Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Otto giorni in una soffitta

204637
Giraud, H. 3 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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- Prima che i fanciulli abbiano capito, la porta si apre e.... la loro figlia Nicoletta, fresca e ben vestita, entra. Non vi sono parole che possano descrivere questa scena. Grida, risate, baci, Maurizio che balla vertiginosamente, spiegazioni confuse e sconnesse.... Ma alla fine s' intendono, e i tre babbi, lieti di ritornare fratelli, sono ancora più felici che la mamma abbia accolto così bene Nicoletta. - Sì, - dice la mamma un po' severa - non voglio sciuparvi questa bella giornata sgridandovi, e rattristare Nicoletta, ma sono però molto afflitta di tutte queste menzogne. - L' intenzione era buona, però, - obietta Alano. - Non erano bugie cattive, - aggiunge Maurizio. - Una bugia è sempre cattiva, - riprende la mamma. - Perchè non mi avete scritto? - Francesco riprende la parola: - Avevamo paura di farti interrompere la cura, mamma; ed eri così sofferente, quando partisti! - Infine, - dice la mamma - per oggi non ne parliamo più: è giorno di gioia. - Ma ecco che arriva Maria, la quale non riesce a capire la storia se non dopo molto e molte spiegazioni. La sua

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Purchè non abbiano fatto qualcosa di grave. » La signora d'Aufran, perplessa, rimette i riccioli biondi nel cassetto e si mette la cintura. Un leggero grattare alla porta la fa sorridere: sa che è Matù. - Mrrrr, - fa Matù dietro la porta. E quando gli viene aperto, entra, maestoso, amabile e carezzevole con la sua padrona che ama tanto. I suoi grandi occhi verdi sono chiari come un'acqua limpida: è la gioia. La pupilla non è

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Egli è molto contento che lo zio Fil non chieda di vedere ogni giorno i loro compiti delle vacanze; si accorgerebbe, in quei due giorni, di una trascuratezza e di una negligenza inverosimili, poichè anche quella mattina passa senza che i ragazzi abbiano concluso gran che. Francesco, seduto davanti alla piccola biblioteca, che contiene, oltre i loro libri divertenti, anche i primi libri di lettura, cerca gli alfabeti, coi quali darà lezione a Nicoletta. Maria, tranquilla, apparecchia la tavola. La brava vecchia riflette, lavorando, che i tre fanciulli hanno avuto poche distrazioni da quando la loro mamma è partita. Non sono stati mai invitati i loro piccoli amici, non sono mai state fatte grandi passeggiate.... E Maria si propone di fare una bella sorpresa ai suoi padroncini. Va a parlare con Leonia e tutt'e due discutono. - Un bel coscìotto e dell' insalata russa, - dice Leonia. - Sì, - risponde Maria. - Ma in che giorno? - Il cosciotto, bisogna che lo abbia il giorno prima, - dichiara Leonia. - Giovedì prossimo, allora, - risponde Maria. - Andrò a trovarli oggi. - Da chi andrete? - Dai piccoli Aubry e dal piccolo Giovanni Bord che è così gentile. - Non ne portate troppi; - consiglia Leonia - se siete sola, faranno un tal fracasso.... Soltanto ragazzi, soprattutto. - Ohimè! - sospira Maria. - Non c' è mezzo d' invitare una bambina. Diventano insopportabili quando ce n' è una, e così odiosi che c' è da vergognarsene. - Leonia alza le spalle. - È un capriccio, e dovrà ben passare! - Sicuro, - replica Maria, ridendo. - E tuttavia amano tanto la mamma e non pensano che anche lei è stata una bambina. - Via, - conclude Leonia - sono idee da ragazzi viziati. Avrei voluto vedere, in casa nostra, dov'eravamo sei bambine e tre ragazzi, che non fossero stati gentili con noi! Avrebbero ricevuto una di quelle lezioni da far loro passare la voglia di rifarlo. - Bene, - dice Maria, che si rifiuta di ammettere che i suoi padroncini siano viziati, e se ne va ogni volta che entrano in simile argomento. - Vado a finire di preparar la tavola. Non so quello che hanno in questi giorni: divorano. Specialmente Maurizio non riesco a saziarlo. Ieri gli detti due grosse fette di arrosto, e lo inghiottì tutto. Non faccio in tempo a voltarmi, che ha già finito. - Bisogna stare attenti, - replica Leonia - perchè mangiar troppo alla svelta fa male. - E il tramesso, la sera? Eppure li servo abbondantemente. Ebbene, si rifanno daccapo. Non parlo poi del dolce e delle frutta, che fanno come la neve al sole! - Dovreste dare a ognuno la sua parte, - consiglia Leonia. - Potrebbe far loro male, mangiar troppo. - Oh, no! - ribatte Maria. - Preferisco vederli riprendere le pietanze che bere medicine. E poi m' imbrogliano. Ieri, del salame, ne avevo tagliato come sempre; ebbene, me ne mancavano quattro

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Angiola Maria

207148
Carcano, Giulio 3 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Tra l'una e l'altre c'era troppa distanza, perchè vivessero insieme nella concordia de' pen- sieri e del costume, ralle grandosi d' uguali speranze, senza invidia nè gelosia, vagheggiando lo stesso avvenire: la buona, la semplice amicizia ha bisogno di cuori che abbiano sempre la stessa fede, le stesse speranze, lo stesso amore. Era quello invece un bel sogno, sogno dorato, ma passeggiero. Un anno ancora, e forse le figliuole del lord, cercate da ricchi e illustri sposi, avrebbero dimenticata la loro amica, la compagna di pochi dì, alla quale non sarebbe rimasto altro che tornar più povera di prima, e infelice, dove prima non era infelice, alla deserta casa del suo villaggio. Pure Vittorina ed Elisa non pensavano che dovesse succeder così; sentivano ancora com'è dolce l' amare con quell'incerto desiderio e quella serenità modesta, che sono il più bel dono della giovinezza, prima che il soffio gelido del mondo, e le piccole superbie della società abbiano appannato i sinceri affetti del cuore. E Maria anch' essa, direi quasi, consapevole appena della vita, s' abbandonava alla malia di un sentimento che presto c' incatena, quando ci vediamo accarezzati, amati. Ma il soggiorno della città e le abitudini del mondo signorile dovevano presto rivelarle il vero, e farle sentire il molto amaro ond' era mista la poca gioia da lei gustata per breve stagione. Non andò gran tempo che gl' inviti a splendidi festini, a nobili brigate, le visite fatte e ricevute, secondo la legge d' una schizzinosa cerimonia, e i circoli de' forestieri divezzarono lord Leslie dalla solitudine a cui pareva essersi condannato. Le buone novelle politiche, venute dallo straniero, l' avevano riconciliato con le speranze d'una volta; frequentava le più illustri case, conduceva sempre con sè le figliuole, e voleva che Arnoldo le accompagnasse. Nel cuore dell' inverno, le armonie de' nostri teatri e l' allegria delle veglie e de' balli chiamarono ad altri pensieri, ad altre premure le due giovinette; le quali prima avevano menata vita troppo modesta e casalinga per non piacersi, come suole avvenire, di que' variati sollazzi che per esse avevano ancora la seducente lusinga della novità. Intanto Maria, in tutto quel tempo, e furono due lunghi mesi, visse quasi sempre abbandonata e solitaria, in mezze al tumulto della città, fra il continuo udir ricordare le feste del dì passato e il vedere gli altri apparecchiarsi a' piaceri del domani, feste e piaceri che non erano per lei! E quante volte desiderò di trovarsi a casa sua, al fianco di sua madre, accanto al suo arcolaio; e sentiva un accoramento di vedersi così negletta, e divorava in segreto le lagrime dell'amore e dell' abbandono! Quando rimaneva in casa, in quelle lunghe sere invernali che sembrano eterne a chi, nella solitudine, ha de' dolori a cui meditare; quando altro non le giungeva all' orecchio fuor del lontano mormorare, ch'è l' indizio della vita notturna d' una città, e pensava che nessuno poneva mente allo sfogo del suo dolore; allora, dopo aver tentato inutilmente d' occuparsi in una o in altra cosa, per disviar gli assidui pensieri che aveva in cuore, rimembrava la pace che non doveva trovar mai più, cercava di persuadersi della stoltezza di quell' amore che l'aveva fatta smarrire, e degli anni inutili, desolati, che ormai le restavano a passare. Nelle prove del dolore la sua anima confidente e pura aveva trovato la forza di conoscer In vita e la funesta sua realtà; poichè pare, pur troppo, che la conquista d'una ferma ragione debba valere il prezzo dell' innocenza e del disinganno : così bisogna che l' albero perda i suoi fiori, perché si fecondi il frutto. Maria, la quale non aveva veduto il mondo, non aveva trovato sul suo cammino se non persone amiche e liete di poterla amare, Maria, in quell' ore di solitaria tristezza, divenne una creatura nuova. Allora la vita, che un tempo si dipingeva dinanzi a lei così serena e bella, spogliavasi di tutta la sua magia; anch' essa la timida fanciulla provava in cuore una pena ignota, muta, indistinta, poi la puntura segreta del primo rimorso; anch' essa aveva una parola, un' acerba parola per domandare al Signore con che ragione l' avesse resa infelice! E non le parevano più cosa impossibile la malizia degli uomini e la fortuna de' cattivi; per la prima volta, l'amaro sorriso dell' odio aveva sfiorato la sua bocca; ella pure sentiva dentro di sè una forza intima, potente, la forza di disprezzare chi le aveva fatto del male. In que' momenti angosciosi, si metteva a scrivere al fratello lunghe lettere, nelle quali versava tutta l' amarezza dell' anima e il compianto del suo misero destino: erano fogli sparsi più di lagrime che di parole; era la pietosa 'onfessione d' un cuore che non sa reggere al primo colpo del dolore. E poi lacerava, bruciava ciò che aveva scritto; si sforzava d' essere tranquilla; e raccolti i pensieri, ponevasi a leggere con voce commossa í suo libro di preghiere, Così passarono per lei giorni e settimane di quel tristissimo inverno. Ben vide che sarebbe stato una follia il domandare alle amiche, perchè non la conducessero con loro, dopo ch' ella stessa s' era tante volte mostrata ritrosa d'accompagnarle; nè le fanciulle ebbero più cuore di pregarnela, quando si accòrsero che il padre repuguava all'intima confidenza da loro messa in Maria. La giovinetta, dunque, soffocava il suo affanno, e tremando sempre che una, parola, un gesto, un' occhiata potesse tradire quel segreto, il primo ch' ella avesse avuto, e che avrebbe voluto nascondere anche a sè medesima, cercava d' ingannar chiunque appena le volgesse uno sguardo; cercava di parer lieta, quando il suo cuore non era pieno che d'una sola malinconica idea. Era pur doloroso il veder sempre un mesto pallore sulla sua fronte, e un sorriso di gioia sulle sue labbra Ma, in quel tempo, il segreto turbamento d' altri e più gravi pensieri agitava la mente di Arnoldo. La quiete della meditazione, che fa nascere la necessità di conoscere e di sapere; la libertà dell' anima, che conduce allo studio di quanto v' è di più riposto nelle cose, e ché in mezzo al tumulto degli uomini è così facilmente dimenticato e perduto; la volontà, non più tentata da esterne apparenze e scevra d' ira o di timore, avevano fatto maturo l' intelletto del giovine a uno studio nuovo e più severo della vita. Troppo spesso la sana mente e la fredda ragione sono umiliate da una specie di vago abbattimento, da un amaro disgusto di tutto, perchè possano essere capaci di grandi e virtuose risoluzioni. La coscienza del dovere, senza l' alito segreto dell' affetto, non è virtù; perchè la virtù viva nel cuore, non basta la persuasione indotta dalla chiara evidenza del fatto; è forza che al fatto si trovi una spiegazione, un principio sovrano, il misterioso legame dell' anima con la vita. Arnoldo aveva conosciuto nella nostra città uno di quegli uomini di semplici costumi e d'animo incorrotto, i quali, in mezzo al mondo, seguono con passo sicuro una via negletta e taciturna, la via dell'onesta saggezza. Gli applausi e la gloria non sono per loro, anime grandi e oscure; ma sono per loro la tranquillità dell' uomo modesto e la forza del giusto: vengono sulla terra ignoti, passano dimenticati, e se ne vanno del pari; ma il frutto delle parole e dell'esempio loro sopravvive, nè può andar perduto. Quest' uomo, del quale non dirò il nome, perchè i buoni non cercano quaggiù lode nè invidia, paghi dell'amore de' pochi, nel piccolo cerchio di coloro che si ricordano del bene ricevuto; quest' uomo, colla dolcezza dei consigli e con la forza mite d' un senno angelico e consapevole del cuore umano, indirizzò e sostenne i pensieri di Arnoldo a quel fine a cui l'anima sua da tanto tempo anelava. Egli lo preparava a' gravi studi, lo nutriva di ferventi meditazioni e di calda volontà, ne accendeva il coraggio, e rinfrancava la vigilanza; gli prometteva la vittoria dopo la battaglia, e dopo la fatica il sospirato riposo. Alle severe lezioni di lui Arnoldo consacrava allora la maggior parte del suo tempo; ond' avveniva che si rimanesse, talvolta anche per interi giorni, lontano dalla suo casa e dall' amata giovinetta. E poi, al ritornarvi, quasi sempre lo videro mesto, chiuso ne' suoi pensieri; non parlava, e passava lunghe ore intento a nuove e severe letture, coll' animo combattuto da strane e inquiete fantasie. Nondimeno, con gran cautela, tenne nascosta a tutti la ragione di quelle sue assenze quotidiane, di quell' assidua e muta preoccupazione. Maria sola se n' era accorta, ma taceva; e per il suo cuore era un tormento di più. Pure, in mezzo a quest' ignota cura d' Arnoldo, vi era de' giorni ne' quali l'amore, quasi divenuto in lui una quieta abitudine, si faceva più forte del suo proposito, più grande della sua virtù. Allora egli s'abbandonava a' suoi sogni antichi, a quei fallaci disegni che fa sempre l' incauta giovinezza, persuasa la scusa dell' amore rendere tutto facile e giusto. Allora la leggiadra immagine di Maria non rallegrava più, come prima, tutti i suoi pensieri; il suo cuore era ardente, gravato; cercava spesso di lei; ma poi venutole vicino, sentiva conturbarsi; voleva parlarle, spiegarle l'amor suo, nè sapeva con che parole. E se mai avvenisse che i timidi occhi della fanciulla s'incontrassero per un momento ne' suoi, ella era colta da un terrore nascosto, non mai provato. Una mattina - era in febbraio - le due sorelle e Maria sedevano silenziose presso un tavolino di lavoro, non lontano dalla finestra, dalla quale penetrava una luce fosca attraverso i cristalli, dalla gelata nebbia notturna infiorati coi più bizzarri rabeschi. Arnoldo, appoggiato alla spalla del camino, volgeva distratto le pagine d'un volume che teneva fra mano. Poco di poi, essendo annunziata una mercantessa di mode, le due sorelle uscirono; e Arnoldo rimase solo con la fanciulla. Tacevano entrambi, e Maria non osava levar gli occhi dal lavoro, al quale pareva intenta. Arnoldo aveva posto giù il libro, e la rimirava, tutt'occupato in quella idea d'amore. Alla fine se le avvicinò, e con voce concitata e commossa, « Maria! » le disse « è tanto tempo che devo parlarvi, e voi.... » Maria taceva; ma il suo cuore era tremante, batteva rapido e forte.

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Arnoldo ne disperò quasi, ma Eugenio era là per consolarlo, per dargli buona speranza; l'assicurava esser quello un ghiribizzo, una delle solite furberie delle fanciulle, le quali vogliono vedersi correr dietro quei tapini che abbiano la disgrazia d' innamorarsi di loro. - Pure molti dì passarono, senza che l'uno o l'altro avesse potuto ancora sapere la verità. Ben aveva cercato più volte l'Eugenio di far parlare la crestaja, spacciando grandi promesse a nome dell'amico, ma non n' era venuto a capo: la buona donna fu muta, ostinata a custodire il segreto; quantunque il giovine pensasse ciò essere piuttosto malizia che virtù scrupolosa. Arnoldo, perduta la fiducia di ritrovarla, si rimise alla vita indifferente e monotona di prima, a quella vita tediosa che coli' inerzia del di fuori ricopre l'interno cruccio. Così era venuto il dicembre. « Eugenio! » diceva adunque Arnoldo al suo nuovo amico, quella mattina in cui l'abbiamo trovato che passeggiava nella sala dell'albergo: « Eugenio, sedete qui, accanto a me. Le prove d'amicizia che m'avete dato, il vostro onesto costume, la vostra premura, meritano ch' io metta in voi maggior confidenza. Voi mi conoscete appena, e poco sapendo di me, forse mi giudicate male. È giusto, dunque, che vi spieghi il mistero che a voi ancora mi copre; è giusto che mi conosciate meglio: forse allora, se prima nel cuor vostro avete riso di me, mi compatirete! « Il tono severo di quest'esordio scosse un poco Eugenio: i colloqui serii non erano il suo forte; nondimeno, fatta all'amico una solenne protesta d'osservanza, si pose a giocar distrattamente con le molle fra le ceneri del focolare. E l'altro prese a raccontargli la storia dell'amor suo, meglio che non abbiamo potuto far noi in queste pagine modeste, cosa ben naturale: era l'amante che parlava, e il suo cuore si effoudeva nelle parole, con una verità semplice, poetica. Ma Eugenio intanto pensava che l'amico suo doveva essere un bel pazzo, e che lui, se fosse stato ne' suoi panni, non avrebbe perduto il tempo in codeste malinconie, e a far all'amore alla romantica con una tapinella; mentre invece avrebbe potuto a capriccio fare il mestier del Michelaccio, quel beato mestiere che non s' insegna, e tutti sanno e sapranno sempre. « Dopo quel tempo d'una felicità ch'io quasi non credeva possibile, » così continuava Arnoldo il suo racconto, « dopo quel tempo, vennero per me giorni d'amarezza e di sconforto. Ma qui, bisogna che vi confidi un'altra cosa che ancora non sapete, il vero mio nome. Voi mi conoscete per Arnoldo Randale; questo non è il mio casato, ma quello della famiglia di mia madre; per segrete ragioni lo presi al mio ritorno in. Italia. Mio padre è lord Guglielmo Leslie. » L'amico Eugenio levò gli occhi con gran maraviglia, a quella sonora parola di lord; e poste giù le molle con che giocava, stette con più cheta attenzione ad ascoltarlo. « Mio padre » seguitava Arnoldo « è un uomo severo, superbo del suo nome e dell'antica sua nobiltà, quant' altri mai; i suoi principii sul fatto e su la condizione sociale son quelli d'un vero Inglese, onore, orgoglio e fermezza; il motto dell'arme gentilizia de' Leslie sembrava appunto dettato per lui: Sempre salire!... Ma, fin dagli anni infantili il mio animo s'apva in vece all' incanto delle miti virtù di mia madre, dolcezza e compassione, amicizia e amore. Io, per me, sento di non esser nato per quelle che chiamarsi le grandi virtù del nostro secolo, una politica che si veste del fastoso nome di filantropia, e una civiltà che pesa tutto su le bilance dell'industria. Passai i primi anni dell' adolescenza in casa d'uno zio di mia madre, venerabile vecchio, dal suore giovine e caldo, uomo generoso, soccorrevole e costante: era questi irlandese e cattolico, e aveva perduto il figlio, la nuora e i nipoti, tranne uno solo che formava le delizie dell'abbandonata sua vecchiaia.... Questo giovine cugino fu il mio primo amico. Ma, pochi anni appresso, anch'egli era morto.... » « In quel tempo appunto, » ripigliava Arnoldo dopo una pausa, « nel nostro paese gli spiriti bollivano, in quella famosa guerra d'opinioni e di partiti, che tenne grandemente agitati tutti i giusti e i buoni, la controversia per l'emancipazione de' cattolici. Mio zio metteva in cima de' più cari suoi voti la sospirata legge, e ne procacciò il trionfo, quanto potè e seppe. Parmi ancora vederlo scuotere la sua testa canuta, e volgere al cielo gli occhi accesi d'un insolito ardore di gioventù , dicendomi dover la giustizia trionfare una volta o l'altra anche su questa terra; e nessun sacrifizio esser poco, per guarire la patria d'una piaga che da tre secoli aveva fatto la vergogna della superba nostra civiltà!... Ma, appena mio padre venne a sapere i nobili sforzi del suo parente e il mio entusiasmo a pro di questa causa generosa, mi rivolle presso di sè, caldo sostenitore, com' egli era stato sempre, degli antichi rancori. E mi mandò a viaggiar sul continente, perchè la mia mente perdesse codeste fantasie, ch 'egli chiamava la scorza del fanciullo, e imparasse a conoscere uomini e cose. Ma era tardi. Io aveva già sposata la parte degli oppressi; io amava il culto solenne, maestoso della Chiesa a cui mi guidava fanciullo il mio vecchio zio, e dove univo le mie alle candide orazioni del mio povero cugino; l'arida e corrotta dottrina, e la troppo mutabile fede nel seno della quale io nacqui, non avevano parlato mai al mio cuore. « Nel mio viaggio attraversai, come uomo nuovo, quest'Italia, così degna d'amore e di venerazione; di città in città, vidi le sue basiliche, le sue cupole, le sue chiese, nelle quali mi pareva che l'arte veramente divina traducesse all'anima il mistero della suprema bellezza; vidi i capolavori di Michelangiolo, di Raffaele, di Tiziano, di Guido,

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La giovinetta campagnuola

207552
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Scegliti dunque a compagne delle fanciulle buone, giudiziose; e come tu avrai sempre a lodarti di loro, fa che esse abbiano sempre a lodarsi di te.

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Donnina forte

208662
Bisi Albini, Sofia 1 occorrenze
  • 1920
  • R. Bemporad & figlio
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Ho una gran paura, però, che quelle storielle abbiano già fatto il giro del Fliegende Blätter e del Mondo umoristico. - E quelle freddure che una non aspetta l'altra! Mi par che delle parole succeda nella sua testa come dei bussolotti nelle mani di un prestidigitatore. Voi gli date un anello ed egli vi restituisce un ovo. È una cosa che stupisce e che fa ridere, non c' è che dire! Conclusione, - aggiunse Filippo riavvicinandosi - egli è un amabile chiacchierone, che tutti accolgono con festa e colmano di cortesie. - Non tutti, non tutti; - corressi io sorridendo - vi è chi rimpiange che il coraggio di trovar un secondo fine a una buona azione ci sia sempre, ma non quello di svergognare uno sciocco orgoglioso. - Elisa, allungata in una poltrona, disse con aria stanca: - Come si capisce benino che stai molto con mio marito. Hai preso tutto il suo fare di predicatore. - Davvero? me ne vanto! - esclamai allegramente, e corsi a fare il tè. In quella Carletto si alzò, dicendo che aveva un appuntamento al Club e salutò tutti: poi si avvicinò a me, ch' ero ritta accanto alla tavola, poco lontana dall' uscio. - Non pigli una tazza di tè ? - gli dissi. Grazie; no, - mi rispose serio, troppo serio e mi stese la mano senza parlare, guardandomi fisso negli occhi, con un' espressione strana. - Buona sera - dissi un po' confusa. Egli s' inchinò, fece un passo verso l' uscio, poi tornò; mi prese di nuovo la mano e disse a voce bassa, serio, quasi severo: - Conny, tu sei ancora una bambina. Non t'offendere.... Aspetta a giudicare la società: vivi ancora un pochino. Di qui a qualche anno ci riparleremo: allora le tue teorie saranno meno contraddicenti: allora mi dirai che i partiti eclusivi sono ingiusti, ma mi mostrerai anche col fatto che sai quello che dici. Allora ti sarai persuasa cara Conny, che a questo mondo non c' è nessuno che sia buono sotto tutti i rapporti, nè completamente cattivo. Credimi: serietà e leggerezza sono confuse più o meno insieme, e spesso le debolezze e i piccoli difetti non sono che una nebbia che nascondono le grandi e belle qualità. Mi credi?... lo tentai di parlare, ma non ci riuscii: un senso indefinito di soggezione m' invase tutta. Soggezione di mio cugino Carletto? di lui al quale avevo parlato con tanta arditezza, e che avevo guardato anche un momento prima con tanto disprezzo! No, no: sollevai la testa, sorrisi: ma le labbra mi tremavano e non potei staccare gli occhi dalla sua cravatta. - Mi credi? - ripetè egli con quella sua voce lenta, sommessa e dolce. Il suo alito caldo mi passava sulla fronte: la sua mano morbida stringeva la mia. Un brivido mi corse da capo a piedi. - Si, si! mi pareva che mi si ripetesse in fondo all' anima. Ma alzai gli occhi, li fissai in quelli di lui.... - No, - risposi, e risi: ma la risata mi si strozzò in gola. ............... Quando presentai la tazza di tè a Filippo, non lo guardai, ma sentivo fissi su me quei suoi occhi rotondi e sporgenti. - Conny, lascia che veda, - mi disse. - Che cosa - dimandai alzando la testa. - Ho già visto - mi rispose. - Ma che? non capisco, Filippo. - Il primo sintomo di una malattia: ma non mi spavento: sei robusta, sei forte. Son di quelle malattie che risanano una costituzione come la tua. - Tentai di sorridere. - Ma se sto bellone! l'assicuro! - Davvero? sei proprio la Conny di cinque minuti fa? calma, allegra.... - Ma si, Filippo; sono sempre la sua donnina forte! - E sollevai il viso; ma vidi nello specchio di contro ch' esso era pallido di inquietudine. *** La sera di Santo Stefano l' Elisa doveva passare a prendermi colla carrozza per andare alla Scala. Perchè ero così inquieta e mi occupavo tanto di quella benedetta camelia bianca che mi faceva un corno sulla testa? Non ero io la Conny? la famosa Conny che ha suscitato, - me lo ha detto la zia - una discussione in casa T*** per decidere se sia coquette o ingenua: se nel suo modo di vestire semplice e severo ci sia dello studio e una posa di classicismo, o invece mancanza di vanità? Davvero, che se dovessi rispondere io, sarei un pochino imbarazzata. Vanità? Che cos'è? Mi par che in questo caso s' intenda una puerile preoccupazione di ornarsi di fronzoli; la parola stessa lo dice, e un ricorrere a cose vuote e leggiere per piacere altrui. No, no, io non sono vanitosa. Quando mi vesto io non penso agli altri: non faccio che contentare il mio occhio, e siccome a me piacciono i contorni decisi, le linee nette, non ho mai sopra di me nè tulle, nè nastri. Certe testoline tutte fiori e spilloni, mi han qualcosa di raffazzonato, di non ben definito che (sono io forse un'originale) mi fa dubitare del carattere della signora. È barocco infine, e il barocco in arte non mi piace. Sentii una scampanellata. - She here is - e miss Jane mi buttò sulle spalle il mantello. Sull'uscio m' incontrai in Carletto; come fui sciocca di arrossire! - Addio, Conny, - mi disse respirando a fatica per la corsa fatta su per le scale: il suo viso era pallido e negli occhi grandi, castani e profondi, v'era un velo di tristezza. È un fatto ch'egli è uno dei più bei giovani ch' io conosca: in quella sera la sua testa piccola e bionda risaltava stupendamente su quel largo bavero di lontra. M'offerse il braccio senza parlare, e scendemmo. - Sei troppo gentile, dissi tentando di dar alla mia voce un tono di ironia. - Incomodarsi per una signorina! Egli si volse a guardarmi, poi posò la mano sulla mia ch'era appoggiata al suo braccio, e disse con un suono di voce che mi turbò: - Conny, io mi sono riconciliato colla signorina; ora tu, buona e intelligente, non devi ostinarti, per puntiglio, nella tua.... via! nella tua antipatia per il giovane.... ammodo. Ma in quella la vocina allegra dell' Elisa l' interruppe. - Siete qui? che cosa hai detto, Conny? - Non è strano...? - continuò mentre salivo in carrozza - Gian Carlo che di solito se ne sta al caffè Cova ad aspettarci, e viene per compiacenza nell'atrio del teatro quando ci vede arrivare.... - e rideva. Sprofondata nell'angolo oscuro della carrozza, io vedevo brillare davanti a me gli occhi di Carletto, che cercavano i miei. Si entrò al teatro: lo spettacolo era già incominciato e la musica assorbi tutta la mia attenzione: non vedevo e non sentivo altro; nemmeno le chiacchiere incensanti di mia cugina. Quando l' atto finì, battei le mani. - Cara Conny, non usa più di star così attente allo spettacolo, - disse l'Elisa ridendo. - Lo so; ma sai che io non bado a ciò che usa. Sono venuta in teatro per il Don Carlo, non.... - Per don Carletto? - domandò il conte Rinaldi con la sua imperturbabile serietà, e si alzò per salutarmi. Non l' avevo veduto nè sentito entrare. Mia cugina rise: e Carletto mi guardò con un' espressione seria. Io arrossii, ma dissi stendendo la mano al Rinaldi: - Oh! non per don Carletto. - In quel punto mi sentii fissata, e mi voltai istintivamente. Era una signorina nel palco di casa Borromeo la quale abbassò subito il canocchiale, e due grandi occhi neri si fissarono ne' miei con un' espressione cupa e nello stesso tempo così fredda, che mi strinse il cuore. Era bruna, pallida, bellissima: vestiva un abito di crespo bianco scollato senz'altro ornamento che una crocetta d' oro ap-pesa a una catenella. Mi domandai perchè aveva quella posizione strana; pareva che colle spalle si puntasse allo schienale della sedia: il suo seno si sollevava e s'abbassava, e le braccia allungate, colle mani unite che tenevano stretto il binoccolo, sembravano rigide come di marmo. - Carletto, - dissi - chi c' è nel palco di casa Borromeo? - Non li conosco - mi rispose senza guardare, e stava per avviare un discorso con Rinaidi, ma questi disse forte rispondendo alla domanda fatta da me a mio cugino: - È la signorina De Lami con sua madre e suo fratello. - Ah, è vero! - disse Carletto - non li avevo riconosciuti. - I De Lami di Piacenza? - chiesi io. - Sì, - mi rispose il Rinaldi - ma da poco più di un anno stabiliti a Milano, perchè vi hanno qui la figliuola maggiore che ha sposato il Marenzi. - È quella bella signorina di cui tu, Elisa, mi hai parlato con tanto entusiasmo quest' estate? - Io?... è vero; ma ha un' espressione antipatica. C' è qualcosa di maligno in quegli occhi scuri, non è vero Rinaldi? - Non mi pare - rispose egli serio. - Ci trovo solo una grande alterezza, - dissi io. - Gira intorno gli occhi in un modo che par che dica: " Mi degno !... - Ma nello stesso tempo più la guardo, e più mi piace. Sai che effetto mi fa? che abbia un gran dolore e che voglia nasconderlo. - Carletto si alzò ridendo. - Badate, Rinaldi! - esclamò - mia cugina vede romanzi dappertutto. Dimandatele che cosa pensa di voi: sentirete che intreccio! - Poi s' inchinò ed aggiunse: - Se permettete, vado a far una visitina a donna Giulia, - e usci ridendo sempre. Sul viso lungo e sbiadito del conte Rinaldi non apparve un sorriso, e disse lentamente, con serietà: - Questa volta io credo che donna Conny abbia ragione. La signorina De Lami pare anche a me una bella statua del dolore. Ah, ah! mi fate ridere! - esclamò l' Elisa allegramente. - Peccato che Gian Carlo sia andato via: lui vi può dire com'è simpatica la vostra signorina De Lami! E poi bisogna esser ciechi, caro Rinaldi. Mi pare che le si veda chiaro negli occhi ch' ella ha un' anima cattiva. Gian Carlo mi diceva che di tutte le cose ella vede subito il lato brutto. Guarda Conny come è pettinata male la Maria. Dunque dicevo che piglia tutto in cattiva parte, e vede in ogni azione un secondo fine: insomma è invidiosa e permalosa peggio di una zittellona. - Ella la conosce intimamente, contessa? - dimandò il Rinaldi. Mi trovai coi De Lami la scorsa estate a San Bernardino, e quindi posso dire di conoscerla appena di vista, ma mio fratello è amico dei Marenzi, e credo che abbia conosciuto in casa loro la signorina De Lami, la quale è sorella di Lucia Marenzi. - Oh! Carletto ha frequentato molto anche la casa della signorina.... - replicò il Rinaldi. Davvero che quel suo tono di voce sempre uguale, e quel suo viso freddo e immobile, cominciava a irritarmi anche me. Ella mi diede un' occhiata che voleva dire: - Dio mio: com' è pedante! - Ma intanto entrò il tenente Alfieri, e il Rinaldi venne a sedersi vicino a me. Cominciò il secondo atto: i miei occhi si fissarono sulla scena, e per quanto mi sforzassi non riuscii a concentrare la mia attenzione nella musica. Vedevo laggiù il viso pallido e severo della signorina De Lami, poi fra mia cugina e il tenente s'era intavolata una di quelle conversazioni leggiere, maldicenti e pettegole, che mi seccano tanto e mi metton i nervi sottosopra. Mi par una viltà indegna di persone che pretendono di essere educate e oneste. Mia cugina è di quelle che giudicano in bene o in male secondo ciò che sentono raccontare o riferire in società, fra un piccolo gruppo di conoscenti, e non pensano che quasi sempre il male che si dice è una calunnia, o, per lo meno, un' esagerazione. lo mi misi a discorrere col conte Rinaldi. Egli non è punto bello, è troppo alto e troppo angoloso. La sua lunga figura, quando appare nel vano di un uscio, mi par un ritratto antico nella sua cornice: e, non so perchè, quando l' ho vicino mi par di sentire quell'odore di carte vecchie e di muffa che c'è nella nostra biblioteca di campagna. Io credo ch' egli viva fuori di questo mondo, in un mondo tutto ideale; è un originale, e forse, anzi, certo per questo, mi piace. Parla poco e lento, ma la sua parola è sempre gentile, convincente e utile come dice ridendo l'Elisa. È letterato e archeologo, e scrive qualche volta dei serii articoli nella Nuova Antologia o nella Rassegna Nazionale che tutte le signore leggono, ma non capiscono, e di cui, naturalmente, gli fanno le congratulazioni e gli elogi più intelligenti. Il suo babbo è membro della Consulta Archeologica, non c' è da stupirsi quindi ch' io abbia una spruzzatura storico-artistica nella mia testa, che mi vien buona nelle mie conversazioni col conte Rinaldi. Ho detto conversazioni, ma veramente, io, così chiacchierona nell' intimità, in società parlo pochissimo, ed è uno de' miei più grandi piaceri quello di trovarmi a quattr' occhi con chi ne sa più di me per poter ascoltare senza che nessuno interrompa, e abbandonarmi al godimento d' imparar cose nuove, e molte volte anche a quello, un po' maligno, di scrutare e tentar di toccare il fondo alla coltura degli altri. Ma non era a quella di Rinaldi che si potesse veder facilmente il fondo. Quella sera egli era insolitamente eloquente, e descrivendomi certi oggetti scoperti negli scavi delle antiche mura di Milano m' interessò tanto da farmi dimenticare la musica. Ma a un tratto s' interruppe chiedendone scusa. - Lei ascolta in un modo da dar l' illusione che si stia raccontandole cose molto interessanti - disse inchinandosi senza guardarmi. lo l' assicurai che m' aveva realmente divertita ed egli rispose sempre senza guardarmi: - Che ella sia una signorina un po' diversa dalle altre è facile a capirsi, ma che si debba divertire a questi studi, via, sarebbe troppo.... originale. - Non me Io ripeta, conte, perchè forse sarebbe il modo d' invogliarmi a mettermici sul serio, sa? - Egli alzò gli occhi finalmente, e disse colla voce più piana: - Se fosse vero, che si potesse avere ancora la dama colta e seria! l' antica gentildonna che ha l' orgoglio della propria onestà e del proprio nome, che mette la famiglia e gli studi avanti a tutto, e riunisce intorno al marito e ai figliuoli tutto ciò che la coltura, la cortesia, l'onestà, ha di più eletto! Di queste signore - aggiunse - io ne ho trovate parecchie in provincia: ne conosco a Ferrara, a Ravenna, a Bologna, a Perugia, nel Friuli... Ma nelle grandi città com' è difficile d' incontrarne! La signora è portata via, di voglia o controvoglia, dal turbine delle occupazioni mondane, e non ha più tempo di esser seria. - E meno egoista.... - dissi io ridendo. - Da noi le signore si prodigano e non hanno tempo di pensare a sè. Bisogna aver pietà di loro, conte. - In quel frattempo mia cugina si alzò. - Aspetta un momento, - disse Carletto ch' era rientrato in quel punto. - Conny desidera certo di rimanere sino alla fine. - Oh no, andiamo, andiamo pure - risposi. Mentre Carletto mi metteva sulle spalle il mantello, vidi che nel palco di casa Borromeo non c' era più nessuno. - Vorrei incontrarmi sulle scale con lei - pensai, e uscimmo. Arrivate nel corridoio della prima fila vidi venire verso di noi la signorina. Alta, portava la testa con fierezza, e dietro a lei una signora attempata camminava adagio, sostenuta da un giovinotto. Mio cugino, che mi dava il braccio, si fermò bruscamente, voltandosi a dimandare a sua sorella se voleva passare dal Cova per prendere un tè. lo guardavo la famiglia De Lami. Vidi il giovane rialzare la fronte, e sopra le nostre teste, passò, come una palla di fucile, il lampo orgoglioso dei suoi grandi occhi neri. La signorina ci passò dinanzi e scese lentamente cogli occhi fissi avanti a sè, bianca e fredda come una statua di marmo. Mi voltai al conte Rinaldi che mi era vicino e gli dissi piano: - Forse hanno ragione i miei cugini. C'è in lei qualcosa che allontana. Non le pare? - No: mi pare invece che dovrebbe avere tutta la simpatia di una persona come lei. - Perchè? - Non so se Rinaldi rispose: un senso indefinibile di tristezza m' invase all' improvviso; Carletto a cui davo il braccio, chiacchierava con sua sorella e col tenente, ma sentivo il suo braccio avvicinarsi sempre più al suo petto e mi sembrò di sentir battere il suo cuore sotto la mia mano. Un momento che fummo sospinti dalla folla nell'atrio, la sua mano carezzò la mia, e la sua voce mi chiese sommesso, con un' inflessione dolcissima come se dicesse parole affettuose: - Sei stanca ? - Le idee mi turbinarono, e il cuore, non so perchè, mi battè con violenza. Feci cenno di no, senza guardarlo. Si arrivò alla carrozza, io salii e mia cugina dopo di me. Carletto si scusò, dolente di non poterci accompagnare. - Ma dove hai la testa, Conny? mi disse l' Elisa. - Non senti che il Rinaldi ti saluta?- lo sporsi la mano dallo sportello e soltanto quando me la sentii stretta dalla mano lunga e magra del conte, mi riscossi e mi risvegliai come se avessi sognato. *** Non ho mai capito perché Filippo abbia sposata mia cugina Elisa. Lui ha cinquant'anni e lei trenta: lui è brutto e lei bellissima. Lui ama.... veramente non so che cosa ami: fa insomma una vita quieta, regolata: la casa e il Cova: il Cova e la casa: la Perseveranza e la Revue de deux Mondes, la Revue e la Perseveranza, e sempre così. Cioè, mi dimenticavo di mettere, dopo il Cova, la mia poltroncina rossa. Lei è elegantissima, vivacissima, e per star bene, dice, ha bisogno di moto, di visite, di teatri e di balli. Marito e moglie non si vedono dunque che a tavola. Ma è ammodo anche questo, lo sapete. Dunque Filippo viene spesso da me: soprattutto quando il babbo è a Roma. Egli.... ha! ecco trovato chi ama! Ama me! in un modo un po' brusco, ma che, forse appunto per questo, mi piace, mi commove e m' ispira tutta la fiducia. Credo che abbia ragione l' Elisa, la quale dice che un po' del mio carattere sincero.... e del mio fare franco I' ho preso da lui; il mondo lo conosco perchè lui me l' ha descritto, e siccome lui, in fatto di società, è molto scettico, io... ma voi sapete già come la penso io. Filippo dice che non c' è nessun angolo di salotto più simpatico e comodo del mio: ed io ogni tanto gli facevo la sorpresa di una nuova comodità: oggi era il tavolino da fumare accanto alla sua poltroncina rossa: domani era un paralume, un' altra volta un libro uscito di fresco. Le prime volte quasi si offendeva : mi diceva che lo avvezzavo male, che lui voleva servir me e non esser servito, che lui è de' tempi passati, quando era una villania il fumar sul viso alle signore e lo sdraiarsi nelle poltrone.... Da due settimane non lo vedevo. Una mattina, verso mezzogiorno, egli entrò nel mio salotto: io mi ero appena alzata, perchè avevo ballato tutta la notte in casa S***. Non so perché rimasi confusa a vederlo e non trovassi modo di avviare un discorso. Egli fece i suoi inchini forse con maggior gravità del solito: aspettò che gli dicessi di sedere, ringraziò, si sedette e mi fece i suoi complimenti per il furore che avevo destato in casa S***. Glielo aveva detto sua moglie, e un amico che aveva trovato quella mattina al caffè Cova. Ma ad un tratto mi domandò: - Sei in collera Conny? - In collera! no; - risposi - perché dovrei essere in collera? - e sorrisi. - Davvero?... È però molto tempo che non ci vediamo: lo sai? - Oh certo! ma di chi è la colpa se non di chi non viene a trovarmi? - Egli si chinò per guardarmi negli occhi. Perché io non li alzai, non gli lasciai leggere che cosa passava nel mio sguardo? - Senti, cara ragazza: parliamo un pochino sul serio, eh? Abbiamo forse finora parlato per ridere? - Egli mi prese una mano: - Conny, Conny: non tentar di scherzare quando non ne hai voglia! Tu non sei buona di fingere. Mi vuoi ascoltare? - Ma si figuri! - Vi fu un momento di silenzio. Conny, - disse finalmente - il tuo babbo è lontano, ed io mi credo quasi in dovere di pigliare il suo posto: io, il solo, ricordatelo! il solo e vero amico che tu abbia. Oh, ti prego, non buttarti anche tu in quella vita leggiera che ha per iscopo gli abbigliamenti e le feste. È un pericolo, sai! Una donna è raro che si conservi buona in società. Si vede ammirata, corteggiata e finisce per concentrar tutto in sè, per non occuparsi che di sè, e la sua mente si rimpiccolisce e il suo cuore si raffredda. - Oh, a me pare che saprò essere sempre buona, Filippo! - dissi. - Eh, eh! sicura come sarai di piacere, non penserai ad amare. La tua bellezza e i tuoi successi ti terranno luogo di tutte le gioie più sante e più care! - Io sollevai la testa: tutto il sangue m' era salito al viso. - Filippo! - dissi con una voce che tremava di sdegno e di dolore. - La mia vita tranquilla fra il babbo e lei, in mezzo ai miei libri, è stata troppo bella perchè io vi voglia rinunciare. Voi mi avete detto e ripetuto troppo che sono buona, che sono colta, che sono una donnina forte, perchè io lo possa dimenticare, per il piacere di sentirmi dire che sono bella! Lei poi, Filippo, ha fatto di tutto per instillar qui dentro delle idee sode e serie, e un briciolo di quel buon senso che in tanti casi della vita, dicono, val più dell' ingegno.... Filippo, Filippo! se c' è una persona che non deve dubitare di me, è lei! - mi copersi il viso colle mani dando in uno scoppio di pianto. Vi fu un po' di silenzio: la mano larga di Filippo passò e ripassò sulla mia testa, e finalmente mi disse colla voce tremante: - Guarda, figliuola! non puoi credere che piacere è per me questo tuo scoppio di sdegno. Mi fidavo di te: sapevo che nessuno al mondo avrebbe potuto mutare quel tuo cuore così lealmente buono: ma avevo bisogno che tu me lo dicessi: e se t' ho offesa è stato per provocare questo sfogo più che per altro, Conny. Per te io metterei la mano sul fuoco: ma non vorrei che tu, per esser brava, dovessi soffrire e far sacrifici. Vorrei vederti amata come lo meriti, da un uomo serio, buono, che conoscesse tutta la tua anima come la conosciamo tuo padre ed io.... Tu, cara Conny col tuo spirito d'osservazione e la tua superiorità, riesci sempre a scoprire tutte le debolezze delle persone che ti circondano: ma sei ancora troppo giovane, e il tuo cuore è troppo buono e la tua mente è troppo serena, perchè tu non possa nemmeno sospettare certe colpe e certe ipocrisie. Povera la mia donnina! tu mi guardi spaventata.... Oh, ma verrà pur troppo il giorno in cui conoscerai che cos' è la società, e diventerai scettica anche tu. - Si alzò. Io singhiozzai. - Le mie parole ti hanno fatto male figliuola, - mi disse accarezzandomi i capelli - ma ti faranno pensare, ed è quello ch' io voglio. Non t' ho detto tutto, ma tu capirai anche quello che ho taciuto.... Oh, credi! è bene che una parola seria venga a scotere in mezzo agli svaghi e alle emozioni dei giorni felici.... - Quando alzai la testa ero sola nel mio salotto. Provai come uno spavento.... - Oh, si: è bene: ma è però doloroso! - esclamai con un singhiozzo. *** C' era stato l'ultimo ballo di carnevale, m'ero alzata tardi, stavo pensando che cosa avrei dovuto fare in quella giornata, quando entrò mia cugina. - Buon giorno Conny, come stai ? Sei Stanca ? Dio mio, che freddo! - Tirò una poltrona vicino alla bocca del calorifero e vi si rannicchiò mettendosi il manicotto sul viso. - Sono venuta a piedi, lo sai? Che gelo! - e picchiava i piedi sul pavimento. - Pensa! il mio cocchiere stanotte s' è pigliato un raffreddore! Dica quel che vuole mio marito, ma un cocchiere che ha il petto delicato più di una signora io non lo tengo! - Gli hai detto di venire a prenderci alle tre, e invece siam rimaste fino alle sei. Ne avrà certo pigliato del freddo! - dissi io. - Non si va a fare il cocchiere quando non si può sopportarlo. Ma vuoi ridere, Conny?... Figurati che Filippo avrebbe voluto che si mettesse la pelliccia come il servitore! Il cocchiere che è stato là sotto la pioggia tutte quelle ore. Dio sa come l'avrebbe conciata! " O tutt' e due o nessuno; - mi diceva. Lui non pensa che Gaetano deve venir nell' anticamera ad accompagnarci e a prenderci. Che bella figura avrebbe fatto senza pelliccia, in mezzo alle stupende pellegrine di martora di casa Turati e di casa Ponti! - Ah! ma vedi, Elisa! Filippo ha delle ingenuità strane: lui credeva che le pellicce fossero fatte per tener caldo, e che il cocchiere, che doveva star fuori allo scoperto tre ore ad una temperatura di otto gradi sotto lo zero, ne avesse bisogno più del domestico. - L' Elisa mi guardava con un'aria desolata. - Oh, Conny! ti prego.... - supplicò colla sua voce dolce di bambina. - Non ridiventare quella brutta e antipatica Conny di una volta ! - balzò in piedi, e mi buttò un braccio al collo. lo risi e la baciai sulla punta del suo nasino che pareva si fosse voltata in su allora allora, per guardarmi anch' essa e dirmi: -Son carina, non è vero? - Elisa, tu mi hai affascinata: finirai col farmi diventare una donna indolente.... e poco seria come te! - Poco seria! - esclamò scandalizzata. - Conny! come sei cattiva! Vedi, mi vuoi far credere che sono io che t' ho affascinata! ma sei invece tu, più alta, più istruita, e, via.... più seria di me, che colle tue dita lunghe mi avvoltoli e mi fai girare e mi strapazzi come ti piace. Oh, non ti guardo più, va'! - E tornò a sedere nella sua poltrona coi piedi contro la bocca della stufa. - Io presi una seggiola e mi sedetti dietro di lei, voltandole le spalle. - Eppure - dissi calma calma - scommetterei qualunque cosa che ora tu mi fai attaccar i cavalli per forza, e mi conduci dove tu vuoi. - Una risatina allegra e un colpetto della sua testa contro la mia, accolse le mie parole: poi ella arrovesciò le braccia e mi prese per gli orecchi. - Ah, sei la più furba, la più intelligente creatura del mondo! Sei un tesoro, ecco! - Grazie, grazie! ma mi fai male! - Ella rideva ch' era un piacere a sentirla, poi si volse, s' inginocchiò sulla sua poltrona e mi arrovesciò la testa. - Li fai attaccare, non è vero! - mi chiese con una voce supplichevole. - Che cosa ? - I cavalli. Sì, sì! falli attaccare, andiamo insieme a far tre o quattro visite che so già di non trovare; poi andiamo sui bastioni. Mettiti il tuo vestitino corto: dopo scendiamo e facciamo un giro a piedi. Va bene, Conny? dimmi di sì dunque! - E s' io volessi dir di no? Non sei buona. - Eppure.... - Oh Conny, Conny! non essere scortese! - e mi stampò un gran bacio sulla fronte. Chi avrebbe resistito? Ordinai che attaccassero. Mentre mi vestivo, l' Elisa, seduta alla mia toeletta si accomadava il cappellino. - Sai ? - diceva - la mamma stamattina è venuta a trovarmi. Era ansiosa di sapere com' era andata la festa: aveva però incontrato l'Antonietta e sapeva già di quel cotillon così poco spiritoso. Le ho detto dell' orribile abito dell' Emma! N' è rimasta sorpresa anche lei.... Ti pare che mi stia bene questo cappellino, Conny?.... Senti: le ho detto del tuo successone: ne è stata felicissima: se non isbaglio s' è riconciliata con te. Non te ne sei accorta? - lo stavo per rispondere, ma ella continuò: - Ah, sai? Gian Carlo mi ha tormentata per sapere dove si andava; non volevo dirglielo: finii col dargli ad intendere che si andrà sui bastioni nell'ora che non c' è nessuno, poi si sarebbe finite al Cova a mangiare una tartina. Ma scommetto che riesce a trovarci ugualmente quel matto: vedrai! - Conny! - mi dimandò a un tratto mentre si strappava un pelo che le spuntava ostinato da un piccolo nèo, e arricciava il naso per il dolore. - Ahi! che peccato! mi s' è rotto senza strapparsi: Senti dunque.... Che cosa ti dicevo? - Nulla. - Ma sì: ti ho domandato se ti piace mio fratello. - Mi provai a ridere, ma non ci riuscii. - Che domanda originale! - dissi. - Oh Dio mio! che cosa c' è? Ti fa la corte, tutti se ne sono accorti: e niente di più naturale che egli ti sia simpatico. Che occhi, non è vero? e poi quei denti! È tutto bello!... Ma che creatura fredda, Dio mio! mi fai stizza, Conny! Di' dunque ti piace? - Non so. - Non lo sai ?! - e picchiò il piede sul pavimento con stizza. - Non lo meriti davvero. Se non credessi di dargli un dispiacere, glielo direi, guarda! - Ah! ah! dispiacere? - e misi in furia la veletta sul viso perchè ella non potesse vedere come avevo arrossito. - Ma sì; non ho mai visto mio fratello così entusiasta di una signorina. Una volta non si degnava nemmeno di guardarle.... Oh ecco un altro pelo! qua! ma t'assicuro, Conny, che mi vien la barba! - Diedi in una risata più rumorosa e prolungata di quel che fosse necessario, sperando di concentrare tutta la sua attenzione nella barba. - Dirò a Filippo di far un baraccone a Porta Genova e di farti vedere al pubblico. Avanti, avanti signori! qui si vede una donna non mai veduta! che ha la barba vera come un uomo! A chi non ci vuol credere è permesso di tirarla! - Eravamo già in carrozza e si rideva ancora come due bambine. *** Si andò a far tre visite : cioè a lasciare i nostri biglietti, perchè non c' era nessuno in casa; ma donna Beppina c' era e ne fui contenta perchè la stimo tanto. Entrammo quasi insieme con una bella signora elegantissima, grassotta, che aveva un viso aperto e due grandi occhi chiari pieni di sincerità e di allegria. - Chi è? - domandai all' Elisa. - Non lo so - mi rispose; e visto che non è più di moda far le presentazioni, dovetti tenermi la mia curiosità. V' erano altre signore, ed esaurito il discorso del teatro, del ballo di casa S*** e del concerto del Quartetto; quella signora disse: - Hai sentito Beppina, della povera Clara? - La sua fisonomia era così serena, anzi così gioconda, che quella povera Clara non impietosì nessuno. Ma vidi donna Beppina farsi subitamente seria, e mi colpì il tono un po' asciutto della sua risposta, come se quel discorso non le andasse a genio. - Sì, disse - è venuta a salutarmi ieri. Povera Clara, oggi ha trovato un conforto. - E si alzò dicendo: Fa un po' caldo, qui dentro. Non è vero? - e andò a chiudere la bocca della stufa; poi chiamò l' Elisa per mostrarle dei ritratti che c'erano sul tavolino. Intanto il discorso della povera Clara continuava intorno a me. - Che colpo è stato per me! - diceva una signora piccolina, tutta esclamazioni tragiche. È venuta la settimana passata a farmi visita con sua madre; aveva un abito che le stava a pennello.... chi avrebbe detto che tre giorni dopo si sarebbe fatta monaca! Che bella monaca col sóggolo bianco! - disse tranquillamente una terza signora. - In che convento è entrata? È partita per Troyes per fare il noviziato fra le Soeurs du Bon Secours. - Oh Dio mio! per curar malati poveri: e i feriti nelle guerre! ma possono mandarla nel Tonchino! - esclamò la signora piccolina, spalancando gli occhioni con terrore e stringendosi con un brivido le mani nel manicotto. Povera creatura! - disse con un sospiro la signora grassotta. - Oramai la sua vita era un tale tormento, che qualunque fatica materiale le riuscirà indifferente. Povera, povera Clara! - Ma perchè? - dimandò una terza signora - non si tratta di vocazione? - Oh signora! è tutto un triste dramma facile a indovinarsi. Non c' era proprio altra liberazione per lei, che d' andare a farsi monaca. Ma che rimorso oggi per sua sorella! - Come! Lucia Marenzi?! - Ma certo! non sapeva...? - lo ebbi un sussulto. Parlavano forse della signorina De Lami? In quel momento la padrona di casa tornò a noi con Elisa e si sedette di nuovo chiedendo con vivacità se sapevamo del fidanzamento di Paola Varenna. - Che! la Varenna? Ah era tempo! ormai come signorina era un po' matura, ma che bella marchesa sarà! eclisserà sua cugina. - Tutte s'interessarono di sapere come la cosa era accaduta, e la povera Clara era già dimenticata. Ma io non riuscivo a strappare il mio pensiero da lei. L'avevo vista una volta sola la sera di Santo Stefano alla Scala, ed era strano come fin d'allora mi aveva interessata quella pallida, altera figura che mi era parso, a ragione, che nascondesse un dolore. Provavo un' emozione che mi toglieva il respiro, pensando che mai più nella vita l'avrei incontrata, ch' ella era partita per il vasto mondo dove non avrebbe udito che lamenti e gemiti, dove non avrebbe visto che lagrime e piaghe, lei vissuta fino allora in mezzo alle agiatezze e alle eleganze. Mi pungeva una curiosità non mai pro-vata, di saperne di più, di conoscere tutta la storia di lei, e un momento che l' Elisa e le altre signore parlavano fra loro, con gran vivacità, del matrimonio di Paola, io dimandai alla signora grassotta che mi era vicina: - Scusi, signora, mi vuol dire se parlavano della signorina De Lami? - Precisamente. Non la conosce? - La conoscevo di vista, e mi era tanto simpatica. - Oh lo credo! se l'avesse poi conosciuta da vicino! un carattere, sa! colta, seria e nello stesso tempo così semplice nel suo modo di fare, e così piena d'entusiasmi e di fede! troppa fede! fu la sua disgrazia. Certe brutture le parevano impossibili fra persone educate. C' è chi dice ch' è stata una bimba e una sciocca a illudersi, ma noi amici abbiamo visto come ha saputo lui insinuarsi nel suo cuore. Io badavo ad aprir gli occhi a sua madre: " Voi non conoscete il marchese, - le dicevo " diffidate. - Ma erano appena venuti a Milano non avevano un' idea di questi sfaccendati eleganti, che non credono a nulla, non rispettano nulla e si stimano padroni del mondo. Il fatto è ch' ella fu presa per lui da una di quelle affezioni che sono la vita di una donna. E quando più supponeva d'essere amata e sua madre s'aspettava da un momento all'altro che egli le chiedessse di potersi dire fidanzato che è, che non è, la luce si fa, per lei prima che per gli altri; la sorella, quella maritata Marenzi.... Una brutta storia insomma! - Orribile.... - mormorai rabbrividendo. - Antonietta! - chiamò in quel momento la padrona di casa - permetti che faccia le presentazioni che ho dimenticate la contessa Elisa di*** che, sai, è figliuola della marchesa*** e sua cugina, donna Conny***. - Poi disse a noi. - La signora Gemmi, moglie del Senatore, una delle mie più buone amiche, una patronessa preziosa dei nostri Asili. - E sorrise respirando liberamente, ma non capì che non era arrivata a tempo. La signora Gemmi mi fissò co' suoi grandi occhi grigi, con un turbamento così visibile da accrescere il senso di malessere che quella triste storia mi aveva dato; poi a un tratto, non so come, fui colpita come un fulmine dalla percezione viva della verità, come se la cosa io l'avessi sempre sospettata, come se tutto fosse stato detto, come se un nome fosse stato pronunziato. Impallidii? non lo so: so che Elisa mi guardava con inquietudine. Dopo un minuto la Signora Gemmi si alzò e nel salutarmi mi strinse forte la mano guardandomi negli occhi; poi mi disse con una voce piena di bontà e quasi commossa: - Cara signorina, permetta che la baci. - E mi abbracciò stretta. Non ricordo come io sia uscita di là; so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati che non vedevano nulla. I polsi mi battevano, le orecchie mi sibillavano, un sudore freddo mi inumidiva il viso, e mi pareva che qualcosa si fosse spezzato in me. Una risatina di Elisa mi fece trasalire con uno spasimo. - Ah ah, se si dovesse credere a tutte le ciarle che si fanno in società! Tu non hai sentito Conny, quanti commenti e quante supposizioni buttate là con la sicurezza di fatti veri, a proposito del matrimonio di Paola Varenna! E tu, Conny, di che discorrevi con quella signora.... Oh Dio, ma come sei pallida, che cos'hai?... Era molto stupida quella signora.... come si chiama? non mi ricordo più. Dev' essere la moglie di un bottegaio arricchito, lo scommetterei! Un dolore intenso, improvviso ai cuore mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi. L'Elisa mi afferrò una mano spaventata. - Ma Conny, non capisco! si direbbe che ti sei turbata per la storia di quella Clara, come se.... Ah brava, mi avevi spaventata!... Senti dunque, cara: tu che ti dài le arie di donna forte, ti commovi di tutto. Mi fa ridere: scommetto che quella signora Gemma o Diamante, che sia, ti avrà raccontato che la Clara si fa monaca per una disillusione d'amore. Com' è poetico!... ma non è più di moda! Par il titolo di un romanzo di quarant'anni fa. L'ingenua tradita!... ah ah! Ma già, ha ragione mio fratello.... - Che cosa dice? - domandai colla voce dura. - Dice.... cioè diceva che le signorine come voi sono tante grullerelle, perché pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa.... - Ah!... - In quel momento la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni. - Che c' è?... - dimandò l' Elisa. - Il signor marchese - rispose il domestico. E allo sportello della carrozza apparve la figura elegante e bella di mio cugino. Il suo volto era raggiante di allegrezza. - Ah, ah! vi ci ho preso! Ma che cos'hai Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto? - disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò. Mi pareva d'essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, con gli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare con lo sguardo fino in fondo alla sua anima. Egli passò dalla parte mia e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: - No! - dissi con voce rauca. - Ma che cos' hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?! - il suo viso si era coperto di pallore. - Scendiamo, scendiamo! - disse con impazienza l' Elisa saltando a terra. - Egli ha qui il phaeton, non è vero? - dissi. - Potresti tornare a casa con lui. Conny.... scendi.... ti prego! - Perchè quella voce esercitava su me un fa- scino così irresistibile ? Perchè mi lasciai prendere le mani e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse negli occhi, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: - Grazie! - Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: sui bastioni non c' era anima viva. L' Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tranvai. lo camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano.... un brivido mi corse dalla testa ai piedi.... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domande curiose della sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano. Si arrivò sul ponte della barriera Principe Umberto: nessuno parlava; poco lontano scalpitavano i nostri cavalli: i tranvai e le vetture passavano rumorosamente sotto di noi, e nella stazione fischiavano e sbuffavano le locomotive. Tutto questo mi rimbombava nella testa dolorosamente. Carletto si appoggiò alla sbarra del ponte e mise una mano sulla mia perchè non la ritirassi; poi rivolse il viso verso di me, ch' ero rimasta ritta e immobile accanto a lui. Oh, no, no! non volevo guardarlo, non volevo essere guardata a quel modo! Mi parve di veder rizzarsi accanto a noi, cogli occhi neri e cupi la povera Clara e mi sfuggì un grido d'angoscia. - Non guardarmi così! ti odio! Conny! mia Conny! abbi pietà di me!... - E le sue labbra di fuoco si posarono sul polso gelato della mia mano. Non so che cosa sia accaduto. Mi ricordo solo, come in un sogno, che ero in carrozza e che mia cugina parlava, parlava, e io ascoltavo senza capire; due cavalli ci rasentarono come un fulmine ed io pensai: perché i miei cavalli non corrono? e mi prese un'ansietà, un' inquietudine affannosa, avrei voluto precipitarmi giù, per correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa; scesi e dissi al domestico: - Riconducete la signora Contessa a casa sua, - ed io salii lentamente la scala, entrai in casa, apersi l' uscio del mio salotto e trasalii. Egli era là, ritto davanti a me, pallido e serio. S' inchinò e mi stese tutt' e due le mani. lo m'appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza né di fiato. - Conny.... sono qui: dimmi perché mi odii. lo ti dirò poi, perché ti adoro. - Mi copersi il viso con le mani e singhiozzai senza piangere. - Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va', va,! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me.... Va'! ti risparmio una vergogna. - E rialzai la testa con disprezzo. L' uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento. lo le corsi incontro. Ella mi disse: - Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m' ha fatto chiamare nello studio perché venissi a dirvi che desidera di par- larvi. - Mi volsi e dissi freddamente: - Addio Gian Carlo. - Egli s' inchinò ed uscì. *** Era uscito; era partito per sempre, lui! l' unico uomo che m'aveva parlato d'amore; quegli che mi adorava! Avevo io il diritto di condannare lui e me al dolore, senza una spiegazione, senza lasciargli modo di giustificarsi?... Dio! Dio! che cosa avevo fatto? In società si raccontano tante cose che non son vere: da cosa mi veniva la certezza che si trattasse di lui? Nessuno aveva pronunziato il suo nome. Oh no, non era possibile, non poteva esser vero! Mi lasciai cadere sul sofà, piangendo di disperazione. Chi mi salvava ora? Nessuno; nessuno avrebbe potuto restituirmi il suo amore, perchè io lo avevo insultato! e un uomo come lui non perdona un insulto! Lady Conny, che avete? - mi domandò miss Jane piangendo. - Nulla, sono una pazza, ecco cosa sono! - e mi alzai, mi asciugai gli occhi e mi guardai nello specchio. - Avete detto che è arrivato il babbo? - Sì, e vi cercava. - Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lacrime. - Ecco, milady: potete andare. - Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell' uscio. Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c' era il conte Rinaldi. Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: anch'egli m'accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia. Mi prese per mano e mi disse con un sorriso: - È vero, Conny, che hai piacere che Rinaldi rimanga a pranzo da noi? Immagina ch'egli temeva di non essere nelle tue simpatie; gli riferii una certa conversazione del giorno di Natale. Conny disprezza i giovani ammodo, ma apprezza molto i giovani seri come Rinaldi. Non è forse vero? - Io lo ascoltavo trasognata, non trovando parole per rispondere. - Conny, il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un'ora fa insieme. - Credo che ne' miei occhi sia apparso come uno spavento, perché il babbo si chetò, guardandomi inquieto. Lui, il conte, ritto dietro una seggiola colle mani aggrappate alla spalliera, mi guardava col viso contratto d' emozione. Non sapevo bene perché, ma io fui presa da un tremito: non ancora rimessa dal profondo turbamento di pochi minuti prima, tentavo inutilmente di sorridere, di trovar la voce per parlare, di lottare contro un penoso presentimento che le parole del babbo e il contegno di Rinaldi mi avevano fatto sorgere nell' animo. - Conny, non ti senti bene? che cos'hai? - Ho preso freddo.... sui bastioni. Infatti non sto affatto bene, - e mi passai una mano sulla fronte, perché mi pareva che tutto girasse intorno a me. Rinaldi mi spinse una poltrona dietro. - Su, riscaldati un poco vicino al fuoco - Disse il babbo - vuoi che chiami miss Jane? - No, ti prego, sto bene qui. - Alzai il viso verso il Rinaldi ritto accanto a me, e ci guardammo. Lesse egli ne' miei occhi spauriti e supplichevoli? io lessi ne' suoi, pieni di un desolato dolore.... Restò a desinare con noi. Il babbo credette tutta la sera che io mi sentissi male, ma era assorto in una gran beatitudine, povero babbo, per le attenzioni affettuose di Rinaldi, che, senza mai guardarmi negli occhi, mai.... non si occupò di me, accorgendosi che non mangiavo, che ero presa da brividi: mi fece portare uno scialle, mi versò un bicchierino di bordeau insistendo perché lo bevessi, e poco dopo aver preso il caffè si alzò per andarsene, dicendo che io avevo bisogno di riposo. Si chinò sul sofà sul quale mi aveva fatto distendere: io gli ubbidivo colla docilità di una bambina: una bambina colpe-vole che ha molto da farsi perdonare. - Buona sera donna Conny, - mi disse forte; io gli stesi tutt' e due le mani, egli le prese, esitò, poi le baciò. - Mi perdoni, - mormorò pian piano con voce soffocata - il mio sogno era stato forse troppo ardito.... Non tèma: non ci tornerò più. - Io gli sfiorai colla punta delle dita i capelli, dicendo con filo di voce: - Che Dio la benedica! - Ed egli partì. *** Erano passati alcuni giorni: la zia e l' Elisa avevano chiesto di vedermi, ma io mi chiusi in camera, e miss Jane ebbe l'ordine di dire sempre a tutti che avevo un forte mal di capo e dormivo. Filippo non era mai venuto. Sapevo che la zia aveva avuto dei lunghi e vivaci colloqui col babbo, ma egli non mi diceva nulla, ed io, che il primo giorno gli avevo promesso di parlargli, ora non ne trovavo più il coraggio. Era una domenica, e uscii con lui per andare alla Messa. Sulla bottega della fruttaiola c' era il bambino: mi fermai a baciarlo. Era un pezzo che non lo salutavo più.... ora volevo tornare a tutte le abitudini di una volta. - Dove andiamo, babbo? non a San Francesco veh! c' è uno sfoggio di cappellini eleganti, e di libri da messa colle cifre.... non ci si prega bene. - Dove vuoi andare? - In cerca di qualche chiesina fuor di mano: dove non ci sia che qualche povera donnetta, e dove il prete abbia una pianeta scolorita da cui escano i fili d' oro! - Il babbo passò il mio braccio sotto il suo, e disse, incamminandosi a passo lesto verso il corso di Porta Venezia: - Brava la mia Conny, torna allegra come una volta: e intanto che siamo soli.... vuoi tu dirmi quel che mi avevi promesso? Vuoi tu spiegarmi.... - Si rannuvolò, e la sua voce divenne seria quando aggiunse: - È stato per me un gran dolore, non te lo posso nascondere, lo scoprire che il tuo cuore non aveva scelto Rinaldi, che mi pareva fatto per te; ma forse a ragione mia sorella: è un giovine troppo vecchio. Tu sei espansiva, allegra, ardente, e hai bisogno di un uomo che, non solo ti voglia bene, ma te lo dica.... Conny, non vuoi proprio confidarmi nulla? - Io respiravo a fatica: avevo un nodo alla gola, che m' impediva di parlare. Si camminò un poco in silenzio: il Corso era quasi deserto. Sperai che si entrasse nella chiesa di San Babila, ma invece si andò innanzi. - Conny, ieri sera sono andata da mia sorella: lo sai? - No, non me lo avevi detto. - Ho dovuto andar io.... perché c' era qualcuno che non voleva venir da me. - Mi sentii un colpo nel cuore. Perché il babbo me ne parlava? Non capiva che soffrivo? Egli continuò: - Qualcuno che non vuol rimettere il piede in casa nostra senza il permesso della signorina Conny: ma che ti prega, ti supplica, in nome di quello che hai di più caro, di dargli questo permesso: egli vuole una spiegazione.... di che? né io né sua madre siamo riusciti a saperlo. Dice che è un vostro segreto. Io mi fido di te, Conny... e di Carletto: per questo non ho insistito perchè tu parlassi. - Io mi ero accostato il manicotto sulla bocca per soffocare i singhiozzi. - Dio mio! perchè mi diceva tutte quelle cose, nella strada, in mezzo alla gente? Non sentiva che mi trascinavo a fatica, e che il respiro mi si faceva sempre più breve? - Conny: di' la verità: vi amate: di questo non ne dubito: vi siete bisticciati per qualche sciocchezza.... e a quest' ora tu sei pentita, povera la mia bambina!... Dunque appena ritornati a casa, gli scrivo che la signorina Conny permette al marchese Gian Carlo di venire a vederla. Che! piangi? - Sì, piangevo: piangevo perché avevo bisogno di sfogare tutto il dolore che mi aveva empito il cuore in quei giorni.... Che era accaduto? dunque una parola sola, la speranza del suo ritorno bastavano a fugare tutto il disprezzo ch' io avevo provato per lui? Come lo amavo! come lo amavo se mi avvilivo al punto da non credere a ciò che avevo sentito, e da esultare perch' egli mi amava. Sollevai la testa e sorrisi perché nel mio cuore non era rimasta che una gioia immensa che mi pareva un sogno. Eravamo arrivati quasi a Porta Venezia. - Ma dove si va, babbo? Qui non ci son più chiese! Se fossimo ai tempi dei Promessi Sposi direi che si va alla chiesa de' Cappuccini! Ma si svoltò in una via deserta, chiusa in fondo dal bastione, in via Borghetto. - Vedi quella porticina a destra?... - mi disse il babbo. Quella è una chiesina proprio come la vuoi tu: nuda e stretta. Vedrai che pulpito! par troppo piccolo per un uomo. - In quella, una voce allegra, ma che parlava un dialetto sguaiato, mi fece alzar la testa. Una ragazza elegante scendeva a salti dalla stradetta a zig-zag del bastione, e dietro a lei.... Sentii una imprecazione soffocata del babbo, e il suo braccio strinse il mio come per sostenermi. Tutti i miei nervi avevano sussultato con spasimo: ma fu un lampo: la testa mi si rizzò, e mi sembrò di essere diventata più alta e che tutta la mia anima si fosse ad un tratto mutata.... Dietro a lei scendeva, ridendo e chiacchierando, un bel giovane biondo, con un lungo cappotto chiaro. Ci vide, e il suo viso si coperse di pallore, poi diventò rosso come di fuoco: il mio sguardo tagliente come una lama gli deve essere penetrato fino in fondo al cuore. Il babbo spinse la porticina della chiesa: io lo seguii, ma prima di richiuderla mi voltai. La ragazza s' era appoggiata al braccio di lui, e mi passarono davanti: mio cugino si guardava la punta degli stivali. Ciao, Conny! - gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo. Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiuola. Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi s'aggrappò di nuovo dicendo forte: - Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi. - La porta si richiuse dietro di me e mi trovai in chiesa. M' inginocchiai: i miei occhi erano fissi a una candela che ardeva sull'altare, e quella fiammella agitandosi mi pareva che s'allargasse e formasse delle grandi stelle che m'abbagliavano: ma non pensai di guardar altrove. Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo bambino: - Di': Buon Dio, beneditemi, fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto. - E nelle orecchie mi si ripeteva: " un bravo giovine sincero e onesto.... - E nella mente, fisso, questo pensiero: L'ho amato! l'ho amato! e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna. *** Quando fui sulla soglia del mio salotto mi passai una mano sulla fronte. Non mi pareva vero d'esserci arrivata; mi pareva un gran pezzo ch'ero assente da casa mia, che non vivevo la mia vita tranquilla e felice. Filippo era seduto nella mia paltroncina rossa colla Revue fra le mani; si alzò spalancò serio e compassato, ma poi mi guardò, gli occhi e aperse le braccia. lo mi vi buttai singhiozzando. - Finalmente! - disse. - Ringrazia Iddio che ti sei svegliata in tempo.... domani sarebbe troppo tardi.... Povera figliuola! hai avuto il tuo momento di vertigine anche tu, forte e ragionevole. Era forse necessario: hai fatto la tua esperienza. - Io m'aggrappai stretta e convulsa al suo collo. - Non è stato a tempo Filippo; - disse il babbo con una voce soffocata dall'emozione - l' altro giorno ha rifiutato Rinaldi. Rinaldi! - esclamò Filippo con sorpresa, e le sue braccia mi strinsero, quasi con tremito. - Era il mio sogno - mormorò. - L' unico uomo che ti meritava. Emanuele, - disse poi con una voce ferma e forte, - ti giuro che io ho fatto di tutto per evitare alla tua figliuola questo dolore: ma non ho potuto! Nessuna donna sa resistere al fascino del suo sguardo; è lui stesso che lo ha detto una sera: l' ho sentito io, e so che ha fatto l'esperienza su parecchie signore della nostra società. Questa volta, è vero, aveva tutta l' intenzione di finire al municipio: il mese scorso ha perduto al gioco non so quanto, e aveva bisogno di rifarsi.... - Abbi pietà di questa povera creatura! - gridò risentito il babbo. - Oh! non conosci la tua figliuola; ella ha bisogno di veder chiaro in tutto, di non essere ingannata: non è vero Conny? Vedi, io mi ero detto: Conny è buona e seria. Conny conosce il mondo - e sorrise con amarezza. - Conny, che ha letto i filosofi e i metafisici, analizza, capisce tutto, e sa che cosa bisogna fare per resi- stere alle vanità e alle seduzioni di quella brutta bestiaccia che si chiama società. Conny ha vissuto finora in mezzo a libri sani e a vecchi onesti, ma sa istintivamente quante leggerezze, quante slealtà e quante colpe si trovano nella giovane società: e saprà capire, studiare e rimaner sempre in alto, sopra a tutti, la donnina forte! Questo mi ero detto, cara figliuola; e questo voleva dire: non c' è bisogno di metterla in guardia: non sa ancora che cosa sia l'amore, ma ella saprà distinguere il falso dal vero, il complimento dalla dichiarazione, la parola dal sentimento, la leggerezza dalla serietà. - Tacque. lo tenevo il viso nascosto contro il suo petto e piangevo in silenzio. A un tratto alzai la testa, mi guardai, attorno, e dissi: - Filippo, non ne parliamo più, la prego! - e gli stesi la mano: egli me la baciò ed uscì. - Babbo, staremo sempre insieme! mi condurrai a Roma con te, non è vero? - Sì, cara figliuola; mi asciugò gli occhi, poi mi baciò con tenerezza. - L' indomani mi svegliai pallida ma calma. C' era nel mio sguardo una luce nuova profonda, cupa, e un lampo pieno d'alterezza e qualche volta di sarcasmo, che credo mi durerà tutta la vita. FINE

L'uccellino azzurro

213577
Maeterlink, Maurice 3 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Non so capire che cosa abbiano.... Li avevo messi a letto ieri sera, quieti quieti; e stamane si svegliano, e non mi raccapezzo più.... Non sanno quel che dicono; parlano di non so che viaggio.... Hanno veduto la Luce, il nonnino, la nonnina; dicono che sono morti ma che stanno bene.... TYLTYL Il nonnino però ha sempre la gamba di legno.... MYTYL E la nonnina, i reumi.... LA MAMMA Li senti?... Corri a chiamare il dottore!... IL BABBO Ma che, ma che!... Non sono mica morti, ancora.... Su, vediamo un po'.... (Bussano alla porta di casa). Avanti!... (Entra la Vicina, una vecchietta che assomiglia alla Fata del primo atto. Cammina appoggiandosi al bastone). LA VICINA Buongiorno, e buone feste a tutti!... TYLTYL La fata Beriluna! LA VICINA Vengo a chiedervi un po' di fuoco per la pentola.... Fa freschino, stamani.... Buongiorno, bambini, come va?... TYLTYL Signora Fata Beriluna, non l'ho mica trovato, sa, l'Uccellino Azzurro.... LA VICINA Che cosa dice?... LA MAMMA Oh, stia zitta, signora Berlingot!... Non sanno più quel che dicono.... Fanno così da quando si sono svegliati.... Devono aver mangiato qualcosa di cattivo.... LA VICINA Come, Tyltyl, non riconosci più la comare Berlingot, la tua vicina di casa?... TYLTYL Sì, signora.... Lei è la Fata Beriluna.... Non è mica in collera con noi, spero?... LA VICINA Beri.... come?... TYLTYL Beriluna.... LA VICINA Berlingot, vuoi dire, Berlingot.... TYLTYL Beriluna, Berlingot, come vuol lei, signora.... Ma Mytyl sa benissimo che.... LA MAMMA Questo è il male, che anche Mytyl.... IL BABBO Via, via!... Passerà. Ora ci penso io, con qualche buon scapaccione.... LA VICINA Lasciate andare, non vale la pena.... Me ne intendo, io: si tratta di un sognaccio.... Avranno dormito sotto un raggio di luna.... Anche la mia bambina, che è tanto malata, spesso è così ... LA MAMMA A proposito, come sta la vostra bambina?... LA VICINA Così così.... Non può alzarsi dal letto.... Il dottore dice che sonò i nervi.... Ma io lo so, che cosa la farebbe guarire.... Me Io chiedeva anche questa mattina, per regalo di Natale; è una sua idea fissa.... LA MAMMA Sì, lo so, vorrebbe l'uccellino di Tyltyl.... Ebbene, Tyltyl, non vuoi proprio deciderti a regalarlo a quella povera piccina?... TYLTYL Che cosa, mamma?... LA MAMMA Il tuo uccellino.... Per quello che te ne fai.... Non lo guardi nemmeno più.... E lei da tanto tempo si strugge dalla voglia di averlo!... TYLTYL Già, è vero, il mio uccellino.... Dov'è?... Ah, ecco la gabbia!... Vedi la gabbia, Mytyl?... È quella che teneva in mano il Pane.... Sì, sì, è proprio quella; ma dentro c'è un uccellino solo.... E l'altro?... Che l'abbia mangiato il Pane?... Guarda, guarda!... È azzurro!.... Ma è proprio la mia tortorella!... Oh, come mai è tanto più azzurra di quello che era prima che partissi?... Ma è l'Uccellino Azzurro, Mytyl! È l'Uccellino Azzurro che abbiamo tanto cercato!... Siamo andati tanto lontani, e invece era qui!... Che cosa strana!... Mytyl, lo vedi, MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino Azzurro. 16 l'uccellino? Chi sa che casa direbbe la Luce!... Voglio tirar giù la gabbia.... (Sale su di una sedia, e, staccata la gabbia dal chiodo, la porge alla Vicina). Ecco, prenda, signora, Berlingot.... Non è ancora proprio tutto azzurra; ma diventerà, vedrà.... Lo porti, lo porti subito alla sua bambina.— LA VICINA Come?... Davvero?... Me lo, dài, così a un tratto, e per nulla?... Dio, come sarà felice la mia bambina!... (Baciando Tyltyl). Ecco un bacio.... Scappo!... Scappo subito dalla mia bambina!... TYLTYL Sì, si, vada, presto; non vorrei che nel frattempo mutasse di colore.... LA VICINA Tornerò a raccontarti quel che avrà detto.... (Esce). TYLTYL (dopo essersi guardato lungamente intorno) Babbo, mamma; ma che cosa avete fatto, alla casa?... È la stessa di prima, sì; ma è tanto più bella.... IL BABBO Come, più bella?... TYLTYL Sì.... Avete ridato il colore da per tutto, rimesso tutto a nuovo; non vedete come tutto è pulito, ora, e lucido?... Non era mica così, l'anno passato.... IL BABBO L'anno passato?... TYLTYL (affacciandosi alla finestra) E la forestal... Com'è grande, com'è bella!... Non sembra più la stessa.... Ah, come si sta bene, qui!... (Aprendo la madia). Dov'è il Pane?... Curiosa! come se ne sta quieto quieto, ora, il Pane.... Ah, ecco Tylô!... Buongiorno, Tylô!... Bravo, ti sei battuto bene!... Ti ricordi, Tylô, nella foresta?... MYTYL E Tylette?... Guarda: mi riconosce, vedi? Ma non parla più.... TYLTYL Senta, signor Pane.... (Toccandosi la fronte). Oh bella, e il Diamante?... Non l'ho più... Chi mi ha preso il mio cappellino verde?... Poco male; non ne ho più bisogno.... Ah, ecco il Fuoco!... È buono, il Fuoco!... Crepita e ride per far arrabbiare l'Acqua.... (Correndo verso la fontanella). E l'Acqua?... Buongiorno, Acqua!... Che cosa dice?... Parla ancora, come prima, ma non mi riesce più di capire che cosa dice.... MYTYL E lo Zucchero? Non c'è più.... TYLTYL Dio, Come sono felice, felice, felice!... MYTYL Anch'io! Anch'io.... LA MAMMA Ma perchè vanno intorno a questo modo come due trottole?... IL BABBO Lascia stare, non preoccupartene. Giuocano a essere felici.... TYLTYL Io volevo bene alla Luce più che a tutti.... Dov'è la sua lampada?... Posso accenderla?... (Guardandosi ancora intorno). Dio, come è bella ogni cosa qua dentro, e come sono contento! (Bussano alla porta). IL BABBO Avanti! (Entra la Vicina, tenendo per la mano una bambina maravigliosamente bionda e bella, che stringe fra le braccia la tortorella di Tyltyl). LA VICINA Guardate che miracolo!... LA MAMMA Ma come!... Cammina?... LA VICINA Sì, cammina!... Anzi corre, balla, vola!... Appena ha veduto l'uccello è corsa in un balzo alla finestra per assicurarsi, alla luce, se fosse veramente la tortorella di Tyltyl.... E poi giù come un razzo, nella strada?... Volava che pareva un angelo.... Potevo appena tenerle dietro.... TYLTYL (avvicinandosi, meravigliato) Oh, come somiglia alla Luce!... MYTYL È molto più piccola, però.... TYLTYL È vero!... Ma crescerà.... LA VICINA Che cosa dicono?... Non stanno ancora bene, a quanto pare?... LA MAMMA Stanno meglio, ora passerà.... Quando avranno mangiato, saranno belle guariti.... LA VICINA (spingendo la piccina fra le braccia di Tyltyl) Va', dunque, piccina mia, va' a dire grazie a Tyltyl.... (Tyltyl, improvvisamente intimidito, si ritrae). LA MAMMA Perchè, Tyltyl? Che hai?... Hai paura della bambina?... Via, dalle un bacio.... Un bacio grosso grosso.... Non così.... Sei tanto ardito per solito!.. Ancora un altro, via.... Ma che hai?... Sei lì li per piangere.... (Tyltyl, dopo aver baciato goffamente la piccina, rimane un momento ritto dinanzi a lei, e i due bambini si guardano senza dirsi nulla. Poi Tyltyl, accarezzando l'uccellino): TYLTYL Ti pare che sia abbastanza azzurro?... LA BAMBINA Si, sì, sono tanto contenta.... TYLTYL Io però ne ho veduti di quelli molto più azzurri.... Ma quelli che sono proprio azzurri, sai, per quanto si faccia, non si riesce a prenderli.... LA BAMBINA Non importa; questo qui è molto bello.... TYLTYL Gli hai dato da mangiare?... LA BAMBINA Non ancora.... Che cosa mangia?... TYLTYL Mangiai di tutto: grano, pane, orzo, cicale.... LA BAMBINA E come fa, dimmi, a mangiare?... TYLTYL Mangia col becco. Guarda, ora ti faccio vedere.... (sta per prendere l'uccello dalle mani della bambina; questa si oppone, istintivamente, e la tortorella, approfittando di quel momento, si libera dalla stretta e vola via). LA BAMBINA (gettando un grido disperato) Mamma ! Mamma! È fuggito via!... (Scoppia in singhiozzi). TYLTYL Non è niente.... Non piangere.... Lo riacchiapperò.... (Andando verso la ribalta e indirizzandosi al pubblico). Se qualcuno trovasse per caso l' Uccellino Azzurro, vorrebbe far il piacere di rendercelo?... Ne avremo bisogno un giorno per poter essere felici.... CALA LA TELA. FINE.

Mi pare che ci abbiano visto.... (Infatti una dozzina dei più grossi fra, tutti i Piaceri si sono alzati da tavola, e reggendosi il ventre si avanzano, faticosamente, verso il gruppo dei Bambini). LA LUCE Non temere: sono molto ospitali. Vedrai che t'inviteranno a pranzo.... Ma non accettare; non accettare nulla da loro, altrimenti corri il rischio di dimenticare la tua missione.... TYLTYL Come? Non possa accettare neppure un pasticcino?? Devono essere tanto buoni, tanto freschi! Sono così bene inzuccherati, guarniti di frutta candite e ricolmi di crema?... LA LUCE Sì, ma sono pericolosi; spezzerebbero la tua volontà. Bisogna saper sacrificare qualche cosa al dovere che si sta compiendo. Ringrazia gentilmente, ma rifiuta con fermezza. Eccoli.... IL PIÙ GRASSO FRA TUTTI I PIACERI (tendendo la mano a Tyltyl) Buongiorno, Tyltyl!... TYLTYL (sorpreso) Come! Mi conoscete?... Chi siete?... IL GRASSO PIACERE Sono il più grande fra tutti i Piaceri: Piacere-d'esser-ricco; e vengo in nome dei miei fratelli a pregare voi e la vostra, famiglia di voler onorare con la vostra presenza il nostro eterno festino. Troverete i migliori rappresentanti dei veri e grandi Piaceri di questa Terra. Permettete che vi presenti i personaggi più importanti. Ecco mio genero, il Piacere- d'esser-proprietario, che ha il ventre a pera. Ecco il Piacere-dell'amor-proprio-sodisfatto, dalle gote gonfie. (Quest'ultimo saluta con aria di protezione). Ecco i due gemelli: il Piacere- di-bere-quando-non-si-ha-più-sete e il Piacere- di-mangiare-quando-non-si-ha-più-fame; hanno le gambe di pasta frolla. (I due salutano barcollando). E questo è il Piacere-di-non-saper-nulla, sordo come una lima, e il Piacere-di-non-comprendere- nulla che è cieco come una talpa. Ecco il Piacere-di-non-far-nulla, e il Piacere- di-dormire-più-del-necessario; hanno entrambi le mani di midolla, di pane e gli occhi di gela, Lina, di pesca. Ed ecco finalmente il Riso- Sciocco, dalla bocca che gli arriva agli orecchi: è proprio irresistibile.... (Il Riso-Sciocco saluta torcendosi dalle risa). TYLTYL (additando un Grasso Piacere che se ne sta in disparte) E quello là, che non ha il coraggio di avvicinarsi e che ci volta le spalle ?... IL GRASSO PIACERE Non insistere... È un po' impacciato, e non è opportuno presentarlo a dei bambini.... (A Tyltyl, afferrandogli le mani) Vieni, vieni! s'inizia il festino. Ricominciarne per la dodicesima volta dall'alba in qua. Non si aspetta che voi, ormai.... Non sentite i convitati che vi chiamano ad alta voce?... Non posso presentarveli tutti perchè son troppi.... (offrendo il braccio ai due bambini) Lasciate che vi conduca ai due posti d'onore.... TYLTYL Mille grazie, signor Grasso Piacere.... Mi rincresce molto.... ma non posso proprio accettare, questa, volta.... Abbiamo molta fretta ; stiamo cercando l'Uccellino Azzurro.... Per caso, non sapreste dirci dove si è nascosto? IL GRASSO PIACERE L'Uccellino Azzurro?... Aspettate un momento.... Sì, sì, mi ricordo.... Ne ho sentito parlare molto tempo fa.... Dev'essere un uccello non commestibile.... Certo, non l'ho mai visto sulla, nostra tavola: il che significa che non è tenuto in gran conto.... Ma che ve ne importa? Abbiamo mille altre cose molto migliori.... Parteciperete alla nostra vita, vedrete tutto quello che stiamo facendo. TYLTYL Che cosa fate? IL GRASSO PIACERE Siamo sempre occupatissimi a non far nulla.... Non abbiamo un minuto di riposo.... Dobbiamo bere, dobbiamo mangiare, dobbiamo dormire.... Tutto questo ci porta via tutto il tempo disponibile.... TYLTYL È una cosa divertente ? IL GRASSO PIACERE Sì, certo.... D'altra parte, poichè non c'è altro da fare su questa Terra.... LA LUCE Ne siete, sicuri?... IL GRASSO PIACERE (indicando la Luce, a bassa voce a Tyltyl) Chi è quella giovane così maleducata?... (Durante questo dialogo, una folla di Grassi Piaceri secondari si è fatta intorno al Cane, allo Zucchero e al Pane, e li ha trascinati con sè nell'orgia. Tyltyl li scorge a un tratto fraternamente seduti a tavola con i loro ospiti, intenti a mangiare e a bere dimenandosi pazzamente). TYLTYL Ma guarda un po', Luce!... Si sono seduti a tavola!... LA LUCE Chiamali! Altrimenti andrà a finir male.... TYLTYL Tylô!... Qua, Tylô! Qua subito, hai capito?... E voi laggiù, Zucchero e Pane, chi vi ha dato il permesso di lasciarmi?... Che cosa state facendo costì, senza la mia, autorizzazione? IL PANE (con la bocca piena) Non potresti parlarci con più cortesia?... TYLTYL Come! Il Pane si permette di darmi del tu?... Ma che cosa ti passa per la testa?... E tu, Tylô?... Così si obbedisce? Svelto, qua subito, a cuccia, a cuccial... Subito, hai inteso?... IL CANE (sottovoce, dal capo della tavola) Io, quando mangio, non ci sono per nessuno, non ho orecchi per niente e per nessuno.... Lo ZUCCHERO (con tono mellifluo) Scusatemi, ma come potremmo lasciare a un tratto, senza offenderli, degli ospiti tanto cortesi?... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino azzurro. 11 IL GRASSO PIACERE Vedi?... Ti danno il buon esempio.... Vieni, ti aspettano.... Non ammettiamo scuse.... Ti faremo dolce violenza.... Avanti, voi tutti, Grassi Piaceri, aiutatemi.... Spingiamoli per forza verso la tavola, per obbligarli ad essere felici contro la loro stessa volontà!... (Tutti i Grassi Piaceri, con salti e grida di gioia, trascinano i bambini che tentano di divincolarsi, mentre il Riso-Sciocco afferra arditamente la Luce per la vita). LA LUCE Gira il Diamante, presto. È ora!... (Tyltyl obbedisce all'ordine della Luce, e la scena s'illumina tosto di una luce purissima, divinamente rosea, armoniosa e leggera. Gli ornamenti massicci del primo piano, i pesanti drappeggi rossi cadono e scompaiono. Al loro posto appare un fantastico e dolce giardino di sogno pieno di pace e di serenità. Qualche cosa che somiglia a un palazzo di verzura dalle armoniche prospettive nel quale tutto, dalla magnificenza del fogliame lussureggiante e luminoso, esuberante e nondimeno composto, all'ebrezza virginale dei fiori, alla fresca gaiezza delle acque scorrenti e zampillanti per ogni dove, sembra portare fino agli estremi confini dell'orizzonte l'immagine stessa della felicità. La tavola dell'orgia sprofonda nel terreno senza lasciare traccia. Al soffio luminoso che invade la scena, i velluti, i broccati, le corone dei Grassi Piaceri, nonchè le loro maschere ilari, si lacerano e cadono ai piedi dei convitati stupefatti. I quali rapidamente sgonfiano a guisa di vesciche scoppiate, si guardano l'un l'altro sbattendo gli occhi offesi dai raggi a loro ignoti; finchè, vedendosi quali sono in realtà, cioè nudi, flosci, ributtanti e compassionevoli, si mettono a urlare dallo spavento e dalla vergogna. Tra questi urli si distinguono nettamente quelli del Riso-Sciocco, che dominano tutti gli altri. Solo il Piacere-di-non- capir-nulla rimane perfettamente calmo, mentre i suoi colleghi si agitano disperatamente tentando di fuggire, di nascondersi in qualche angolo oscuro. Ma nel giardino abbagliante di luce non c'è ombra. Perciò, disperati, i più si decidono a oltrepassare il sipario minaccioso che a destra, in un angolo, chiude la caverna delle Sventure. E ogni volta che uno di essi, preso dal panico, solleva un lembo di quella tenda, dal fondo dell'antro si eleva una tempesta d'ingiurie, d'imprecazioni e di maledizioni. Il Pane, il Cane e lo Zucchero, avviliti, raggiungono il gruppo dei bambini cercando, pieni di vergogna, di nascondersi dietro di loro). TYLTYL (guardando i Grassi Piaceri che fuggono) Dio mio! Come son brutti!... Dove vanno?... LA LUCE Hanno perduto la testa, a quanto pare.... Vanno a rifugiarsi presso le Sventure, e vi rimarranno, temo, per sempre.... TYLTYL (guardandosi attorno, estatico) Oh che bel giardino! Che bel giardino!... Dove siamo?... LA LUCE Siamo sempre nello stesso luogo. Ma ora i tuoi occhi vedono oltre la cerchia consueta.... Vediamo ora la verità qual'è; e fra poco scorgeremo le anime dei Piaceri che possono sopportare la luce del Diamante. TYLTYL Com'è bello!... E che bel tempo!.. Par d'essere in estate.... Guarda! Si direbbe che qualcheduno si avvicina a noi per parlarci.... (Infatti i giardini cominciano a popolarsi di forme angeliche che sembrano uscire da un lunghissimo sonno e che scivolano graziosamente tra gli alberi. Portano vesti luminose dalle sfumature dolcissime e soavi: risveglio di rosa, sorriso d'acqua, azzurro di aurora, rugiada d'ambra, ecc.). LA LUCE Vedi? Ecco dei Piaceri amabili e singolari, dai quali potremo sapere tante cose.... TYLTYL Li conosci?... LA LUCE Sì, li conosco tutti; spesso vengo a trovarli senza che sappiano chi io sia.... TYLTYL Quanti!... Quanti!... Sbucano fuori da tutte le parti.... LA LUCE Una volta ce n'erano molti di più. Sono stati assai danneggiati dai Grassi Piaceri. TYLTYL Non importa, ne rimangono sempre abbastanza.... LA LUCE E ne vedrai tanti altri, a mano a mano che si spargerà nei giardini l'influsso del Diamante.... Vi sono sulla Terra molti più Piaceri di quel che non si creda; ma la maggior parte degli Uomini non sa scoprirli.... TYLTYL Eccone alcuni piccolini che vengono verso di noi.... Andiamo loro incontro.... LA LUCE È inutile. Quelli che più c'interessano passeranno di qui. Ci manca, il tempo di conoscere anche tutti gli altri. (Una brigata di Piaceri piccolini, ridendo e saltellando, arriva, di corsa dal fondo verdeggiante e si mette a ballare un girotondo intorno ai due bambini). TYLTYL Come sono bellini!... Chi sono? Di dove vengono?... LA LUCE Sono i Piaceri dei bambini.... TYLTYL Posso parlare con loro?... LA LUCE È inutile. Cantano, ballano, ridono, ma non sanno ancora parlare.... TYLTYL (saltellando) Buongiorno! Buongiorno! Guarda quel grassone lì, come ride!... Che belle gotine che hanno!... E come sono ben vestiti!... Sono forse tutti ricchi qui?... LA LUCE No, no. Qui, come dappertutto, sono molti più i poveri che i ricchi.... TYLTYL E dove sono i poveri?... LA LUCE Non si possono distinguere gli uni dagli altri.... Il Piacere di un bambino è sempre rivestito da ciò che di più bello esiste sulla terra e nei cieli. TYLTYL (eccitato ) Vorrei ballare con loro.... LA LUCE No, caro, non è possibile; ci manca il tempo.... Ho già visito che l'Uccellino Azzurro non e' è neanche qui.... E del resto, vedi, hanno fretta, son già scomparsi.... Non hanno tempo da perdere neanch'essi: l'infanzia è breve..... (Un'altra brigatella di Piaceri, un po' più grandi dei precedenti, si precipita nel giardino cantando a squarciagola: «Eccoli! Eccoli! Ci hanno visto! Ci hanno visto!» e si mettono a ballare intorno ai due bambini un'allegra faràndola. Quando questa è finita, colui che sembra il capo della piccola schiera si avvicina a Tyltyl porgendogli la mano). IL PIACERE Buongiorno, Tyltyl!... TYLTYL E anche lui mi conosce!... (alla Luce) Tutti mi conoscono, un po' per volta—. Chi sei?... IL PIACERE Non mi riconosci? Scommetto che non riconosci nessuno dei miei compagni?... TYLTYL (un po' imbarazzato) No... Non so, non mi ricordo di avervi mai visto.... IL PIACERE Avete sentito?.. Ne ero sicuro?... Non ci ha mai visto!... (Tutti i Piaceri scoppiano in una risata). E io invece ti dico, mio caro Tyltyl, che ci conosci, e molto bene anche!... Siamo sempre intorno a te!.. Con te mangiamo, beviamo, ci destiamo, respiriamo, viviamo!... TYLTYL Si, si, va bene, lo so.... Mi ricordo.... Ma vorrei sapere come vi chiamate. IL PIACERE E io invece capisco benissimo che non sai nulla.... Sono il capo dei Piaceri-della-tua, casa; e questi che vedi, sono tutti gli altri Piaceri che vi abitano con te. TYLTYL Come! Ci sono dunque dei piaceri a casa mia ?. (Tutti i Piaceri scoppiano in una risata). IL PIACERE Avete sentito?... Chiede se ci sono dei Piaceri a casa sua!... Ma, povero scioccherello, la tua casa ne rigurgita!... Noi ridiamo, noi cantiamo, noi sappiamo creare tanta gioia da buttar all'aria i muri, da scoperchiare il tetto. Ma è inutile. Tu non vedi niente, tu non senti niente.... Spero però che d'ora innanzi metterai giudizio.... E intanto, ora saluterai i più autorevoli.... Così, quando sarai tornato a casa, ti sarà più facile riconoscerli e potrai, al chiudersi di una bella giornata, incoraggiarli con un sorriso, ringraziarli con una parola, cortese. Perchè, credilo, fanno il possibile per renderti facile e piacevole la vita.... E io, per il primo, il servitor tuo, il Piacere-di-essere- in-buona-salute—. Non sono il più bello, ma sono il più serio. Saprai riconoscermi? Ed ecco qua il Piacere-dell'aria-pura, che è quasi trasparente.... Ecco il Piacere-di-voler bene-ai-propri-genitori, vestito di grigio e sempre un po' triste perchè nessuno lo guarda mai.... Ecco il Piacere-del-cielo-azzurro, vestito naturalmente di azzurro; e il Piacere-della- foresta, non meno naturalmente vestito di verde, e che rivedrai ogni volta che ti affaccerai alla finestra.... Ed ecco anche il buon Piacere- delle-ore-soleggiate, color di diamante, e il Piacere-della-Primavera color di smeraldo.... TYLTYL E tutti i giorni siete belli così?... IL PIACERE Sì; quando gli occhi si aprono, ogni giorno è giorno di festa, in ogni casa.... E poi, quando vien la sera, ecco il Piacere-dei-Tramonti, più bello di tutti i re della terra, seguìto dal Piacere-di- veder-spuntar-le-stelle, dorato come un dio del tempo antico.... Poi, quando viene la cattiva stagione, ecco che arriva il Piacere- della-pioggia coperto di perle, e il Piacere-del- fuoco-invernale che schiude alle manine gelate il sue bel mantello di porpora.... E non ti parlo del migliore di tutti noi, del più luminoso, del Piacere-dei-pensieri-innocenti, perchè è quasi fratello delle Grandi Gioie limpide che vedrai fra poco.... E poi, ecco, anche.... Ma no, son troppi davvero!... Non si finirebbe più, e devo invece avvertire le Grandi Gioie che sono lassù, in fondo, presso la porta del cielo, e che nulla sanno ancora del vostro arrivo.... Manderò incontro a loro il Piacere-di-correre- a-piedi-nudi-sulla-rugiada, che è il più svelto di tutti.... (Al Piacere or ora nominato, e che si avvicina facendo delle capriole). Va' ! Corri!... (In questo punto una specie di diavoletto in maglia nera, gettando grida inarticolate e dando spinte a destra e a sinistra, si avvicina a Tyltyl e saltellando pazzamente intorno a lui lo carica di calci, di scappellotti e di motteggi). TYLTYL (stupito e indignatissimo) Chi è questo selvaggio?... IL PIACERE Ma guarda un po'!... è il Piacere-d'essere- insopportabile, fuggito un'altra volta, dalla caverna delle Sventure! Non si sa più dove rinchiuderlo. Riesce sempre a svignarsela, tanto che le stesse Sventure non vogliono più saperne di tenerlo con loro. (Il Diavoletto continua a tormentare Tyltyl, che cerca inutilmente di difendersi; poi, a un tratto, con una gran risata, scompare come era venuto, senza che si sappia il perchè). TYLTYL Ma che ha? È pazzo? LA LUCE Non lo so. Dicono che somiglia a te quando sei cattivo.... Ma ora bisognerebbe pensare all'Uccellino Azzurro.... Potrebb'essere che il capo dei Piaceri-della-casa! sapesse dov'è.... TYLTYL (al Capo dei Piaceri) Dov'è?... IL PIACERE Non sa dov'è l'Uccellino Azzurro!... (I Piaceri-della-casa scoppiano tutti in una risata). TYLTYL (seccato) No, non lo so.... Non mi pare che ci sia nulla da ridere. (Nuovi scoppi di risa). IL PIACERE Via.. non te la prendere a male.... E noi, siamo seri.... Se non lo sa, non vuol dire che sia per questo più sciocco e più ridicolo della maggior parte degli Uomini.... Oh ecco le Grandi Gioie che si avvicinano a noi, chiamate dal Piacere-di-correre-a-piedi-nudi-sullar rugiada!... (Infatti alcune alte e belle figure angeliche, coperte di vesti luminose, si avvicinano lentamente). TYLTYL Come sono belle!... Ma perchè non ridono?... Non sono forse felici?... LA LUCE Non è già quando si ride che si è più felici.... TYLTYL Chi sono?... IL PIACERE Sono le Grandi Gioie.... TYLTYL Come si chiamano? Lo sai?... IL PIACERE Certo; giochiamo spesso insieme.... Ecco, innanzi a tutte, la Grande-Gioia-d'esser- giusta, la quale, ogni volta che si ripara a un'ingiustizia sorride. Io son troppo giovane e non l'ho mai vista sorridere.... Dietro di lei, la Gioia-d'esser-buona, che è la più felice, ma anche la più melanconica: e alla quale è difficile impedire di andar a trovare le Sventure, ch'essa vorrebbe. consolare. A destra, ecco la Gioia-del-lavoro-compiuto, e accanto a lei, la Gioia-di-pensare. Poi la Gioia-di-comprendere, che cerca sempre suo fratello, il Piacere-di- non-capir-nulla.... TYLTYL Ma io l'ho veduto, questo suo fratello!... E andato dalle Sventure insieme coi Grassi- Piaceri.... IL PIACERE Lo prevedevo!... Ha preso una cattiva piega, i cattivi compagni l'hanno corrotto.... Ma non parlare di lui con sua sorella. Potrebbe venirle la voglia di andare a cercarlo, e noi perderemmo una delle gioie più belle.... Ecco anche, fra le più grandi, la Gioia-di-veder-ciò- che-è-bello, che ogni giorno aggiunge qualche raggio alla luce che regna in questo luogo.... TYLTYL E quella laggiù, lontano lontano, fra le nuvole d'oro, che riesco appena a vedere rizzandomi sulla, punta dei piedi?... IL PIACERE È la Grande-Gioia-di-amare.... Ma per quanto tu faccia, non la potrai veder tutta. Sei troppo piccola... TYLTYL E quelle laggiù, in fondo, tutte velate e che non si avvicinano a noi?... IL PIACERE Sono le Gioie che gli Uomini non conoscono ancora.... TYLTYL E le altre, che cosa fanno?... Perchè si tirano in disparte?... IL PIACERE Fanno largo alla nuova Gioia che si avanza, forse la più pura fra tutte quelle che si trovano qui.... TYLTYL Chi è? IL PIACERE Non l'hai ancora riconosciuta?... Guarda meglio, apri i tuoi occhi fino al fondo dell'anima!... Ti ha veduto, ti ha veduto!!... E ti corre incontro a braccia aperte!... È la Gioia di tua madre, è la Gioia-incomparabile-dell'amor-materno!... (Le altre Gioie, accorse da ogni parte, dopo averla accolta con acclamazioni, si traggono silenziosamente in disparte). L'AMOR MATERNO Tyltyl!... E c'è anche Mytyl!... Ma come, voi, voi ritrovo quassù!... Non me lo sarei aspettato davvero!... Mi sentivo così sola a casa, ed ecco che tutti e due siete saliti fino al cielo dove l'anima di tutte le madri sfavilla di gioia!... Ma datemi prima tanti baci, tanti tanti.... Venite tutti e due fra le mie braccia; che cosa può dare al mondo maggior felicità?... Tyltyl, non ridi?... E neanche tu, Mytyl?... Non riconoscete dunque l'amore della vostra mamma?... Ma guardatemi bene!... Non sono questi i miei occhi, le mie labbra, le mie braccia?... TYLTYL Sì, sì, riconosco tutto, ma non sapevo.... Somigli, sì, alla mamma, ma sei molto più bella.... L'AMOR MATERNO È naturale! Io non invecchio più.... E ogni giorno che passa mi dà nuova forza, nuova gioventù, nuova felicità.... Ogni tuo sorriso mi toglie un anno.... A casa, tutto questo non si vede. Ma qui shi vede tutto, e la verità è questa.... TYLTYL (meravigliato, guardandola e abbracciandola alternativamente). E codesto bel vestito, di che cosa è fatto?... Di seta, d'argento o di perle?... L'AMOR MATERNO No. È fatto di baci, di sguardi, di carezze.... Ogni bacio aggiunge un raggio di luna oppure un raggio di sole.... TYLTYL Curiosa! Non avrei mai creduto che tu fossi tanto ricca.... Dove la nascondevi, la tua ricchezza?... Forse in quell'armadio che il babbo tiene chiuso a chiave?... L'AMOR MATERNO No no, non la nascondo, ma non si vede perchè nulla si vede quando gli occhi son chiusi.... Tutte le madri sono ricche quando amano i loro figli.... E non esiste al mondo una madre povera, una madre brutta, una madre vecchia.... Il loro amore è sempre la più bella fra tutte le Gioie!... E sei talvolta sembrano tristi, basta un bacio dato o ricevuto perchè tutte le lacrime si trasformino dentro ai loro occhi in stelle.... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino azzurro. 12 TYLTYL (guardandola con stupore) Ma già, è vero?... I tuoi occhi son pieni, di stelle. Sono, sì, i tuoi occhi, ma, tanto più belli.... E riconosco anche la tua, mano, con l'anellino al dito.... C'è sempre il segno di quella bruciatura che ti facesti una sera accendendo il lume.... Ma, è più bianca, e la, pelle così trasparente?... Sembra quasi di vederci scorrer dentro la luce.... Questa, mano lavora meno, non è vero, della mano di casa?... L'AMOR MATERNO è sempre la stessa mano. Non t'eri mai accorto che diventa bianca, bianca e si riempie di luce quando ti carezza?... TYLTYL E poi non capisco, mamma.... Riconosco, sì, la tua voce; ma parli tanto meglio che a casa L'AMOR MATERNO A casa c'è troppo da fare e il tempo manca.... Ma dentro al cuore si sente tutto quello, che non si dice.... E ora che mi hai veduta, mi riconoscerai sotto la mia veste logora quando tornerai domani nella nostra capanna?... TYLTYL Non voglio tornarci.... Poichè sei qui anche tu, voglio rimanere qui, finchè ci stai tu.... L'AMOR MATERNO Ma non vedi che è la, stessa cosa abito laggiù, abitiamo tutti laggiù.... Quassù sei venuto soltanto per comprendere e per imparare finalmente a saper vedermi quando siamo laggiù.... Capisici, Tyltyl mio?... Tu credi d'essere in cielo; ma, il cielo è dovunque noi possiamo darci un bacio.... Non si possono avere due madri, e tu hai me sola.... Ogni bambino ne ha una sola, sempre la stessa, e sempre la, più bella di tutte. Ma bisogna conoscerla, e saper guardare bene.... Ma tu come hai fatto ad arrivare fin quassù e a trovare una strada che gli Uomini stanno cercando da quando sono scesi sulla terra?... TYLTYL (additando la Luce che, per discretezza, si è allontanata) Ci ha, condotti lei.... L'AMOR MATERNO Chi è?... TYLTYL La Luce.... L'AMOR MATERNO Non l'ho mai veduta.... Sapevo che vi voleva bene e che era tanto buona.... Ma perchè si nasconde?... Perchè non mostra mai il suo volto?.... TYLTYL Sì.... ma teme che i Piaceri si spaventino se ci vedono troppo chiaro.... L'AMOR MATERNO Ma non sa dunque che l'aspettiamo ansiosamente!... (chiamando le altre Grandi Gioie) Venite, venite, sorelle! Venite, accorrete tutte, la Luce viene finalmente da noi!... (Fremito di commozione fra le Grandi Gioie che si avvicinano gridando: «La Luce è venuta?... La Luce !... La Luce...»). LA GIOIA-DI-COMPRENDERE (scostando le altre Gioie per andare ad abbracciare la Luce). Sei la Luce e noi non lo sapevamo!... Sono anni ed anni che ti aspettiamo. Mi riconosci?... Sono la Gioia-di- comprendere.... Ti cerco da tanto tempo.... Siamo felici, sì, ma non possiamo veder di là dal nostro essere.... LA GIOIA-D'ESSER-GIUSTA (abbracciando alla sua volta la Luce) Mi riconosci?... Sono la Gioia-d'esser-giusta, che ti aveva tanto pregata di venire..... Siamo felici, sì, ma non possiamo vedere di là dalle nostre ombre.... LA GIOIA-DI-VEDERE-CIò-CHE-È-BELLO (abbracciandola anch'essa) E me, mi riconosci?... Sono la Gioia-della- bellezza, che ti ha sempre voluto bene.... Siamo felici, sì, ma non possiamo vedere di là dai nostri sogni.... LA GIOIA-DI-COMPRENDERE Via; via, sorella cara, non farci più a lungo aspettare.... Siamo abbastanza forti, abbastanza pure.... Scosta dunque questi veli che ci nascondono ancora le ultime verità e le ultime felicità.... Guarda, le mie sorelle s'inginocchiano tutte ai tuoi piedi.... Sei la nostra regina e la nostra ricompensa.... LA LUCE (avvolgendosi più, ancora nei suoi veli). Sorelle, sorelle mie belle, io obbedisco al mio Signore... L'ora non è ancora venuta, ma forse scoccherà presto: e allora, tornerò senza timori e senza ombre.— Addio, rialzatevi, abbracciamoci ancora come sorelle che si ritrovano, in attesa del giorno che spunterà ben presto.... L'AMOR MATERNO (abbracciando la Luce). Siete stata così buona verso i miei poveri piccini.... LA LUCE Sarò sempre buona verso coloro che si amano.... LA GIOIA-DI-COMPRENDERE Che il tuo ultimo bacio si posi sulla mia fronte.... (Si baciano lungamente: quando si staccano l'una dall'altra, i loro occhi sono pieni di lacrime). TYLTYL (sorpreso) Perchè piangete?... (guardando le altre Gioie) Oh bella! Anche voi piangete.... Ma perchè tutti gli occhi sono pieni di lacrime?... LA LUCE Zitto, bambino mio.... CALA LA TELA

I miei amici di Villa Castelli

214415
Ciarlantini, Franco 1 occorrenze
  • 1929
  • Fr. Bemporad & F.°- Editori
  • Firenze
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Sentite questa favola e cercate di capire perchè mai queste bestiole abbiano paura. «Una volta c'era un coniglio bianco, assai bello e si chiamava appunto il Coniglio bianco. Un giorno un Gallo sentì piangere il bel Coniglio e gli domandò: - O di che Piangi? - Ho paura. - Ma di che hai paura? D'ogni cosa rispose il Coniglio bianco. - Oh, vergogna! - Eh, già, tu parli bene, perchè hai il becco e gli unghioli in fondo alle zampe e ti puoi difendere. Allora, se credi che questo ti possa bastare, recati dalla vecchina del poggio e chiedi aiuto a lei. - Il Coniglio bianco, tutto contento, va saltellando dalla vecchina del poggio e le dice della sua gran paura di tutto. - Oh, di che hai paura? - dice la vecchina. - D'ogni cosa. - Che vergogna! - Tutti sono prepotenti con me ed io non posso difendermi. - Se questo è, chiedi ciò che vuoi e l'avrai. - Vorrei due belle corna. - Non aveva finito di chiedere, che le sentì spuntare e crescere. Il Coniglio bianco, senza neanche ringraziare, fuggì tutto contento. Ma non aveva fatto venti passi, che trovò una vecchia pecora la quale non aveva fiato per camminare. Appena il Coniglio la vide, scappò di gran corsa e tornò dalla vecchina. - Che succede? - chiese la buona donna. - Succede che le corna non mi bastano per difendermi e vorrei una ventina di unghie. - Ed ecco la vecchina mettere alle zampine del Coniglio venti unghie aguzze aguzze. Avute così le unghie, senza ringraziare, il Coniglio bianco se la diede a gambe. Dopo cinque minuti la vecchia se lo vide tornare spaurito col cuore che gli batteva forte forte perchè aveva trovato per strada un gatto e voleva addosso un becco per potersi difendere meglio. La buona donna gli mette un becco appuntito e il Coniglio va via contento. Ma dopo un po' rieccotelo, tremante, a chiedere due speroni per potersi difendere a calci in caso di bisogno: poi volle due zanne come quelle dei cinghiali per potersi difendere a morsi. Ma la paura non passava neanche con tutte queste armi e quando il Coniglio bianco tornò ancora dalla vecchia a chiedere qualche altra difesa, la buona donna gli disse: - Caro mio Coniglio, per te ci vorrebbe un po' di coraggio, ma questo non lo vende nessuno.-» I bambini contenti della favola, risero di cuore e si persuasero ch'era inutile domandare perchè mai i conigli hanno tanta paura.

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Sempronio e Sempronella

214796
Ambrosini, Luigi 1 occorrenze
  • 1922
  • G. B. Paravia e C.
  • Torino - Milano - Padova - Firenze - Roma - Napoli - Palermo
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E benché essi non abbiano dimenticato nè il babbo nè la mamma, pure sentono per maestro Saverio una riconoscenza che, quasi quasi, nel cuor loro non ha l'eguale.

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