Il "Fondo per rischi ed oneri" deve essere iscritto in bilancio solo per quelle partite che abbiano natura determinata, di esistenza certa e probabile, delle quali, tuttavia, alla chiusura dell'esercizio sono indeterminati o l'ammontare o la data di sopravvenienza. Tale principio è perfettamente aderente a quello contenuto nello IAS 37, secondo cui l'iscrivibilità di un fondo può trovare la sua giustificazione solo se l'evento che genera la passività potenziale abbia natura determinata e sia stato originato nell'esercizio o in esercizi passati, con conseguente esclusione di stanziamenti effettuati al solo fine di neutralizzare rischi generici i quali sono destinati ad essere fronteggiati dalle riserve del patrimonio netto. Con riferimento al trattamento contabile da riservare al Tfr, l'orientamento dell'IFRIC in ordine all'interpretazione del principio Ias 19 - che richiederebbe l'attualizzazione delle quote annuali al Tfr - solleva legittime perplessità. La normativa nazionale contenuta nell'art. 2120 c.c., applicabile anche ai fini tributari, prevede una modalità di determinazione del debito in modo puntuale che non richiede, dunque, alcuna attualizzazione.
., le cui quote non sono naturalmente destinate alla circolazione, tale destinazione richiederebbe una valutazione in concreto dell'ipotetica volontà espressa in tal senso dai contraenti interessati, non potendosi presumere con certezza che essi abbiano inteso perfezionare il trasferimento della quota anche a prescindere dalla concreta successiva possibilità, per il cessionario, di esercitare nei confronti della società i diritti inerenti alla qualità di socio.
Il presente articolo si pone il fine di analizzare in via sintetica se ed in che misura i testi normativi ora citati, unitamente alla l. n. 37/2006, abbiano apportato innovazioni alla disciplina in materia previgente.
.), con il vincolo negoziale che esclude la possibilità di rivolgersi al giudice e fonda un diritto il cui esercizio vale quale causa di giustificazione (art. 51 c.p.). Il processo privato così costruito resta peraltro soggetto a tutte le garanzie costituzionali del processo cui le parti non abbiano rinunciato, perché la nozione di processo ricavabile dalla Costituzione è indipendente da quella fornita dal legislatore ordinario ed include anche questo processo privato. L'ampliamento della sfera dei privati che risulta da questa interpretazione, sempre auspicabile nonostante l'aspirazione ad una convivenza di persone libere non risulti ovviamente popolare, emerge poi oggi come ulteriore difesa praticabile contro lo sfascio anche della giustizia italiana.
Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità confermano il recente revirement giurisprudenziale in tema di riducibilità della clausola penale da parte dell'autorità giudiziaria, pur in assenza di specifica domanda di parte ed, anzi, anche qualora le parti abbiano specificatamente convenuto l'irriducibilità della clausola stessa. Pertanto, la conseguenza di questo ragionamento è il riconoscimento del potere-dovere del giudice di ridurre ad equità la penale, indipendentemente dall'iniziativa di parte, nel rispetto dell'interesse oggettivo dell'ordinamento alla giustizia sostanziale del rapporto negoziale
., che sancisce, per le società per azioni, il diritto di prelazione sulle quote inoptate in capo ai soci che abbiano esercitato il diritto di opzione, in occasione dell'aumento del capitale sociale.
Il Consiglio di Stato conferma l'orientamento del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia affermando che l'unica interpretazione atta ad armonizzare i due periodi dell'art. 95, comma 2, del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 è quella di ritenere che la capogruppo debba possedere non meno del 40 percento dei requisiti di bando senza che altre mandanti abbiano quota uguale o maggiore, da individuarsi non in base al contributo potenziale della capogruppo alla copertura del requisito (ovverosia nella capacità della mandataria - da valutare sulla scorta delle qualificazioni da essa possedute - di assumere una quota dei lavori appaltati), ma con riferimento alla "corrispondenza sostanziale" tra quota di qualificazione, quota di partecipazione all'associazione e quota di esecuzione dei lavori, com'è desumibile dall'insieme costituito dagli artt. 8 e 13 della l. n. 109/1994; dagli artt. 93, comma 4, e 95 del regolamento e dall'art. 3 del D.P.R. n. 34/2000. Solo così può evitarsi una distorta applicazione della volontà perseguita dal legislatore e finalizzata alla corretta individuazione dei soggetti concretamente adatti all'esecuzione di pubbliche commesse.
L'art. 2476, comma 3, c.c. attribuisce al socio la legittimazione attiva a chiedere la revoca cautelare degli amministratori di una società a responsabilità limitata, ove questi abbiano commesso gravi irregolarità gestorie e siano soggetti passivi di un'azione sociale di responsabilità proposta dallo stesso socio. La struttura e disciplina della revoca, il suo collegamento con l'azione di merito cui accede e finanche la sua natura, sono state ampiamente investigate da dottrina e giurisprudenza nell'ambito delle prime applicazioni della riforma del diritto e del processo societario. Tuttavia, a distanza di quasi tre anni dall'entrata in vigore di quest'ultima, non sembra rinvenibile nel panorama delle opzioni interpretative una soluzione univoca o quanto meno maggioritaria, cosicché l'analisi di tali opzioni mantiene intatta la propria rilevanza. A questa constatazione non sfuggono neppure le decisioni qui commentate, le quali decidono ex professo sull'ammissibilità ante causam dell'istanza volta ad ottenere la suddetta revoca, pronunciando in senso opposto tra loro, al contempo rappresentando un interessante spunto per una disamina complessiva della misura cautelare in parola.
Tema centrale resta quello delle azioni di responsabilità nell'ambito delle quali sussistono ampi profili di incertezza, soprattutto per le azioni nei confronti di amministratori che abbiano violato divieti di operare nel caso di scioglimento della società, ma anche in tema di concorrenza di azioni che spettino ai creditori sociali. Si tratta peraltro di una normativa societaria e fallimentare che si colloca in una fase di interpretazione e per così dire di assestamento applicativo, che rende particolarmente incerti i temi dibattuti, tra i quali emerge quello delle iniziative giudiziali che può assumere il curatore nei confronti di atti dispositivi del socio illimitatamente responsabile, in caso di fallimento ex art. 147. Quanto alla concessione abusiva del credito appare di difficile collocazione l'iniziativa del curatore quale esercizio dell'azione di danno da qualificarsi come di massa.
Perché possa parlarsi di una fattispecie rilevante ai sensi dell'art. 2087 c.c. occorre che i comportamenti del datore di lavoro abbiano una connotazione emulativa e pretestuosa, e si iscrivano in un disegno persecutorio complessivo. La responsabilità per i danni derivati al lavoratore da tali condotte è di natura contrattuale; graverà quindi sul datore di lavoro l'onere di provare la non imputabilità dell'inadempimento.
., la garanzia in esame dovrebbe esser accordata non solo al parlamentare firmatario, ma anche a tutti quelli che abbiano partecipato all'atto di sindacato ispettivo (si pensi, ad esempio al deputato che in un question time replichi all'esecutivo).
Sebbene i cc.dd. prodotti multimediali abbiano da tempo assunto un'importanza significativa nel mercato, la multimedialità resta un fenomeno di difficile interpretazione e dai contorni rarefatti sotto il profilo della tutela giuridica. Nell'attesa (ed auspicio?) di un eventuale nuovo intervento del legislatore, all'interprete è demandato il non facile compito di dare concretezza alle norme oggi vigenti, nel tentativo di individuare quale specifico regime di protezione possa essere applicato efficacemente all'opera multimediale.
Vengono illustrati presupposti, elementi costitutivi e caratteristiche di tale forma di responsabilità degli operatori pubblici che, violando obblighi di servizio, abbiano causato alla p.a. un danno valutabile economicamente che sono tenuti a risarcire. Viene altresì trattata la responsabilità civile verso terzi. Un paragrafo è dedicato alla responsabilità amministrativa in materia di acquisti centralizzati, stante gli interventi legislativi degli ultimi anni che hanno introdotto innovazioni nelle modalità di acquisizione di beni e servizi, al fine di ridurre la spesa pubblica. Il lavoro è arricchito da numerosi riferimenti alla giurisprudenza più recente della Corte dei Conti che aiutano ad inquadrare in modo concreto principi e regole in materia.
Al fine di verificare negli enti locali della Toscana lo stato dell'arte nell'implementazione di sistemi contabili economico-patrimoniali, di sistemi di contabilità analitica dei costi dei servizi, di sistemi di controllo interni di gestione e di controlli sui servizi locali esternalizzati, abbiamo predisposto un questionario con il progetto di creare un osservatorio permanente che, alla data del 31 dicembre di ogni anno, rilevi quanti enti locali abbiano ammodernato i loro sistemi di contabilità e dei controlli. La raccolta e l'elaborazione dei dati è stata coordinata e controllata da Marcella Mulazzani, Professoressa di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso la Facoltà di Economia di Firenze, Dipartimento di scienze aziendali, e gestita dai Dottori Matteo Pozzoli e Alberto Romolini del medesimo Dipartimento.
L'individuazione del titolare, del responsabile e degli incaricati del trattamento dei dati risulta così essere adempimento di grande attualità per tutte le pubbliche amministrazioni che già non vi abbiano provveduto.
L'A. non condivide la pronuncia del supremo Collegio - secondo cui il provvedimento di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare disposto dal g.u.p. nel corso del giudizio abbreviato, in considerazione della complessità del processo, si estende anche agli imputati che non abbiano condizionato la scelta del rito - che determinerebbe, di fatto, la dipendenza della vicenda cautelare individuale dalle istanze altrui, svuotando di significato la scelta iniziale di rito abbreviato "secco".
La ricerca é volta a trovare quali fattori abbiano limitato l'uso della legge.
Si illustra poi come, sotto altra luce, il nuovo quadro normativo possa essere letto alla stregua dell'applicazione di clausole generali del diritto antitrust. La disciplina prevalentemente sondata è quella relativa ai regimi dell'accesso e dell'interconnessione. Dopo avere messo in evidenza come simili o identici principi abbiano trovato specificazione, nel tempo, in regole di contenuto precettivo radicalmente differente, si sottolinea il ruolo centrale svolto nel sistema dal potere di analisi dei mercati rimesso dalla legge al regolatore, e dalla proporzionale graduazione delle sue potestà di intervento: si aderisce così, innanzitutto, alla tesi che individua nella disciplina dinamica dei rapporti giuridici soggettivi intercorrenti tra gli operatori le linee generali del sistema delle reti. A tale dinamica disciplina delle relazioni intersoggettive vengono ricondotte anche regole senz'altro esorbitanti dal diritto della concorrenza e dalle sue rationes. Lo scritto illustra, infatti, devianze dai paradigmi giureconomici della disciplina (e della teorica) antitrust: ma ne individua la matrice nelle esigenze di servizio pubblico che permangono a contraddistinguere i settori a rete considerati, anch'esse protette, dall'Ordinamento, mediante la disciplina di rapporti obbligatori tra gli operatori economici o tra taluno di essi ed i pubblici poteri.
Invero benché le osservazioni che seguono non abbiano propriamente valore statistico, comunque consentono di guardare all'attività dei giudici "di prossimità" all'interno di alcuni meccanismi importanti sia dal punto di vista della regolazione dell'attività assicurativa, sia sotto il profilo del buon funzionamento del contenzioso di responsabilità civile nel settore dei danni alla persona (pur se limitatamente all'ambito della responsabilità civile da circolazione stradale - d'ora innanzi r.c.a. -).
., ricomprendendovi anche quelli che, pur privi della qualifica soggettiva richiesta da tale norma, abbiano posto in essere condotte che si traducono in un contributo morale o materiale alla commissione di tale delitto. La sentenza del tribunale di Milano in tale mutato contesto sistematico delinea ed approfondisce la distinzione tra il concorso del soggetto non qualificato nell'insider trading primario e l'insider secondario.
Di conseguenza, ci si deve domandare se sia configurabile una responsabilità dell'agenzia che ha emesso il rating, nell'ipotesi in cui la valutazione si sia rivelata in tutto od in parte infondata ed i risparmiatori, avendo fatto affidamento in buona fede su tale giudizio, abbiano subito un pregiudizio a causa dell'insolvenza dell'emittente.
., analizzando la norma, ritiene che essa, pur non avendo introdotto un nuovo negozio (traslativo atipico), si riferisca sia al trust sia ad altri negozi liberamente creati dai privati che abbiano le caratteristiche descritte nel citato articolo. La sua introduzione, alla fine, sembra confermare quell'orientamento dottrinale che, nonostante la ratifica della Convenzione de L'Aja del 1985, riteneva necessario un intervento legislativo che consentisse la trascrivibilità del trust attraverso l'individuazione dei presupposti e delle modalità per rendere l'atto opponibile a terzi.
La Repubblica italiana, in tema di processo penale in contumacia, deve assolutamente porre riforma alla propria legislazione in quanto l'acclarata violazione dell'art. 6 ha origine da un problema strutturale del proprio Ordinamento processuale penale il quale non concede la possibilità per i soggetti, che abbiano subito condanne ma che in concreto non siano stati informati degli eventi processuali a loro carico, di essere restituiti nei termini e vulnerando l'effettività di tutela del diritto di difesa del soggetto absens.
E' proprio delle transazioni epocali che conservatori e innovatori abbiano tutti torto e al tempo stesso ragione. Per questo, se non hanno tutti i torti a puntare i piedi, i conservatori sbagliano a mitizzare ciò che è esistito fino a ieri. D'altra parte, gli innovatori, se fanno bene a schierarsi per un cambiamento che giudicano inarrestabile, sbagliano a sottostimare i problemi dell'adattamento. In effetti, la storicizzazione della figura contrattuale a misura della quale il diritto del lavoro si è evoluto permette di accertare che essa non ha acquistato centralità anteriormente all'introduzione di misure che abbiano aumentato la sua desiderabilità sociale.
L'A. sostiene che le Sezioni Unite abbiano correttamente ritenuto applicabile la disciplina di cui all'art. 406 comma 2 bis c.p.p. al procedimento contro ignoti, ma dissente sulle conclusioni raggiunte dalla suprema Corte in ordine all'applicabilità, al medesimo procedimento, della disciplina contenuta nell'art. 414 c.p.p., relativa alla riapertura delle indagini preliminari.
Essi, coerentemente con i principi caratterizzanti gli Stati costituzionali di diritto, vanno affrontati nell'ottica di una inclusione sensibile alle differenze. Peculiare consistenza assumono quei casi in cui i comportamenti, giustificati sulla base di norme riconducibili alle pratiche proprie delle singole etnie e culture, ricadono nella sfera di applicazione del diritto penale. Il tema riguarda i cosiddetti "reati culturali" e la risposta da fornire di fronte alla commissione "culturalmente motivata" di illeciti penalmente rilevanti. Il ricorso alle cultural defenses è stato visto, negli ordinamenti di common law (soprattutto negli Stati Uniti), come uno strumento idoneo ad affrontare e risolvere casi siffatti attraverso l'esclusione o la diminuzione della pena. L'analisi verte sull'uso processuale delle cultural defenses, sulla loro teorizzazione dottrinale, nonché sulla praticabilità di tali esimenti e/o attenuanti nel nostro sistema. Una particolare attenzione merita il processo penale come momento essenziale per la gestione dei conflitti legati al pluralismo normativo al fine di realizzare una comprensione equitativa del caso e la "individualizzazione" della risposta sanzionatoria. Nel processo si valuta la responsabilità dei soggetti che abbiano maturato le proprie scelte conformemente alle convinzioni e alle credenze assunte all'interno delle comunità d'origine, attraverso un impegno di traduzione degli orientamenti assiologici coinvolti, che incidono sulla ricostruzione dei fatti. L'interazione processuale, nella sua strutturazione dialettica, implica il riconoscimento paritario e la legittimazione reciproca delle parti. In questo ambito, si tratta di operare bilanciamenti tra il diritto di vedere rispettate le fonti culturali dell'identità personale e i quadro ordinamentale, centrato sui diritti umani fondamentali.
In particolare vengono esaminati i profili relativi all'accertamento del nesso di causalità nei casi in cui più soggetti abbiano negligentemente esposto il danneggiato ad una sostanza patogena qualora talune esposizioni siano state illecite ed altre lecite ed il problema in cui una sola o più sostanze patogene possano essere state la causa del danno. Viene inoltre affrontata la questione della ripartizione del risarcimento del danno dovuto sulla base della proporzione di responsabilità dei soggetti che hanno causato l'esposizione illecita. A tale fine vengono prese in considerazione una serie di precedenti giurisprudenziali, ed in particolare la ormai nota sentenza Fairchild, che stabilì la regola della non applicabilità del principio di conditio sine qua non per l'accertamento della responsabilità nei casi di esposizioni all'amianto illecitamente poste in essere da più soggetti.
Questo purché tutti i soci iscritti nel libro dei soci alla data di trasmissione dell'opzione abbiano preventivamente comunicato alla società partecipata, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, il loro consenso all'esercizio dell'opzione. L'interpretazione dell'Amministrazione finanziaria è coerente con lo Statuto dei diritti del contribuente in materia di principio della collaborazione e della buona fede.
Tale indicazione, se condivisibile da un punto di vista generale, potrebbe però suscitare delle problematiche di carattere operativo laddove, in sede di opzione, le società facenti parte del perimetro di consolidamento abbiano scelto un criterio di riporto a nuovo della perdita risultante al momento della interruzione del consolidato o di mancato rinnovo dell'opzione diverso da quello ordinario che lascia il residuo della perdita nella disponibilità della sola società consolidante.
Sulla base dei limitati dati disponibili si stima, comunque, che, a livello mondiale, tra i 100 ed i 140 milioni di ragazze e donne abbiano subito una mutilazione genitale e che, ogni anno, circa 2 milioni di bambine e ragazze ne subiranno una qualche forma. Si tratta, quindi, di una realtà assolutamente mutata rispetto al passato e non più, oramai, relegabile ad una semplificante e lontana dimensione "tribale": le MGF sono divenute, anche, un problema per i "developed countries". Per quanto riguarda la situazione italiana, a fronte di circa 30.000 donne provenienti dai paesi in cui vigono pratiche di mutilazione dei genitali femminili, ancora scarsi sono i dati circa la reale dimensione del fenomeno, per lo più sommerso, che sembra riguardare, tuttavia, migliaia di donne immigrate. In questo contesto, animato anche da un vivace dibattito culturale e politico, si inserisce la legge testé approvata che non si limita solo alla repressione penale delle MGF, ma conferisce ampi spazi allo sviluppo della conoscenza in materia e delega un ruolo fondamentale al personale sanitario che viene ad essere coinvolto in prima persona.
La sentenza del 13 settembre 2005, causa C-176/03, resa dalla Corte di Giustizia in materia di protezione dellambiente attraverso il diritto penale, ripropone in tutta la sua problematicità il tema del riparto verticale delle competenze tra Stati membri ed Unione europea, tema che, come noto, aveva fortemente impegnato i Convenzionali e la Conferenza intergovernativa in sede di stesura della cd. Costituzione europea. \ Nel contributo, attraverso lanalisi dellattuale e della pregressa giurisprudenza comunitaria, si cerca di dimostrare quanto e come i giudici di Lussemburgo abbiano saputo e sappiano influenzare tale ripartizione di competenze, con scelte non sempre pienamente condivisibili. Ne risulta una Corte che, dibattuta tra lintento di incentivare il processo comunitario e quello di assolvere al suo ruolo di garante del diritto, non è sempre in grado di essere un arbitro imparziale, capace di mantenere la separazione delle competenze sulla base di criteri oggettivi. \ Un possibile cambiamento potrebbe essere, forse, raggiunto attraverso una maggiore cooperazione tra la Corte comunitaria e le Corti costituzionali nazionali: in effetti, come le regole sulle competenze vengono e verranno applicate dipenderà anche dalla capacità delle Corti statali di interagire ed indirizzare la giurisprudenza comunitaria.
L'A. considera la realtà per cui in tutti gli ordinamenti che abbiano raggiunto una certa evoluzione è riscontrabile un "diritto dell'emergenza", per fronteggiare, con speciali modalità di azione e (quasi sempre) con apparati organizzatori diversi da quelli ordinari, eventi eccezionali (quali guerre, disordini, epidemie, calamità naturali e altro) che non possono essere efficacemente gestiti con i normali strumenti operativi.
La decisione che si annota, pur relativa ad un'ipotesi specifica, ribadisce il principio in base al quale le agevolazioni contributive fissate dall'art. 8, comma 4 bis, della L. n. 223/1991 introdotto dall'art. 2 della L. n. 451/1994, di conversione del D.L. n. 229/1994, non sono applicabili alle imprese che abbiano assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli delle aziende che avevano in precedenza attivato procedure di mobilità.