà. So dunque che Ashley è a Tara da quando è tornato da Rock Island. E so che avete con voi anche sua moglie, ciò che dev'esservi costato un certo sforzo. - Ashley è... - Ma sí! - E agitò negligentemente la mano. - Ashley è troppo sublime per la mia vile comprensione. Ma non dimenticate che io sono stato testimone della vostra tenera scenata alle Dodici Querce; e qualche cosa mi dice che da allora egli non è mutato. E neanche voi. Quel giorno, se ben mi ricordo, la figura che fece non fu precisamente sublime. E non credo che quella che fa adesso sia molto migliore. Perché non prende con sé la sua famiglia e non va a cercar lavoro, invece di rimanere a Tara? Sentite, sarà un capriccio, il mio; ma non vi presterò un centesimo che serva per Tara e per aiutare a mantenerlo. Fra uomini vi è un'espressione molto volgare per definire quelli che si fanno mantenere dalle donne. - Come osate dire una cosa simile? Ashley lavora come un contadino! - E vale il suo peso d'oro, non è vero? Chi sa com'è bravo a maneggiare il letame... - Vi dico che è... - Ma sí, lo so. Ammettiamo che faccia del suo meglio; ma non credo che possa essere di grande aiuto. Non riuscirete mai a fare un buon coltivatore né altro di utile di un Wilkes. È una razza puramente decorativa. Ora lisciatevi le penne arruffate e non badate alle mie osservazioni sul conto del fiero e onorevole Ashley. Strano che certe illusioni permangano anche nelle donne che hanno la testa solida come voi! Dunque: di quanto avete bisogno e per che cosa vi occorre? Ella non rispose. - Per che cosa vi occorre? E badate a dirmi la verità. Altrimenti verrei a scoprirla e vi trovereste seriamente imbarazzata... Ricordatevi questo, Rossella: da voi posso sopportare tutto, meno una menzogna. La vostra antipatia, i vostri furori, le vostre insolenze, ma non una menzogna. Ora ditemi, per che cosa vi occorre il denaro? Furibonda per ciò che egli aveva detto di Ashley, Rossella fu sul punto di respingere sprezzantemente la sua offerta. Ma la fredda mano del buon senso la trattenne. Inghiottí a fatica la collera e cercò di assumere un'espressione dignitosa. Egli si appoggiò alla spalliera della sedia stendendo le gambe verso la stufa. - La cosa che piú mi diverte - notò Rhett con un sorriso - è la vista della vostra lotta interiore quando una questione di principio è posta contro una cosa tanto pratica quanto il denaro. In voi la praticità ha sempre la vittoria; ma chi sa se un giorno o l'altro la parte migliore di voi non riuscirà a trionfare? In quel giorno farò il bagaglio e lascerò Atlanta per sempre. Vi sono troppe donne in cui la parte migliore trionfa sempre... Ma torniamo ai nostri affari. Quanto e per che uso? - Non so precisamente quanto - rispose finalmente, arcigna. - Voglio comprare una segheria... e credo di poterla avere per poco. E ho bisogno di due carri e due mule. Mule buone. E poi un cavallo e un carrozzino per mio uso personale. - Una segheria? - Sí; e se mi presterete il denaro vi interesserò al cinquanta per cento. - E che cosa volete che me ne faccia di una segheria? - Si potrà guadagnar denaro a palate. Oppure vi pagherò gli interessi sul prestito... Vediamo, quanto è un buon interesse? - Dicono che il cinquanta per cento sia ottimo. - Il cinquanta... volete scherzare! Finitela di ridere. Parlo sul serio. - Perciò rido. - Ascoltatemi, Rhett. Franco mi ha parlato di un tale che vuol vendere la sua segheria e che la darebbe per poco perché ha bisogno di contanti. Con la smania che vi è di ricostruire, il costo del legname salirà ai cieli; e le segherie sono poche. L'uomo rimarrebbe a dirigere lo stabilimento con un salario da stabilirsi. Franco voleva fare l'acquisto col denaro che mi ha dato per pagare le tasse. - Povero Franco! E che cosa dirà quando saprà che l'avete comprata senza il suo intervento? E come gli spiegherete il favore che vi faccio senza danneggiare la vostra riputazione? A questo Rossella non aveva pensato. - Ebbene, non glielo diremo. - Penserà bene che non avete trovato il denaro in un cespuglio! - Gli dirò... sí, che vi ho venduto i miei orecchini. E infatti, ve li darò. Saranno la mia garan... come si dice? - Ma, no: non li voglio. - Sí, prendeteli. Tanto, non mi piacciono. E poi, non sono neanche miei. - Di chi sono? La sua mente tornò velocemente al caldo pomeriggio e alla visione dell'uomo vestito di azzurro nel vestibolo di Tara. - Mi sono stati lasciati... da uno che è morto. In fondo sono miei. Prendeteli. Non li desidero. Preferisco avere del denaro. - Santo Dio! - esclamò Butler impaziente. - Possibile che non pensiate ad altro che al denaro? - Non penso ad altro - rispose Rossella francamente. - E se voi aveste sofferto quello che ho sofferto io, fareste lo stesso. Ho scoperto che il denaro è la cosa piú importante del mondo e Dio mi è testimone che non vorrò mai piú esserne priva. Ricordò il sole ardente, la morbida terra rossigna sotto il suo capo, il sentore della capanna dei negri alle Dodici Querce, e il ritornello del suo cuore: «Non voglio aver fame mai piú. Non voglio aver fame mai piú». - Voglio avere da mangiare quello che mi piace (basta col pastone di granturco e i piselli secchi!) e dei bei vestiti, tutti di seta... - Tutti? - Tutti. E abbastanza denaro perché gli yankees non possano portarmi via Tara. Farò rifare il tetto e le tettoie, e avrò dei muli per lavorare il terreno e tanto cotone quanto non ne avete mai visto. E Wade non saprà mai che cosa sia il doversi privare del necessario. Mai! E neanche la mia famiglia saprà piú che cosa sia la fame. Ma voi non potete capire perché siete troppo egoista. Non avete mai avuto freddo, senz'altro che dei cenci per coprirvi; non avete avuto la minaccia di essere scacciato di casa, non vi siete rotto la schiena per evitare di morir di fame! - Sono stato nell'esercito della Confederazione per otto mesi; e credo che non vi fosse nessun luogo migliore per morire di fame. - L'esercito! Bah! Non avete dovuto raccogliere il cotone e il grano saraceno. E non ridete di me! Le sue mani furono nuovamente su quelle di lei ed egli parlò con voce rauca. - Non ridevo di voi. Ridevo della differenza fra quella che sembrate e quella che siete in realtà. E ricordavo la prima volta che vi vidi, alla riunione in casa Wilkes. Eravate vestita di verde, con gli scarpini verdi, e preoccupata soltanto di avere dei corteggiatori. Eravate piena di voi stessa, e scommetto che non sapevate neanche quanti pennies vi sono in un dollaro. Non avevate che un pensiero: prendere al laccio Ash... - Rhett, se vogliamo andare d'accordo, dovete smettere di parlare di Ashley Wilkes. Litigheremmo sempre su questo argomento, perché voi non lo capite. - Evidentemente voi lo comprendete come un libro stampato - fece Rhett maliziosamente. - No, Rossella; se vi presto il denaro, mi riserbo il diritto di parlare di Ashley Wilkes come e quanto mi pare. Rinuncio al diritto di esigere un interesse sul prestito, ma non a questo. E vi sono molte cose che amerei conoscere sul conto di quel giovinotto. - Non intendo parlare di lui con voi - fu la risposta breve. - Non potrete farne a meno... Sono io che ho i cordoni della borsa... Il giorno in cui sarete ricca, potrete fare altrettanto con altre persone... È ovvio che gli volete ancora bene. - No. - Ma sí; lo difendete troppo! - Non ammetto che si sparli dei miei amici. - Beh, lasciamo andare per ora. Ma, lui vi vuole ancora bene o la prigionia lo ha reso dimentico? O finalmente ha imparato ad apprezzare che gioiello di moglie ha avuto in sorte? All'udire questo accenno a Melania, Rossella cominciò ad ansimare; per un punto non gridò tutta la verità, affermando che solo un senso d'onore tratteneva Ashley accanto alla moglie. Aperse la bocca per parlare ma la richiuse in fretta. - Oh? Dunque non ha ancora abbastanza cervello da apprezzare la signora Wilkes? E i rigori della prigionia non hanno spento il suo ardore per voi? - Non vedo la necessità di parlare di questo. - Voglio parlarne. - Nella voce di Rhett era una nota bassa che Rossella non comprendeva, ma che non le piacque. - E voglio che mi rispondiate. Dunque: è ancora innamorato di voi? - E se anche fosse? - gridò Rossella, punta. - Se non voglio parlarne con voi è perché voi non potete comprendere né lui né il suo amore. La sola specie di amore che voi capite è... sí, quello delle creature come quella Watling. - Oh! - fece Rhett dolcemente. - Dunque io sono capace soltanto di concupiscenza sensuale? - Precisamente. - Ora comprendo la vostra esitazione a parlare di questo con me. Le mie mani e le mie labbra impure offuscherebbero il suo amore senza macchia. - Sí... press'a poco. - Questo amore purissimo m'interessa... - Smettetela, Rhett. Se siete tanto abbietto da credere che fra noi vi è stato qualche cosa di male... - Veramente non ne sono mai stato convinto. Ed è questo che m'interessa. Perché non vi è mai stato nulla di male fra voi? - Se credete che Ashley sarebbe stato capace... - Ah, dunque è stato lui che ha lottato in nome della purezza. Ma davvero, Rossella, non dovreste abbandonarvi cosí facilmente! Confusa e indignata Rossella protestò. - Non ne parliamo piú; non voglio neanche il vostro denaro. E andatevene! - Ma sí che lo volete! E dal momento che siamo arrivati a questo punto, perché fermarvi? Certo non vi è nulla di male a parlare di un casto idillio... dal momento che non vi è stato niente di irreparabile. Dunque, Ashley vi ama per il vostro spirito, la vostra anima, la vostra nobiltà di carattere? Rossella si torse sotto la sferzata. Infatti, Ashley la amava proprio per quello. Per quelle qualità nascoste in lei cosí profondamente che lui solo poteva vederle. - Sapere che un simile amore può esistere in questo mondo malvagio - riprese Rhett - mi riconduce agli ideali della mia adolescenza. Dunque, la carne non c'entra affatto nel suo amore per voi? Vi amerebbe lo stesso se foste brutta e non aveste codesta pelle candida? E se non aveste quegli occhi verdi e quel modo di ancheggiare che eccita qualsiasi uomo al disotto di novant'anni? E quelle labbra che... Beh, non bisogna che riveli la mia concupiscenza sensuale. Ashley non vede nessuna di queste cose? O se le vede, non lo turbano affatto? Spontaneamente il ricordo di Rossella tornò a quel giorno nel frutteto, quando le braccia di Ashley l'avevano stretta, scrollata, e quando la sua bocca ardente si era incollata alla sua come se non potesse piú staccarsene. Diventò di porpora e il suo rossore non sfuggí a Rhett. - Ho capito. - E nella sua voce era una nota vibrante, quasi di collera. - Vi ama solo per il vostro spirito. Come osava rovistare con le sue dita sudice, facendole sembrare abbietta la sola cosa sacra della sua vita? - Sí, per questo! - esclamò respingendo il ricordo delle labbra di Ashley. - Mia cara, quell'uomo non sa neppure che voi avete un'intelligenza. Se fosse questa ad attirarlo, egli non avrebbe bisogno di lottare contro di voi come deve aver fatto per conservare questo amore cosí... vogliamo dire «santo»? Sarebbe assai piú tranquillo, perché, dopo tutto, un uomo può ammirare l'intelligenza e l'anima di una donna e rimanere onesto, e fedele a sua moglie. Ma per lui non dev'essere facile conciliare l'onore dei Wilkes con il desiderio per il vostro corpo! - Voi giudicate gli altri dal vostro infame modo di pensare! - Oh, non ho mai negato che vi desideravo, se è questo che volete dire. Ma grazie a Dio, non mi sono mai preoccupato eccessivamente per i sentimenti di onore. Quando voglio una cosa, la prendo (se posso) e cosí non ho da lottare né con gli angeli né coi diavoli. Dovete aver creato un bell'inferno per Ashley! Quasi quasi mi fa pena. - Io... un inferno? - Sicuro! Voi rappresentate una tentazione continua per lui; ma - come molti del suo genere - egli preferisce quello che qui chiamano onore al piú grande amore! E mi pare che quel povero diavolo ora non abbia piú né amore né onore per tenergli caldo! - Ha l'amore!... Perché mi ama! - Davvero? Allora rispondete a questo e poi basta; vi darò il denaro e potrete anche buttarlo dalla finestra, che non me ne importa nulla. Si levò in piedi e gettò il suo sigaro fumato per metà nella sputacchiera. Vi era nei suoi movimenti quella stessa elasticità e pieghevolezza che Rossella aveva notato nella notte della caduta di Atlanta; qualche cosa di sinistro e un po' allarmante. - Se vi amava, perché diamine vi ha permesso di venire ad Atlanta a procurarvi i quattrini per le tasse? Prima di lasciar fare una cosa simile a una donna che amo, io... - Non lo sapeva! Non aveva l'idea che... - Non vi è venuto in mente che avrebbe dovuto saperlo? Nella sua voce era una violenza appena repressa. - Amandovi come dite che vi ama, avrebbe dovuto sapere quello che volevate fare quando vi ha vista cosí disperata. Avrebbe dovuto uccidervi piuttosto che lasciarvi venire qui... soprattutto, venire da me! Dio onnipotente! - Ma non lo sapeva! - Se non lo ha indovinato senza che glielo diceste, non capirà mai nulla di voi e della vostra preziosa intelligenza. Che ingiustizia! Come se Ashley fosse un lettore del pensiero! Come se Ashley, anche sapendo, avesse potuto fermarla! Eppure, improvvisamente pensò che Ashley avrebbe potuto fermarla. Bastava che quel giorno, nel frutteto, le avesse vagamente accennato che forse le cose potevano mutare, ed ella non avrebbe mai pensato a recarsi da Rhett. Una parola di tenerezza, anche una carezza di saluto, al momento della partenza del treno, l'avrebbe trattenuta. Invece, egli aveva parlato soltanto di onore. Ma... come poteva Ashley indovinare i suoi pensieri? Respinse quest'idea sleale. Ashley non poteva avere il menomo sospetto che ella volesse compiere una cosa immorale. Rhett stava tentando di sciupare il suo amore, di distruggere tutto ciò che ella aveva di piú prezioso. Ecco tutto. Ma un giorno - pensò dispettosamente - quando la bottega sarà lanciata e lo stabilimento funzionerà ed io avrò del denaro, farò ripagare a Rhett Butler tutte le ingiurie e le umiliazioni che mi infligge oggi! Butler era ritto dinanzi a lei e la guardava, un po' divertito. L'emozione che lo aveva agitato era scomparsa. - Che v'importa, in fin dei conti? È cosa che riguarda me e Ashley, non voi. Egli si strinse nelle spalle. - Soltanto questo. Ho una profonda e obiettiva ammirazione per il vostro spirito di sopportazione, Rossella, e mi dispiace vedervi oppressa da troppi pesi. Tara è già per se stessa un'occupazione sufficiente per un uomo normale. Poi c'è vostro padre ammalato, che non potrà mai aiutarvi in nulla. E poi vi sono le ragazze e i negri. E ora avete per di piú un marito e probabilmente avrete anche miss Pittypat... Avete abbastanza pesi sulle spalle senza aggiungervi anche Ashley Wilkes e la sua famiglia. - Non mi è di peso. Lavora... - Per l'amor di Dio - la interruppe impaziente - non ne parliamo. È un peso che graverà addosso a voi o ad altri finché vivrà. Del resto, sono stufo di lui come argomento di conversazione... Di che somma avete bisogno? Parole ingiuriose le salirono alle labbra. Ma le ringhiottí. Che bellezza poterlo mettere alla porta infischiandosi della sua offerta! Ma non poteva permettersi questo lusso; finché era povera era costretta a sopportare scene simili. Ma quando fosse ricca... oh, che pensiero confortante! Quando fosse ricca, non sarebbe neanche gentile con chi non le era simpatico. Li manderebbe tutti all'inferno, e Rhett Butler per primo! - Siete deliziosa, Rossella, specialmente quando pensate delle cattiverie. E per vedere quella fossetta sulla vostra guancia sono pronto a comprarvi, se ne avete bisogno, una dozzina di muli. La porta della bottega si aperse per lasciare entrare il commesso con una pagliuzza fra i denti. Rossella si alzò, si strinse nello scialle e annodò meglio i nastri del cappello sotto al mento. Aveva deciso. - Avete da fare oggi? - chiese. - Potete venire con me? - Dove? - Voglio condurvi alla segheria. Ho promesso a Franco di non andare sola fuori città. - Alla segheria con questa pioggia? - Sí; voglio fare il contratto subito, prima che cambiate idea. Egli rise cosí forte che il ragazzo dietro al banco alzò il capo e lo guardò con curiosità. - Non vi ricordate che siete sposata? La signora Kennedy non può andare in campagna con quel reprobo di Butler che non è ricevuto nei migliori salotti. Non pensate alla vostra reputazione? - Me ne infischio, della reputazione! Voglio comprare la segheria prima che cambiate idea o che Franco venga a sapere che sto trattando l'acquisto. Non fate delle difficoltà, Rhett! Che cos'è un po' di pioggia? Andiamo, sbrighiamoci.

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. - Mi pare che gli uomini non abbiano molto buon senso, quando hanno bisogno di lavorare per vivere! - Può darsi, ma hanno una certa dose di orgoglio. - Orgoglio? Ma l'orgoglio non porta in tavola né panini né bistecche. I due uomini risero, un po' involontariamente, e a Rossella sembrò che essi fossero solidali in una disapprovazione tutta maschile. Evidentemente ciò che Tommy aveva detto era la verità: tutti gli uomini che ella aveva avvicinato o che voleva avvicinare, lavoravano duramente, combattendo una nuova battaglia, piú aspra della precedente. - Rossella, - riprese Tommy un po' impacciato - mi dispiace di chiedervi un favore, dopo essere stato impertinente; ma ve lo chiedo lo stesso. Può darsi anche che la cosa possa farvi comodo. Mio cognato, Ugo Elsing, non fa molti affari andando in giro a piazzare legna da ardere. Io faccio quello che posso, ma... debbo pensare a Fanny e poi ho anche mia madre e due sorelle vedove a Sparta. Ugo è un bravo ragazzo e voi avete bisogno di un brav'uomo; è anche di buona famiglia ed è onesto. - Ma... mi pare che Ugo non abbia molta scaltrezza; altrimenti, anche nel suo piccolo commercio, avrebbe successo! Tommy si strinse nelle spalle. - Voi giudicate le cose con una certa severità, Rossella. Comunque, pensateci sopra. Vi potrebbe capitare di peggio. Credo che la sua onestà e il suo buon volere possano compensare la sua mancanza di scaltrezza. Rossella non rispose per non essere scortese. Ma secondo lei vi erano poche qualità - se pure ve n'erano - che potessero supplire la mancanza di scaltrezza. Dopo avere inutilmente interrogato parecchie persone e avere respinto le importune richieste di alcuni «Carpetbaggers», finalmente si decise ad accettare il suggerimento di Tommy. Ugo Elsing era stato durante la guerra un ardito e abile ufficiale; ma due gravi ferite e quattro anni di continue battaglie sembravano avergli tolto ogni abilità, lasciandolo di fronte alle difficoltà della pace sgomento e sbalordito come un bambino. «È uno stupido» pensò Rossella «e non capisce nulla di affari; scommetto che non è neanche capace di sommare le dita di una mano con quelle dell'altra. E temo che non imparerà mai! Ma almeno è onesto e non mi deruberà.» Rossella non faceva molto spreco, personalmente, di onestà; ma appunto perché la valutava poco in se stessa, la apprezzava negli altri. «Peccato che Gianni Gallegher sia legato con Tommy Wellburn» pensò ancora. «Quello è proprio l'uomo di cui avrei bisogno. Duro come il ferro e agile come un serpente; ma se io lo pagassi bene sarebbe anche onesto. Ci comprendiamo benissimo a vicenda e potremmo fare ottimi affari insieme. Forse quando la costruzione dell'albergo sarà finita potrò averlo; fino allora dovrò contentarmi di Ugo e di Johnson. Se metto Ugo nel nuovo stabilimento e lascio Johnson nel vecchio, potrò rimanere in città ad occuparmi delle vendite mentre loro si occupano della parte industriale della faccenda. Se almeno Johnson non rubasse! Potrei mettere un deposito di legname sulla metà del terreno che mi lasciò Carlo. Se Franco mi lasciasse fabbricare una bettola sull'altra metà! Oh, ma la costruirò lo stesso, non appena avrò abbastanza denaro di mio; non m'importa come la prenderà! Se non fosse cosí scrupoloso! Dio mio, se non dovessi avere un bimbo proprio in questi momenti! Fra poco sarò cosí grossa che non potrò piú uscire. Dio, se non aspettassi questo bimbo! E se questi maledetti yankees mi lasciassero tranquilla! Se...» Se...! Se...! Se...! Vi erano tanti «se» nella sua vita; nessuna sicurezza, sempre la minaccia di perder tutto, e aver nuovamente freddo e fame. Senza dubbio, Franco guadagnava un po' di piú adesso; ma era sempre in lotta coi raffreddori e spesso costretto a rimanere parecchi giorni a letto. Che disastro sarebbe se diventasse invalido! No; non poteva fare troppo assegnamento sopra di lui. Non poteva contare che su se stessa. E quello che guadagnava le sembrava tanto poco! Che farebbe se gli yankees venissero a confiscarle tutto? Se...! Se...! Se...! Metà dei suoi guadagni la spediva mensilmente a Will, a Tara; una parte andava a Rhett per scalare il debito e il resto lo metteva da parte. Nessun avaro aveva mai contato il suo oro piú spesso di lei, nessun avaro aveva maggior timore di perderlo. Non metteva il denaro alla banca per paura che questa potesse fallire o che gli yankees glielo confiscassero. Portava con sé il piú che poteva, nascosto nel busto; e celava pacchetti di banconote sotto qualche mattone sconnesso, nel sacchetto degli stracci, fra le pagine della Bibbia. E la sua preoccupazione cresceva col passare delle settimane, perché ogni dollaro che metteva da parte era un dollaro di piú che sarebbe perduto se venisse il disastro. Franco, Pitty e la servitú sopportavano le sue esplosioni con bontà irritante, attribuendo il suo umore disuguale allo stato di gravidanza. Franco sapeva che bisogna tollerare molte cose dalle donne incinte; quindi rinfoderava il proprio orgoglio e non protestava piú contro il fatto che sua moglie dirigeva i due stabilimenti e andava in città a qualunque ora, come nessuna signora avrebbe fatto. La condotta di lei lo imbarazzava; ma egli era sicuro che dopo la nascita del bimbo essa sarebbe stata nuovamente la creatura dolce e femminile che egli aveva corteggiato. Ma nonostante la docilità di suo marito, Rossella continuava ad essere di cattiv'umore e spesso a Franco sembrava che ella agisse come una ossessa. Nessuno sembrava comprendere che cosa veramente la faceva agire come una pazza. Era la smania di riuscire a mettere tutto in ordine prima di doversi rinchiudere, di avere abbastanza denaro da parte per il caso che l'uragano la travolgesse nuovamente: il denaro era l'ossessione del suo cervello in quel periodo. Quando pensava al bambino, era con una specie di collera per la sua intempestività. «La morte, le risse, i dolori del parto! Non vi è mai un momento adatto per nessuna di queste cose!»

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E può darsi che lo abbiano; non tocca a me giudicarlo. Ma ad ogni modo, Ashley, noi dovremo risentircene, perché siamo gli uomini della famiglia, e sarà un bel pasticcio. Col vecchio McRae non si può far nulla perché è sordo e non sente se qualcuno tenta di farlo tacere. E nessuno al mondo ha mai potuto impedire alla nonna Fontaine di dire quello che pensa. Quanto alla signora Tarleton... avete visto come roteava gli occhi ogni volta che guardava Súsele? Se essi dicono qualche cosa, ci toccherà prendere le sue difese; e abbiamo già abbastanza seccature a Tara, senza doverci anche guastare coi vicini. Ashley sospirò. Egli conosceva i caratteri di tutti coloro anche meglio di Will; e ricordava che metà delle questioni e delle risse prima della guerra, sorgevano appunto per l'abitudine della Contea di pronunciare dei discorsi dinanzi alla bara dei vicini. Generalmente erano parole di elogio; ma qualche volta non lo erano. E allora i parenti del morto attendevano a stento che le ultime palate di terra fossero state gettate nella fossa. In assenza di un sacerdote, Ashley doveva dirigere il servizio funebre con l'aiuto del libro di preghiere di Carolene, avendo rifiutato cortesemente l'assistenza dei predicatori metodisti e battisti di Jonesboro e di Fayetteville. Carolene, piú devotamente cattolica delle sue sorelle, era stata molto turbata perché Rossella non aveva condotto un prete da Atlanta; si era poi tranquillizzata pensando che il prete che sarebbe venuto per sposare Will e Súsele, avrebbe anche potuto celebrare il servizio funebre per Geraldo. Fu lei che non volle i predicatori protestanti, e affidò la cosa ad Ashley segnando nel libro i passaggi che egli doveva leggere. Ora Ashley, appoggiato alla vecchia scrivania, sapeva che la responsabilità di evitare questioni era sua; e conoscendo i caratteri litigiosi della Contea, non sapeva come comportarsi. - Non vi è nulla da fare, Will - disse grattandosi in capo. - Non posso mandar via la nonna Fontaine né il vecchio McRae né posso tener la mano sulla bocca della signora Tarleton. E la cosa piú gentile che diranno sarà che Súsele è un'assassina e una traditrice, e che se non fosse per lei, il signor O'Hara sarebbe ancora vivo. Maledetta abitudine di parlare sulle bare. È una barbarie! - Sentite, Ashley, - disse Will lentamente. - Io non permetto che alcuno parli contro Súsele, qualunque cosa pensino. Lasciate fare a me. Quando avrete finito la lettura e la preghiera, e dovrete dire: «Se qualcuno vuol dire poche parole», guardatemi; cosí io parlerò per primo. Rossella, mentre osservava la difficoltà con la quale i portatori facevano passare la bara attraverso l'angusto ingresso del cimitero, non pensava che al funerale potesse seguire qualche incidente. La sepoltura di Geraldo significava per lei la scomparsa di uno degli ultimi legami che la univano agli antichi giorni di felicità e di spensieratezza: e il suo pensiero si soffermava su questo. Finalmente la bara fu posata accanto alla fossa. Ashley, Melania e Will entrarono nel recinto e si collocarono dietro alle ragazze O'Hara. I vicini che riuscirono a entrare rimasero dietro a loro; gli altri si fermarono al di là del muretto di mattoni. Rossella, accorgendosi di loro per la prima volta, fu sorpresa e commossa dalla quantità di gente. Data la scarsità dei mezzi di trasporto, erano stati veramente buoni ad accorrere cosí numerosi. Erano cinquanta o sessanta persone, alcune delle quali venivano da tanto lontano che ella fu stupita che avessero fatto in tempo. Vi erano famiglie intere che avevano condotto anche i loro servi; e poi piccoli fattori, gente dei boschi e delle paludi. Questi ultimi erano giganti barbuti, coi berretti di pelo di tasso e i fucili imbracciati; con loro erano le mogli, coi piedi nudi sprofondati nella terra rossa e i volti giallicci e malarici sotto ai capelli mal puliti. I vicini piú prossimi erano al completo. La nonna Fontaine, gialla e grinzosa, era appoggiata al bastone; dietro a lei erano la nuora e Sally Munroe Fontaine. Queste due cercavano inutilmente di convincere la vecchia a sedere sul muricciolo. Il dottore era morto due mesi prima e dagli occhi della nonna era scomparso il lampo di malizia che vi brillava un tempo. Catina Calvert Hilton era sola, e veniva considerata come quella il cui marito aveva contribuito alla tragedia; la cuffia scolorita nascondeva il suo volto timido. Rossella notò con stupore che il suo abito di percalle era macchiato e le mani erano poco pulite. Non aveva piú l'aria di una signora: sembrava una «proletaria bianca» trascurata e negligente. «Dio mio! Che crollo!» pensò Rossella con orrore. Rabbrividí volgendo altrove gli occhi nell'accorgersi come era angusto il baratro che separava le persone per bene dai rifiuti della società. E provò un senso d'orgoglio nel dire a se stessa che lei e Catina erano partite dopo la sconfitta, con gli stessi mezzi; eppure lei era riuscita a farsi una posizione. Alzò il mento e sorrise; ma mozzò il sorriso incontrando lo sguardo scandalizzato della signora Tarleton. Questa aveva gli occhi rossi dal pianto e dopo avere guardato Rossella con biasimo, si volse a fissare Súsele con espressione di ira furibonda. Dietro a lei e a suo marito erano le quattro ragazze Tarleton, i cui riccioli rossi sembravano poco adatti alla triste circostanza. Tutti si immobilizzarono; gli uomini si tolsero i cappelli, le donne giunsero le mani e Ashley si avanzò di un passo aprendo il logoro libro di preghiere di Carolene. Si fermò con gli occhi bassi, mentre il sole faceva brillare i suoi capelli biondi. Un profondo silenzio piombò sulla folla, cosí profondo che si udí il frusciare del vento tra le foglie della magnolia; e il fischio lontano e ripetuto di un merlo sembrò insopportabilmente acuto e triste. Quando Ashley cominciò a leggere le preghiere, tutte le teste si chinarono; la sua voce sonora e modulata, pronunciò con dignità le parole sacre. «Oh!» pensò Rossella, sentendo un nodo alla gola «che bella voce! Sono contenta che sia Ashley piuttosto che un prete... e mi fa piacere che il babbo sia sepolto da uno dei suoi, piuttosto che da un estraneo.» Quando Ashley giunse alla parte delle preghiere concernente le anime del Purgatorio, chiuse bruscamente il libro. Solo Carolene si accorse dell'omissione e lo guardò perplessa, mentre egli cominciava a recitare il Pater noster. Ashley sapeva che metà dei presenti ignoravano che cosa fosse il Purgatorio; e coloro che lo sapevano avrebbero preso come un'offesa personale, se egli avesse insinuato, sia pure in una preghiera, che un uomo come Geraldo O'Hara non era andato dritto in Paradiso. Quindi, per deferenza alla pubblica opinione, egli preferí evitare ogni menzione del Purgatorio. Il mormorío delle voci si uní alla sua nel Pater Noster; ma quando egli cominciò l'Ave Maria, vi fu un silenzio imbarazzato fra i presenti. Essi non avevano mai udito quella preghiera, e si guardarono furtivamente fra loro, quando le ragazze O'Hara, Melania e la servitú di Tara risposero: «Prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Cosí sia». Quindi Ashley levò il capo e rimase per un attimo incerto. Gli occhi dei vicini erano sopra di lui, mentre ognuno si disponeva ad ascoltare un lungo discorso. Nessuno immaginava che egli fosse già alla fine delle preghiere cattoliche; i funerali della Contea erano sempre molto lunghi. I ministri battisti e metodisti non avevano preghiere preparate ma le improvvisavano secondo le circostanze, e raramente si fermavano finché non vedevano tutta la famiglia in lagrime. I vicini sarebbero dunque rimasti indignati se tutto il servizio funebre per il loro diletto amico si fosse limitato a quelle brevi orazioni. Tutti quanti avrebbero detto che le ragazze O'Hara non avevano mostrato abbastanza rispetto per il loro padre. Quindi egli lanciò un rapido sguardo di scusa a Carolene, e chinando nuovamente la testa, cominciò a recitare a memoria il servizio funebre episcopale che aveva letto tante volte alle Dodici Querce, quando si seppellivano gli schiavi. «Io sono la Via, la Resurrezione e la Vita... e chiunque crede in me vivrà in eterno.» Non se ne ricordava con prontezza, quindi parlava adagio, fermandosi ogni tanto in attesa che le frasi gli tornassero alla memoria, ma queste pause rendevano le sue parole piú impressionanti; e coloro che fino a pochi momenti prima avevano avuto gli occhi asciutti, furono persuasi che quella fosse la cerimonia cattolica; e senza indugio si ricredettero sulla loro primitiva opinione, che i servizi cattolici fossero freddi e privi di commozione. Rossella e Súsele, ugualmente ignoranti, trovarono le parole belle e confortanti. Solo Melania e Catina compresero che si stava seppellendo un irlandese profondamente cattolico col servizio funebre della Chiesa inglese. E Carolene era troppo abbattuta dal dolore e dall'offesa per quel tradimento di Ashley per intervenire. Alla fine, Ashley aperse i suoi malinconici occhi grigi e guardò la folla. Dopo una pausa incontrò lo sguardo di Will e disse: - Qualcuno dei presenti desidera dire poche parole? La signora Tarleton si agitò nervosamente; ma prima che avesse potuto aprir bocca, Will fece un passo avanti e cominciò a parlare. - Amici - cominciò con la sua voce incolore - forse vi sembrerà una pretensione la mia di voler parlare del signor O'Hara... parlarne io che lo conoscevo soltanto da un anno, mentre tutti voi eravate suoi amici da oltre vent'anni. Ma ecco la mia giustificazione: se egli avesse vissuto un altro mese, avrei avuto il diritto di chiamarlo «babbo». Un fremito di stupore serpeggiò tra la folla. Tutti erano troppo bene educati per mormorare; ma si drizzarono in punta di piedi per guardare il capo chino di Carolene. Tutti sapevano la cieca devozione di Will per lei. Vedendo la direzione di tutti gli sguardi, Will riprese, come se non si fosse accorto di nulla. - Avendo l'intenzione di sposare la signorina Súsele O'Hara appena giungerà il sacerdote che abbiamo chiamato da Atlanta, ho ritenuto che questo mi desse il diritto di parlare per primo. Le sue ultime parole andarono perdute fra il mormorio che venne dalla folla, simile al ronzare di un alveare disturbato. Tutti erano indignati e delusi perché volevano bene a Will e lo rispettavano per quello che aveva fatto per Tara; e tutti sapevano che egli amava Carolene; sicché la notizia che egli sposava quella perfida e antipatica Súsele fu come un fulmine per il vicinato. Fu un momento di tremenda tensione. Gli occhi della signora Tarleton fiammeggiarono e le sue labbra si agitarono in parole inespresse. Nel silenzio si udí la voce del vecchio McRae che supplicava suo nipote di dirgli che cosa era stato annunciato. Will li guardò tutti; il suo viso era dolce ma nei suoi occhi azzurri era qualche cosa che li ammoní a non pronunciar parola contro la sua fidanzata. Per un attimo la bilancia oscillò tra la simpatia che tutti nutrivano per Will e il disprezzo per Súsele. Ma Will vinse. E continuò come se la sua interruzione fosse stata una pausa naturale del discorso. - Non ho conosciuto il signor O'Hara nella sua giovinezza come tutti voialtri. Personalmente l'ho conosciuto come un brav'uomo un po' svanito; ma voi tutti mi avete detto com'era prima. E desidero affermare questo: egli era un irlandese bellicoso e in pari tempo un gentiluomo del Sud; e il piú leale confederato che sia mai esistito. E non vedremo mai piú uomini come lui, perché i tempi sono mutati. Egli era nato in paese straniero; ma l'uomo cui oggi diamo sepoltura era piú georgiano di tutti noi. Amava la nostra vita e la nostra terra; e se ci pensate bene, riconoscerete che è morto per la nostra Causa come i soldati. Era uno di noi; aveva le nostre qualità e i nostri difetti, la nostra forza e le nostre debolezze. Fra le nostre qualità aveva queste: nulla poteva fermarlo quando si metteva in mente di fare una cosa; e non aveva paura di nessun nato di donna. Nulla di ciò che veniva dall'esterno poteva abbatterlo. Non ebbe paura degli inglesi quando il loro governo voleva impiccarlo. Si limitò ad andarsene di casa. E quando giunse in questo paese era povero, ma la povertà non lo sgomentò. Lavorò e guadagnò. E venne in questa regione senza timore, quando essa era ancora selvaggia; e in questo luogo inospite creò una grande piantagione. Né ebbe paura quando venne la guerra e il suo denaro cominciò a dileguare; né quando vennero gli yankees e minacciarono di incendiare Tara e di ucciderlo. Rimase dritto in piedi a guardarli in faccia. Perciò vi dico che ciò che veniva dall'esterno non poteva abbatterlo. E questa è una nostra qualità. Ma egli aveva anche una nostra debolezza: la possibilità di essere abbattuto da qualche cosa che proveniva dall'interno. Quando morí la signora O'Hara, anche il cuore di suo marito morí; ed egli non si rialzò piú. E colui che vedevamo camminare non era lui. Will si interruppe; i suoi occhi girarono a guardare gli ascoltatori. La folla sembrava incantata; ogni rancore verso Súsele era dimenticato. Lo sguardo di Will si posò un istante su Rossella come per darle coraggio. E Rossella provò veramente un senso di conforto perché Will parlava con buon senso, invece di ripetere i soliti luoghi comuni sul mondo migliore e sulla rassegnazione alla volontà di Dio. - Noi tutti siamo come lui. Nulla può sopraffarci, come nulla ha potuto sopraffare lui: né yankees né «Carpetbaggers» né i tempi difficili né la miseria. Ma la debolezza che è nei nostri cuori può sopraffarci in un batter d'occhi. Non è soltanto la perdita di un essere caro, com'è stato nel caso del signor O'Hara. Ciascuno ha una molla diversa; ma voglio dirvi questo: per coloro la cui molla non funziona, è meglio esser morti; nel mondo d'oggi non vi è posto per loro. E vi dico ancora una cosa: che oggi non dovete affliggervi per il signor O'Hara. Ora il suo corpo è andato a raggiungere il suo cuore; quindi non vi è ragione di piangerlo, a meno di non essere egoisti... Ve lo dico io, che gli volevo bene come se fosse mio padre... Credo che non vi sia altro da dire. La famiglia è troppo depressa per ascoltare altre parole che non darebbero loro alcun conforto. Quindi si volse alla signora Tarleton e le disse sommessamente: - Vi dispiacerebbe, signora, accompagnare in casa Rossella? Non le fa bene rimanere tanto tempo in piedi e per di piú al sole. E, salvo il dovuto rispetto, consiglierei lo stesso alla nonna Fontaine. Rossella arrossí e tutti gli sguardi si volsero a lei. Ma perché Will faceva quella specie di pubblicità alla sua gravidanza? Gli lanciò un'occhiata piena di vergogna e d'indignazione; ma lo sguardo di Will sembrò risponderle senza turbarsi: «Vi prego, ubbidite... Io so quello che faccio». Era già il capo della famiglia; e volendo evitare scenate, Rossella si volse alla signora Tarleton. Questa, immediatamente distolta dal pensiero di Súsele - come Will aveva preveduto - dal fatto di una nuova nascita, sempre affascinante per lei, fosse umana o animale, prese il braccio di Rossella. - Vieni in casa, cara. Aveva un'espressione di affettuoso interessamento e Rossella si lasciò condurre atttraverso la folla che si aperse per lasciarla passare. Vi fu un mormorio di simpatia e parecchie mani si tesero ad accarezzarla. Quando giunse dinanzi alla nonna Fontaine, questa avanzò il mento e disse: - Dammi il braccio, bambina - e poi soggiunse guardando fieramente la nuora e Sally: - No, voialtre non venite. Non ho bisogno di voi. - Ma perché Will ha fatto questo?! - gridò Rossella appena furono fuori portata d'udito. - È come se avesse detto a tutti: «Guardatela! Aspetta un bambino!» - E non è forse vero? - ribatté la signora Tarleton. - Will ha fatto benissimo. Era una pazzia per te rimanere lí al sole a rischio di cadere svenuta e magari provocare un aborto. - Will non ha affatto pensato a questo - interloquí la nonna, un po' ansimante mentre si avviava verso i gradini. Sul suo volto era un sorriso arcigno. - Soltanto non voleva che rimanessimo accanto alla tomba né io né voi, Beatrice. Temeva ciò che avremmo potuto dire; e sapeva che questo era il solo mezzo per liberarsi di noi... E poi non voleva che Rossella udisse le palate di terra sulla bara. Ha fatto bene. Ricorda, Rossella, che finché non senti quel rumore tremendo, le persone non sono veramente morte... È il rumore piú terribile del mondo... Aiutami a salire i gradini, bambina; e voi, Beatrice, datemi una mano. Rossella non ha bisogno del vostro braccio... Will sa che tu eri la beniamina di tuo padre e non ha voluto rendere anche peggiore la tua sofferenza. Per le tue sorelle è piú facile. Súsele ha la sua onta per sostenerla, e Carolene il suo Dio. Ma tu non hai nulla, non è vero, bambina? - No - rispose Rossella aiutandola a salire i gradini, un po' sorpresa della verità che la vecchia voce aveva pronunciata. - Non ho mai avuto nulla che mi sostenesse... eccetto la mamma. - Ma quando l'hai perduta, hai trovato che potevi anche vivere sola, non è vero? Ebbene, alcune persone non possono. Tuo padre era uno di questi. Will ha avuto ragione. Non addolorarti. Egli non poteva esistere senza Elena; ed ora, dove si trova, è piú felice. Come io sarò felice quando raggiungerò il vecchio dottore. Parlava naturalmente come se suo marito fosse vivo e si fosse recato a Jonesboro, dove una breve corsa in carrozza le avrebbe permesso di ritrovarlo. La nonna era troppo vecchia e aveva visto troppe cose per temere la morte. - Ma... anche voi potete vivere sola - replicò Rossella. - Sí; ma a volte si prova non poca difficoltà. - Non dovreste parlare cosí a Rossella, nonna - interruppe la signora Tarleton. - È già abbastanza sconvolta. Col viaggio da Atlanta, quell'abito stretto, il caldo e il dispiacere, ce n'è abbastanza per abortire senza che anche voi aggiungiate alla misura venendo a discorrere di dolori e di guai. - Per la camicia di Giove! - esclamò Rossella irritata. - Non sono affatto sconvolta! E non sono una di quelle stupidine che abortiscono per nulla! - Non si può mai dire - ribatté la signora Tarleton onnisciente. - Io abortii del mio primo vedendo un toro che inseguiva uno dei nostri negri; e... ti ricordi la mia giumenta Nellie? Era la piú sana e robusta che si potesse vedere; ma era nervosissima; e se io non fossi stata attenta... - Smettetela, Beatrice - interruppe la nonna. - Rossella non è tipo da abortire. Sediamoci qui nel vestibolo dove fa fresco; c'è un po' di corrente. E voi, Beatrice, andate in cucina a vedere se c'è un bicchiere di siero. Oppure guardate in dispensa se vi fosse un po' di vino. Staremo qui ad aspettare che tutti vengano ad accommiatarsi. - Rossella dovrebbe andare a letto - insisté la signora Tarleton. - Suvvia, sbrigatevi. - E la nonna le diede un colpetto col suo bastone. La signora Tarleton si avviò verso la cucina gettando il suo cappello sulla credenza e lisciandosi i capelli con le mani. Rossella si appoggiò alla spalliera della sedia e sbottonò i due primi bottoni del corpetto. Si stava bene, nell'alto vestibolo; il soffio d'aria fresca e fragrante che penetrava dalla porta posteriore era piacevole dopo il sole ardente. Guardò attraverso il vestibolo nel salotto dov'era stata la salma di Geraldo e distogliendo il pensiero da lui alzò gli occhi al ritratto della nonna Robillard che, con la sua pettinatura alta, il seno largamente esposto e la sua fredda insolenza, aveva sempre sopra di lei un effetto tonico. - Non so che cosa ha colpito di piú Beatrice, se la perdita dei suoi figli o quella dei suoi cavalli - cominciò la nonna Fontaine. Come sai, non si è mai occupata molto di Giacomo né delle ragazze. È una di quelle persone di cui parlava dianzi Will: la sua molla non funziona. A volte penso che finirà ad essere com'era tuo padre... La sola cosa che le ha dato gioia è stata la venuta al mondo di esseri umani o di animali; e nessuna delle sue figlie si è sposata né ha probabilità di farlo; quindi ella non ha nulla che occupi la sua mente. Se non fosse una vera signora, si lascerebbe andare... Will ti ha detto la verità sul suo fidanzamento con Súsele? Sí - rispose Rossella fissando la vecchia signora negli occhi. Era passato il tempo in cui la nonna Fontaine le faceva paura! E ora si sentiva anche disposta a dirle che andasse al diavolo, se quella voleva immischiarsi negli affari di Tara. - Poteva trovare di meglio - riprese la vecchia candidamente. - Davvero? - fece Rossella con alterigia. - Non darti tante arie, madamigella - ammoní aspramente la nonna Fontaine. - Non ho nessuna intenzione di attaccare la tua preziosa sorella; cosa che avrei fatto se fossi rimasta alla sepoltura. Voglio dire soltanto che con la scarsità di uomini nel nostro paese, Will avrebbe potuto sposare chiunque. Vi erano le quattro Tarleton, le Munroe, le McRae.... - Invece sposerà Súsele; e questo è quanto. - È una fortuna per lei! - È una fortuna per Tara. - Tu ami questo luogo, non è vero? - Sí. - E perciò non t'importa che tua sorella sposi uno che non è della sua classe, purché vi sia un uomo che si occupi di Tara? - La sua classe? E che importa la classe al giorno d'oggi, quando una ragazza trova un marito che può aver cura di lei? - Questo è discutibile. Alcuni direbbero che tu parli con buon senso. Altri direbbero che tu distruggi delle barriere che non avrebbero mai dovuto essere abbassate di un centimetro... Certamente Will non è dell'aristocrazia, mentre alcune persone della tua famiglia vi hanno appartenuto. I suoi occhi penetranti corsero al ritratto della nonna Robillard. Rossella pensò a Will, scarno, incolore, dolce, con la sua eterna pagliuzza in bocca, il suo aspetto completamente privo di energia, come la maggior parte dei «crackers». Certo non aveva dietro di sé una lunga fila di antenati dotati di ricchezza, di autorità, di aristocrazia. Il primo della sua famiglia che aveva messo piede sul suolo di Georgia era stato probabilmente un bancarottiere o un servo. Will non era stato in collegio; come istruzione non aveva avuto che quattro anni di scuola rurale. Però era onesto e leale, paziente e lavoratore. Ma non era un signore; e secondo le idee dei Robillard, Súsele faceva un matrimonio al disotto della sua condizione. - Dunque tu approvi l'entrata di Will nella tua famiglia? - Sí - rispose Rossella brutalmente, pronta a rispondere male alla vecchia signora alla prima parola di biasimo. - Dammi un bacio - disse invece con suo stupore la nonna, sorridendo con approvazione. - Non ti ho mai voluto bene come adesso, Rossella. Sei sempre stata aspra, anche da bambina, e a me non piacciono le donne aspre; dato che sono abbastanza dura anch'io. Ma mi piace il tuo modo di affrontare le cose. Non perdi il tempo in lamentele quando una cosa non si può evitare, anche se è sgradevole. Salti gli ostacoli coraggiosamente come un buon cavallerizzo. Rossella sorrise incerta e baciò ubbidiente la guancia grinzosa che le si presentava. Era piacevole udire delle parole di approvazione, anche se il loro significato era un po' oscuro. - Molta gente troverà da ridire perché tu permetti a Súsele di sposare un «cracker», benché tutti vogliano bene a Will. Ma tu non te ne curare. - Non mi sono mai curata di quello che dice la gente. - Lo so. - Nella voce della vecchia era una sfumatura di acidità. - Dunque, lascia dire. Probabilmente sarà un matrimonio felice. Certamente, Will non muterà mai aspetto e anche se guadagnerà molto denaro non renderà mai Tara un luogo com'era ai tempi di tuo padre. Ma in fondo è un signore; per lo meno ne ha l'istinto. Solo un signore di nascita avrebbe potuto dire le cose che egli ha detto dianzi... È vero; nessuno ci può sopraffare; ma noi possiamo essere prostrati dalla nostalgia di cose che non abbiamo piú... e dal ricordo. Sí, Will farà del bene a Súsele e a Tara. - Allora mi approvate perché permetto questo matrimonio? - Dio mio, no! Come potrei approvare l'entrata di un «cracker» in una vecchia famiglia? Ma Súsele ha bisogno di un marito; e dove lo troverebbe? E tu dove troveresti un buon intendente per Tara? Questo però non vuol dire che la cosa mi piaccia piú di quanto piaccia a te. «A me piace» pensò Rossella cercando di comprendere il significato di quanto la vecchia signora stava dicendo. «E sono contenta che Will la sposi. Perché dovrebbe dispiacermi?» Era perplessa e un po' vergognosa come sempre quando le venivano attribuite emozioni e sentimenti che gli altri provavano e che lei non condivideva. La nonna si sventagliò con un ventaglio di palma e continuò: - Non approvo il matrimonio; ma sono anch'io pratica come te. So anch'io che è inutile protestare e lamentarsi. Nella mia famiglia c'è un detto: «Sorridi e sopporta». E noi abbiamo sopportato sorridendo tante di quelle cose, perché era necessario. Siamo scappati dalla Francia con gli Ugonotti, dall'Inghilterra coi Cavalieri, dalla Scozia col principe Carlo, da Haiti davanti ai negri e ora siamo stati battuti dagli yankees. E sai perché? Drizzò la testa e Rossella pensò che somigliava a un vecchio pappagallo. - Non lo so - rispose cortesemente ma profondamente annoiata. - Te lo dico io. Perché noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile. Noi non siamo come l'avena che quando è matura si irrigidisce e non si piega secondo il vento; siamo come il grano saraceno che ondeggia, e quando il vento è passato si rialza dritto e forte quasi come prima. Quando vengono le disgrazie, noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile e sopportiamo sorridendo. E quando siamo nuovamente forti, diamo un calcio alle persone dinanzi alle quali ci siamo piegati. Questo è il segreto per sopravvivere. Fece una pausa come se attendesse un commento di Rossella; ma questa non sapeva che cosa dire e tacque. La vecchia riprese: - Sí, i nostri rialzano la testa; mentre qui vi sono tante persone che ne sono incapaci. Guarda per esempio che cos'è diventata la povera Catina Calvert. Piú abietta di suo marito! Guarda la famiglia McRae. Schiacciata, smarrita, senza saper che fare se non piagnucolare sui tempi passati. Guarda... sí, quasi tutti nella Contea, eccetto il mio Alex e la mia Sally, tu, Giacomo Tarleton, le sue figlie e pochi altri. Il resto è andato a fondo perché mancava di linfa, perché non è riuscito a risollevarsi. Gente che non ha capito mai altro che denaro e schiavi; e senza questi due elementi, fra un'altra generazione saranno diventati dei «proletari bianchi». - Dimenticate i Wilkes. - No, non li dimentico. Ho avuto la cortesia di non nominarli, perché Ashley è ospite di questa casa. Ma giacché sei stata tu a fare il loro nome... guardali! C'è Lydia che, da quanto mi hanno detto, è una zitellona rinsecchita con degli atteggiamenti di vedova perché Stuart Tarleton è stato ucciso; non fa nulla per dimenticarlo e cercare un altro uomo. Certo non è giovine; ma forse, se si desse un po' di pena, potrebbe trovare un vedovo magari con figli. La povera Gioia ha sempre avuto il cervello di un passerotto. E quanto ad Ashley... guardalo un po'! - Ashley è un bravissim'uomo! - lo difese Rossella con fervore. - Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c'è Melania che vince le difficoltà; non Ashley. - Melly? Dio mio, nonna! Che dite? Io ho vissuto abbastanza con Melly per sapere che è timida e malaticcia e non ha il coraggio di fare «sciò» a una gallina! - E a che serve fare «sciò» a una gallina? Mi è sempre sembrata una vera perdita di tempo... Sarà incapace di fare «sciò» a una gallina, ma è capacissima di farlo a tutto il mondo, al governo yankee, o a chiunque minacci il suo Ashley o il suo bimbo o le sue nozioni di distinzione. Lei ha un modo di fare che non è il tuo, Rossella, né il mio. È la maniera che avrebbe usato tua madre. Sí, Melly mi ricorda la tua mamma quando era giovine... E forse riuscirà a rimettere in piedi la famiglia Wilkes. - Oh, Melly è piena di buon senso. Ma fate torto ad Ashley... - Smettila, via! Ashley era nato per leggere dei libri e nient'altro. Questo non aiuta un uomo a togliersi dagli impicci. Ho sentito dire che è il peggior aratore della Contea. Confrontalo al mio Alex! Prima della guerra, Alex era il giovinotto piú inutile del mondo; non aveva mai pensato ad altro che ad aver delle belle cravatte, a ubriacarsi, a litigare e a stuzzicare le ragazze. Guardalo adesso! Ha imparato a fare il coltivatore perché altrimenti sarebbe morto di fame, e con lui tutti noi. Adesso coltiva il miglior cotone della Contea... sicuro! È meglio del cotone di Tara! E s'intende di porci e di pollame. E vedrai che quando tutto questo tremendo periodo della ricostruzione sarà finito, il mio Alex sarà ricco come suo padre e come suo nonno. Ma Ashley... Rossella si strinse nelle spalle. - Tutto questo non mi fa né caldo né freddo. - Hai torto - disse la nonna fissandola con lo sguardo penetrante. - Questa è la via che hai seguito da quando sei andata ad Atlanta. Non credere che pure essendo seppelliti in provincia, non si sappiano le cose. Anche tu sei mutata col mutar dei tempi. Sappiamo che hai relazione con gli yankees e con tutti i nuovi ricchi per cercare di guadagnar denaro con loro. Fai pure. Ma quando avrai guadagnato tutto quello che potrai, prendili a calci perché non ti serviranno piú. Sono sicura che lo farai come va fatto, altrimenti correrai il rischio di rovinarti. Rossella la guardò cercando di comprendere queste parole. Le sembravano arabo; inoltre ella era ancora irritata per aver sentito Ashley paragonato a una tartaruga rovesciata. - Credo che abbiate torto a proposito di Ashley - disse bruscamente. - Non sei abbastanza scaltra, Rossella. - Questa è la vostra opinione - ribatté Rossella seccamente, col desiderio di darle uno schiaffo. - Oh, sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Ma non hai la furberia delle donne. Non hai abilità nel giudicare le persone. Gli occhi di Rossella cominciarono a lanciare fiamme mentre le sue mani si aprivano e si chiudevano con movimento convulso. - Ti ho fatto arrabbiare, vero? - chiese la vecchia signora sorridendo. - È proprio quello che volevo. - Davvero? E perché, se è lecito? - Avevo le mie buone ragioni. La nonna si appoggiò alla spalliera della poltrona e Rossella ebbe improvvisamente l'impressione che fosse stanca e incredibilmente vecchia. Le piccole mani che stringevano il ventaglio, erano gialle e ceree come quelle di un morto. La collera svaní dal cuore della giovane, la quale si curvò in avanti e prese fra le sue una di quelle mani. - Siete una cara, vecchia bugiarda - disse. - Tutte queste storie le avete dette unicamente per, distogliermi dal pensiero del babbo, non è vero? - Non fare la sciocca! - esclamò burberamente la vecchia signora ritraendo la mano. - In parte è stato per questo, in parte perché ti ho detto la verità; e tu sei troppo stupida per capirlo. Ma sorrise un poco, sicché il cuore di Rossella si vuotò di ogni pensiero di collera. - Grazie lo stesso. Siete stata molto buona a parlare con me... e sono contenta che siate d'accordo meco per il matrimonio di Will con Súsele, anche se... molta altra gente lo disapprova. La signora Tarleton rientrò nel vestibolo portando due bicchieri di siero. Non era molto abile nelle faccende domestiche, quindi i bicchieri traboccavano. - Sono andata fino alla capanna del burro per prenderlo - disse. - Bevetelo subito, perché stanno tornando dalla sepoltura. Ma davvero, Rossella, permetti che Súsele sposi Will? Magari è anche troppo buono per lei; ma è un campagnolo e... Gli occhi di Rossella incontrarono quelli della nonna. In questi era una scintilla di malizia in risposta al suo sguardo.

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Purché i suoi operai non abbiano fatto lo stesso! Massa di fannulloni! Non ho mai visto un buono a nulla come Ugo Elsing! Me lo leverò di torno appena Johnnie Gallegher sarà libero. Che m'importa se ha servito nell'esercito yankee? Lavorerà. Non ho mai visto un irlandese pigro. E sono stufa di negri emancipati. Non ci si può fidare di loro. Dirò a Johnnie Gallegher che prenda dei galeotti. Sono sicura che li farà lavorare. Baldo volse verso di lei il suo occhio malevolo e parlò con una collera fredda nella voce aspra. - Il giorno in cui prenderete dei galeotti sarà il giorno in cui vi lascerò. Rossella fu sbalordita. - Dio mio! E perché? - So che cos'è far lavorare i galeotti. Significa ucciderli. Trattarli come muli; anzi peggio. Batterli, farli morire di fame, ammazzarli. Che importa? Lo Stato se ne infischia. Prende i soldi delle paghe. E a chi li assume, non importa nulla. Tutto quello che si cerca, è di nutrirli spendendo poco e ottenere il massimo di lavoro possibile. Accidenti, signora! Non ho mai pensato molto bene delle donne; ma ora penserò anche peggio! - E che c'entrate voi? - C'entro - rispose laconicamente Baldo. E dopo una pausa soggiunse: - Sono stato galeotto per quarant'anni. Rossella sussultò e per un attimo si appoggiò indietro sui cuscini. Questa era dunque la soluzione dell'enigma rappresentato da Baldo, la ragione per cui non aveva voluto dire il suo cognome, il suo luogo di nascita o altro che riguardasse la sua vita passata; questo il motivo per cui parlava con difficoltà e per cui odiava tutto il mondo. Quarant'anni! Doveva essere andato in prigione molto giovine. Quarant'anni! Perché... Doveva essere stato condannato a vita; e i condannati a vita erano... - È stato per... omicidio? - Sí - fu la breve risposta mentre Baldo percuoteva con le redini il dorso del cavallo. - Mia moglie. Le palpebre di Rossella batterono rapidamente. Parve che la bocca di lui nascosta tra la barba si muovesse, come se egli sorridesse del suo terrore. - Non ho l'intenzione di uccidervi, signora, se è di questo che avete paura. Non vi è che una ragione per uccidere una donna. - Avete ammazzato vostra moglie! - Andava a letto con mio fratello. Lui si salvò. Non sono affatto pentito di averla ammazzata. Le donnacce dovrebbero essere uccise. La legge non ha il diritto di mettere un uomo in prigione per questo; ma io fui condannato. - Ma... come siete uscito? Siete scappato? Avete avuto la grazia? - Chiamatela pure grazia! - Le folte sopracciglia si unirono come se il mettere assieme le parole fosse una difficoltà. - Nel '64, quando venne Sherman, ero nel carcere di Milledgeville, dove sono stato per quarant'anni. Il governatore ci chiamò tutti e ci disse che stavano venendo gli yankees, i quali incendiavano e uccidevano. Ora, se vi è una cosa che odio piú dei negri e delle donne, sono gli yankees. - Perché? Avevate... avete conosciuto degli yankees? - No, signora. Ma ho sentito parlare di loro. So che sono incapaci di pensare ai fatti loro. E io detesto le persone che non si occupano dei loro affari. Che cosa venivano a fare in Georgia, a liberare i negri, e bruciare le nostre case, a uccidere la nostra gente? Dunque, il governatore disse che l'esercito aveva molto bisogno di soldati e che chi di noi voleva andare, sarebbe libero alla fine della guerra... se ne usciva vivo. Ma il governatore disse che noialtri condannati a vita... noi omicidi, non eravamo desiderati. Dovevamo essere mandati altrove, in un altro carcere. Ma io dissi al governatore che io non ero come tutti gli altri galeotti. Ero dentro perché avevo ucciso mia moglie, e questo era ben fatto. E volevo combattere contro gli yankees. Il governatore comprese e mi fece uscire con gli altri detenuti. Fece una pausa e grugní. - Hum... Una cosa buffa. Mi avevano messo in prigione perché avevo ucciso e mi liberavano dandomi un fucile perché andassi ad uccidere. Tutti noi di Milledgeville siamo stati buoni soldati e abbiamo ucciso una quantità di yankees; e molti di noi furono uccisi. Non ne ho mai conosciuto nessuno che abbia disertato. Dopo la resa, siamo rimasti liberi. Io ho perduto questa gamba e quest'occhio. Ma non li rimpiango. - Oh - fece Rossella debolmente. Cercò di ricordarsi quello che aveva sentito dire a proposito della liberazione dei detenuti di Milledgeville nell'ultimo disperato sforzo di arginare l'invasione di Sherman. Ne aveva parlato Franco nel Natale del 1864. Che aveva detto? Ma i suoi ricordi di quel periodo erano troppo confusi. Sentí nuovamente lo spavento di quei giorni, udí il rombo dei cannoni, vide le file di carri che si lasciavano dietro una scia di sangue, la partenza della Guardia Nazionale, i cadetti e i ragazzi come Phil Meade e i vecchi come zio Enrico e il nonno Merriwether. E anche i galeotti avevano marciato, per morire nel tramonto della Confederazione, per basire dal freddo nella neve e nel gelo di quell'ultima campagna nel Tennessee. Per un momento pensò che quell'uomo era stato un imbecille, recandosi a combattere per uno Stato che gli aveva preso quarant'anni di vita. La Georgia lo aveva privato della giovinezza e della maturità a cagion di un delitto che per lui non era tale; eppure egli aveva liberamente dato una gamba e un occhio alla Georgia. Le tornarono in mente le amare parole di Rhett nei primi giorni della guerra, quando egli aveva detto che non combatterebbe mai per una società che lo aveva bandito. Ma poi che era stato necessario, anche lui era andato a combattere, come Baldo. E pensò che tutti i meridionali erano dei pazzi sentimentali che davano meno importanza alla loro pelle che a parole senza significato. Guardò le mani nocchiute di Baldo, le sue pistole e il suo pugnale e si sentí nuovamente presa dallo spavento. Dov'erano gli altri galeotti liberati, assassini, ladri, furfanti graziati per i loro delitti in nome della Confederazione? Chiunque si incontrava poteva essere un delinquente! Se Franco venisse a sapere la verità su Baldo, sarebbe l'inferno. E se zia Pitty... no; il colpo la ucciderebbe. Quanto a Melania... Rossella ebbe voglia di informarla. Vedrebbe cosí che cosa voleva dire raccogliere degli straccioni e poi introdurli presso i propri amici e parenti. - Sono... sono contenta che mi abbiate raccontato questo, Baldo. Non... non lo dirò a nessuno. Alla signora Wilkes e alle altre signore farebbe impressione se lo sapessero. - Hum... Miss Wilkes lo sa. Glielo dissi la notte in cui mi diede da dormire nella sua cantina. Non penserete mica che avrei permesso che una signora come lei mi accogliesse in casa senza sapere? - Madonna Santissima! - esclamò Rossella atterrita. Melania sapeva che quell'uomo era un omicida e non lo aveva messo alla porta! Gli aveva affidato suo figlio e poi sua zia, sua cognata e tutte le sue amiche. E lei, la piú timida delle donne, non aveva paura di stare sola in casa con lui! - Miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna. Ha ammesso che avevo ragione. Ha capito che un ladro continua a rubare e che un bugiardo continua a mentire tutta la vita; ma non si commette piú di un omicidio nella vita. E ritiene che chi ha combattuto per la Confederazione ha spazzato con questo tutto il male che ha commesso prima. Benché io non creda di aver fatto male uccidendo mia moglie... Sí, miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna... E vi ripeto che il giorno in cui assumerete dei galeotti, vi lascerò. Rossella non rispose, ma pensò: «Piú presto mi lascerete e piú sarò contenta. Un omicida!» Come aveva potuto Melania essere cosí... cosí... No, non vi era parola per definire il modo di agire di Melania nell'accogliere quel vecchio delinquente e nel non dire ai suoi amici che era un ex-galeotto! Dunque, il servizio nell'esercito lavava le antiche colpe! Era troppo sciocca Melania per tutto ciò che concerneva la Confederazione e i suoi veterani. Silenziosamente Rossella maledisse gli yankees e aggiunse un nuovo motivo al suo rancore verso di loro. Erano essi i responsabili della situazione che costringeva una donna a tenersi accanto, per proteggerla, un assassino.

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. - E non credi che gli uomini abbiano delle sorprese dopo il matrimonio quando si accorgono che la moglie ne capisce piú di loro? - Allora essere troppo tardi. Essere già sposati. - Un giorno o l'altro mi metterò a fare e dire tutto quello che mi pare; e se alla gente non piace, non me ne importa nulla. - Non lo farai - disse gravemente Mammy. - Almeno finché io essere viva. Mangiare la focaccina; intingila nello sciroppo. - Non credo che le ragazze yankees facciano di queste sciocchezze. Quando siamo stati a Saratoga, l'anno scorso, ne ho viste tante che si comportavano come se fossero intelligenti, e anche davanti agli uomini. Mammy ebbe un riso beffardo. - Ragazze yankees! Può darsi che parlare e fare come dici tu; ma non ho mai saputo che qualcuna di loro essere stata chiesta in moglie a Saratoga. - Ma anche le yankees si sposano - contraddisse Rossella. - Non nascono per opera e virtú dello Spirito Santo. Si sposano e hanno dei figli. Ve ne sono anche troppi. - Le sposano per il denaro - replicò Mammy decisa. Rossella intinse la focaccia nello sciroppo e la mise in bocca. Forse quello che diceva Mammy era giusto. Doveva esserlo, perché Elena diceva la stessa cosa, benché con parole diverse e piú delicate. Infatti, le mamme di tutte le ragazze che conosceva instillavano nelle loro figlie la necessità di essere creature fragili, deboli, con occhi da cerbiatta. Occorreva veramente una certa intelligenza per coltivare e conservare quegli atteggiamenti. Forse lei era stata troppo aspra. Aveva avuto occasione di discutere con Ashley e aveva sostenuto con franchezza le proprie opinioni. Forse questo e il sano godimento che ella provava nel cavalcare e nel passeggiare, l'avevano distolto da lei facendolo volgere verso la fragile Melania. Forse se ora mutasse tattica... Ma sentí che se Ashley fosse stato vinto dai premeditati armeggii femminili, ella non lo avrebbe piú rispettato come lo rispettava ora. Non valeva la pena di avere un uomo che si lasciava impressionare da un sorriso, da uno svenimento e da un «oh, siete straordinario!» Eppure, sembrava che questo piacesse a tutti. Se in passato aveva usato una tattica sbagliata... oramai il passato era passato. Oggi ne userebbe un'altra; quella giusta. Lo voleva; e aveva solo poche ore per riuscire. Se svenire o fingere uno svenimento poteva giovare, farebbe anche quello. Se sorridere, civettare ed essere sventate poteva attrarlo, civetterebbe con piacere e sarebbe piú sventata anche di Caterina Calvert. E se erano necessarie misure piú ardite, ebbene! le prenderebbe. Oggi era la giornata! Non vi era nessuno che potesse dire a Rossella che la sua personalità, benché fosse tanto vivace da fare spavento, era piú attraente di qualsiasi finzione ella potesse tentare. Se le fosse stato detto, sarebbe stata lieta ma incredula. E anche la società di cui ella faceva parte sarebbe stata incredula, perché mai - prima o dopo di allora - la naturalezza femminile era stata cosí poco apprezzata. Mentre la carrozza la portava per la strada sanguigna verso la piantagione dei Wilkes, Rossella provò un senso di gioia colpevole perché né sua madre né Mammy facevano parte della brigata. Non vi sarebbe al picnic nessuno che, alzando delicatamente le sopracciglia o sporgendo il labbro inferiore, si intromettesse nel suo piano d'azione. Senza dubbio, Súsele racconterebbe un sacco di storie domani; ma se tutto andava secondo le speranze di Rossella, l'eccitazione della famiglia per il suo fidanzamento con Ashley o per la sua fuga sarebbe tale da equilibrare il loro dispiacere. Sí; era ben contenta che Elena fosse stata costretta a rimanere a casa. Geraldo, montato da un buon bicchiere di cognac, aveva licenziato Giona Wilkerson quella mattina, ed Elena era rimasta a Tara per verificare i conti della piantagione prima della sua partenza. Rossella aveva salutato sua madre nello studietto dove ella era seduta dinanzi alla grande scrivania coi suoi casellari pieni di carte. Accanto a lei era Giona Wilkerson, col cappello in mano; la sua faccia pallida e sparuta nascondeva a stento l'ira e l'odio che lo invadeva vedendosi licenziato senza cerimonie dal miglior posto di sorvegliante che fosse in tutta la Contea. E tutto a causa di un po' di amor platonico. Aveva detto e ripetuto a Geraldo che il bambino di Emma Slattery poteva essere stato procreato da altri dodici uomini come da lui - nella qual cosa Geraldo era d'accordo - ma questo, secondo Elena, non mutava la situazione. Giona odiava tutti i meridionali. Odiava la loro gelida cortesia verso di lui e il loro disprezzo per la sua condizione sociale, malamente nascosto dalla loro urbanità. Odiava soprattutto Elena O' Hara, perché ella era il compendio di tutto quello che egli detestava nei meridionali. Mammy, come superiora delle donne della piantagione, era rimasta a casa per aiutare Elena; quindi fu Dilcey che salí a cassetta accanto a Tobia, portando sulle ginocchia le scatole con gli abiti da sera delle ragazze. Geraldo cavalcava accanto allo sportello, riscaldato dal cognac e contento di sé per aver liquidato cosí rapidamente la spiacevole faccenda di Wilkerson. Aveva rovesciato tutta la responsabilità su Elena, senza menomamente pensare alla delusione di lei per dover rinunciare al convito e alla conversazione con le sue amiche; era una bella giornata di primavera, i suoi campi erano belli e gli uccelli cantavano ed egli si sentiva troppo giovine e giocoso per pensare ad altro. Ogni tanto si metteva improvvisamente a cantare qualche canzoncina irlandese o il lugubre lamento in morte di Roberto Emmet. Era felice, piacevolmente eccitato all'idea di trascorrere la giornata a dir male degli yankees e a parlare della guerra, e fiero delle sue tre belle figliuole nelle loro eleganti crinoline, sotto certi buffi e minuscoli parasoli di trina. Non pensava piú alla sua conversazione del giorno precedente con Rossella, perché gli era completamente uscita di mente. Pensava soltanto che sua figlia era graziosa e somigliava a lui; e oggi i suoi occhi erano verdi come le colline d'Irlanda. Quest'ultimo pensiero gli diede una migliore idea di se stesso, e allora egli gratificò le ragazze di un'interpretazione a piena voce della canzone «La verde Erinni». Rossella lo guardava con l'affettuoso disprezzo che le mamme hanno per i ragazzi vanagloriosi e pensava che al tramonto sarebbe completamente ubriaco. Tornando a casa nell'oscurità avrebbe cercato, come sempre, di saltare tutte le barriere fra le Dodici Querce e Tara e - sperava Rossella - con l'aiuto della Provvidenza e il buon senso del suo cavallo, arriverebbe a casa senza rompersi il collo. Disdegnerebbe il ponte e attraverserebbe il fiume facendo nuotare il cavallo e arriverebbe a casa strepitando per esser messo a dormire sul divano dello studio con l'aiuto di Pork che in queste occasioni aspettava sempre nel vestibolo con la lampada accesa. Rovinerebbe il suo nuovo abito grigio, cosa che l'indomani mattina lo avrebbe fatto imprecare terribilmente; e avrebbe raccontato a Elena che nell'oscurità il cavallo era caduto dal ponte - una menzogna evidente a cui nessuno avrebbe creduto ma che tutti avrebbero finto di accettare, facendogli cosí ritenere di essere molto furbo. «Il babbo è un tesoro egoista e irresponsabile» pensò Rossella con un'ondata di tenerezza per lui. Si sentiva cosí felice e eccitata che includeva nel suo affetto tutto il mondo, oltre a Geraldo. Era graziosa e lo sapeva; Ashley sarebbe suo prima che la giornata fosse finita; il sole era caldo e dolce e la gloria della primavera georgiana si spiegava dinanzi ai suoi occhi. Ai lati della strada i cespugli di more nascondevano col loro verde tenero le selvagge fenditure rosse prodotte dalle pioggie invernali, e i ciottoli di granito che affioravano fra la terra vermiglia erano coperti dai rami delle rose di macchia e circondati di violette selvagge di una pallida sfumatura purpurea. Sulle colline boscose al disopra del fiume i fiori dei cornioli splendevano candidi come se fra il verde ancora permanesse della neve. I meli selvatici erano tutta una spuma di corolle che da un bianco delicato sfumavano in un rosa vivo e, sotto gli alberi dove i raggi del sole striavano di macchie gialle il suolo coperto di aghi di pino, gli arbusti formavano un tappeto variopinto di scarlatto, di rosa e di arancione. Vi era nell'aria una lieve fragranza di caprifoglio e tutto il mondo era profumato come se fosse cosa da mangiare. «Ricorderò finché vivo la bellezza di questa giornata» pensò Rossella. «Forse sarà il giorno delle mie nozze!» E col cuore che le batteva, pensò alla sua fuga insieme ad Ashley nel pomeriggio, attraverso quello splendore di fiori e di verde, oppure la sera, col chiaro di luna, verso Jonesboro e un sacerdote. Certamente, il matrimonio dovrebbe essere nuovamente celebrato da un prete di Atlanta; ma a questo penserebbero Elena e Geraldo. Si sgomentò un momento pensando che sua madre sarebbe impallidita di mortificazione sapendola fuggita col fidanzato di un'altra ragazza; ma era sicura che Elena le perdonerebbe vedendola felice; e Geraldo strepiterebbe e urlerebbe, ma sarebbe contento al di là di ogni immaginazione di un'alleanza tra la propria famiglia e quella di Wilkes. - Ma questa è cosa a cui bisognerà pensare dopo il matrimonio - disse fra sé cercando di allontanare questo pensiero. Era impossibile provare altro che una gioia palpitante in quel sole primaverile, mentre i comignoli delle Dodici Querce cominciavano ad apparire sulla collina al di là del fiume. «Passerò qui tutta la mia vita e vedrò cinquanta primavere come questa e forse di piú, e dirò ai miei figli e ai miei nipoti come era bella questa primavera, piú bella di quella che essi potranno vedere.» Fu cosí felice a questo pensiero, che si uní al coro che cantava l'ultima strofa di «La verde Erinni» ottenendo la fragorosa approvazione di Geraldo. - Non so perché sei cosí allegra, stamattina - disse Súsele sgarbatamente, perché era ancora tormentata dal pensiero che l'abito da ballo di Rossella le sarebbe stato assai meglio del suo. E perché Rossella era sempre cosí egoista da non voler prestare i suoi vestiti e le sue cuffiette? E perché la mamma la sosteneva sempre dichiarando che il verde non era adatto a Súsele? - Sai benissimo anche tu che stassera sarà annunciato il fidanzamento di Ashley. Lo ha detto il babbo stamattina, e so che da tanti mesi tu pensi a lui. - Questo è tutto quello che sai - rispose Rossella mostrandole la lingua e rifiutando di perdere il suo buon umore. Come sarebbe sorpresa madamigella Susanna domattina a quest'ora! - Sai benissimo che non è cosí, Súsele - protestò Carolene. - Rossella ha simpatia per Brent. Rossella volse sorridendo gli occhi verdi sulla sorellina, stupita che fosse cosí gentile. Tutta la famiglia sapeva che il cuore tredicenne di Carolene batteva per Brent Tarleton, il quale non si era mai occupato di lei, se non come sorellina di Rossella. Quando Elena non era presente le sorelle la stuzzicavano a proposito di lui, sino a farla piangere. - Tesoro, non m'importa nulla di Brent - dichiarò Rossella troppo felice per non essere generosa. - E a lui non importa nulla di me. Aspetta che tu diventi grande. Il visino rotondo di Carolene divenne scarlatto, mentre la gioia lottava in lei con l'incredulità. - Davvero, Rossella? - Rossella, sai che la mamma ha detto che Carolene è troppo giovane per pensare ai corteggiatori, e tu le vai mettendo in testa di queste idee. - Vai a riferirlo alla mamma, e vedrai - replicò Rossella. - Tu vuoi che Carolene sia sempre una bambina perché sai che fra un anno sarà piú bella di te. - Tenete la lingua a posto, oggi, altrimenti assaggerete il mio frustino - ammoní Geraldo. - Silenzio adesso! Non è un rumore di ruote? Saranno i Tarleton o i Fontaine. Mentre si avvicinavano all'incrocio della strada che veniva dalle colline boscose di Mimosa e di Fairhill, il rumore di zoccoli e di ruote divenne piú forte e un clamore di voci femminili che disputavano gaiamente risuonò dietro agli alberi. Geraldo, oltrepassando la carrozza, fece trottare il suo cavallo accennando a Tobia di fermare il veicolo all'incrocio. - Sono le signore Tarleton - annunziò alle figliole illuminandosi, perché, eccettuato Elena, nessuna signora della Contea gli piaceva quanto la signora Tarleton coi suoi capelli rossi. - Ed è lei che guida. Ah, quella è una donna che sa come si tengono le redini! Ha le mani leggere come piume e forti come un guanto di ferro, e belle da baciare. Peccato che nessuna di voi abbia le mani cosí - aggiunse rivolgendo alle figliole uno sguardo affettuoso ma riprovevole. - Carolene ha paura delle bestie, Súsele ha delle mani che sembran d'acciaio, quando prende le redini, e tu, gattina... - Ad ogni modo io non sono mai stata buttata giú - esclamò Rossella indignata - e la signora Tarleton ogni volta che va alla caccia va a finire in qualche fosso. - E si comporta come un uomo - riprese Geraldo. - Senza svenimenti e senza storie. Ma zitta ora; sta arrivando. Si drizzò sulle staffe e si tolse il cappello, agitandolo appena vide spuntare la carrozza stipata di fanciulle in abiti chiari, parasoli e veli fluttuanti, con la signora Tarleton a cassetta, come Geraldo aveva annunciato. Con le sue quattro figliole, la loro bambinaia e gli abiti da ballo in lunghe scatole di cartone che riempivano la vettura, non rimaneva spazio per il cocchiere. E del resto, Beatrice Tarleton non permetteva mai che nessuno, bianco o negro, tenesse le redini quando lei aveva le braccia libere. Fragile, sottile di osso, e cosí bianca di pelle che i suoi capelli fiammeggianti sembravano aver assorbito nella loro massa ardente tutto il colore del suo volto, era nondimeno dotata di una salute esuberante e di un'energia instancabile. Aveva messo al mondo otto figliuoli, rossi di capelli e pieni di vita come lei, e li aveva allevati - si diceva - ottimamente, perché usava con loro la stessa severa disciplina e affettuosa indifferenza che usava coi suoi puledri. - Domateli, ma non togliete loro la vivacità - era il motto della signora Tarleton. Amava i cavalli e ne parlava continuamente. Li comprendeva e sapeva trattarli meglio di chiunque altro nella Contea. I puledri affollavano la pastura al confine del prato dinanzi alla casa, come i suoi otto figlioli affollavano la casa sulla collina; e puledri, figli e figlie, e cani da caccia la seguivano dappresso quando ella giungeva alla piantagione. Ella attribuiva ai suoi cavalli, specialmente alla sua giumenta Nelly, un'intelligenza umana; e se le cure della casa le impedivano di muoversi nell'ora in cui contava di fare la sua cavalcata quotidiana, ella metteva la ciotola dello zucchero nelle mani di un negretto e gli diceva: - Danne una manciata a Nelly, e dille che uscirò piú tardi. Eccetto rare occasioni, portava sempre l'abito da amazzone, perché anche senza averlo fissato prima, aspettava da un momento all'altro di potere andare a cavallo; e in questa attesa, indossava l'abito appena alzata. Ogni mattina, pioggia o bel tempo, Nelly era sellata e passeggiava su e giú dinanzi alla casa, aspettando il momento in cui la signora Tarleton potesse togliere un'ora ai propri doveri. Ma Fairhill era una piantagione difficile da dirigere, e raramente era possibile trovare il tempo; il piú delle volte Nelly passeggiava per delle ore senza cavaliere, mentre Beatrice Tarleton sbrigava le sue faccende con la gonna distrattamente rialzata sul braccio, mostrando al di sotto quindici centimetri di lucidi stivaloni. Oggi, con un abito di seta nera opaca, su una crinolina troppo piccola per la moda, sembrava ancora vestita da amazzone, perché l'abito era tagliato severamente come il suo costume da cavallo, e il cappellino nero con la lunga piuma, abbassato sugli occhi neri lucidi e ardenti, era una copia del vecchio cappello che adoperava per andare a caccia. Agitò la frusta vedendo Geraldo e trattenne la sua impaziente pariglia rossa, mentre le quattro ragazze si sporgevano fuori dalla carrozza vociferando i loro saluti a voce cosí alta che i cavalli sobbalzarono spaventati. Un osservatore casuale avrebbe supposto che i Tarleton e gli O'Hara non si vedessero da anni invece che da giorni. Ma erano persone socievoli e amavano i loro vicini, specialmente le ragazze O' Hara. Cioè amavano Súsele e Carolene. Nessuna ragazza della Contea, eccettuato forse quella sventata di Caterina Calvert, amava veramente Rossella. In estate, nella Contea si avevano conviti e balli quasi ogni settimana. Ma per le fulve Tarleton con la loro enorme capacità di divertirsi, ogni riunione e ogni ballo era eccitante come se fosse il primo della loro vita. Era un grazioso e vivacissimo quartetto, cosí stipato nella carrozza che le ampie gonne a cerchi e i volanti si gonfiavano spumeggiando, e i piccoli parasoli si urtavano fra di loro al di sopra degli ampi cappelli di paglia di Firenze incoronati di rose e ornati di nastri di velluto nero. Tutte le sfumature del fulvo erario sotto quei cappelli: i capelli di Etta erano di un rosso schietto, quelli di Camilla color pannocchia, quelli di Miranda a riflessi cuprei e quelli della piccola Bettina color carota. - È un bel branco, madama, - disse galantemente Geraldo portandosi col cavallo di fianco alla carrozza. - Ma son ben lontane dal superare la loro mamma. La signora Tarleton girò i suoi occhi bruni e si succhiò il labbro inferiore, come burlesco ringraziamento; le ragazze esclamarono: - Mamma, smettila di far la civetta, altrimenti lo diciamo al babbo! - Vi assicuro, Mr. O' Hara, che non ci dà mai modo di farci valere quando c'è un bell'uomo come voi. Rossella rise con le altre di queste celie, ma come sempre, la libertà con la quale le Tarleton trattavano la loro mamma, la urtò. Facevano come se essa fosse una di loro, e non avesse piú di sedici anni. Per Rossella la sola idea di poter dire una cosa simile a sua madre, era un sacrilegio; eppure... eppure... vi era qualche cosa di molto piacevole nelle relazioni delle ragazze Tarleton con la loro mamma; ed esse la adoravano, benché la criticassero, la stuzzicassero, e la sgridassero. Non che lei potesse preferire una madre come la signora Tarleton, si affrettò lealmente a dire a se stessa; ma certo doveva essere molto divertente scherzare cosí con la mamma. Sapeva che anche questo pensiero era irrispettoso per Elena e se ne vergognò. Era sicura che nessun pensiero cosí fastidioso aveva mai turbato i cervelli sotto le quattro capigliature fiammeggianti; e come sempre quando si trovava diversa dalle sue vicine, si sentí invadere da una perplessità irritata. Benché il suo cervello fosse pronto, non era fatto per l'analisi; riusciva peraltro a rendersi conto che benché le ragazze Tarleton fossero sregolate come puledri e turbolente come giumente in marzo, vi era in loro una singolare spensieratezza ereditaria. Tanto da parte di madre che di padre, erano Georgiane del nord, solo di una generazione posteriore ai pionieri. Erano sicure di se stesse e del loro ambiente. Sapevano istintivamente ciò che dovevano fare, come i Wilkes, benché in modo assolutamente diverso. E in loro non erano quei conflitti, che frequentemente si dibattevano nel seno di Rossella, nella quale il sangue di un'aristocratica della costa, dolce e quieta, si mescolava col sangue di un contadino irlandese accorto e grossolano. Rossella desiderava rispettare e adorare sua madre come un idolo, ma anche scompigliarle i capelli e stuzzicarla. E sapeva che bisognava fare o una cosa o l'altra. Era lo stesso conflitto che le faceva desiderare di apparire una signora delicata e aristocratica ai giovanotti ed essere nello stesso tempo una sfacciatella che non faceva scrupolo per qualche bacio. - Dov'è Elena, stamattina? - chiese la signora Tarleton. - Abbiamo licenziato il nostro sorvegliante ed Elena è rimasta a casa per verificare i conti. E vostro marito? E i ragazzi? - Oh, sono andati alle Dodici Querce già da un pezzo, per assaggiare il ponce e sentire se era abbastanza forte; come se non vi fosse tempo fino a domattina per questo! Pregherò John Wilkes di ospitarli stanotte, anche se, deve metterli nella stalla. Cinque uomini ubriachi sono troppi per me. Fino a tre me la cavo, ma... Geraldo la interruppe in fretta per mutare argomento. Sentiva dietro le sue spalle le figlie che ridacchiavano di lui, ricordando in che condizioni era tornato a casa l'autunno precedente dal banchetto dei Wilkes. - E come mai oggi non siete a cavallo, Mrs. Tarleton? Non mi sembrate voi, senza Nelly. Quando siete a cavallo vi si direbbe uno Sténtore. - Uno Sténtore! Ignorante che siete! - esclamò Mrs. Tarleton rifacendogli il verso. - Volete dire un centauro. Sténtore era un uomo che aveva la voce come un tamburo di bronzo. - Sténtore o centauro, fa lo stesso - rispose Geraldo senza scomporsi per il suo errore. - Del resto, anche voi avete una voce come un tamburo di bronzo quando chiamate i vostri cani. - Ti sta bene, mamma, - disse Etta. - Te l'avevo detto che urli come un indiano quando vedi una volpe. - Ma non cosí forte come urli tu quando Mammy ti lava le orecchie - ribatté Mrs. Tarleton. - E hai sedici anni! Quanto al non cavalcare oggi, è perché Nelly stamattina presto ha partorito. - Davvero? - esclamò Geraldo con vero interesse e con gli occhi brillanti della passione irlandese per i cavalli; e Rossella si sentí nuovamente urtata paragonando sua madre alla signora Tarleton. Per Elena né giumente né mucche partorivano mai. Quasi quasi neanche le galline facevano le uova. Elena ignorava completamente queste cose. Ma la Tarleton non aveva di queste reticenze. - Una puledra? - No; un piccolo stallone con delle gambe lunghe due metri. Dovete venire a vederlo, Mr. O'Hara. È un vero cavallo Tarleton: rosso come i riccioli di Etta. - E le somiglia anche molto - soggiunse Camilla; e scomparve gridando in mezzo a un piccolo vortice di sottane, sottovesti e cappelli che si agitavano, mentre Etta, imbronciata, le dava dei pizzicotti. - Le mie puledrine sono tutte eccitate, stamattina - riprese la signora Tarleton. - Hanno cominciato ad essere impazienti da quando abbiamo avuto la notizia del fidanzamento di Ashley con quella sua cuginetta di Atlanta. Come si chiama? Melania? Dio la benedica, è una cara creatura, ma non riesco mai a ricordarmi né il suo nome né il suo viso. La nostra cuoca è la moglie del cameriere dei Wilkes e ierisera ha portato a casa la notizia che stasera si annunzierà il fidanzamento; Cuochetta ce lo ha detto stamane. E come vi dico, le ragazze sono tutte eccitate; non ne capisco la ragione. Tutti sappiamo da anni che Ashley avrebbe fatto questo matrimonio, a meno che non avesse sposato una delle sue cugine Burr di Macon. Tale e quale come Gioia Wilkes che è destinata a sposare suo cugino Carlo. Ma ditemi una cosa, Mr. O'Hara: è illegale per i Wilkes sposarsi fuori della loro famiglia? Perché nel caso... Rossella non udí il resto della frase pronunciata in mezzo a scoppi di risa. Per un attimo aveva avuto l'impressione che il sole fosse scomparso dietro a una nuvola densa, lasciando il mondo nell'ombra, scolorando tutte le cose. Il fresco fogliame parve morticcio, il còrniolo pallido, e il melo selvatico, di un rosso cosí bello pochi minuti prima, lugubre e sbiadito. Rossella ficcò le unghie nell'imbottitura della carrozza, e il suo parasole ondeggiò. Un conto era sapere che Ashley era fidanzato, ma un altro conto era udirne parlare cosí indifferentemente. Il coraggio però le ritornò rapidamente; il sole riapparve e il paesaggio divenne un'altra volta gaio e brillante. Ella sapeva che Ashley la amava. Questo era certo. E sorrise al pensiero della sorpresa della signora Tarleton quando, la sera, non sarebbe stato annunciato alcun fidanzamento; e piú ancora se vi fosse una fuga. E come parlerebbe dell'aria innocente con la quale Rossella aveva ascoltato i suoi discorsi su Melania, mentre intanto era d'accordo con Ashley... Questi pensieri fecero apparire le fossette sulle sue guance, mentre Etta, che stava osservando con curiosità l'effetto delle parole di sua madre, ricadde indietro sui cuscini con un'espressione leggermente perplessa. - Non siamo d'accordo, Mr. O'Hara - stava dicendo enfaticamente Beatrice. - Questi matrimoni fra cugini non sono una buona cosa. Trovo già un errore che Ashley sposi la figlia di Hamilton; ma che Gioia, poi, debba sposare quel Carletto pallido e smunto... - Gioia non troverà marito se non sposa Carlo - disse Miranda, crudele e sicura delle proprie attrattive. - Non ha mai avuto nessun altro corteggiatore. E lui non è mai stato molto carino con lei, benché siano fidanzati. Ti ricordi, Rossella, come ti stava intorno, a Natale... - Non far la pettegola, madamigella - la interruppe sua madre. - I cugini non si dovrebbero mai sposare fra loro; neanche i secondi cugini. Il sangue si indebolisce. Non è come per i cavalli. Potete unire una giumenta a suo fratello o uno stallone a sua sorella e avete ottimi risultati, se conoscete la razza; ma fra uomini la cosa non va. I figli potranno avere dei bei lineamenti, ma punto robustezza. E... - Qui, signora, non sono d'accordo con voi! Potete citarmi gente piú bella e robusta dei Wilkes? E si sono sempre sposati fra cugini, fin da quando Briano Boru era un ragazzo. - Ma sarebbe tempo che la smettessero, perché ora si comincia ad accorgersi del danno. Oh, non dico per Ashley, che è un bel ragazzo, quantunque anche lui... Ma guardate quelle due figliuole, che pena! Belline, senza dubbio, ma cosí pallide! E guardate la piccola Melania. Sottile come un crostino e tanto delicata che basta un soffio di vento a darle un raffreddore; e senza ombra di spirito. Non sa nulla di nulla. «Sí, signora! No, signora!» è tutto ciò che sa dire. Capite quello che intendo? Quella famiglia ha bisogno di un bel sangue vigoroso, come le mie testoline rosse o la vostra Rossella. Non mi fraintendete. I Wilkes sono persone simpatiche sotto tanti punti di vista e sapete benissimo che io voglio loro bene; ma siamo schietti! Sono troppo educati e anche poco naturali, non vi pare? Faranno buona figura su una carraia asciutta, ma badate a quello che dico: non credo che i Wilkes sappiano galoppare sulla strada infangata. Mi pare che non abbiano energia; e ritengo che non siano capaci di superare gli ostacoli che potrebbero presentarsi. Animali che hanno bisogno del bel tempo. Datemi un bravo cavallone che corra con tutti i tempi! E i loro matrimoni fra consanguinei li hanno resi diversi da tutti gli altri. Sempre a gingillarsi col pianoforte o sprofondati nei libri! Scommetto che Ashley preferisce leggere che andare a caccia! Sí, ne sono convinta, Mr. O'Hara! E guardate che ossa. Troppo sottili. Hanno bisogno di giumente e stalloni robusti... - Ah... hhum... - fece improvvisamente Geraldo, rendendosi conto che la conversazione, che per lui era adatta e interessante, non sarebbe sembrata tale a Elena. La quale non avrebbe mai perdonato se avesse saputo che le sue figliuole erano state esposte ad ascoltare dei discorsi cosí espliciti. Ma la signora Tarleton era, come sempre, sorda ad ogni altra idea quando si ingolfava nel suo tema favorito: l'allevamento, di cavalli o di uomini che fosse. - So quel che dico perché ho avuto dei cugini che si sono sposati fra loro e vi assicuro che i loro bambini vennero tutti con gli occhi sporgenti come dei ranocchi, povere creature! E quando la mia famiglia voleva che io sposassi un secondo cugino, mi impennai come un puledro. Dissi: «No, mamma. Non fa per me. I miei figli devono avere spalle e fianchi, da buoni galoppatori». La mamma svenne sentendomi parlare di galoppatori, ma io rimasi imperterrita e la nonna mi sostenne. Anche lei era molto pratica di allevamento di cavalli, e disse che avevo ragione. E mi aiutò a fuggire con Mr. Tarleton! E guardate i miei figli! Grandi e grossi e in buona salute, senza mai un raffreddore, benché Boys sia alto solo un metro e sessantacinque. Ora, Wilkes... - Non vi dispiacerebbe cambiare argomento, signora? - interruppe frettolosamente Geraldo che aveva notato lo sguardo sbalordito di Carolene e l'avida curiosità dipinta sul viso di Súsele e temeva che al ritorno a casa esse potessero rivolgere a Elena domande imbarazzanti le quali rivelerebbero che egli era un pessimo «chaperon». Fu lieto di notare che la sua Gattina sembrava pensare a tutt'altro. Etta gli venne in aiuto. - Ma sí, mamma, andiamo! - esclamò con impazienza. - C'è un sole che scotta e sento che mi stanno già venendo le lentiggini sul collo. - Un minuto, signora, prima di avviarci. Che cosa avete deciso di fare per i cavalli che vi abbiamo pregato di venderci per Io Squadrone? La guerra può scoppiare da un giorno all'altro e i ragazzi desiderano che la cosa sia sistemata. È uno squadrone della Contea di Clayton e noi desideriamo per loro dei cavalli di Clayton. Ma voi, creature ostinate, rifiutate di venderci le vostre belle bestie. - Forse la guerra non ci sarà - temporeggiò la signora, completamente distratta, ora, dal pensiero delle abitudini matrimoniali dei Wilkes. - Ma signora, non potete... - Mamma - interruppe nuovamente Etta - non potete, tu e Mr. O'Hara parlar di questo quando saremo alle Dodici Querce? - È giusto, miss Etta - annuí Geraldo - e non vi trattengo piú di un altro minuto d'orologio. Fra poco saremo alle Dodici Querce e tutti quanti, giovani e vecchi, vorranno sapere dei cavalli. Ma mi spezza il cuore vedere una brava signora come la vostra mamma cosí avara delle sue bestie! Dov'è il vostro patriottismo, Mrs. Tarleton? La Confederazione non ha nessuna importanza per voi? - Mamma - gridò Bettina - Miranda è seduta sul mio abito e me lo sgualcisce tutto! - Spingila perché si levi, e sta zitta. Quanto a voi, Geraldo O'Hara, ascoltatemi. - E i suoi occhi si accesero. - Non mi gettate in faccia la Confederazione! Reputo che essa abbia tanta importanza per me come per voi, avendo io quattro ragazzi nello Squadrone mentre voi non ne avete nessuno. Ma i miei ragazzi sanno badare a se stessi e i miei cavalli no. Li darei volentieri anche gratis, se sapessi che saranno cavalcati da ragazzi che conosco, signori abituati ai purosangue. No, non esiterei un minuto. Ma lasciare i miei tesori alla mercé di boscaioli e Crackers che sono abituati ad andare a dorso di mulo! No, signore! È un incubo per me il pensiero che siano sellati con selle umide e che non siano governati come si deve! Credete che io voglia affidare le mie bestie tenere di bocca a degli ignoranti, per vederle ridotte con la bocca insanguinata e rovinata; ignoranti che li frusterebbero fino a far perder loro ogni vivacità! Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci! No, Mr. O'Hara; siete molto gentile chiedendo i miei cavalli, ma è meglio che andiate ad Atlanta a comprare per i vostri villani dei vecchi ronzini. - Mamma, vogliamo andare, per piacere? - Era Camilla che si univa al coro impaziente. - Sai benissimo che finirai col cedere e dare i tuoi tesori. Quando il babbo e i ragazzi ti convinceranno che la Confederazione ne ha bisogno, ti metterai a piangere e glieli darai. La signora Tarleton ridacchiò e crollò le spalle. - Non lo farò - disse poi, toccando leggermente i cavalli con la punta dello sverzino. La carrozza si mosse velocemente. - È una brava donna - disse Geraldo rimettendosi il cappello e riprendendo il suo posto a fianco del proprio veicolo. - Vai, Tobia. La persuaderemo e avremo i cavalli. Senza dubbio ha ragione. Ha ragione. Se uno non è un signore, il cavallo non è affar suo. Il posto per lui è in fanteria. Ma purtroppo, in questa Contea non vi sono abbastanza figli di piantatori per fare un intero Squadrone. Che avevi detto, Gattina? - Ti prego, babbo, di andare davanti alla carrozza o dietro. Sollevi una tal quantità di polvere che soffochiamo - rispose Rossella che sentiva di non poter sopportare piú a lungo la conversazione. La distraeva dai suoi pensieri; ed ella desiderava rendere questi e il proprio volto ugualmente simpatici prima di giungere alle Dodici Querce. Geraldo, ubbidiente, spronò il cavallo e si allontanò in una nube rossastra per raggiungere la carrozza dei Tarleton. Avrebbe potuto cosí continuare la sua conversazione di argomento equino.

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Ho saputo che tutti gli uomini che erano fuori quella notte hanno l'intenzione di questa visita, e credo che abbiano ragione. Ma certamente, stento a credere che Rossella sia figlia di sua madre. Sono stata compagna di scuola di Elena Robillard a Savannah, e non ho mai conosciuto una creatura piú simpatica; le volevo molto bene. Ah, se suo padre non si fosse opposto al matrimonio con suo cugino, Filippo Robillard! Un ragazzo che era soltanto un po' vivace... Intanto questo fu causa che Elena sposò il vecchio O'Hara, ed ebbe una figlia come Rossella. Ma in verità, mi pare che sia mio dovere andare almeno una volta, in memoria di Elena. - Sciocchezze sentimentali! - scherní vigorosamente la signora Merriwether. - Andare a trovare una donna che si è rimaritata dopo appena un anno dalla morte del marito? Una donna... - Aggiungete che fu lei ad uccidere il signor Kennedy - interruppe Lydia. La sua voce era fredda ma velenosa. Il solo pensiero di Rossella le impediva di esser gentile, ricordando Stuard Tarleton. - E ho sempre ritenuto che fra lei e quel Butler vi fosse qualche cosa di piú di quanto si è mai pensato, anche prima della morte del signor Kennedy. Prima che le signore si fossero rimesse dallo stupore scandalizzato provato nell'udire una ragazza parlare in quel modo, Melania era sulla soglia. La compagnia era cosí immersa nei suoi discorsi che nessuna aveva udito il suo passo leggero; ed ora avevano tutte l'aspetto di scolarette sorprese dalla maestra. Alla costernazione si aggiunse lo sgomento, vedendo il mutamento del volto di Melania, rossa di collera, con gli occhi fiammeggianti, le narici frementi. Nessuno aveva mai visto Melania adirata; e nessuna fra le signore presenti la credeva capace di uno scoppio d'ira. - Come ardisci, Lydia...? - interrogò con voce sommessa e tremante. - Dove ti conduce la gelosia? Vergògnati! Lydia impallidí ma rimase a fronte alta. - Non ritiro nulla - disse brevemente. Ma dentro di sé si sentiva ribollire. «Gelosa?» pensò. Il ricordo di Stuart Tarleton, e di Gioia e Carlo, non gliene dava forse il diritto? Non aveva ragione di detestare Rossella, specialmente ora che sospettava che avesse attirato anche Ashley nelle sue reti? E pensò ancora: «Potrei dirti molte cose sul conto di Ashley e della tua cara Rossella.» Lydia si sentiva combattuta fra il desiderio di proteggere Ashley col suo silenzio e il pensiero che se avesse svelato i suoi sospetti a Melania e a tutto il mondo, lo avrebbe liberato dalle mene di Rossella. Ma non era questo il momento. Non poteva dir nulla di sicuro: aveva solo dei sospetti. - Non ritiro nulla - ripeté con accento di sfida. - Allora sono ben lieta che tu non debba piú vivere a lungo sotto il mio tetto - rispose Melania; e la sua voce era freddissima. Lydia balzò in piedi; un fiotto di sangue salí al suo viso gialliccio. - Tu, Melania... mia cognata... non vorrai leticare con me a causa di quella sfacciata... - Anche Rossella è mio cognata - ribatté Melania fissando Lydia come avrebbe fissato un'estranea. - E mi è piú cara di quanto potrebbe essere una sorella germana. Se tu dimentichi ciò che ella ha fatto per me, io non lo dimentico. Rimase con me durante l'assedio mentre avrebbe potuto andare a casa sua, quando zia Pitty riparò a Macon. Quando gli yankees invasero Atlanta, Rossella fece il tremendo viaggio da qui a Tara portando seco me e Beau, quando le sarebbe stato facile lasciarmi in un ospedale. E mi ha curata e nutrita, anche, quando era stanca e affamata. Siccome ero debole e ammalata, ebbi il miglior materasso di Tara. E quando fui in grado di camminare, ebbi le sole scarpe intere che fossero in casa. Ashley giunse stanco e scoraggiato, senza casa e senza un centesimo, ed ella lo accolse come una sorella. E nel momento in cui volevamo partire per il Nord col cuore spezzato dall'idea di lasciare la nostra diletta Georgia, Rossella intervenne e gli diede la gestione dello stabilimento. E il capitano Butler ha salvato Ashley per bontà di cuore. Ed io sono piena di riconoscenza per entrambi! Ma tu, Lydia! Come puoi dimenticare ciò che Rossella ha fatto per tuo fratello e per me? Calcoli cosí poco la vita di tuo fratello che non hai considerazione per chi l'ha salvato? Ah, se tu ti inginocchiassi dinanzi a Rossella e a Butler, non sarebbe ancora abbastanza! - Andiamo, Melly - intervenne la signora Merriwether che si era ricomposta - non è questo il modo di parlare con Lydia. - Ho udito ciò che avete detto anche voi contro Rossella! - E Melania si volse verso la vecchia signora come un combattente che dopo aver messo fuori combattimento un avversario, si volge al successivo. - E anche voi, signora Elsing. Non m'importa quello che avete nei vostri cervelli meschini; è affar vostro. Ma ciò che dite di lei in casa mia, mi riguarda. Come potete, non dico pensare, ma profferire simili infamie? Cosí poco valore hanno per voi i vostri uomini che non avete riconoscenza per chi li ha salvati arrischiando la propria vita? Se si fosse venuta a sapere la verità, gli yankees avrebbero creduto che anche lui, Butler, era un membro del Klan! Lo avrebbero impiccato. Ma egli corse il rischio per i vostri uomini. Per vostro suocero, per vostro genero, per i vostri nipoti. E per vostro fratello, signora Bonnell, e per vostro figlio e vostro genero, signora Elsing. Siete ingrate, ecco che cosa siete! Ed esigo delle scuse da tutte voi. La signora Elsing era già in piedi, e stava raccogliendo la sua roba nel cestino, con la bocca torta. - Se mi avessero detto che avresti potuto essere cosí scortese, Melly... No, non chiederò scusa. Lydia ha ragione. Rossella è una sfacciata e un cervello balzano. Non posso dimenticare il suo contegno durante la guerra. E non posso dimenticare che da quando ha un po' di soldi si è comportata come una «stracciona proletaria»... - Quello che non potete dimenticare - interruppe Melania mettendosi i piccoli pugni sui fianchi - è che è stata costretta a licenziare Ugo perché era incapace di gestire il suo stabilimento. - Melly! - Fu un gemito in coro. La signora Elsing rizzò il capo e mosse verso la porta. Posò la mano sulla gruccia ma si fermò e si volse. - Melly - e la sua voce si era addolcita - figliuola cara, è una cosa che mi spezza il cuore. Sono stata la migliore amica di tua madre e ho aiutato il dottor Meade a metterti al mondo; ti ho voluto bene come a una figlia. E non mi addolorerei tanto di sentirti parlare cosí se fosse per qualche cosa che valesse la pena. Ma per un essere come Rossella O'Hara, che sarebbe disposta a giocare un brutto tiro a te come a chiunque di noi... Le prime parole della signora Elsing avevano fatto riempire di lagrime gli occhi di Melania; ma, dopo, il suo visetto si era indurito. - Desidero spiegare ben chiaramente - disse allora - che chiunque non va a far visita a Rossella può risparmiarsi per l'avvenire di venir qui da me. Vi fu un mormorio di voci confuse mentre le signore si levavano in piedi. La signora Elsing, lasciando cadere la sua scatola da lavoro, tornò verso il centro della stanza, con la sua frangia di riccioli finti tutta di traverso. - Non sai quello che dici, Melania! Sei fuori di te! E non ti ritengo responsabile di queste parole! Rimarrai mia amica, come io rimarrò un'amica per te. Rifiuto di ammettere che fra noi possa prodursi uno screzio simile! Era scoppiata in lagrime e, senza neanche saper come, Melania si trovò fra le sue braccia, piangendo anche lei ma dichiarando fra i singhiozzi che riaffermava ciò che aveva detto. Parecchie altre signore ruppero in pianto, e la signora Merriwether, soffiandosi il naso fragorosamente, abbracciò Melania e la signora Elsing. Zia Pitty, che era rimasta testimone pietrificata di tutta la scena, scivolò improvvisamente sul pavimento; e fu uno dei pochi svenimenti della sua vita. Fra lagrime, baci, confusione e corse per andare a cercare i sali, una sola persona conservò il viso calmo e gli occhi asciutti. Lydia Wilkes se ne andò senza che alcuno vi badasse. Parecchie ore dopo, il nonno Merriwether, incontrando Enrico Hamilton al Bar della «Ragazza moderna», gli narrò gli avvenimenti come li aveva appresi da sua nuora. Era in fondo soddisfatto che qualcuno avesse avuto il coraggio di affrontare la temibile signora Merriwether: cosa che egli non aveva mai osato. - E finalmente, che cos'hanno deciso quelle stupide pazze? - chiese zio Enrico irritato. - Non lo so con certezza - rispose il nonno; - ma ho l'impressione che Melly abbia avuto la meglio. Certo andranno a far visita, almeno una volta. Però fanno molte chiacchiere, per quella vostra nipote. - Melly è una sciocca e le signore hanno ragione: Rossella è una creatura astuta e non so perché mio nipote Carlo, allora, se ne infatuò e la sposò - fece zio Enrico cupo. - Ma anche Melly ha ragione, da un certo punto di vista. È un dovere di convenienza, per le famiglie di cui il capitano Butler ha salvato marito o padre, andare a far quella visita. Per conto mio, io non ho nulla da ridire contro di lui. Si comportò molto bene quella notte in cui ci salvò la pelle. È Rossella che mi piace poco. È troppo abile e scaltra. Ma io ci andrò. Rinnegata o no, Rossella è mia nipote d'acquisto, dopo tutto. Avevo appunto l'intenzione di andarvi oggi. - Vengo con voi, Enrico. Dolly sarà furibonda quando lo saprà. Aspettate: lasciatemi bere un altro bicchierino. - No; berremo dal capitano Butler. Bisogna convenire che ha sempre degli ottimi liquori.

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Ma dubito che essi abbiano l'abilità ai farlo durare piú di cinque anni, dato il loro modo di spendere. Denaro facilmente guadagnato, si spende facilmente. Sono quattrini che non profittano loro, come a te non fa profitto il mio denaro. Certamente non ho ancora fatto di te una cavallina, non è vero, mia graziosa muletta? Quest'ultima osservazione suscitò una lite che durò parecchi giorni. Dopo il quarto giorno di broncio da parte di Rossella, che col suo silenzio pretendeva evidentemente che le si chiedesse scusa, Rhett partí per Nuova Orléans conducendo seco Wade, malgrado le proteste di Mammy, e rimase assente finché a Rossella fu passata la collera. Quando egli tornò, freddo e tranquillo, ella ringhiottí la sua ira meglio che poté, ricacciandola in fondo al suo cervello per ripensarvi piú tardi. Ora non voleva avere pensieri spiacevoli. Voleva essere felice per occuparsi soltanto del ricevimento che intendeva dare nella sua nuova casa. Sarebbe stata una grande riunione serale con la casa adorna di palme che nascondevano l'orchestra; tutto il porticato adorno di arazzi e un rinfresco che le faceva venire l'acquolina in bocca. Pensava di invitare tutte le sue conoscenze: i vecchi amici e i nuovi cosí simpatici. L'eccitazione dei preparativi le faceva mettere in non cale le frecciate di Rhett: ed ella si sentiva felice come non lo era stata da molti anni. Che cosa piacevole essere ricca! Offrire ricevimenti senza badare a spese! Comprare i mobili e gli abiti piú dispendiosi, i cibi migliori e piú fini senza preoccuparsi dei conti da pagare! Che bellezza, poter mandare dei grossi assegni a zia Eulalia e a zia Paolina a Charleston, e a Will a Tara! Che imbecilli invidiosi quelli che dicevano che il denaro non era tutto! E com'era cattivo Rhett nel dire che la ricchezza non aveva fatto di lei una dama!

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. - Può darsi che gli yankees abbiano paura di noi, ma dopo il modo con cui il generale Beauregard li ha messi fuori dal Forte Sumter l'altro ieri, bisognerà che si battano se non vogliono essere bollati come codardi dinanzi al mondo intero. La Confederazione... Rossella fece una smorfia di noia e di impazienza. - Se pronunciate ancora una volta la parola «guerra» me ne vado in casa e chiudo la porta. Nessuna parola in vita mia mi è mai parsa tanto insopportabile, se non la parola «secessione». Il babbo parla di guerra la mattina, a mezzogiorno e la sera, e tutti quelli che vengono a trovarlo non fanno che nominare il Forte Sumter e i Diritti di Stato e Abe Lincoln, finché mi sento cosí esasperata che avrei voglia di urlare! E poi vi sono anche tutti i ragazzi che ne parlano. In tutta la primavera non c'è stato nessun divertimento, nessuna riunione perché i giovinotti non possono parlare d'altro. Sono stata tanto contenta che almeno la Georgia abbia aspettato dopo Natale a separarsi, altrimenti anche i ricevimenti natalizi sarebbero andati a monte. Se pronunciate ancora la parola «guerra» me ne vado in casa. E lo avrebbe fatto, perché era incapace di sopportare per molto tempo una conversazione di cui ella non fosse l'argomento principale. Ma sorrideva nel parlare, sicché sulle sue guance si formavano due graziose fossette, e le sue lunghe ciglia nere palpitavano come ali di farfalla. I ragazzi furono affascinati, com'ella aveva previsto, e si affrettarono a chiederle scusa per averla annoiata. La sua mancanza di interessamento non la diminuiva ai loro occhi; essi pensavano che la guerra era una cosa che riguardava gli uomini e non le donne, e il suo atteggiamento parve anzi a loro una prova della sua femminilità. Essendo riuscita a sviarli dal noioso argomento della guerra, ella tornò ad interessarsi della loro situazione immediata. - Che cosa ha detto la mamma del fatto che siete stati nuovamente espulsi? I ragazzi si sentirono a disagio, ricordando qual era stata la condotta della mamma tre mesi prima, quando essi erano tornati dall'Università di Virginia. - Veramente - disse Stuart - non ha ancora avuto occasione di dir nulla. Stamattina noi e Tom siamo usciti presto, prima che si alzasse; Tom si è fermato dai Fontaine mentre noi siamo venuti qui. - E ieri sera, quando siete arrivati, non ha detto nulla? - Oh, siamo stati fortunati. Poco prima del nostro arrivo, era stato portato il nuovo stallone che Mammà si è procurato il mese scorso nel Kentucky, e tutti erano sottosopra. Quel bestione - è un gran cavallo, Rossella; devi dire a tuo padre di venirlo a vedere - aveva già dato un morso, cammin facendo, al garzone che lo aveva condotto e aveva calpestato due negri di Mammà che erano andati all'arrivo del treno a Jonesboro. E pochi minuti prima del nostro arrivo aveva mezzo demolito la stalla a calci e quasi ammazzato Strawberry, il vecchio stallone di Mammà. Abbiamo visto Mammà fuori della stalla con un sacchetto di zucchero, che cercava di ammansirlo, e vi riusciva. I negri, tutti spaventati, stavano a guardare Mammà che parlava col cavallo come se fosse una persona e gli dava da mangiare in mano. Nessuno sa trattare i cavalli come Mamma. Quando ci ha visti ha detto: «In nome del cielo, che diamine siete tornati a fare a casa? Siete peggio delle piaghe d'Egitto!» Allora il cavallo cominciò a sbuffare e a impennarsi, e Mammà a gridare: «Via, andate via! Non vedete che è nervoso, questo tesoro? Andate, mi occuperò di voi domattina!» Cosí ce ne andammo a letto e stamattina ci siamo alzati prima di lei e abbiamo lasciato Boyd a casa per parlarle. - Credi che lo picchierà? - Come tutti gli abitanti della Contea, Rossella non riusciva a capire come la piccola signora Tarleton trattasse cosí tirannicamente i figliuoli grandi e li percuotesse col suo frustino quando l'occasione lo richiedeva. Beatrice Tarleton era una donna attiva, che dirigeva non solo la sua grande piantagione di cotone, con un centinaio di negri, e otto figliuoli, ma anche il piú grande allevamento di cavalli della contrada. Era di umor vivo e facilmente irritata dalle frequenti scappate dei suoi quattro figli; e, mentre a nessuno era permesso di frustare un cavallo o uno schiavo, ella riteneva che una bastonata ogni tanto non facesse alcun male ai ragazzi. - Oh, non lo batterà di certo. Non lo ha mai picchiato molto perché è il piú vecchio ed è anche il nano della famiglia - riprese Stuart fiero del suo metro e novanta. - Perciò lo abbiamo lasciato a casa a darle le spiegazioni. Dio benedetto, Mammà dovrebbe smetterla di frustarci! Abbiamo diciannove anni e Tom ne ha ventuno e lei ci tratta come se fossimo bambini di sei anni! - E cavalcherà il suo nuovo cavallo domani; alla riunione dei Wilkes? - Ne avrebbe il desiderio, ma il Babbo dice che è troppo pericoloso. E poi, le ragazze non glielo permetteranno. Vogliono vederla intervenire almeno una volta a una riunione in carrozza, come una signora. - Speriamo che non piova, domani - prosegui Rossella; - da una settimana piove tutti i giorni. Non c'è niente di piú noioso di una merenda fatta in casa. - Oh, sarà bel tempo e caldo come in giugno - affermò Stuart. - Guarda il tramonto: non ne ho mai visto di piú rossi. Sai che dal tramonto si può sempre prevedere che tempo farà il giorno seguente. Guardarono verso l'orizzonte vermiglio, oltre gli sterminati campi di cotone di Geraldo O'Hara. Ora che il sole stava declinando avvolto di porpora dietro le colline al di là del fiume Flint, il calore della giornata d'aprile dava luogo a una piacevole frescura. La primavera era giunta in anticipo quell'anno, con piogge tepide e un improvviso spumeggiare di rosei fiori di pesco; i còrnioli macchiavano di grosse chiazze candide la palude scura e le colline lontane. L'aratura era quasi terminata e la gloria sanguigna del tramonto dava ai solchi di rossa terra della Georgia una tinta anche piú ardente, il terriccio umido che attendeva avidamente i semi del cotone appariva roseo nel fondo sabbioso dei solchi, vermiglio, scarlatto e focato dove si stendevano le ombre sui lati dei fossati. La casa di pietra intonacata di bianco sembrava un'isola in un selvaggio mare purpureo, un mare le cui onde si fossero improvvisamente pietrificate nel momento in cui si frangevano. Perché quivi non erano solchi lunghi e dritti come si vedevano nei campi di argilla giallastra della piatta Georgia centrale o nella terra nera delle piantagioni che sorgevano sulla costa. L'ondulosa e collinosa campagna della Georgia settentrionale era lavorata in un'infinità di curve per impedire che la terra generosa franasse e andasse a finire in fondo al fiume. Era un terriccio di un violento colore sanguigno dopo le piogge, simile a polvere di mattone durante i periodi di siccità; la migliore del mondo per la coltivazione del cotone. Un piacevole paesaggio di case bianche, di campi tranquilli e ben lavorati, di pigri fiumi dall'acqua giallastra; ma pieno di contrasti, di sole abbagliante e di ombre dense. Le zone dissodate e le vaste estensioni di campi di cotone sorridevano a un sole caldo, placido e compiacente. Ai loro margini sorgevano le foreste vergini, fresche ed oscure anche nei meriggi piú ardenti, misteriose, un po' sinistre, ove i pini sembravano attendere con secolare pazienza e mormorare minacciosi: «Badate! State attenti! Vi abbiamo avuti una volta. Possiamo riprendervi nuovamente». All'orecchio dei tre sotto al porticato giunse uno strepito di zoccoli, un tintinnar di catene di bardature e il riso stridente dei negri, poiché lavoratori e mule tornavano dai campi. Dall'interno della casa si udí la voce dolce della madre di Rossella, Elena O'Hara, chiamare la bimba negra che portava il suo cestello di chiavi. La voce acuta infantile rispose: - Eccomi, signora - e vi fu uno scalpiccío nel retro della casa, verso il luogo dove si conservavano i viveri affumicati e dove Elena doveva misurare il cibo per i coltivatori che tornavano a casa. Vi fu un acciottolio di porcellane e un tramestio di argenti quando Pork, il domestico-maggiordomo di Tara, apparecchiò la tavola per la cena. Udendo questi ultimi rumori, i gemelli si accorsero che era ora di muoversi per tornare a casa. Ma non avevano nessuna voglia di trovarsi di fronte alla madre e rimasero ancora a gingillarsi sotto al porticato aspettando da un momento all'altro che Rossella li invitasse a rimanere a cena. - A proposito, Rossella. E per domani? - cominciò Brent. - Non sarebbe giusto che essendo stati via e ignorando dell'invito e del ballo, dovessimo essere privati di ballare con te domani sera. Non avrai promesso tutti i balli, spero? - Sicuro che li ho promessi! Come potevo sapere che sareste tornati? Non potevo correre il rischio di rimanere a far tappezzeria per aspettarvi! - Tu, far tappezzeria! - i ragazzi risero saporitamente. - Senti, cara - riprese Brent. - Mi darai il primo valzer e darai l'ultimo a Stu; e cenerai con noi. Staremo seduti sulla scaletta dell'approdo come abbiamo fatto all'ultimo ballo e ci faremo dire nuovamente la buona ventura da Mammy Jincy. - Non mi piacciono le predizioni di Mammy Jincy. Sapete benissimo che ha detto che dovevo sposare un signore coi capelli nerissimi e lunghi baffi neri; e sapete che non mi piacciono gli uomini bruni. - Ti piacciono i fulvi, non è vero, gioia? - rise Brent. - Via, promettici tutti i valzer e la cena. - Se ce li prometti, ti riveliamo un segreto - soggiunse Stuart. - Quale? - esclamò Rossella, ansiosa come una bambina. - Quello che abbiamo saputo ieri ad Atlanta, Stu? Se è quello, sai che abbiamo promesso di non parlare. - Sicuro; ce l'ha detto la signorina Pitty. - La signorina chi? - Sai, quella cugina di Ashley Wilkes che sta ad Atlanta: la signorina Pittypat Hamilton; la zia di Carlo e di Melania Hamilton. - La conosco; non ho mai conosciuto una vecchia piú stupida. - Ebbene: ieri mentre eravamo ad Atlanta aspettando il treno per venire qui, la incontrammo in carrozza; si fermò a parlarci e ci disse che domani sera al ballo di Wilkes verrà annunziato un fidanzamento. - Oh, lo so! - esclamò Rossella delusa. - Quell'idiota di suo nipote, Carletto Hamilton, con Gioia Wilkes. Lo sappiamo da anni che un giorno o l'altro dovevano sposarsi, benché lui sia abbastanza tiepido. - Credi che sia un idiota? - chiese Brent. - A Natale hai lasciato che ti ronzasse intorno parecchio. - Non potevo impedirgli di ronzare - e Rossella alzò le spalle negligentemente. - Ma credo che sia proprio uno scemo. - Del resto, non è il suo fidanzamento quello che sarà annunciato - dichiarò Stuart trionfante - ma quello di Ashley con la sorella di Carletto, Melania. Il volto di Rossella non mutò, ma le sue labbra si sbiancarono, come capita a chi riceve un colpo violento senza preavviso e che, nel primo momento, non si rende ben conto di quanto accade. La sua espressione era cosí calma che Stuart, poco osservatore, ritenne per certo che ella fosse soltanto sorpresa e molto incuriosita. - La signorina Pitty ci ha detto che non volevano annunciarlo ufficialmente fino all'anno venturo, perché Melania è stata poco bene; ma con le voci di guerra che ci sono in giro, le famiglie hanno pensato che era meglio sollecitare il matrimonio. Cosí il fidanzamento sarà annunciato domani sera, durante la cena. Ora che ti abbiamo detto il segreto, devi prometterci di cenare con noi. - Senza dubbio - rispose Rossella automaticamente. - E tutti i valzer? - Tutti. - Sei un tesoro! Scommetto che gli altri saranno furenti. - Che ce ne importa? - disse Brent. - In caso l'avranno da fare con noi. Un'altra cosa, Rossella: domattina, a mangiare la porchetta, siedi accanto a noi. - Che cosa? Stuart ripeté la domanda. - Va bene. I gemelli si guardarono giubilanti ma con una certa sorpresa. Benché si ritenessero i corteggiatori favoriti di Rossella, non avevano mai fino ad ora ottenuto cosí facilmente dei segni del suo favore. Di solito ella lasciava che pregassero e supplicassero, prendendoli in giro, rifiutando di dire un sí o un no, ridendo quando si imbronciavano, diventando glaciale quando si adiravano. Ed ora aveva promesso praticamente di trascorrer con loro tutta la giornata seguente: stare con loro durante quella colazione all'aperto in cui si mangiava la porchetta arrostita intera, e poi tutti i valzer (avrebbero pensato loro a far suonare soltanto dei valzer!) e la cena. Valeva la pena di farsi espellere dall'Università. Pieni di nuovo entusiasmo per il loro successo, si gingillarono parlando del pic-nic, del ballo e di Ashley Wilkes e di Melania Hamilton, interrompendosi l'un l'altro, scherzando e ridendo e cercando di farsi invitare a cena. Passò un po' di tempo prima che si accorgessero che Rossella non parlava. L'atmosfera era mutata. I gemelli non capirono perché, ma lo splendore del pomeriggio era scomparso. Sembrava che Rossella prestasse poca attenzione a ciò che essi dicevano, benché rispondesse correttamente. Intuendo qualche cosa che non riuscivano a comprendere, annoiati e contrariati, i gemelli esitarono alquanto; quindi si alzarono con riluttanza, guardando i loro orologi. Il sole era basso al di là dei campi arati, e i grandi boschi oltre il fiume apparivano piú grandi nei loro neri profili. Le ombre dei comignoli spiccavano sul cortile; e galline, anatre, tacchini attraversavano i campi barcollando sulle gambe corte. Stuart urlò: - Jeems! - Dopo un istante un giovinotto negro della loro età, alto e robusto, corse ansante, girando attorno alla casa verso i cavalli legati. Era il loro servitore e, come i cani, li accompagnava dovunque. Era stato il compagno di giochi della loro infanzia, regalato poi ai gemelli, in loro proprietà, per il loro decimo compleanno. Vedendolo, i cani dei Tarleton si alzarono dalla rossa polvere e rimasero ad attendere i loro padroni. I ragazzi si inchinarono e strinsero la mano a Rossella dicendole che l'indomani mattina si sarebbero trovati di buon'ora ad attenderla dinanzi alla casa dei Wilkes. Quindi si affrettarono a raggiungere i loro cavalli, balzarono in sella e, seguiti da Jeems, si avviarono al galoppo lungo il viale di cedri, agitando i cappelli ed emettendo grida di saluto. Oltrepassata la curva della strada polverosa che li nascondeva alla vista di Tara, Brent fermò il suo cavallo sotto a una macchia di còrnioli. Anche Stuart si fermò e il ragazzo negro rimase a qualche passo di distanza. I cavalli, sentendo che le redini erano lente, allungarono il collo a brucare le tenere erbette primaverili, e i cani pazienti si sdraiarono nuovamente nella soffice polvere rossa e guardarono con bramosa nostalgia il fumo dei comignoli che svaniva nel cielo crepuscolare. La larga faccia ingenua di Brent aveva un'espressione di stupore e di lieve indignazione. - Senti: non ti pare che avrebbe dovuto invitarci a cena? - disse a suo fratello. - Infatti - rispose Stuart. - Credevo che lo avrebbe fatto. Lo aspettavo. E invece non ci ha detto nulla. Che ne dici? - Niente. Ma mi pare che avrebbe dovuto invitarci. Dopo tutto, è il primo giorno che siamo a casa, e avevamo tante altre cose da dirle. - Quando siamo arrivati, mi è sembrato che fosse molto contenta di vederci. - È sembrato anche a me. - E poi, circa mezz'ora fa, è diventata silenziosa come se avesse mal di capo. - Infatti; ma lí per lí non ci ho badato. Che cosa credi che avesse? - Non saprei. Abbiamo forse detto qualche cosa che l'ha irritata? Rimasero per un minuto a riflettere. - Non ne ho nessun'idea. Del resto, quando Rossella si irrita, se ne accorgono tutti. Non si comporta come le altre ragazze. - Sí, e questo è quello che mi piace in lei. Non diventa fredda e astiosa, ma dice le sue ragioni. Sarà qualche cosa che abbiamo fatto o detto che l'ha fatta diventare silenziosa e quasi annoiata. Giurerei che quando siamo arrivati è stata contenta e aveva l'idea d'invitarci a cena. - Non sarà perché siamo stati espulsi? - Ma no! Non dire sciocchezze. Ha riso tanto quando glielo abbiamo raccontato... - E poi Rossella non ha maggior passione pei libri di quanta ne abbiamo noi. Si volse sulla sella e chiamò il negro. - Jeems! - Badrone? - Hai sentito di che cosa parlavamo con la signorina Rossella? - Mai piú, Mr. Brent! Come bensare che io stare a spiare signori bianchi? - Spiare! Voialtri negri sapete sempre tutto quello che succede. Del resto, bugiardo che sei, ti ho visto coi miei occhi gironzolare attorno al porticato e accoccolarti nel cespuglio dei gelsomini accanto al muro. Dunque: ci hai sentito dire qualche cosa che può avere irritato la signorina Rossella o aver ferito i suoi sentimenti? Interrogato in questo modo, Jeems smise di fingere di non aver udito la conversazione e aggrottò la sua nera fronte. - Veramende io non essere accorto che aver detto niente che botere irritarla. Mi è sembrato che essere molto condenda di vedere miei badroni, ed essere felice come un uccellino fino a quando avere barlato del fidanzamento di Mr. Ashley con miss Melly Hamilton. Allora essere diventata silenziosa come uccello quando vede volare falco. I gemelli si guardarono e annuirono, ma senza capire. - Jeems ha ragione. Ma non vedo perché - disse Stuart. - Dio mio! Ashley è soltanto un amico per lei. Non è innamorata di lui. È innamorata di noi. Brent annuí. - Forse si sarà adirata perché Ashley non le ha dato la notizia prima che agli altri. Sono amici da tanti anni; e poi le ragazze tengono molto ad essere informate per prime di queste cose. - Può darsi. Ma che ci sarebbe di male? Doveva essere un segreto, una sorpresa... e uno ha bene il diritto di serbare il silenzio sul proprio fidanzamento, no? Noi non lo avremmo saputo se non ce lo avesse detto la zia di miss Melania. Ma Rossella doveva sapere che un giorno o l'altro ci sarebbe stato questo matrimonio. Noialtri, infatti, lo sapevamo da anni. I Wilkes e gli Hamilton si sposano sempre tra cugini. Tutti sapevano che l'avrebbe probabilmente sposata, come Gioia Wilkes sposerà il fratello di Melania, Carletto. - E va bene, sarà cosí. Ma mi secca che non ci abbia trattenuti a cena. Ti giuro che non ho nessuna voglia di andare a casa e sentire quello che dirà la Mamma per la nostra espulsione. Non è la prima volta! - Forse a quest'ora Boyd l'avrà calmata. Ci riesce sempre, con le sue chiacchiere, quel vermiciattolo! - Sí, ci riesce, ma gli ci vuole del tempo. Parla, parla finché la confonde e allora la Mamma gli dice che la smetta e si risparmi la voce per quando farà l'avvocato. Ma in queste poche ore non è stato certo possibile. Scommetto che la Mamma è cosí eccitata per il suo nuovo cavallo che non si ricorderà neppure che siamo tornati, finché non siederà a cena e vedrà Boyd. E prima che la cena sia finita farà fuoco e fiamme. Arriveranno le dieci prima che Boyd trovi il momento opportuno per dirle che non sarebbe stato onorevole che uno della famiglia fosse rimasto in collegio dopo che il rettore ha trattato te e me in quel modo. E ci vorranno due ore perché Boyd le faccia cambiare umore; a mezzanotte sarà diventata furibonda contro il rettore e chiederà a Boyd perché non lo ha ammazzato. No, non possiamo andare a casa prima di mezzanotte. I gemelli si guardarono cupamente. Non avevano paura dei cavalli selvaggi, delle risse e delle questioni che finivano a rivoltellate, ma avevano un sacro terrore delle sgridate della loro fulva genitrice e dello scudiscio che ella maneggiava senza ritegno. - Facciamo una cosa - riprese Brent. - Andiamo dai Wilkes. Ashley e le ragazze saranno contenti di averci a cena. Stuart crollò il capo, sconfortato. - No, non ci possiamo andare. Saranno sottosopra a preparar tutto per domani; e poi... - Oh, non ci pensavo piú - interruppe Brent. - Hai ragione; non ci andiamo. Diedero la voce ai cavalli e per un po' di tempo cavalcarono in silenzio; sulle abbronzate guance di Stuart era apparso un rossore di imbarazzo. Fino all'estate precedente Stuart aveva fatto la corte a Lydia Wilkes con l'approvazione di entrambe le famiglie e dell'intera contea. Tutti pensavano che la fredda e contegnosa Lydia avrebbe prodotto su lui l'effetto di un calmante. O almeno, lo speravano vivamente. E Stuart l'avrebbe sposata volentieri; ma Brent non approvò. Lydia gli piaceva, ma la trovava troppo semplice e innocua; impossibile innamorarsene anche lui, per far compagnia a Stuart. Era la prima volta che i gemelli non la pensavano allo stesso modo; e Brent era seccatissimo che suo fratello avesse delle attenzioni verso la fanciulla che a lui sembrava insignificante. E poi, l'estate precedente era accaduto che a una riunione politica che aveva luogo in un boschetto di querce, tutti e due avevano improvvisamente notato Rossella O'Hara. La conoscevano da molti anni e fin dalla loro infanzia era stata una delle compagne di giochi preferite, perché era capace di andare a cavallo e di arrampicarsi sugli alberi quasi tanto bene quanto loro. Ma adesso, con loro sorpresa, era diventata una giovine donna; ed era la piú graziosa e la piú simpatica del mondo. Per la prima volta si erano accorti che i suoi occhi verdi erano vivi e mobilissimi, che quando rideva faceva le fossette, che aveva mani e piedi piccini e una vita sottile. Queste loro osservazioni l'avevano fatta ridere clamorosamente e, solleticati dall'idea che essa li riteneva una coppia notevole, i due avevano sorpassato se stessi. Era stata una giornata memorabile nella vita dei gemelli. In seguito, ogni qualvolta ne parlavano, essi si chiedevano sempre come mai non avevano prima d'allora notato le qualità di Rossella. E non riuscivano a trovare la soluzione dell'enigma; cioè che Rossella aveva deciso, quel giorno, di farsi notare da loro. Ella era costituzionalmente incapace di sopportare che un uomo - chiunque fosse - si innamorasse di una donna che non era lei; e la vista di Lydia Wilkes che discorreva con Stuart era stata intollerabile per il suo carattere predace. Non contenta del solo Stuart, aveva gettato l'amo anche a Brent, ed era riuscita nel suo intento con una perfezione che sbalordiva entrambi i giovani. Ora erano tutti e due innamorati di lei, e tanto Lydia Wilkes quanto Enrichetta Munroe, di Lovejoy, a cui Brent aveva fatto una corte discreta, eran ben lontane dalla loro mente. Essi non si chiedevano quale sarebbe stato il perdente, qualora Rossella avesse scelto uno dei due. Avrebbero superato questa difficoltà quando fosse giunto il momento. Per ora erano contenti di essere nuovamente d'accordo sul conto della fanciulla, poiché fra loro non esisteva gelosia. Era una situazione che divertiva il vicinato e infastidiva la loro madre, la quale non aveva alcuna simpatia per Rossella. - Vi starà bene, se quella furbacchiona accetta uno di voi - soleva dire. - Oppure, può darsi che vi accetti entrambi, e allora dovrete andare a stare a Utah, se i Mormoni vorranno accogliervi... cosa di cui dubito... Quello che mi preoccupa è che un bel giorno vi picchierete perché sarete gelosi uno dell'altro a causa di quella piccola e falsa creatura dagli occhi verdi, e vi ammazzerete. D'altronde, anche questa non sarebbe una cattiva idea. Dal giorno della riunione politica, Stuart si era sempre trovato a disagio dinanzi a Lydia. Non che essa gli avesse mai mosso alcun rimprovero o avesse dato a divedere menomamente di essersi accorta del suo mutamento. Era troppo signora per farlo. Ma Stuart si sentiva colpevole verso di lei. Sapeva di essere riuscito a farsi amare e che Lydia lo amava ancora; e, nel profondo del cuore, sentiva di non essersi comportato da gentiluomo. Continuava a trovarla molto simpatica e la rispettava per il suo contegno freddo ed educato, per la sua istruzione e per tutte le sue qualità. Ma, accidenti!, era sempre cosí pallida e poco interessante e monotona, paragonata al fascino brillante e mutevole di Rossella. Con Lydia si sapeva sempre a che punto si era, mentre con Rossella non lo si sapeva mai. Questo poteva portare un uomo alla demenza, ma aveva il suo fascino. - Allora, andiamo da Cade Calvert e ceniamo da lui. Rossella ha detto che Caterina è tornata da Charleston. Forse avrà qualche notizia di Forte Sumter che ancora ignoriamo. - Caterina? Sono pronto a scommettere due contro uno che non sa neppure che il Forte era sopra al porto, e tanto meno che era pieno di yankees prima che noi li scacciassimo. Lei sa soltanto parlare dei balli a cui è stata e dei corteggiatori di cui ha fatto collezione. - Ad ogni modo, quando chiacchiera è divertente. Ed è un modo di passare il tempo finché Mammà sarà andata a letto. - E va bene, perbacco! Caterina è simpatica e piacevole, e sarò contento di aver notizie di Càrolo Rhett e dell'altra gente di Charleston; ma che il diavolo mi porti se tollero di mangiare ancora una volta avendo a tavola quella yankee della sua matrigna. - Non essere cosí aspro verso di lei, Stuart. È piena di buone intenzioni. - Non sono aspro. È una donna che mi fa pena, ma non mi piace la gente che mi fa pena. E poi continua a girare intorno, cercando di fare del suo meglio perché uno si senta come a casa sua; ma riesce sempre a fare e dire tutto il contrario di quello che dovrebbe. Mi dà ai nervi! E crede che i meridionali siano selvaggi. Lo ha detto alla Mamma. Ha paura della gente del Sud. Quando siamo da lei, è terrorizzata. Mi dà l'idea di una gallina pelle e ossa, arrampicata su una sedia, con gli occhi brillanti e spauriti, pronta a starnazzare e schiamazzare al piú piccolo movimento dei presenti. - Dopo tutto, non puoi biasimarla. Ricordati che hai ferito Cade in una gamba. - Ero esasperato perché ero stato picchiato, altrimenti non lo avrei fatto. E Cade non me ne ha serbato alcun rancore. E neanche Catina, né Raiford, né il signor Calvert. Solo quella matrigna yankee ha strepitato dicendo che ero un selvaggio e che le persone perbene non potevano stare in mezzo a questi meridionali incivili. - Non si può darle torto. È yankee ed ha avuto un'ottima educazione; e poi, hai ferito il suo figliastro. - Vai all'inferno! Non è una buona ragione per insultarmi! Tu sei figlio, vero figlio, di Mammà; ma si è forse risentita quella volta che Tony Fontaine ti ha ferito alla gamba? Niente affatto; si limitò a mandare a chiamare il vecchio dottor Fontaine per medicarti e gli chiese come mai Tony mirasse cosí male. E disse che secondo lei le frustate danneggiavano l'abilità di un tiratore. Ti ricordi come si infuriò Tony per questo? I due ragazzi risero saporitamene. - La Mamma è un tipo! - approvò affettuosamente Brent. - Si può sempre esser sicuri che sa come regolarsi e che non vi fa mai fare brutta figura di fronte agli estranei. - Sí; ma è capacissima di farci fare una figura pessima dinanzi al Babbo e alle ragazze stasera quando arriviamo a casa - replicò Stuart abbattuto. - Sono sicuro, Brent, che in questo modo non riusciremo ad andare in Europa. Sai che la Mamma ha detto che se ci facevamo espellere da un altro collegio non avremmo fatto il nostro viaggio. - Beh! E che ce n'importa? Che c'è da vedere in Europa? Scommetto che quegli stranieri non hanno da mostrarci nulla che noi non abbiamo già in Georgia. I loro cavalli non sono piú veloci dei nostri né le loro ragazze piú graziose; e sono sicuro che il loro wisky di segala non può stare a paragone di quello del Babbo. - Ashley Wilkes ha detto che hanno un'infinità di teatri e di musica. Ad Ashley l'Europa piace molto. Non fa che parlarne. - Oh, sai bene come sono i Wilkes. Smaniosi di libri, di teatri, di musica. Mammà dice che è perché il loro nonno veniva dalla Virginia, e i Virginiani attribuiscono un grande valore a queste cose. - Beh, facciano pure. Quanto a me, con un buon cavallo e un buon liquore e una brava ragazza da corteggiare e un'altra... non brava con la quale divertirmi, sto benone qui come in Europa! Che ce n'importa di non fare il viaggio? Figúrati, se fossimo in Europa adesso e scoppiasse la guerra? Non avremmo altro pensiero che di tornare a casa al piú presto. Preferisco infinitamente andare alla guerra che in Europa. - Anch'io, il giorno in cui... Oh, senti! Ho pensato dove possiamo andare a cena. Attraversiamo la palude e andiamo a dire ad Abele Winder che siamo tornati tutti e quattro e siamo pronti per le esercitazioni militari. - Ottima idea! - esclamò Brent con entusiasmo. - Sapremo cosí tutte le notizie dello squadrone, e che colore hanno scelto finalmente per le uniformi. - Se sono uniformi da zuavo, mi faccio impiccare piuttosto che andare a fare il soldato! Con quei calzoni larghi, rossi, mi sembrerebbe di essere una donnetta. Somigliano alle mutande da donna di flanella rossa. - Badroni avere intenzione di andare da Mist' Wynder? - chiese Jeems. - Perché se avere quest'idea, gredo che non trovare molto da mangiare. Loro guoco morto e non avere angora gombrato altro. Fare gucinare da una donna, e un negro avere detto che essere peggiore guoca di tutta regione. - Dio benedetto! E perché non lo hanno comprato? - Gosa volere che può gombrare bovero bianco straccione? Non avere mai avuto molti negri e non di buona razza. Nella voce di Jeemes era uno schietto disprezzo. Egli era sicuro della propria condizione sociale, perché i Tarleton possedevano cento negri, e - come tutti gli schiavi delle grandi piantagioni - guardava dall'alto in basso i piccoli coltivatori che possedevano pochi schiavi. - Bada che ti levo la pelle! - gridò Stuart irritato. - Non ti permetto di chiamare Abele Wynder un «bianco straccione». Sarà povero, ma non straccione. E nessuno dei miei uomini, nero o bianco che sia, deve arrischiarsi a parlar male. Non vi è uomo migliore nella Contea; altrimenti perché lo squadrone lo avrebbe eletto luogotenente? - Non avere mai dubitato, badrone - riprese Jeems senza scomporsi per la sfuriata del suo padrone. - Ma io bensare che loro fare meglio scegliere ufficiali fra giovani ricchi invece che fra miserabili della palude. - Non è un miserabile! Vorresti forse paragonarlo ai bianchi veramente poveri, come gli Slattery? Soltanto, non è ricco. È un piccolo coltivatore, non un piantatore in grande; e se i ragazzi hanno avuto tanta stima di lui da eleggerlo luogotenente, nessun negro può arrischiarsi a parlarne impudentemente. Lo squadrone sa quello che fa. Lo squadrone di cavalleria era stato organizzato tre mesi prima, lo stesso giorno in cui la Georgia si era separata dall'Unione; da allora, però, le reclute non avevano piú molta speranza che si facesse la guerra. Il reparto non aveva ancora un nome, benché non mancassero i suggerimenti: ciascuno aveva un'idea in proposito e non aveva voglia di rinunciarvi; come ciascuno aveva anche un'idea intorno al colore e alla foggia delle uniformi. «I gatti selvaggi di Clayton» - «I mangiatori di fuoco» - «Zuavi» - «Fucilieri dell'Interno» (benché lo squadrone dovesse essere armato di pistole, sciabole, pugnali e non di fucili) «Gli sterminatori» - «Rapidi e violenti» - tutti avevano i loro aderenti. Ma finché non si prendeva una decisione, tutti parlavano dell'organizzazione come dello squadrone e malgrado il nome sonoro finalmente adottato, esso fu conosciuto sino alla fine come «Lo Squadrone». Gli ufficiali erano eletti dai membri, perché nessuno nella Contea aveva esperienza militare, ad eccezione di pochi veterani delle guerre col Messico e coi Seminoli; d'altronde, lo Squadrone avrebbe disprezzato un veterano come capo, se non lo avesse personalmente amato e stimato. Tutti quanti avevano simpatia per i quattro ragazzi Tarleton e per i tre Fontaine, ma purtroppo non li avevano potuti eleggere, perché i Tarleton erano troppo vivaci e amavano far delle mattane e i Fontaine avevano un carattere troppo impetuoso e attaccabrighe. Ashley Wilkes era stato eletto capitano perché era il miglior cavallerizzo della Contea e perché si faceva assegnamento sulla sua calma per mantenere un poco d'ordine; Raiford Calvert era stato fatto primo luogotenente perché tutti gli volevano bene, e Abele Wynder, figlio di un cacciatore delle paludi e piccolo coltivatore per conto suo, era stato nominato secondo luogotenente. Abele era un gigante, grave, furbo, illetterato, pieno di cuore, maggiore di età degli altri ragazzi, ma altrettanto educato, e anche di piú, in presenza delle signore. Vi era poco snobismo nello Squadrone. Troppi, fra i padri e i nonni dei componenti, erano arrivati alla loro attuale situazione cominciando con l'essere dei piccoli coltivatori. Inoltre, Abele era il piú bravo tiratore dello Squadrone, un vero puntatore che colpiva la testa di uno scoiattolo a settanta metri; ed era pratico di vita all'aperto, capace di accendere il fuoco sotto la pioggia, di scoprire sorgenti, di catturare animali. Lo Squadrone si inchinava dinanzi al merito; e siccome avevano anche simpatia per lui, lo nominarono ufficiale. Egli accettò l'onore gravemente senza eccessiva ritrosia, come se gli fosse dovuto. Ma le mogli e gli schiavi dei piantatori non potevano lasciar passare il fatto che egli non era nato gentiluomo, benché i loro signori e padroni lo trascurassero. Da principio, lo Squadrone era stato reclutato soltanto tra i figli dei piantatori: una truppa di signori, ciascuno dei quali provvedeva il proprio cavallo, l'equipaggiamento, l'uniforme e l'attendente. Ma i ricchi piantatori non erano numerosi nel giovine paese di Clayton; e per mettere assieme uno squadrone degno di tal nome si era dovuto estendere il reclutamento anche ai figli dei piccoli coltivatori, ai cacciatori della foresta, a quelli che tendevano i lacciuoli nelle paludi, e, in pochissimi casi, anche ai bianchi poveri, se erano al disopra della media della loro classe. Questi ultimi giovinotti erano ansiosi di combattere contro gli inglesi - il giorno in cui scoppiasse la guerra - non meno dei loro ricchi vicini; ma vi era la delicata questione del denaro. Ben pochi fra i piccoli coltivatori possedevano cavalli. Per i lavori della loro proprietà si servivano di muli; e anche di questi, non ne avevano d'avanzo: raramente piú di quattro. Non si poteva privarsene per mandarli in guerra, anche se lo Squadrone li avesse accettati, ciò che non avvenne. Quanto ai rifiuti bianchi della palude, questi stimavano di essere già in condizione abbastanza buona quando possedevano una mula. I cacciatori della foresta e quelli della palude non avevano né cavalli né muli. Essi vivevano esclusivamente dei prodotti della loro terra e di caccia, commerciavano generalmente col sistema degli scambi e vedevano raramente cinque dollari in un anno; quindi cavalli e uniformi erano per loro irraggiungibili. Ma erano tanto orgogliosi nella loro povertà quanto i piantatori nella loro ricchezza; e non avrebbero accettato nulla, da quelli, che potesse apparire un'elemosina. Cosí, per salvaguardare i sentimenti di tutti e per dare allo Squadrone tutta la necessaria efficienza, il padre di Rossella, John Wilkes, Buck Monroe, Giacomo Tarleton, Ugo Calvert, tutti, insomma, i grandi piantatori della Contea con l'unica eccezione di Angus MacIntosh, si erano quotati per equipaggiare completamente lo Squadrone: uomini e cavalli. L'essenza dell'affare fu che ogni piantatore convenne di pagare l'equipaggiamento dei propri figli e di un certo numero di altri; ma la cosa fu trattata in modo che i membri meno ricchi potettero accettare cavalli ed uniformi senza offesa per il loro onore. Lo Squadrone si riuniva due volte la settimana a Jonesboro per fare le esercitazioni e pregare che la guerra cominciasse. Non erano ancora state completate le disposizioni per procurare tutti i cavalli occorrenti, ma quelli che avevano già i cavalli compivano ciò che immaginavano fossero manovre di cavalleria, dietro al Tribunale, sollevando un'enorme quantità di polvere, emettendo grida rauche e agitando le sciabole della Guerra Rivoluzionaria che erano state staccate dalle pareti del salone. Quelli che non avevano ancora il cavallo sedevano sull'orlo del marciapiedi dinanzi alla bottega di Bullard, e osservavano i loro camerati, masticando tabacco e raccontando delle storie. Oppure facevano delle gare di tiro. Non occorreva insegnare a nessuno a tirare a segno. La maggior parte dei meridionali era nata col fucile in mano; e la vita del cacciatore aveva fatto di tutti loro dei tiratori scelti. Dalle case dei piantatori e dalle capanne fra le paludi venne fuori una quantità di armi da fuoco svariate. Lunghi fucili da caccia che datavano dall'epoca della prima traversata degli Alleghany, vecchi tromboni ad avancarica, pistole da cavallo che erano servite nel 1812, pistole da duello con l'impugnatura ageminata d'argento, pistole a canna corta, moschetti a doppia canna e carabine inglesi di nuovo modello, col calcio di legno prezioso. Le esercitazioni terminavano sempre nei saloni di Jonesboro e al cader della notte erano già scoppiate tante risse, che gli ufficiali avevano il loro da fare per evitare ferimenti prima che questi fossero inflitti dagli inglesi. Era stato durante uno di questi tafferugli che Stuart Tarleton aveva ferito Cade Calvert e Tony Fontaine aveva ferito Brent. I gemelli erano appena tornati a casa, espulsi dall'Università di Virginia; lo Squadrone era stato organizzato in quei giorni ed essi avevano aderito con entusiasmo; ma dopo la rissa, avvenuta due mesi prima, la madre li aveva impacchettati e spediti all'Università statale, con l'ordine di non muoversi. Durante la loro assenza, essi avevano penosamente sentito la mancanza dell'eccitazione data dagli esercizi militari; ritenevano che la loro educazione fosse incompleta se non potevano cavalcare, gridare e sparar fucilate in compagnia dei loro amici. - Bene, allora andiamo da Abele - concluse Brent. - Attraversando il fiume degli O'Hara e il prato dei Fontaine, arriviamo in un momento. - Non drovare nulla di mangiare; solo garne di sariga e un po' di legumi - obbiettò, Jeems. - Tu non avrai un bel niente - sghignazzò Stuart. - Andrai a casa ad avvertire la Mamma che non torniamo a cena. - Oh no, no! - esclamò Jeems spaventato. - No, no! non piacere assaggiare scudiscio di miss Beatrice piú forte che con badroni! Brima di tutto lei arrabiarsi con me perché badroni nuovamente espulsi. E poi, perché io non avervi fatti tornare a casa stasera e lei potervi dare grossa lezione. E poi diventare furia come se tutto questo essere colpa mia e frustarmi forte. Se non volete portarmi da mist' Wynder, io restare nei boschi tutta la notte e forse guardie pattuglie prendere povero Jeems, ma io preferire guardie piuttosto che miss Beatrice quando essere infuriata. I gemelli guardarono con perplessità e indignazione il risoluto ragazzo negro. - Sarebbe capace davvero di farsi prendere dalle guardie, e questo darebbe argomento ai discorsi di Mammà per qualche settimana. Giuro che i negri sono un bel fastidio. A volte penso che gli abolizionisti abbiano ragione. - In fondo, non è giusto fare affrontare a Jeems quello che non vogliamo affrontare noi. Lo porteremo con noi. Ma guarda, negraccio impudente, che se ti sogni di darti delle arie coi negri di Wynder e di raccontar loro che da noi si mangia pollo e prosciutto mentre loro non hanno che coniglio e sariga, ti... lo dirò alla Mamma. E non ti faremo neanche venire alla guerra con noi. - Arie? Io darmi arie con quei miserabili? No, badrone; io avere educazione! E miss Beatrice avermi insegnato modo di gomportarmi come avere insegnato a tutti voi. - Non ha avuto un gran risultato con nessuno dei tre - rise Stuart. - Via, andiamo. Diede la voce al suo cavallo rossiccio e spronandolo leggermente gli fece saltare con facilità lo steccato divisorio della proprietà di Geraldo O'Hara, e si trovò nel soffice campo. Il cavallo di Brent lo seguí e dopo di lui quello di Jeems, col negro afferrato alla criniera e al pomo della sella. A Jeems non piaceva saltare gli ostacoli; ma ne aveva saltato anche dei piú alti per seguire i suoi padroni. Mentre si avviavano attraverso i solchi purpurei e scendevano la collina verso il fiume nel crepuscolo che diventava sempre piú cupo, Brent gridò a suo fratello: - Senti un po', Stu! Non ti pare che Rossella avrebbe dovuto invitarci a cena? - Infatti credevo che lo facesse - gridò a sua volta Stuart. - Ma perché...

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222511
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Havvi in Napoli un numero esorbitante di dame e di damigelle, residenti nei differenti monasteri, consevatorii e ritiri della città: oserei dire esservi pochissime famiglie, che non abbiano uno o più membri del sesso debole depositati, come oggetti di manomorta, in que' ricettacoli delle domestiche superfluità. - Una signora, da più anni ritirata in un convento, fu colpita da apoplessia. Non rimessa interamente, un giorno stramazzò a terra. Al rumore della caduta, accorsa una giovine conversa, e trovatala sola, tutta intrisa di sangue, la sollevò da terra e la ripose sul letto. Per quest'atto doveroso fu sgridata dalla superiora. "Doveva dunque lasciarla morire in terra?" domandò la conversa. "Dovevi chiamare un'altra signora ritirata; quelle della stessa classe se la intendono meglio tra di loro." Nè meno prive di misericordia e di compianto sono le esequie delle monache. Un lutto sincero, un rimpianto cordiale, il tributo di alcune lagrime sulla tomba di una defunta compagna, sono in convento fenomeni più rari di quello che nel mondo lo siano le commozioni suscitate dal teatro. L'apatia, che presso gli stoici era virtù, presso le monache è effetto di calcolo e d'egoismo. - È uso sotterrare le morte per lo più nella mattina: non sì tosto il cadavere è calato nella fossa, suona il refettorio, e guai alle converse, se, per motivo del funerale, i consueti maccheroni hanno avuto soverchia cottura! Bastano questi cenni intorno alla carità per le inferme ed al rispetto per le morte: ora riferirò qual cosa di relativo ad un'altra specie di carità. Una contadina, chiuse nel chiostro la propria figlia, graziosa giovinetta di dieiott'anni, non volendo darle per sposo il giovane che quella amava. La badessa, condiscendente verso quante avevano voto nella elezione triennale, usò massimo rigore a quella contadinella, non propensa alla schiavitù monastica, ed ancor meno avvezza all'atmosfera, non ventilata del convento. Una sera, mentre le suore erano a cena, essa discese per attingere l'acqua. - Non ritornò: si manda in cerca di lei, non si rinviene in nessuna parte. Metà per nostalgia, metà per amoroso cordoglio, erasi essa precipitata nel pozzo. Le monache corrono alla porteria, e fanno entrare degli uomini, che per buona sorte estraggono viva ancora la giovinetta. La badessa, invece di profondere a quella misera i conforti che reclamava la circostanza, la confinò in un remoto gabinetto, condannandola ad un mese di detenzione; ma la mattina appresso, nell'aprire l'uscio, la reclusa fu trovata morta, appesa per la gola ad una fune. Per conservare intatto l'asse paterno all'erede maschio, un'agiata famiglia aveva monacato le due prime figlie, e riservava alla terza la medesima sorte. La fanciulla è a quest'uopo da' genitori condotta in Napoli fin dall'anno duodecimo di sua età, e l'accompagna al cenobio un cane barbone, ch'essa ha preso da piccolo ed allevato con amore singolare. Giunto il momento del distacco, quest'amico inseparabile non sa persuadersi che conviene dalla diletta padroncina inevitabilmente disgiungersi. Più caldo nell'affetto suo che non sono gli stessi genitori, li lascia volgere il tergo a ciglia asciutte, e quando nel parlatorio non ravvisa più l'oggetto della sua devozione, si mette a guaire lamentevolmente, come per supplicare la giovinetta ad affrettare il ritorno. Non avendo i cani accesso nel convento, il frate portinaio lo discaccia a calci; ma l'animale, indifferente ai maltrattamenti che riceve, ratto ritorna al sito ove ha veduta l'amica per l'ultima volta, ed ivi, sdraiato sul lastrico del portico,intirizzito dal freddo, non fa che ululare a segno da straziar le viscere. All'ora in cui si chiudono i cancelli messo fuor della porta, passa l'intera notte a lamentarsi; ma l'indomani, mosso il vicinato a pietà, gli reca del pane e delle carezze. Il cane rifiuta e quello e queste, nè cessa di piangere. Pianse senza tregua per due giorni e due notti, mentre in alto l'educanda rimaneva non meno inconsolabile. Alfine, di quel dramma tediate le monache, deliberarono di troncarne il filo sollecitamente. Il povero cane ucciso, chi sa come, fu, al mattino del terzo dì, trovato morto..... all’orlo del sepolcro vivo della sua padrona. Al tempo del debole governo di mia zia, una monaca volle congedare la sua conversa per prenderne un'altra che più le aggradiva. La conversa, che non poteva capacitarsi di ciò, si buttò più volte a' piedi della padrona, ma la trovò inesorabile: ricorse al frate confessore di quella, ma pur senza profitto. Al penultimo giorno del servizio sparì; si cercò dappertutto, in ultimo si scese nelle cantina: erasi rannicchiata sotto un ammasso di fascine. La padrona ordinò che la fosse tirata di là sotto, e a viva forza trascinata alla porteria. La poveretta, che urlava come matta, nel passare innanzi ad una cappella, gridò imprecando: "Signore, muoia chi ci ha colpa!" Per una curiosa combinazione, tre mesi dopo, il monaco cadeva in Via dei Tribunali colpito da morte istantanea. Due converse servivano la medesima padrona: una era giovane, l'altra vecchia. La prima, piuttosto sguaiata e pazzarella, non potendo più lungamenbe tollerare le ammonizioni dell'attempata, concepì lo scellerato disegno di farla morire, condendole l'insalata coll'olio di verderame. L'infelice, travagliata da vomito e da acerbissime doglie viscerali, stava vicina a perire, senza che alcuna di noi ne penetrasse la causa. Per buona ventura accortosi il medico dell'agente deleterico e praticata una visita minuziosa nella cucina, vi trovò l'olio divenuto verde per un pezzo di rame in esso intinto. I rimedi giunsero opportuni, e la vecchia fu salva. Non rifinirei mai se volessi qui raccontare tutti i tratti d'inumanità, che all'insaputa delle leggi dentro i recinti del chiostro impunemente si commettono. Viva tuttora conservasi nella memoria del pubblico napoletano la ricordanza de' sotterranei scoverti l'anno 1848 nel monastero de' Gesuiti (evacuate pel loro esilio) e dell'ossuario di neonati rinvenuto in una di quelle orride cripte. Ma io non voglio citar avvenimenti, di cui pur non possa guarentire la realtà; perlochè tralascio gli ulteriori esempi, e passo ad altro argomento di non minor rilievo.

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