Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'evoluzione

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Montalenti, Giuseppe 13 occorrenze

La spiegazione più plausibile è che durante la lunghissima era Archeozoica si siano venuti differenziando tutti quei tipi che poi compaiono nel Paleozoico, e che tali forme ancestrali non abbiano lasciato tracce fossili che sian potute giungere fino a noi.

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È noto che intorno a questa ricerca si sono affaticate varie generazioni di paleontologi, con risultati più che soddisfacenti, sebbene alcuni scrittori non abbiano voluto riconoscerli come tali.

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Nei Mammiferi si ha l’evoluzione di alcuni caratteri anatomici e fisiologici, quali la riduzione del numero dei denti e il loro differenziamento in alcuni tipi principali (incisivi, canini, molari); l’inclusione di alcune ossa della cerniera mascellare nell’orecchio; la posizione del corpo, che viene mantenuto dai quattro arti sollevato da terra, e, evidentemente, benché non si abbiano prove sicure della sua esistenza nei Terapsidi, la viviparità.

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Kimura in base a dati ricavati dalle mutazioni che hanno modificato la molecola dell’emoglobina, ha proposto la teoria che molti geni non abbiano valore selettivo, siano «neutrali», e perciò soggetti alla deriva genetica. Le opinioni dei genetisti in proposito sono divise; la questione è sub judice (cfr. p. 211).

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Si poteva pensare che questi organismi non abbiano presentato cospicue variazioni evolutive perché dotati di un minor grado di variabilità. Invece Limulus e vari altri animali, esaminati da questo punto di vista per una ventina di geni diversi, hanno dimostrato la presenza di molti polimorfismi, cioè di un grado di variabilità almeno eguale a quello di specie che non sono rimaste immutate, ma si sono evolute notevolmente. I fattori che hanno determinato l’immobilità evolutiva dei «fossili viventi» sono quindi diversi da quello che era stato ipotizzato.

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che la ologenesi, che quasi non è menzionata nei moderni trattati sull’evoluzione, e altre analoghe teorie abbiano ancora alcuni sostenitori in Italia e in altri paesi. Ologenesi di Rosa, nomogenesi di Berg, telefinalismo di Lecomte du Noüy e altre simili teorie rappresentano altrettanti tentativi di mantenere, in biologia, il principio dell’ordine prestabilito sancito dal sistema linneano, facendo salvo un dato di fatto che è oggi impossibile disconoscere: l’evoluzione.

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È presumibile che tali scariche, diventando più intense abbiano potuto acquistare gradualmente il valore di armi di offesa, per catturare la preda.

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Ripetute «infinite volte» le esperienze in diversi tempi e in diverse condizioni, il Redi, nella sua celebre opera: Esperienze intorno alla generazione degli insetti (Firenze 1668) poté concludere che le mosche nascono dalla carne putrefatta soltanto quando altre mosche vi abbiano precedentemente deposto le uova.

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Il passaggio da questo stadio a quello di protobionti, cioè di aggregati plurimolecolari che abbiano le proprietà di organismi viventi, è molto oscuro. In questo argomento si naviga ancora nel mare delle ipotesi, quali quelle proposte da Oparin, da Bernal, da Fox. Tuttavia, date le premesse, è legittimo sperare che il problema possa trovare la soluzione in un prossimo futuro.

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Certo si è che gli antropomorfi attuali si presentano ben distinti dall’uomo, e non è a pensare che questo derivi da quelli, né che abbiano un antenato prossimo in comune. Fra i molti caratteri anatomici che distinguono i Pongidi dagli Ominidi, basti ricordare quelli che fanno sì che i primi siano adattati alla vita arboricola e alla locomozione per mezzo delle braccia fra i rami degli alberi (arti anteriori assai lunghi, alluce opponibile, bacino stretto, ecc.), mentre gli Ominidi sono adatti alla vita sul terreno e alla locomozione bipede in posizione eretta (arti posteriori lunghi e robusti, poco articolati, alluce non opponibile, e piede con struttura adatta alla sua funzione, bacino largo, ecc.). Pongidi e Ominidi sono dunque come due rami che divergono da un tronco comune.

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La prima di queste due conclusioni - prosegue il nostro autore - è quella ch’è stata tratta finora, vale a dire press’a poco quella accettata da tutti: suppone in ogni animale una organizzazione costante e delle parti che non abbiano mai variato e che non varieranno mai; suppone ancora che le circostanze dei luoghi ove abita ogni specie d’animali non varino mai, in quelle località, perché, se variassero, gli stessi animali non potrebbero più vivere colà, e la possibilità di cercare altrove circostanze simili e di trasferirsi potrebbe esser loro preclusa.

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Una volta riconosciuta questa verità incontestabile, sarà facile vedere come nuovi bisogni abbiano potuto esser soddisfatti e nuove abitudini acquisite, se si presta attenzione alle seguenti leggi della natura, che l’osservazione ha sempre constatato.

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poi viene l’esposizione dell’affinità dell’uomo con le scimmie, dimostrando come tutti i caratteri morfologici differenziali messi in campo da vari autori non abbiano quel valore che s’è voluto loro attribuire. Poi il De Filippi dice della immensa differenza che esiste tra le scimmie e l’uomo riguardo alla facoltà intellettuale, al senso religioso, e alla speciale missione. Egli era dunque convinto della discendenza delle specie animali più alte dalle più basse, e quindi anche dell’uomo dalle scimmie, in favore della quale opinione - egli dice - militano opinioni fortissime; ma questo modo di vedere non conduce necessariamente all’ateismo, afferma il De Filippi, perché si può ammettere che il Creatore abbia fatto sorgere una o poche forme organiche e le abbia dotate della facoltà di generare le altre per lenta e graduale evoluzione.

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