Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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IL RE DEL MARE

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Salgari, Emilio 12 occorrenze

. - Sai che abbiano buone armi? - Non ho veduto presso di loro che qualche fucile. - Chi può essere stato a sollevarli? - borbottò Yanez. - Vi è un mistero qui sotto che io non riesco a spiegare, quantunque la Tigre della Malesia si ostini a vedere in tutto ciò la mano degli inglesi. Speriamo di giungere in tempo e di ricondurre Tremal-Naik e Darma a Mompracem, prima che i ribelli invadano le loro piantagioni e distruggano le loro fattorie. Vediamo se possiamo lasciare questo banco prima che la marea abbia raggiunto la sua massima altezza. Volse le spalle al malese e si diresse verso prora, curvandosi sulla murata del castello. La nave che aveva dato in secco, probabilmente in causa d'una falsa manovra, era uno splendido veliero a due alberi, costruito di certo da poco tempo a giudicarlo dalle sue linee ancora perfette, con due immense vele simili a quelle che portano i grossi prahos malesi. Doveva stazzare non meno di duecento tonnellate ed aveva un armamento da renderlo temuto anche a qualche piccolo incrociatore. Infatti, aveva sul cassero due pezzi da caccia di buon calibro, protetti da una barricata mobile formata da due grosse lastre di acciaio congiunte ad angolo e sul castello di prora quattro lunghe e grosse spingarde, armi eccellenti per mitragliare i nemici, quantunque di corta portata. Inoltre aveva un equipaggio numeroso, fin troppo per un legno così piccolo, formato da una quarantina di persone, malesi e dayaki, per la maggior parte attempati ma ancora solidi, dai visi fierissimi e con non poche cicatrici, ciò che indicava come quegli uomini fossero gente di mare e anche di guerra. La nave si era arrestata all'entrata d'una vasta baia, entro cui sboccava un fiume che pareva abbondante d'acqua. Numerose isole, fra cui una grandissima, riparavano la baia dai venti di ponente, tutte cinte di scogliere corallifere e di banchi e coperte da una vegetazione foltissima d'un bel verde intenso. La Marianna si era arenata su uno di quei banchi che le acque nascondevano e che, in quel momento, cominciava ad apparire, continuando la marea ad abbassarsi. La ruota di prora aveva toccato molto profondamente, in modo da rendere impossibile lo scagliamento col solo mezzo delle àncore gettate a poppavia e alate all'argano. - Cane d'un pilota! - esclamò Yanez, dopo d'aver osservato attentamente il banco. - Non ce la caveremo prima di mezzanotte. Che cosa ne dici, Sambigliong? Un malese che aveva il viso assai rugoso ed i capelli biancastri, e che tuttavia sembrava ancora robustissimo, si era accostato all'europeo: - Dico, signor Yanez, che nessuna manovra riuscirebbe a toglierci di qui senza l'aiuto dell'alta marea. - Hai fiducia in quel pilota? - Non so, capitano, - rispose il malese, - non avendolo mai veduto prima d'ora. Nondimeno ... - Continua, - disse Yanez. - Quello d'averlo trovato solo, così lontano da Gaya, in un canotto incapace di resistere ad un'ondata e di essersi subito offerto di guidarci, non mi pare chiaro. - Che abbia commesso una imprudenza ad affidargli il timone? - si chiese Yanez, che era diventato pensieroso. Poi, scuotendo il capo come se avesse voluto scacciare lungi da sè un pensiero importuno, aggiunse: - Per quale scopo quell'uomo, che appartiene alla vostra razza, avrebbe cercato di perdere il migliore e più poderoso praho della Tigre della Malesia? Forse che noi non abbiamo sempre protetti gli indigeni bornesi contro le vessazioni degli inglesi? Forse che non abbiamo rovesciato James Brooke per ridare l'indipendenza ai dayaki di Sarawak? - E perchè mai, signor Yanez, - disse Sambigliong - i dayaki della costa si sono messi in armi improvvisamente, contro i nostri amici? Eppure Tremal-Naik, creando fattorie su queste spiagge, che prima erano quasi deserte, ha dato loro il mezzo di guadagnarsi da vivere comodamente, senza correre i rischi della pirateria che li decimava. - È un mistero questo, mio caro Sambigliong, che nè io nè Sandokan siamo ancora riusciti a spiegare. Questo improvviso scoppio d'ira contro Tremal-Naik deve avere una causa che per ora ci sfugge, ma certo qualcuno ha soffiato sul fuoco. - Che Tremal-Naik e sua figlia Darma corrano un vero pericolo? - Il messo che ci ha mandato a Mompracem ha detto che tutti i dayaki sono in armi e sembrano presi da una improvvisa pazzia, che tre delle fattorie sono state saccheggiate e poi incendiate e parlavano di massacrare Tremal-Naik. - Eppure non c'è un uomo migliore di lui in tutta l'isola, - disse Sambigliong. - Non comprendo come quei furfanti guastino e saccheggino le sue proprietà. - Ne sapremo qualche cosa quando giungeremo al kampong di Pangutaran. La comparsa della Marianna sul fiume calmerà un po' i dayaki e se non deporranno le armi, li mitraglieremo come si meritano. - E conosceremo le cause che li hanno indotti a sollevarsi. - Oh! - esclamò ad un tratto Yanez, che aveva volti gli sguardi verso la foce del fiume. - Vi è qualcuno che pare voglia dirigersi verso di noi. Un piccolo canotto, munito d'una vela, era sbucato dietro gli isolotti che ingombravano la foce del fiume ed aveva puntato la prora verso la Marianna. Un solo uomo lo montava, ma era così lontano ancora da non poter distinguere se era un malese o un dayako. - Chi può essere costui? - si chiese Yanez, che non lo perdeva di vista. - Guarda, Sambigliong, non ti sembra indeciso sulla sua manovra? Ora si dirige verso gli isolotti, ora se ne allontana per gettarsi verso le scogliere corallifere. - Si direbbe che cerchi d'ingannare qualcuno sulla sua vera rotta, signor Yanez, - rispose Sambigliong. - Che sia sorvegliato e che cerchi d'ingannarli? - Pare anche a me, - rispose l'europeo. - Va'a prendermi un cannocchiale e fa' caricare una spingarda a palla. Se si cercherà d'intralciare la manovra di quell'uomo, il quale evidentemente mira a raggiungerci, faremo fuoco. Un momento dopo puntava l'istrumento sul piccolo canotto che allora si trovava a non meno di due miglia e che aveva finalmente abbandonato le isolette della foce, per spingersi risolutamente verso la Marianna. Ad un tratto gli sfuggì un grido: - Tangusa! - Quello che Tremal-Naik aveva condotto con sè da Mompracem e che aveva innalzato alla carica di fattore? - Sì, Sambigliong. - Finalmente sapremo qualche cosa su questa insurrezione, se è veramente lui, - disse il dayako. - Non m'inganno: lo vedo benissimo. Oh! - Che cosa avete, signore? - Vedo una scialuppa montata da una dozzina di dayaki che mi pare voglia dare la caccia a Tangusa. Guarda verso l'ultima isola: la vedi? Sambigliong aguzzò gli sguardi e vide infatti un'imbarcazione stretta e molto lunga, lasciare la foce del fiume e slanciarsi velocemente verso il mare, sotto la spinta di otto remi poderosamente manovrati. - Sì, signor Yanez, danno la caccia al fattore di Tremal-Naik, - disse. - Hai fatto caricare una spingarda? - Tutte e quattro. - Benissimo: aspettiamo un momento. Il piccolo canotto che aveva il vento in favore, filava diritto verso la Marianna con sufficiente velocità, nondimeno non pareva che potesse gareggiare colla scialuppa. L'uomo che la montava, accortosi di essere seguìto, aveva legata la barra del timone ed aveva preso due remi per accelerare maggiormente la corsa. Ad un tratto, una nuvoletta di fumo s'alzò sopra la prora della scialuppa, poi una detonazione giunse fino a bordo della Marianna. - Fanno fuoco su Tangusa, signor Yanez, - disse Sambigliong. - Ebbene mio caro, io mostrerò a quei furfanti come tirano i portoghesi, - rispose l'europeo colla sua solita calma. Gettò via la sigaretta che stava fumando, si fece largo fra i marinai che avevano invaso il castello di prora attirati da quello sparo e s'accostò alla prima spingarda di babordo, puntandola sulla scialuppa. La caccia continuava furiosa ed il piccolo canotto, nonostante gli sforzi disperati dell'uomo che lo montava, perdeva via. Un altro colpo di fucile era partito da parte degli inseguitori e senza miglior successo, essendo generalmente i dayaki più abili nel maneggio delle loro cerbottane che delle armi da fuoco, non conoscendo l'alzo. Yanez, calmo, impassibile mirava sempre. - È sulla linea, - mormorò dopo qualche minuto. Fece contemporaneamente fuoco. La lunga e grossa canna s'infiammò con un rombo strano che si ripercosse perfino sotto gli alberi che coprivano le sponde della baia. Sul tribordo della scialuppa si vide alzarsi uno sprazzo d'acqua, poi si udirono in lontananza delle urla furiose. - Presa, signor Yanez! - gridò Sambigliong. - E fra poco affonderà, - rispose il portoghese. I dayaki avevano interrotto l'inseguimento ed arrancavano disperatamente per raggiungere uno degli isolotti della foce, prima che la loro imbarcazione affondasse. Lo squarcio prodotto dalla palla della spingarda, un buon proiettile di piombo misto a rame, del peso d'una libbra e mezzo, era così considerevole da non permettere di prolungare molto quella corsa. Ed infatti i dayaki distavano ancora trecento passi dall'isolotto più vicino, quando la scialuppa, che si riempiva rapidamente d'acqua, mancò loro sotto i piedi, scomparendo. Essendo i dayaki della costa tutti abilissimi nuotatori, perchè passano la maggior parte della loro esistenza in acqua al pari dei malesi e dei polinesiani, non vi era pericolo che si annegassero. - Salvatevi pure, - disse Yanez. - Se tornerete alla carica vi scalderemo i dorsi con della buona mitraglia a base di chiodi. Il piccolo canotto, liberato dai suoi inseguitori, mercè quel colpo fortunato, aveva ripresa la rotta verso la Marianna spinto dalla brezza che aumentava col calar del sole e ben presto si trovò nelle sue acque. L'uomo che lo guidava era un giovane sulla trentina, dalla pelle giallastra, ed i lineamenti quasi europei, come se fosse nato da un incrocio di due razze, la caucasica e la malese; di statura piuttosto bassa e assai membruto; aveva il corpo avvolto in brandelli di tela bianca che gli fasciavano strettamente le braccia e le gambe e che apparivano qua e là macchiati di sangue. - Che l'abbiano ferito? - si chiese Yanez. - Quel meticcio mi sembra assai sofferente. Ohe, gettate una scala e preparate qualche cordiale. Mentre i suoi marinai eseguivano quegli ordini, il piccolo canotto, con un'ultima bordata, giunse sotto il fianco di tribordo del veliero. - Sali presto! - gridò Yanez. Il fattore di Tremal-Naik legò la piccola imbarcazione a una corda che gli era stata gettata, ammainò la vela, poi salì quasi con fatica la scala, comparendo sulla tolda. Un grido di sorpresa ed insieme d'orrore era sfuggito al portoghese. Tutto il corpo di quel disgraziato appariva crivellato come se avesse ricevuto parecchie scariche di pallini e da quelle innumerevoli, quantunque piccolissime ferite, uscivano goccioline di sangue. - Per Giove! - esclamò Yanez, facendo un gesto di ribrezzo. - Chi ti ha conciato in questo modo, mio povero Tangusa? - Le formiche bianche, signor Yanez, - rispose il malese con voce strozzata facendo un'orribile smorfia strappatagli dal dolore acuto che lo tormentava. - Le formiche bianche! - esclamò il portoghese. - Chi ti ha coperto il corpo di quei crudeli insetti così avidi di carne? - I dayaki, signor Yanez. - Ah! Miserabili! Passa nell'infermeria e fatti medicare, poi riprenderemo la conversazione. Dimmi solamente per ora se Tremal-Naik e Darma corrono un pericolo imminente. - Il padrone ha formato un piccolo corpo di malesi e tenta di far fronte ai dayaki. - Va bene, mettiti nelle mani di Kickatany che è un uomo che si intende di ferite, poi mi manderai a chiamare, mio povero Tangusa. Ora ho altro da fare. Mentre il malese, aiutato da due marinai, scendeva nel quadro, Yanez aveva rivolto la sua attenzione verso lo sbocco del fiume dove erano comparse altre tre grosse scialuppe montate da numerosi equipaggi ed una doppia, munita di ponte sul quale si scorgeva uno di quei piccoli cannoni di ottone chiamati dai malesi lilà, fusi insieme con rame tolto dalla carena delle vecchie navi e qualche particella di piombo. - Oh diavolo! - mormorò il portoghese. - Che quei dayaki abbiano intenzione di venirsi a misurare colle tigri di Mompracem? Non sarà con quelle forze che voi avrete ragione di noi, miei cari. Abbiamo dei buoni pezzi che vi faranno saltare come capre selvatiche. - Purchè non abbiano altre scialuppe nascoste dietro le isole, signor Yanez, - disse Sambigliong. - Siamo troppo forti per aver paura di loro, quantunque noi conosciamo l'audacia e lo slancio di quegli uomini, figli di pirati e di tagliatori di teste. Ne abbiamo due di quelle casse. - Palle d'acciaio armate di punte? Sì, capitano Yanez. - Falle portare in coperta e da' ordine a tutti i nostri uomini di calzare stivali di mare se non vorranno guastarsi i piedi. Ed i fasci di spine li hai imbarcati? - Anche quelli. - Falli gettare sulle impagliature tutto intorno al bordo. Se vorranno montare all'assalto li udremo a urlare come belve feroci. Pilota! Padada che si era issato fino sulla coffa del trinchetto per osservare le mosse sospette delle quattro scialuppe era disceso e si era accostato al portoghese guardando obliquamente. - Sai dirmi se quei dayaki posseggono molte barche? - Non ne ho vedute che pochissime sul fiume, - rispose il malese. - Credi che tenteranno di abbordarci, approfittando della nostra immobilità? - Non credo, padrone. - Parli sinceramente? Bada che comincio ad avere qualche sospetto su di te e che questo arenamento non mi è sembrato puramente accidentale. - Il malese fece una smorfia come per nascondere il brutto sorriso che stava per spuntargli sulle labbra, poi disse un po' risentito: - Non vi ho dato alcun motivo per dubitare della mia lealtà, padrone. - Vedremo in seguito, - rispose Yanez. - E ora andiamo a trovare quel povero Tangusa, mentre Sambigliong prepara la difesa.

. - Che abbiano rinunciato a tormentarci, dopo le batoste che hanno preso? - Uhm! - fece il pilota. - Se il pellegrino aveva giurato la vostra perdita, ritengo che farà il possibile per avere le vostre teste. - Mettici anche la tua nel numero, - disse il portoghese. - Torniamo a bordo e aspettiamo la notte. Il ritorno lo compirono senza essere stati molestati, confermandosi vieppiù nella supposizione che i dayaki non fossero ancora giunti in quei dintorni. Appena calato il sole, Yanez fece subito i preparativi della partenza. Vi erano ancora a bordo trentasei uomini, compresi i feriti. Ne scelse quindici, non volendo indebolire troppo l'equipaggio il quale poteva, durante la sua assenza, venire assalito, e verso le nove, dopo aver raccomandato a Sambigliong la più attiva sorveglianza onde non si facesse sorprendere, ridiscendeva a terra con Tangusa, il pilota e la scorta. Erano tutti formidabilmente armati, con carabine indiane di lungo tiro e parangs, quelle terribili sciabole che con un solo colpo decapitano un uomo, e ampiamente provvisti di munizioni, ignorando se Tremal-Naik ne avesse tante da poter reggere anche ad un assedio. - Avanti e soprattutto fate meno rumore che sia possibile, - disse Yanez, nel momento in cui si cacciavano sotto i boschi. - Noi non siamo ancora sicuri di trovare la via sgombra. Si volse indietro per dare un ultimo sguardo al veliero, la cui massa spiccava vivamente sulle acque del fiume, semi-confusa fra i vegetali che crescevano sulla riva e senza sapere il perchè, provò una stretta al cuore. - Si direbbe che ho un brutto presentimento, - mormorò con inquietudine. - Che lo perda? Scacciò l'importuno pensiero e si mise alla testa della scorta, preceduto di pochi passi dal meticcio e dal pilota, i soli che potessero orientarsi in mezzo a quel caos di enormi vegetali e fra le reti immense formate dai nepentes, dai gomuti e dai rotangs. Come al mattino un silenzio profondo regnava sotto quella infinita volta di verzura, come se quella foresta fosse assolutamente priva di animali feroci e di selvaggina. Persino gli uccelli notturni, quei grossi pipistrelli pelosi, che sono così comuni nelle isole malesi, mancavano. Solo le lucertole cantanti, che sono per lo più notturne, facevano udire di tratto in tratto il loro lieve grido stridente. Essendo il cielo coperto, un'afa pesante regnava sotto le immense foglie, incrociantisi strettamente a trenta o quaranta metri dal suolo. - Si direbbe che minaccia un uragano, - disse Yanez che respirava con grande fatica. - E scoppierà presto, signore, - rispose il meticcio. - Ho veduto il sole tramontare fra una nuvola nerastra e giungeremo appena a tempo al kampong. - Se nessuno ci arresterà. - Finora, signore, i dayaki non si sono mostrati. - Purchè non li troviamo presso il kampong. Speriamo che abbiano levato l'assedio. - Non saranno tanti da opporre una seria resistenza, almeno pel momento. Quelli che ci hanno aspettati alla foce del fiume forse non sono ancora tornati. - Se tardassero solo ventiquattro ore, non li temerei più, - rispose Yanez. - La Marianna, con equipaggio rinforzato, diverrebbe imprendibile. Avrà molti difensori Tremal-Naik? - Suppongo che abbia potuto raccogliere una ventina di malesi, signor Yanez. - Avremo così un piccolo esercito che darà da fare a quel maledetto pellegrino. Affrettiamo il passo e cerchiamo di giungere al kampong prima che l'alba sorga. La foresta non permetteva però che si avanzassero così rapidamente come avrebbero desiderato, essendo caduti in mezzo ad una antica piantagione di pepe che avvolgeva gli alberi in una rete assolutamente inestricabile. Le grosse piante non erano riuscite a soffocare i sarmenti altissimi i quali, ripiegandosi verso il suolo e collegandosi coi rotangs ed i calamus o avvolgendosi intorno alle mostruose radici uscite dal suolo per mancanza di spazio, formavano un intrecciamento colossale che opponeva una solida resistenza. - Mano ai parangs, - disse Yanez, vedendo che le due guide non riuscivano a passare. - Faremo rumore, - osservò il pilota. - Non ho già alcuna voglia di tornarmene indietro. - I dayaki possono udirci, signore. - Se ci assalgono li riceveremo come si meritano. Affrettiamoci. A colpi di sciabola riuscirono ad aprirsi un varco e sempre sciabolando a destra ed a manca, continuarono ad inoltrarsi nell'interminabile foresta. Marciavano da un'ora, lottando ostinatamente contro le piante, quando il pilota s'arrestò bruscamente, dicendo: - Fermi tutti. - I dayachì? - chiese sotto voce Yanez, che lo aveva subito raggiunto. - Non lo so, signore. - Hai udito qualche cosa? - Dei rami scricchiolare dinanzi a noi. - Andiamo a vedere, Tangusa, e voi tutti rimanete qui e non fate fuoco se io non vi do il segnale. Si gettò a terra trovandosi dinanzi a un caos di radici e di sarmenti e si mise a strisciare verso il luogo dove il malese asseriva d'aver udito i rami scricchiolare. Il meticcio gli si era messo dietro cercando di non far rumore. Percorsero così una cinquantina di metri e s'arrestarono sotto le enormi corolle d'un fiore mostruoso, un crubul che aveva una circonferenza di oltre tre metri, e che tramandava un odore poco piacevole. Essendovi intorno a quel fiore un po' di spazio libero, era facile scoprire degli uomini che si avanzassero attraverso la foresta. - Padada non si era ingannato, - disse Yanez, dopo essere rimasto qualche po' in ascolto. - Sì, qualcuno si avvicina, - confermò il meticcio. - E questo cos'è? - chiese a un tratto Yanez. In lontananza si udì in quel momento un rombo strano che pareva prodotto dall'avanzarsi di qualche furgone o d'un treno ferroviario. - Non è il tuono, - disse il portoghese. - Non lampeggia ancora, - disse Tangusa. - Si direbbe che un fiume ha rotto gli argini e straripa. - Non è caduta ancora una goccia d'acqua e poi il Kabatuan è lontano. - Che cosa sarà? - E s'approssima rapidamente, signore. - Verso di noi? - Sì. - Taci! Appoggiò un orecchio al suolo ed ascoltò nuovamente, trattenendo il respiro. La terra trasmetteva nettamente quel rombo inesplicabile che pareva prodotto dal rapido avanzarsi di masse enormi. - Non comprendo assolutamente nulla, - disse finalmente Yanez, rialzandosi. - È meglio che ci ripieghiamo verso la scorta; chissà che il pilota non ci spieghi questo mistero. Sgusciarono sotto i giganteschi petali del crubul e rifecero il cammino percorso, scivolando fra gli infinti sarmenti. Quando raggiunsero il luogo ove avevano lasciati i loro uomini, s'avvidero che anche la scorta era in preda ad una viva agitazione, udendosi anche là quel fragore. Solo Padada pareva tranquillo. - Da che cosa proviene questo baccano? - gli chiese Yanez. - È una colonna di elefanti che fugge dinanzi a qualche pericolo, signore, - rispose il pilota. - Saranno certamente moltissimi. - Degli elefanti! E chi può aver spaventato quei colossi? - Degli uomini, io credo. - Che i dayaki si avanzino da ponente? È di là che il fragore viene. - È quello che pensavo anch'io. - Che cosa mi consigli di fare? - Di allontanarci al più presto. - Non incontreremo gli elefanti sulla nostra via? - È probabile, ma basterà una scarica per farli deviare. Hanno una paura incredibile quei colossi degli spari, non essendovi abituati. - Avanti dunque, - comandò il portoghese, con voce risoluta. - Dobbiamo giungere al kampong prima che vi arrivino i dayaki. Si rimisero frettolosamente in cammino sciabolando i rotangs ed i calamus, mentre il fragore aumentava rapidamente d'intensità. Il pilota doveva aver indovinato giusto. Fra il fracasso assordante prodotto dall'incessante crollare delle piante, abbattute dai poderosi ed irresistibili urti di quelle enormi masse lanciate a galoppo sfrenato, si cominciavano a udire dei barriti. Quei pachidermi dovevano essere spaventati da qualche grossa truppa d'uomini, non fuggendo ordinariamente dinanzi ad un drappello di cacciatori. Dovevano essere state le bande dei dayaki a metterli in rotta. Yanez e i suoi uomini affrettavano il passo, temendo di venire travolti nella pazza corsa di quei pachidermi. Avendo trovato degli spazi liberi, si erano messi a correre, guardandosi con spavento alle spalle, credendo di vedersi rovinare addosso quei mostruosi animali. Anche Yanez appariva preoccupato. Avevano raggiunta una macchia formata quasi esclusivamente di enormi alberi della canfora, che nessuna forza avrebbe potuto atterrare, avendo quelle piante dei tronchi grossissimi, quando il pilota per la seconda volta si arrestò, dicendo precipitosamente: - Gettatevi sotto queste piante che sono sufficienti a proteggerci. Ecco che giungono! Si erano appena lasciati cadere dietro a quei tronchi colossali quando si videro apparire i primi elefanti. Sbucavano a corsa sfrenata da una macchia di sunda-matune, gli alberi della notte, così chiamati perchè i loro fiori non si schiudono che dopo il tramonto del sole e dei quali dovevano aver fatta una vera strage nella carica furibonda. Quei colossi, che parevano pazzi di terrore, piombarono di colpo su un ammasso di giovani palme che sbarrava loro la via e le abbatterono come se una falce immensa, manovrata da qualche titano, fosse scesa su quelle piante. Non era che l'avanguardia quella, poichè pochi istanti dopo si rovesciò su quello spazio il grosso, con clamori spaventevoli. Erano quaranta o cinquanta elefanti, fra maschi e femmine, che si urtavano fra loro confusamente, cercando di sorpassarsi. Le loro formidabili trombe percuotevano con impeto irresistibile alberi e cespugli, tutto abbattendo. Vedendone alcuni che pareva volessero scagliarsi verso gli alberi della canfora, Yanez stava per far eseguire una scarica, quando vide dei punti luminosi apparire dietro ai pachidermi che descrivevano delle fulminee parabole. - Silenzio! Che nessuno si muova! I dayaki! - aveva esclamato Padada. Parecchi uomini, quasi interamente nudi, correvano dietro agli elefanti, scagliando sui loro dorsi dei rami resinosi accesi, che subito raccoglievano appena caduti, tornando a lanciarli. Non erano che una ventina, tuttavia i pachidermi, atterriti da quella pioggia di fuoco che cadeva loro addosso senza posa, non osavano rivoltarsi, mentre con una sola carica avrebbero potuto spazzare e stritolare quel piccolo gruppo di nemici. - Non muovetevi e non fate fuoco! - aveva ripetuto precipitosamente Padada. Gli elefanti erano già passati, urtando i primi tronchi della macchia, senza che quelle colossali piante avessero fortunatamente ceduto ed erano scomparsi nel più folto della foresta, sempre perseguitati dai dayaki. - Che siano cacciatori? - chiese Yanez quando il fragore si perdette in lontananza. - Che cacciavano noi, - rispose il malese. - La nostra discesa a terra è stata notata da qualcuno che sorvegliava l'imbarcadero e non essendo probabilmente in numero sufficiente i dayaki che si trovavano nei dintorni, ci scagliano addosso gli elefanti. Vedrete che faranno percorrere a quei colossi tutta la foresta, colla speranza che c'incontrino sulla loro corsa e ci travolgano. - Possiamo quindi rivederli ancora? - È probabile, signore, se non ci affrettiamo a lasciare questa boscaglia ed a rifugiarci nel kampong di Pangutaran. - Siamo lontani molto ancora? - Non ve lo saprei dire, essendo questa parte della foresta così intricata, da non poterci nè orientare, nè correre troppo. Tuttavia suppongo che giungeremo prima dell'alba. - Prima che gli elefanti ritornino, andiamocene. Non si trovano sempre degli alberi della canfora per proteggerci. Mi stupisce però una cosa. - Quale, signore? - Come quei selvaggi abbiano potuto radunare tanti animali. - Li avranno incontrati per caso non essendo domatori come i mahut siamesi o i cornac indiani, - disse Tangusa, che assisteva al colloquio. - Non è raro, in queste foreste, trovare delle truppe di cinquanta e anche di cento capi. - E si presteranno a quel giuoco? - Continueranno a scappare finchè i dayaki avranno fiato e non cesseranno di perseguitarli coi tizzoni accesi. - Non credevo che quei bricconi fossero così furbi. Amici, al trotto! Lasciarono la macchia che li aveva così opportunamente protetti da quella carica spaventevole e si cacciarono entro altri macchioni formati per la maggior parte di alberi gommiferi, di dammeri e di sandracchi, cercando alla meglio di orientarsi, non potendo scorgere le stelle, tanto era folta la cupola di verzura che copriva la foresta. Fortunatamente le piante non crescevano così l'una presso all'altra ed i cespugli e i rotangs erano rari, sicchè potevano marciare più celermente e correre anche meno rischi di cadere in qualche agguato. In lontananza il fragore prodotto dagli elefanti lanciati in piena corsa si udiva ancora, ora intenso ed ora più debole. I poveri animali ora cacciati da una parte, ora respinti verso l'altra, facevano il giuoco dei dayaki, i quali sapevano abilmente guidarli dove desideravano, colla speranza che sorprendessero il drappello in qualche luogo dell'immensa foresta. Padada e il meticcio, sapendo ormai di che si trattava, si regolavano a tempo per tenersi sempre lontani da quel pericolo, conducendo il drappello in direzione opposta a quella seguìta dai pachidermi. Dopo una buona mezz'ora parve finalmente che i dayaki, convinti che le tigri di Mompracem non si trovassero in quella parte della selva, spingessero gli elefanti verso il fiume, poichè il fragore prodotto da quella carica furibonda si allontanò verso il sud, finchè cessò completamente. - Ci credono ancora lontani dal kampong, - disse il pilota, dopo d'aver ascoltato per qualche po'. - Vanno a cercarci verso il Kabatuan. - Quanta ostinazione in quei furfanti, - disse Yanez. - È proprio una guerra a morte che ci hanno dichiarata. - Eh, signor mio, - rispose Padada, - sanno bene che se noi riusciamo a unirci a Tremal-Naik, l'espugnazione del kampong diverrà estremamente difficile. - Io glielo lascio il kampong; non ho alcuna intenzione di stabilirmi qui. Ho l'ordine di condurre a Mompracem Tremal-Naik e sua figlia e non già di fare la guerra al pellegrino, almeno per ora. Più tardi vedremo. - Rinunziate a sapere chi è quell'uomo misterioso che ha giurato un odio implacabile contro tutti voi? - Non ho ancora pronunciato l'ultima parola, - rispose Yanez, con un sorriso. - Un giorno faremo i conti con quel messere. Per ora mettiamo in salvo l'indiano e la sua graziosa fanciulla. Dove siamo ora? Mi pare che la foresta cominci a diradarsi. - Buon segno, signore. Il kampong di Pangutaran non deve essere molto lontano. - Fra poco troveremo le prime piantagioni, - disse il meticcio che da qualche minuto osservava attentamente la foresta. - Se non m'inganno siamo presso il Marapohe. - Che cos'è? - chiese Yanez. - Un affluente del Kabatuan, che segna il confine della fattoria. Alt, signori! - Che cosa c'è? - Vedo dei fuochi brillare laggiù! - esclamò Tangusa. Yanez aguzzò gli sguardi e attraverso uno squarcio delle piante, ad una distanza considerevole, vide brillare nelle tenebre un grosso punto luminoso che non doveva essere un semplice fanale. - Il kampong! - chiese. - O un fuoco degli assedianti? - disse invece Tangusa. - Dovremo dare battaglia prima di entrare nella fattoria? - Prenderemo il nemico alle spalle, signore. - Tacete, - disse in quel momento il pilota, che si era avanzato di alcuni passi. - Che cosa c'è ancora? - chiese Yanez, dopo qualche minuto. - Odo il fiume rompersi contro le rive. Il kampong si trova dinanzi a noi, signore. - Attraversiamolo, - rispose Yanez risolutamente, - e piombiamo sugli assedianti a passo di carica. Tremal-Naik ci aiuterà dal canto suo come meglio potrà.

Che da un momento all'altro abbiano imparato a fabbricarle? Quel pellegrino ha insegnato loro a compiere delle vere meraviglie! - Capitano Yanez, - disse Sambigliong. - La Marianna va di traverso. Devo far gettare un ancorotto? Il portoghese si volse guardando il veliero, il quale, non potendo avanzare, non obbediva più all'azione del timone e cominciava a virare sul tribordo, indietreggiando lentamente. - Cala un ancorotto da pennello e prepara la scialuppa, - disse al mastro. - È necessario tagliare quella catena. Il ferro fu rapidamente affondato, filando pochi metri di catena, non essendo molto profondo il fiume in quel luogo e la Marianna arrestò la sua marcia indietro, raddrizzandosi quasi subito colla prora alla corrente. La medesima voce di prima, più minacciosa, s'alzò fra le piante, ripetendo l'intimazione: - Arrendetevi o vi stermineremo tutti. - Per Giove! - esclamò Yanez. - Mi ero scordato di rispondere a quell'uomo! Fece colle mani porta-voce, gridando: - Se vuoi la mia nave vieni a prenderla: ti avverto solo che abbiamo abbondanza di polvere e di piombo. Ed ora non seccarmi più, che ho altro da fare in questo momento. - Il pellegrino della Mecca ti punirà. - Va' ad appiccarti insieme al tuo Maometto. Ti troverai bene in sua compagnia. Sambigliong, fa' calare la scialuppa e manda sei uomini a tagliare la catena: attenzione agli artiglieri di babordo e proteggete chi scende. La più piccola delle due imbarcazioni fu messa rapidamente in acqua, e sei malesi, armati di pesanti scuri e di fucili, si calarono dentro. - Picchiate sodo e fate presto soprattutto! - gridò loro il portoghese. Poi salì sulla murata, aggrappandosi ad un paterazzo e guardò attentamente verso la riva, su cui era echeggiata la voce del misterioso pellegrino. Attraverso la foresta scorse ancora passare dei punti luminosi, che si allontanavano con fantastica velocità. - Che cosa preparano quei furfanti? - si chiese, non senza un po' di preoccupazione. - Signor Yanez, - disse Tangusa, che aveva lasciato il timone, essendo diventato pel momento inutile. - Ho scorto dei fuochi anche sulla riva destra. - Che siano dayaki che radunano delle altre noci di cocco? È un bel po' che vediamo passare quelle luci. Ad un tratto mandò una sorda imprecazione. Trenta o quaranta lingue di fuoco si erano improvvisamente alzate fra i cespugli delle due rive, rompendo l'oscurità fittissima che regnava sotto gli alberi. - Mettono fuoco alle foreste! - gridò. - Miserabili! - E quello che è peggio, signore, - aggiunse il meticcio, con voce alterata dallo spavento, - tutti questi alberi sono avvolti da giunta wan satura di caucciù. - Pra-la! - gridò il portoghese, rivolgendosi all'uomo che comandava la scialuppa. - Potete resistere da soli? - Abbiamo le nostre carabine, signor Yanez. - Affrettatevi più che potete, poi raggiungeteci. Sambigliong, fa' salpare l'ancorotto. - Ridiscendiamo il fiume, capitano? - chiese il mastro. - Ed in fretta, mio caro. Non ho alcun desiderio di farmi arrostire vivo. Lesti Tigrotti. Tutto alla banda il timone, Tangusa! In un baleno il ferro fu strappato dal fondo e la Marianna, che aveva in quel momento il vento a mezza-nave, virò rapidamente di bordo, lasciandosi trasportare dalla corrente. Una dozzina d'uomini, muniti di lunghi remi, aiutavano l'azione del timone, che diventava poco efficace avendo l'acqua a seconda. I sei marinai della scialuppa, quantunque privi della protezione dei loro compagni, non avevano abbandonata la catena e continuavano a tempestarla di colpi furiosi non accennando i grossi anelli a cedere tanto facilmente. Intanto l'incendio avvampava con rapidità spaventevole e nuove lingue di fuoco s'alzavano qua e là, per propagarlo su una più vasta estensione. Le fiamme trovavano un ottimo elemento nelle giunta wan (urceola elastica), quelle grosse piante rampicanti dalle quali i malesi traggono una sostanza vischiosa, di cui si servono per prendere gli uccelli, nei gambir, nei colossali alberi della canfora e nelle piante gommifere che sono numerose in tutte le foreste del Borneo. Tutte quelle piante crepitavano, come se contenessero nelle loro fibre delle cartuccie di fucile o detonavano e dai loro squarci lasciavano colare la linfa più o meno satura di resina, la quale a sua volta prendeva fuoco allargando sempre più l'incendio. Una luce intensa era successa alle tenebre, mentre miriadi di scintille s'alzavano a grande altezza volteggiando fra turbini di fumo. La Marianna scendeva precipitosamente, aiutata dai remi per sottrarsi a quell'incendio, che si propagava ormai anche alle piante prossime alle due rive, ma non aveva percorso che cinquecento passi, quando un urto avvenne a prora, che si ripercosse in tutte le parti della carena. Urla furiose erano scoppiate sul castello di prora, dove eransi radunati la maggior parte dei malesi, temendo che da un momento all'altro comparissero le scialuppe e i pontoni dei dayaki. - Siamo presi! - Ci hanno tagliata la ritirata! Yanez era accorso, immaginandosi che cos'era accaduto. - Un'altra catena? - chiese, respingendo i suoi uomini per farsi largo. - Sì, capitano. - Allora l'hanno tesa pochi minuti fa. - Così deve essere, - disse Tangusa, che appariva esterrefatto. - Signor Yanez, non ci rimane che di prendere terra mentre l'incendio non è ancora attaccato dovunque. - Lasciare la Marianna! - esclamò il portoghese. - Oh mai! Sarebbe la fine di tutti, anche di Tremal-Naik e di Darma. - Devo mettere in acqua l'altra scialuppa? - chiese Sambigliong. Yanez non rispose. Ritto sulla prora, colle mani strette sulla scotta della trinchettina, la sigaretta spenta e compressa fra le labbra, guardava l'incendio che s'allargava sempre più. Anche verso il basso corso del fiume delle vampe cominciavano ad alzarsi. Fra poco la Marianna doveva trovarsi in mezzo ad un mare di fuoco e, siccome gli alberi quasi riunivano i loro rami sopra il fiume, l'equipaggio correva il pericolo di vedersi rovesciare addosso una pioggia di tizzoni ardenti e di cenere calda. - Capitano, - ripetè Sambigliong, - devo mettere in acqua la seconda scialuppa? Noi corriamo il pericolo di perdere la Marianna, se non fuggiamo. - Fuggire! E dove? - chiese Yanez, con voce pacata. - Abbiamo il fuoco dinanzi e di dietro e anche spezzando le catene la nostra situazione non migliorerebbe. - Ci lasceremo dunque arrostire, signor Yanez? - Non siamo ancora cucinati, - rispose il portoghese, colla sua calma meravigliosa. - Le tigri di Mompracem sono costolette un po' dure. Poi, cambiando bruscamente tono, gridò: - Stendete la tela sul ponte, abbassate le vele sui ferri di sostegno. In acqua le maniche delle pompe e affondate le àncore. Gli artiglieri a posto! L'equipaggio che attendeva con angoscia qualche decisione, in pochi momenti issò i ferri di sostegno e ammainò le due immense vele. La Marianna, come tutti gli yacht che intraprendono dei viaggi nelle regioni estremamente calde, era fornita d'una tela per riparare il ponte dagli ardenti raggi solari e dei relativi sostegni. In un baleno fu stesa all'altezza delle bome e le due vele vi furono gettate sopra, lasciando cadere i margini lungo le murate, in modo da coprire interamente la piccola nave. - Manovrate le pompe e inaffiate, - comandò Yanez, quando l'ordine fu eseguito. Riaccese poscia la sigaretta e si spinse verso la prora, mentre torrenti d'acqua venivano lanciati contro la tela inzuppandola completamente. Gli uomini incaricati di spezzare la catena, tornavano in quel momento a bordo, arrancando disperatamente. Sopra di loro fiammeggiavano i rami degli alberi, coprendoli di scintille. - Giungono a tempo, - mormorò il portoghese. - Che spettacolo magnifico! Che peccato non poterlo vedere un po' da lontano! Lo ammirerei meglio! Una vera tromba di fuoco si rovesciava sul fiume. Gli alberi delle due rive, composti per la maggior parte di piante gommifere, ardevano come zolfanelli, lanciando dovunque mostruose lingue di fuoco e turbini di fumo denso e pesante. I tronchi, carbonizzati, rovinavano al suolo, facendo crollare le piante vicine a cui erano collegati da piante parassite e gambir e spandendo torrenti di caucciù ardente. Alberi della canfora enormi, casuarine, sagu, arenghe saccarifere, dammar saturi di resina, banani, cocchi e durion fiammeggiavano come torce colossali, contorcendosi e tuonando; poi s'abbattevano, rovesciandosi nel fiume con fischi assordanti. L'aria diventava irrespirabile e le tende e le vele che coprivano la Marianna fumavano e si contraevano, nonostante i continui getti d'acqua che le innaffiavano. Il calore era diventato così intenso che i Tigrotti di Mompracem, malgrado la protezione delle vele, si sentivano mancare. Immense nuvole di fumo e nembi di scintille, che il vento spingeva, si cacciavano entro lo spazio racchiuso fra il ponte e le tele, avvolgendo gli uomini terrorizzati, mentre dall'alto cadevano senza interruzione rami fiammeggianti, che le pompe penavano a spegnere, quantunque energicamente manovrate. Una cupola di fuoco avvolgeva ogni cosa: la nave, le rive ed il fiume. I malesi ed i dayaki che formavano l'equipaggio, guardavano con spavento quelle cortine fiammeggianti, che non accennavano a scemare, chiedendosi angosciosamente se stava per suonare per loro l'ultima ora. Solo Yanez, l'uomo eternamente impassibile, pareva che non si occupasse affatto del tremendo pericolo che minacciava la Marianna. Seduto sull'affusto di uno dei due pezzi da caccia, fumava placidamente la sua sigaretta, come se fosse insensibile a quel calore spaventevole che cucinava i suoi uomini. - Signore! - gridò il meticcio, accorrendo presso di lui, col viso smorto e gli occhi dilatati pel terrore, - noi ci arrostiamo. Yanez alzò le spalle. - Non posso fare nulla io, - rispose poi, colla sua calma abituale. - L'aria diventa irrespirabile. - Accontentati di quella poca che scende nei tuoi polmoni. - Fuggiamo, signore. I nostri uomini hanno spezzata la catena che ci chiudeva il passo verso l'alto corso. - Lassù non farà più fresco di qui, mio caro. - Dovremo perire così? - Se così è scritto, - rispose Yanez, senza togliersi dalle labbra la sigaretta. Si rovesciò sull'affusto come se fosse su una comoda poltrona, aggiungendo dopo qualche istante: - Bah! Aspettiamo! Ad un tratto alcune scariche di fucili rimbombarono sul fiume, accompagnate da clamori assordanti. Yanez si era alzato. - Come diventano noiosi questi dayaki! - esclamò. Attraversò il ponte, senza curarsi dei torrenti d'acqua che gli cadevano addosso e, alzato un lembo dell'immensa tenda, guardò verso la riva. Attraverso le cortine di fuoco scorse degli uomini che parevano demoni, correre fra le ondate di fumo, sparando contro il veliero. Pareva che quei terribili selvaggi fossero insensibili, come le salamandre, perchè osavano, quantunque quasi nudi, cacciarsi fra le fiamme per sparare più da vicino. Yanez si era fatto torvo in viso. Una bella collera bianca si manifestava in quell'uomo, che pareva avesse dell'acqua agghiacciata nelle vene e che potesse gareggiare coi più flemmatici anglo-sassoni delle razze nordiche. - Ah! Miserabili! - gridò. - Nemmeno in mezzo al fuoco volete lasciarci un momento di tregua! Sambigliong, Tigrotti di Mompracem, bordate senza misericordia quei demoni! Fu un po' rialzata la tenda, le quattro spingarde furono riunite sul tribordo, e mentre l'incendio avvampava più che mai, divorando gli enormi vegetali, la mitraglia cominciò a fischiare attraverso le cortine di fuoco, tempestando i selvaggi con uragani di chiodi e di frammenti di ferro. Bastarono sette od otto scariche per decidere quei bricconi a mostrare i talloni. Parecchi erano caduti e arrostivano in mezzo alle erbe ed i cespugli crepitanti, continuando il fuoco a dilatarsi. - Potesse essere caduto anche il pellegrino! - mormorò Yanez. - Quel furbone si sarà purtroppo ben guardato dall'esporsi ai nostri tiri. Chiamò il malese che aveva guidata la scialuppa, che era tornata a bordo nel momento in cui gli alberi costeggianti il fiume prendevano pure fuoco. - L'hai spezzata la catena? - gli chiese. - Sì, capitano Yanez. - Sicchè il passo è libero. - Completamente. - Il fuoco scema verso l'alto corso del fiume, mentre tende ad aumentare verso il basso, - mormorò Yanez. - Sarebbe meglio andarcene, prima che quei birboni possano tendere altre catene o che le loro scialuppe giungano qui. Checchè debba succedere, partiamo. La volta di verzura che copriva in quel luogo il fiume, era stata distrutta dall'uragano di fuoco che l'aveva investita, e sulle due rive più non rimanevano in piedi che pochi enormi tronchi di alberi della canfora, semi-carbonizzati e qualche tronco di durion che fiammeggiava ancora come una immensa torcia. Il fuoco invece avvampava terribile verso ponente, dove le foreste erano fino allora rimaste intatte, ossia dietro la Marianna. Il pericolo quindi che il veliero s'incendiasse, era ormai evitato. - Approfittiamo, - disse Yanez. - L'aria comincia a diventare un po' più respirabile e la brezza è sempre favorevole. Fece togliere l'immensa tela che grondava acqua, poi fece levare e quindi inferire le vele ai pennoni. Quelle manovre furono compiute rapidamente, fra una vera pioggia di cenere che la brezza avventava contro il veliero, accecando e facendo tossire gli uomini. Regnava ancora un caldo infernale sul fiume, essendo le due rive coperte da un altissimo strato di carboni ancora ardenti, tuttavia non vi era più pericolo di morire asfissiati. Alle quattro del mattino le àncore furono issate e la Marianna riprese la navigazione con notevole velocità, senza essere stata disturbata. I dayaki, che dovevano aver subite delle perdite crudeli, non si erano più fatti vedere. Forse l'incendio, che aumentava sempre verso ponente, li aveva obbligati ad una precipitosa ritirata. - Non si scorgono più, - disse Yanez al meticcio, che osservava le due rive sulle quali ondeggiavano ancora dense colonne di fumo e nembi di scintille. - Se ci lasciassero tranquilli almeno fino a che possiamo raggiungere l'imbarcadero! Che non abbiano capito che noi siamo persone risolute a difendere estremamente la pelle? Dopo le due lezioni ricevute, dovrebbero essersi persuasi che non siamo gallette pei loro denti. - Hanno capito, signor Yanez, che noi accorriamo in aiuto del mio padrone. - Eppure nessuno glielo ha detto. - Io scommetto che lo sapevano, prima ancora del vostro arrivo. Qualche servo ha tradito il segreto o ha uditi gli ordini dati da Tremal-Naik all'uomo che vi fu mandato. - Che sia così? - Quel malese che voi avete raccolto e che si offerse come pilota devono averlo mandato essi incontro alla Marianna. - Per Giove! Non mi ricordavo più di quel furfante! - esclamò Yanez. - Giacchè i dayaki ci lasciano un po' di tregua e l'incendio si spegne più in su, potremmo occuparci un po' di lui. Chissà che riusciamo a strappargli qualche preziosa informazione su quel misterioso pellegrino. - Se parlerà! - Se si ostinerà a rimaner muto, m'incarico io di fargli passare un brutto quarto d'ora. Vieni, Tangusa. - Raccomandò a Sambigliong di mantenere gli uomini ai loro posti di combattimento, temendo sempre qualche nuova sorpresa da parte di quegli ostinati nemici e scese nel quadro, dove la lampada bruciava ancora. In una cabina attigua al salotto, su un tettuccio, giaceva il pilota, sempre immerso nel sonno profondo, procurategli dalle compressioni energiche di Sambigliong. Un sonno regolare veramente non lo era. Il respiro era leggerissimo, tanto che si avrebbe potuto scambiare il malese per un vero morto, essendo anche la sua tinta diventata quasi grigiastra, come quando gli uomini di colore diventano pallidi. Yanez, che era stato istruito da Sambigliong, strofinò violentemente le tempie ed il petto dell'addormentato, poi gli alzò le braccia ripiegandole all'indietro più che potè onde dilatargli i polmoni, eseguendo quel movimento parecchie volte. Alla nona o alla decima mossa il malese aprì finalmente gli occhi, fissandoli sul portoghese con un lampo di terrore. - Come stai, amico? - gli chiese Yanez con accento un po' ironico. - Mentre noi combattevamo contro i tuoi alleati, tu dormivi saporitamente. Diventano poltroni i malesi. Il pilota continuava a guardarlo senza rispondere, passandosi e ripassandosi una mano sulla fronte che s'imperlava di sudore. Pareva che cercasse di riordinare le sue idee e di mano in mano che la memoria gli ritornava, la sua pelle diventava sempre più smorta ed una espressione angosciosa gli si diffondeva sul viso. - Orsù, - disse Yanez, - quand'è che ci farai udire la tua voce? - Che cosa è avvenuto, signore? - chiese finalmente Padada. - Non riesco a spiegarmi come io mi sia addormentato di colpo, dopo la stretta datami dal vostro mastro. - È cosa tanto poco interessante che non vale la pena che io te la spieghi, - rispose Yanez. - Tu invece dovresti darmi qualche spiegazione che mi premerebbe. - Quale? - Sapere chi è che ti ha mandato verso di noi per far arenare la mia nave sui banchi. - Vi giuro, signore ... - Lascia andare i giuramenti: già non credo a quelle cose io, mio caro. È inutile che tu ti ostini a negare: ti sei tradito e ti tengo in mia mano. Chi ti ha pagato per rovinare la mia nave? Tu stavi per incendiarla. - È una vostra supposizione, - balbettò il malese. - Basta, - disse Yanez. - Vuoi farmi perdere la pazienza? Voglio sapere chi è quel maledetto pellegrino che ha messo in armi i dayaki e che domanda la testa di Tremal-Naik. - Voi potete uccidermi, signore, ma non obbligarmi a dire delle cose ch'io ignoro. - Sicchè tu affermi? - Ch'io non ho mai veduto alcun pellegrino. - E che anche non hai mai avuto rapporti coi dayaki che mi hanno assalito? - Non mi sono mai occupato di costoro, signore, ve lo giuro su Vairang kidul2 (La regina del sud). Io stavo seguendo la costa per visitare le caverne, entro le quali le rondini salangane costruiscono i loro nidi, avendo ricevuto l'incarico di fornirne ad un cinese che ne abbisognava, quando un colpo di vento mi trasportò al largo trascinandomi, assieme al canotto, verso ponente. Vi ho incontrati per un caso. - Perchè sei pallido allora? - Signore, mi avete sottoposto ad una compressione tale che credevo mi si volesse strozzare e non mi sono ancora rimesso dall'impressione provata, - rispose il pilota. - Tu menti come un ragazzo, - disse Yanez. - Non vuoi confessare? Sta bene: vedremo se resisterai. - Che cosa volete fare, signore? - chiese il miserabile con voce tremante. - Tangusa, - disse Yanez, volgendosi verso il meticcio. - Lega le mani a questo traditore, poi conducilo in coperta. Se cerca di resistere bruciagli le cervella. - La mia pistola è carica, - rispose l'intendente di Tremal-Naik. Yanez uscì dal quadro e salì sul ponte, mentre il meticcio metteva in esecuzione l'ordine ricevuto, senza che il malese avesse osato ribellarsi.

. - No, è impossibile che abbiano potuto vincere in così breve tempo Sandokan. Ha uomini di ferro e navi e cannoni e batterie formidabili. Le sole forze di Labuan non sarebbero sufficienti per una tale impresa. Fra un'ora sapremo che cosa sarà avvenuto. Si era messo, come era sua abitudine, quando un pensiero lo tormentava, a passeggiare pel castello, colle mani affondate nella tasca e la sigaretta spenta fra le labbra. Passarono quindici o venti minuti. Solo diciotto o venti miglia separavano la Nebraska da Mompracem. Ad un tratto, verso ponente, si udì un rombo lontano, che si propagò sul mare rumoreggiando sinistramente. Yanez aveva interrotta bruscamente la sua passeggiata, mentre l'americano scendeva precipitosamente la plancia di comando. - Un colpo di cannone! - aveva esclamato Yanez. - E viene da Mompracem, signor de Gomera, - disse l'americano, salendo il castello. - Il vento ci soffia di fronte. - Che gli inglesi abbiano assalito l'isola? - Ma ci siamo noi e vi mostrerò la potenza delle nostre artiglierie. Uomini di macchina! A tiraggio forzato e caricate le valvole più che potete. Uomini dei pezzi! Ai vostri posti! Una seconda detonazione rimbombò in quel momento, più distinta della prima, seguìta dopo qualche po' da una serie non interrotta di spari più o meno sonori. Non ci si poteva ingannare. All'orizzonte, in direzione di Mompracem, si combatteva un'aspra battaglia. Yanez e l'americano si erano slanciati sul ponte di comando, mentre gli artiglieri caricavano frettolosamente i pezzi della coperta e delle batterie e si raddoppiava il personale di macchina. - Siamo pronti? - chiese Brien all'ufficiale di quarto che aveva ispezionati rapidamente tutti i pezzi. - Sì, comandante. - Doppia riserva al timone ed in coperta la guardia franca. Le detonazioni continuavano con un fragore crescente. Si udivano quelle secche dei piccoli pezzi e quelle poderose e più prolungate delle artiglierie di grosso calibro. Yanez, un po' pallido per l'emozione, ma calmo, aveva puntato un cannocchiale verso ponente, mentre la nave correva come una rondine marina, lasciandosi dietro una interminabile scia spumeggiante. - Fumo all'orizzonte! - gridò ad un tratto il portoghese. - Vi sono delle navi a vapore laggiù. Sono navi inglesi, non ne dubito. Presto! Presto! - Corriamo il pericolo di saltare, signor de Gomera. Non possiamo forzare di più le caldaie. Un fumo biancastro, che la luce lunare mostrava perfettamente, si alzava verso Mompracem. I colpi spesseggiavano. Si combatteva furiosamente in quella direzione. Poi cominciarono a scorgersi i lampi delle artiglierie. Avvampavano su una vasta zona, come se un gran numero di navi combattessero. - I nostri prahos! - urlò d'improvviso Yanez, staccando dall'occhio il cannocchiale. - La Tigre della Malesia s'allontana al nord. Maledetti! Ancora una volta gli inglesi ci hanno vinti! L'americano gli aveva strappato di mano il cannocchiale. - Sì, i prahos - disse poi, - e cannoneggiati da cannoniere. Veleggiano al nord. - Cannonieri! - gridò Yanez. - Pronti pel fuoco di bordata! Massacrate quelle navi! Il Nebraska si avanzava rapido, in modo da frapporsi fra i velieri che fuggivano sempre sparando, colla Marianna di Sandokan in coda che avvampava come un vulcano e le piccole navi a vapore che li perseguitavano con scariche formidabili. - Eccoci in pieno ballo, - disse l'americano. - Giovanotti! Fuoco di bordata!

. - Che gli isolani ci abbiano veduti ad approdare? - È probabile. - Non avete pensato che potrebbero venire a farvi prigioniero per vendicarsi del carbone che avete loro preso? - Per Giove! - esclamò il portoghese. - Mi mettete addosso delle inquietudini, sir Moreland. Dovreste anzi chiamarli nella vostra qualità di suddito inglese e farmi arrestare. Sareste nel vostro diritto, essendo noi vostri nemici. L'anglo-indiano lo guardò senza rispondere, poi dopo qualche po' disse, quasi seccamente: - Non lo farò, signor Yanez. Oggi devo a voi della riconoscenza, che mi pesa assai forse, ma che io non debbo per ora dimenticare. - Un altro al vostro posto non si lascerebbe forse sfuggire una simile occasione. - Che avrebbe uno scarso successo, perchè il Re del Mare non tarderebbe a liberarvi o a vendicarvi. - Su ciò non dubito, - rispose il portoghese, ridendo. - Orsù, lasciamo questo discorso e cercate di riposarvi. Siete molto più stanchi di me e la notte sarà lunga. Darma e l'anglo-indiano ne avevano proprio bisogno, ed infatti nonostante i muggiti del mare e gli scrosci formidabili dei tuoni, non tardarono ad abbandonarsi sullo strato d'alghe. Yanez, più robusto e più abituato alle lunghe veglie, rimase di guardia. Di quando in quando anzi si alzava e, noncurante dei rovesci d'acqua e dei nembi di spuma che le onde avventavano contro la roccia, si spingeva fino sulla spiaggia per guardare il mare. Sperava certo di veder scintillare fra le tenebre i fanali del Re del Mare, speranza vana, però, poichè nessun punto luminoso appariva fra quel caos di flutti muggenti. L'orizzonte, quando i lampi non lo illuminavano, era sempre tenebroso, come se masse di catrame liquido calassero dalle nubi. Verso l'alba parve che la bufera accennasse ad allontanarsi verso l'est, ossia nella direzione presa dall'incrociatore. Il vento era scemato, quantunque lo si udisse a ruggire sempre sulla vetta del gigantesco scoglio. Anche le onde cominciavano un po' a spianarsi e non battevano più lo scoglio colla furia di prima. Yanez, credendo che Darma e l'anglo-indiano dormissero ancora, lasciò il rifugio per cercare la colazione. - Ci accontenteremo delle uova degli uccelli marini, - si era detto. - Dopo tutto non sono così cattive come si crede. Avendo scorto su una specie di piattaforma che si protendeva a quaranta metri d'altezza, numerosi uccellacci a nidificare, il portoghese cominciò a superare gli scaglioni e le piattaforme che da quella parte rendevano accessibile, almeno fino ad una certa altezza, il colossale scoglio. Si era già innalzato di una quindicina di metri, quando giunsero improvvisamente ai suoi orecchi delle grida. Yanez, assai inquieto, si era vivamente voltato tenendosi stretto alla punta d'una roccia. Una scialuppa dai fianchi larghissimi, entrava in quel momento nella minuscola rada, manovrata da una mezza dozzina di isolani. - Per Giove! - esclamò, lasciandosi scivolare rapidamente giù dalla roccia. - Ecco i nostri affari guastati! Che mi facciano pagare il carbone con qualche oncia di piombo nella testa? Giunto al piano si precipitò verso il rifugio, gridando: - In piedi, sir Moreland! - È giunto il Re del Mare? - chiesero ad una voce il capitano e Darma. - È giunto ben altro! - rispose Yanez. - Sono gli isolani che stanno per approdare. - Vi hanno veduto? - chiese sir Moreland. - Lo temo, trovandomi poco fa sulle roccie. - Dove sono? - chiese Darma. - Stanno girando le scogliere e fra poco saranno qui. - Che ci facciano prigionieri? - È probabile, - rispose l'anglo-indiano, mentre nei suoi sguardi brillava un lampo strano. - Vado a spiarli, - disse Yanez, gettandosi fra le dune di sabbia. - sir Moreland, - disse Darma, quando furon soli, vedendolo pensieroso. - Che quegli isolani si vendichino contro il signor Yanez? - Non ho alcun dubbio. Gli faranno pagare caro il carbone. - Voi che indossate la divisa britannica, potete salvarlo. - Io! - fece l'anglo-indiano, come stupito da quelle parole. - Non vi opporrete al suo arresto? Sir Moreland guardò Darma incrociando le braccia. La sua fronte si era annuvolata ed il suo viso aveva assunto una espressione dura, quasi selvaggia, mentre nei suoi occhi balenava una cupa fiamma. - Non lo farete, sir Moreland? - ripetè la fanciulla. - Non dimenticate che quell'uomo vi ha strappato alla morte e che vi ha trattato non come un nemico, bensì come ospite. Il capitano continuava a tacere. Pareva che nel suo cuore si combattesse un'aspra battaglia, dalle diverse espressioni del suo volto. - È un mio avversario, - disse poi con voce sorda. - sir Moreland! Non fatemi perdere la stima che nutro per voi. Anch'io al signor Yanez devo la vita mia e quella di mio padre. L'anglo-indiano aveva fatto un gesto come di collera, che subito represse. - Sia, - disse poi, - così non gli dovrò più nessuna riconoscenza. Poi uscì dal rifugio, in preda ad una viva agitazione, mormorando con accento tetro: - Saprò un giorno ritrovarlo. Gli uomini della scialuppa erano in quel momento sbarcati, dopo essersi armati di fucili. Erano tutti bianchi e fra di loro vi era uno dei consiglieri del governatore. Un uomo che doveva già aver scorto Yanez, aveva superata la duna, dietro la quale cercava di nascondersi il portoghese, gridando con voce minacciosa: - È inutile che ti nascondi, ladrone di mare! Mostrati! Il portoghese non si era fatto ripetere l'invito e si era alzato, dicendo con voce beffarda: - Buon giorno, signore, e grazie della vostra visita mattutina. - Avete un bel fegato, ladrone, - disse l'isolano. - Non siete voi uno di quelli che ci hanno portato via il carbone? - Un ladrone! Del carbone! - esclamò il portoghese. - Che cosa volete dire? Io non vi capisco. - Non facevate parte dell'equipaggio di quella nave di pirati? - Quali pirati! Io sono un naufrago, che non ho mai derubato nessuno. Sono un galantuomo io. - No, devi essere uno di quei ladroni! Una voce che pareva piena d'indignazione, si levò in quel momento dietro le dune. Era sir Moreland che giungeva a passo di corsa. - È a noi che date dei ladroni? - gridò. - Chi siete voi che osate offendere un capitano della flotta anglo-indiana e del rajah di Sarawak? L'isolano vedendo comparire quel nuovo personaggio che indossava la divisa di comandante, quantunque fosse ridotta in pessimo stato dopo il bagno fra le onde oleose, era rimasto muto. - Che cosa volete voi? Perchè minacciate? - chiese l'anglo-indiano affettando una superba collera. - Un capitano inglese! - aveva esclamato finalmente l'isolano. - Come va questa faccenda? Fece portavoce colle mani e volgendosi verso la spiaggia, si mise a gridare: - Ohe! Camerati! Venite! Altri cinque uomini, egualmente armati di vecchi fucili ad avancarica, avevano raggiunte le dune, prendendo un'attitudine minacciosa. Vedendo però sir Moreland, avevano subito abbassato le armi, levandosi i cappellacci di tela cerata. - Capitano, - riprese il capo. - Quando siete approdato? - Ieri sera assieme a mia sorella e a questo mio compagno. Siamo sfuggiti ad un tremendo naufragio, - disse sir Moreland. - Vi condurremo a Mangalum e vi offriremo larga ospitalità. D'altronde non rimarrete a lungo fra noi. - Deve approdare qualche nave? - Un piccolo legno da guerra che ci parve inglese, è stato segnalato sulle coste settentrionali dell'isola. L'uragano, però scoppiato subito dopo la partenza dei pirati, deve averlo respinto al largo. - Quando l'avete veduto? - Ieri sera, un po' prima del tramonto. Sarebbe il vostro? - No, perchè il mio è affondato a quaranta miglia da qui, parecchie ore prima che giungesse l'altro. - Davate la caccia al corsaro? - Lo cercavo. - Che disgrazia! Se foste giunto prima ... Quei ladroni non avrebbero osato importunarci. - Li riprenderemo più tardi. - Ma ... scusate capitano, voi dite che quest'uomo è vostro amico? - È vero, - disse sir Moreland. - Si è salvato insieme a me e a mia sorella. - Eppure somiglia ad uno di quei ladroni. - Quest'uomo è un onesto negoziante di Labuan. - Ah! - fece il capo della scialuppa. Darma in quel frattempo era giunta. Gli isolani, vedendola, la salutarono cortesemente e l'aiutarono ad imbarcarsi. Yanez che era rimasto impassibile, si era accomodato a prora tentando di accendere, senza riuscirvi, una delle sue sigarette. Era però una tranquillità fittizia, anzi era molto preoccupato dall'imminente arrivo di quella piccola nave da guerra annunciata dall'isolano. - Gli affari s'imbrogliano, - mormorava. - Quest'anglo-indiano si riprenderà senza dubbio la rivincita, conducendomi prigioniero su quella nave, se non mi accade di peggio. Questi isolani mi guardano con certi occhi! Dubito che abbiano bevuto la storiella di sir Moreland. La scialuppa si era frattanto scostata dalla spiaggia. Quattro uomini avevano presi i remi, il quinto si era messo a prora accanto a Yanez ed il capo alla barra del timone. Era quest'ultimo un bel vecchio molto barbuto e molto abbronzato, che ricordava a Yanez uno dei quattro consiglieri del governatore. Forse non s'ingannava, perchè l'isolano di quando in quando fissava i suoi occhi azzurri sul portoghese e con vera ostinazione. Nondimeno non aveva, almeno fino allora, manifestata apertamente alcuna diffidenza, nemmeno verso Darma, anzi le aveva offerto il posto d'onore a poppa e le aveva messa sulle spalle la sua casacca di tela cerata, onde difenderla dagli spruzzi delle onde. Fuori del bacino, il mare era ancora agitato. Frequenti cavalloni sollevavano bruscamente la scialuppa, scrollandola brutalmente e precipitandola improvvisamente in profondi avvallamenti. I rematori, però, tutti robustissimi e abituati a quelle lotte che durano quasi eterne intorno a quelle isole, sempre battute dai cavalloni e dai venti impetuosi del sud, lottavano vigorosamente, senza sgomentarsi per l'impeto dei marosi. Giunti al largo, fuori dalle scogliere, issarono una piccola vela triangolare e la scialuppa, meglio equilibrata, si mise a filare con velocità notevole verso Mangalum già non troppo lontana. Durante il viaggio, gli isolani non avevano pronunciata una sola parola. Di frequente però il capo guardava di sottecchi i tre pretesi naufraghi, fermando sempre lo sguardo su Yanez. La traversata fu compiuta felicemente, quantunque verso Mangalum le onde si mostrassero più violente che altrove, e dopo il mezzodì la scialuppa approdava all'estremità della piccola baia. - Scendete, - disse il capo, aiutando Darma. - Vi troverete meglio qui che sulle roccie dell'isolotto. Aveva pronunciato quelle parole con un accento quasi beffardo e che non era sfuggito a Yanez. - Questo vecchio volpone deve avermi riconosciuto, - mormorò il portoghese. - Se non torna presto il Re del Mare l'avventura non finirà certo bene per me. Sir Moreland si è messo in un bello imbarazzo. Anche l'anglo-indiano doveva essersi accorto di aver giuocato una pessima carta, poichè appariva molto preoccupato. Gli isolani tirarono sulla spiaggia la scialuppa onde non venisse guastata dalla risacca, la quale si faceva sentire violentissima anche dentro il bacino, si gettarono sulle spalle i fucili e raggiunsero sollecitamente i naufraghi, circondandoli. - Dove ci conducete? - chiese sir Moreland, il quale diventava sempre più inquieto. - A casa mia, - rispose il capo. Nessun isolano era uscito dalle abitazioni scaglionate lungo il declivio. Probabilmente non si erano accorti del ritorno della scialuppa o avevano preferito starsene nelle loro capanne, ricominciando a piovere. Il capo attraversò il piazzale e condusse i naufraghi in una casetta di bella apparenza, costruita parte in legno e parte in pietra, sul cui tetto a punta sventolava uno straccio rosso, l'avanzo di qualche bandiera inglese. Aprì la porta ed invitò l'inglese, Yanez e Darma ad entrare, poi, mentre i suoi uomini armavano precipitosamente i fucili, volgendosi verso un vecchio che stava fumando in un angolo, presso la finestra, gli chiese, indicandogli Yanez: - Signor governatore, conoscete quest'uomo? Guardatelo bene e ditemi se non è uno di quelli che ci rubarono la provvista di carbone affidataci dal governo inglese. - Ah! Briccone! - esclamò il portoghese, furioso. Il vecchio si era prontamente alzato guardando Yanez, il quale già colla sua invettiva si era tradito. - Sì, è lui che ci ha imposto la consegna del carbone! - gridò il governatore. - Ora non ci sfuggirai, mio caro, e ti faremo appiccare dai marinai inglesi e sull'albero più alto della loro nave. Pirata! - Io, pirata! - esclamò Yanez alzando il pugno. Sir Moreland fu pronto ad intervenire. - Nessuna violenza quando si trova qui un capitano di Sua Maestà la Regina d'Inghilterra. Il vecchio che pareva non si fosse nemmeno accorto, fino allora, della presenza dell'anglo-indiano, lo guardò con stupore. - Chi siete voi? - chiese. - Guardate l'abito che indosso ed i gradi che brillano ancora sulle mie maniche. - È approdata la vostra nave? - La mia è stata affondata dopo un terribile combattimento, al largo di Mangalum, dalle artiglierie del corsaro. - Non appartenete a quella che ci è stata segnalata ieri sera? - No, perchè sono stato raccolto sulle scogliere dell'isolotto. - Insieme a quest'uomo? - chiese il governatore, il cui stupore aumentava. - Sì, insieme a lui ed a questa miss, salvata da noi durante l'uragano. - E voi, capitano inglese, eravate insieme ai corsari! Là! là! Voi siete un ben abile commediante, ma io non sono così sciocco da credere alle vostre chiacchiere. - Ci aveva prima narrato di essere naufragato, - disse uno degli isolani. - Vi affermo, sul mio onore, che io sono James Moreland, capitano della marina anglo-indiana, ed ora ai servigi del rajah di Sarawak, - disse il giovane comandante. - Datemi le prove e allora vi crederò. - Non posso darvene alcuna per ora essendo la mia nave andata a picco. - E quest'uomo? Come si trova con voi, mentre due giorni or sono era con quei pirati? - Si è salvato con me in una scialuppa, durante l'abbordaggio, mentre la nave corsara veniva trascinata al largo dall'uragano e la mia affondava. - Sareste invece voi il capo di quei pirati nella pelle d'un inglese? - Vecchio! - urlò Yanez. - Finiscila di chiamarci pirati. Questo è un capitano anglo-indiano. - Siete dei pirati. - Che cosa ti ho preso io? - Il carbone. - Era del governo e non tuo. - E gli animali. - Che vi sono stati pagati, - ribattè Yanez che perdeva la sua solita flemma. - Avete ancora in tasca la tratta su Pontianak, ne sono sicuro, mentre avremmo potuto portarveli via tutti, senza pagare una sola sterlina. - E voi credete perciò che io vi lasci andare? - disse il governatore con un sorriso ironico. - La nave inglese non tarderà ad approdare e vedremo come ve la caverete con quel comandante. Io spero di vedervi ballare con un buon canapo al collo, l'ultima danza della morte. - Ed io vi dico che farete, per lo meno a me, le vostre scuse, - disse sir Moreland, il quale cominciava egli pure ad irritarsi. - Vi avverto intanto che se voi torcerete un capello a questa miss o a quest'uomo, farò bombardare il vostro villaggio dai cannoni inglesi, parola di James Moreland. - Bene, bene, - disse il governatore, sempre ridendo. - Soltanto rimarrete nostri prigionieri per diritto di guerra. Ah! Signori pirati, pagherete il carbone che il governo inglese ha affidato a noi e nuovamente le bestie. Non si prende a gabbo un uomo par mio. - Sia, lo vedremo, - disse sir Moreland. - Intanto segnalate alla nave da guerra, se è ancora in vista dell'isola, che avete delle comunicazioni importanti da fare. - Pare che abbiate molta fretta di farvi appiccare, - rispose il governatore. - Farò il possibile per accontentarvi. Si volse verso i suoi sudditi che avevano assistito al colloquio appoggiati ai loro moschetti, dicendo loro: - Ve li affido e badate che non vi fuggano. Ci sarà un premio da guadagnare oltre la riconoscenza del governo inglese. Nel magazzino e chiudete bene. - Andiamo, - disse il capo, spingendo ruvidamente Yanez verso la porta. - La commedia è finita per ora. L'anglo-indiano, il portoghese e Darma si lasciarono condurre via, senza tentare alcuna resistenza che sarebbe stata d'altronde inutile e pericolosa con quegli uomini rudi e brutali, e attraversata nuovamente la piazza, vennero introdotti in una massiccia costruzione di pietra che doveva servire di magazzino alla piccola colonia. Era uno stanzone lungo una cinquantina di metri quasi vuoto in quel momento, perchè non si vedevano che dei mucchi di pesce secco e dei barili contenenti forse dell'olio o della grassa, col tetto sostenuto da pilastri di pietra tenera estratta dalle colline dell'isola. - Avete fame? - chiese il capo. - Non mi spiacerebbe mangiare un boccone prima di venire appiccato, - disse Yanez, beffardemente. - A più tardi. Vi avverto intanto che al primo tentativo di fuga faremo fuoco contro di voi. Ciò detto rinchiusero la porta, sprangandola al di fuori. Sir Moreland, Yanez e Darma, meno spaventati di quanto si potrebbe supporre, si guardarono l'un l'altro, quasi sorridendo. - Che ne dite di quest'avventura, sir Moreland? - chiese finalmente la giovane. - Che se la nave inglese incrocia veramente nelle acque dell'isola finirà presto, - rispose il capitano. - Per voi, ma non per noi. - E perchè miss? - Quando i vostri apprenderanno che noi siamo corsari non ci appiccheranno? - O per lo meno ci condurranno a Labuan per essere giudicati, - disse Yanez. - Ciò farebbe certo piacere a quel governatore che ha dei vecchi rancori contro di me. - Cercherò di evitare che ciò possa succedere, - rispose il capitano. - Sarebbe pericoloso, specialmente pel signor de Gomera. - Vi metteremo in un grave imbarazzo, sir Moreland, - disse Darma. - Non lo credo, miss. E poi chi mi dice che il comandante di quella nave non sia un mio amico? In tal caso c'intenderemo facilmente. Il signor de Gomera si è comportato verso di me come un gentiluomo ed io non sarò da meno verso di lui. - Vi siete dimenticato l'avventura notturna a Redjang? - Astuzie di guerra, miss, e non ho serbato ràncore nè a voi, nè ai vostri protettori. - Siete troppo buono, sir Moreland. - Non sono nè migliore, nè peggiore degli altri. Ah! Un colpo di cannone era improvvisamente rimbombato al di fuori, facendo tremare le pareti del magazzino. - Una nave da guerra! - esclamò l'anglo-indiano. - È il Re del Mare o quella che attendono gli isolani? - si chiese Yanez. - Lo sapremo presto. Entrambi si erano slanciati verso la porta, percuotendola a calci e gridando: - Aprite! Vogliamo vedere gli inglesi a sbarcare! - Silenzio! - tuonò una voce minacciosa. - Se sforzate la porta faccio fuoco!

. - Che quei colpi di cannone abbiano segnata l'agonia della Marianna? - si chiedevano tutti, con crescente ansietà. Alla mezzanotte le coste orientali di Sedang cominciarono a delinearsi, nerissime per la massa imponente delle loro foreste secolari. Ad un tratto, quando il Re del Mare aveva già imboccato il canale che s'apriva dietro le scogliere, una voce risuonò sulla piattaforma del trinchetto. - Fumo dinanzi a noi! ... Yanez aveva puntato un cannocchiale nella direzione indicata. Un grosso punto nero, che emetteva una fitta colonna di fumo, filava fra la costa e le scogliere, fuggendo verso levante. - Una nave a vapore! - gridò il portoghese. - Duemila metri! ... Buon tiro per dei valenti artiglieri! Fermiamola! ... Cento rupie a chi la tocca! ... Non aveva ancora terminata la frase che il vecchio quartiermastro americano, che aveva già guadagnati i duecento dollari, era dietro al suo pezzo, sotto la torretta proviera di babordo. Vedeva perfettamente la nave che cercava di fuggire. La luna la illuminava in pieno. La distanza era ragguardevole, però il vecchio cannoniere aveva fiducia nei suoi occhi e nel suo pezzo. - Ora li accomodo io! - disse. - Le cento rupie balleranno nelle mie tasche in attesa di comperare una montagna di tabacco ed un barile di ginepro. Attese che la nave passasse attraverso la prora dell'incrociatore e fece fuoco rapidamente. Aveva colpito nel segno, causando all'avversario qualche grave danno o l'aveva mancato? Gli fu impossibile saperlo, perchè quasi nell'istesso momento la nave scompariva dietro un ostacolo, che la distanza non aveva permesso prima di distinguere, un isolotto o qualche scogliera. Il Re del Mare si era messo in caccia, rallentando però la corsa, perchè da un momento all'altro poteva trovarsi dinanzi a uno dei tanti numerosi banchi sabbiosi che si estendono dinanzi alle foci del Sedang. Giunto ad un chilometro dalle spiaggie, Sandokan aveva dato il comando di scandagliare. Non conosceva che imperfettamente quei paraggi e non osava avanzarsi alla cieca, per paura di arenare l'incrociatore. La nave però, contro la quale l'incrociatore aveva fatto fuoco, pareva che fosse scomparsa. Certo aveva approfittato delle scogliere che si vedevano numerose verso il nord, per cacciarsi in qualche canale e dileguarsi o cercare un rifugio entro qualche piccola baia. Il Re del Mare, nella sua seconda corsa, doveva essere rimontato molto verso il levante del Sedang, quindi Yanez e Sandokan presero il partito d'abbandonare il fuggiasco, che doveva essere troppo debole per osare di contrastargli il passo, e di tornare verso ponente per cercare la Marianna. Era sorto in loro il dubbio che il praho, per potersi sottrarre all'inseguimento, avesse cercato pure qualche nascondiglio o si fosse gettato alla costa. Marciava da un quarto d'ora, a velocità ridotta, continuando a perlustrare, quando presso un gruppo di scogliere apparve una massa nerastra fornita d'un'alberatura altissima, dove si vedevano delle vele ancora spiegate. - Nave alla costa! - gridarono in quel momento le vedette delle coffe. - Deve essere la nostra Marianna! - gridò Yanez. - Finalmente! ... Il Re del Mare aveva subito virato di bordo, avanzandosi lentamente verso quelle scogliere. Tutti si erano precipitati verso prora per meglio osservare quella nave, la cui immobilità però dava luogo a non poche inquietudini, tanto più che pareva si trovasse addossata alle rocce. Un fanale elettrico era stato subito volto verso di essa, illuminandola come in pieno giorno, eppure, cosa strana, pareva che nessuna persona si trovasse in coperta. - Accendete tre razzi, - comandò Yanez. - Se a bordo vi sono degli uomini risponderanno di certo. - Che sia proprio la Marianna? - chiese Tremal-Naik, il quale condivideva le apprensioni dei due comandanti. - Non te lo posso ancora dire, - rispose il portoghese, - quantunque le vele siano d'un grosso praho o per lo meno d'un giong. - Mi nasce un dubbio. - Che quella nave, per sfuggire alle cannonate dell'inglese si sia gettata addosso a quelle scogliere, arenandosi? È così Tremal-Naik? - Sì. - E temo che tu abbia indovinato. - E l'equipaggio? Non si vede nessuno? - E nessuno risponde, - disse Sandokan che si era accostato, mentre tre razzi lanciati da Kammamuri e da Sambigliong si spegnevano dopo di aver sparso in aria un nembo di scintille multicolori. - Allora gli inglesi hanno fatto prigioniero l'equipaggio, - disse Tremal-Naik. - E noi andremo a liberarli, dovessi inseguire quella nave fino entro il Sedang. Fa' calare in acqua una scialuppa e andiamo a vedere se si tratta veramente della Marianna. L'incrociatore aveva rallentata la marcia, sempre per tema di trovarsi improvvisamente dinanzi a dei bassifondi. Gli scandagli avevano già dati solamente dodici metri e pareva che il fondo si elevasse rapidamente. La gran barca a vapore fu calata e Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, con venti malesi armati, vi entrarono, dirigendosi verso la scogliera. Il Re del Mare aveva virato di bordo tornando un po' al largo, essendo l'ondata piuttosto forte. La scogliera non distava che cinque o seicento metri. Era una lunga fila di rocce, di colore molto scuro, tagliate a mo' di sega, coi fianchi sventrati e corrosi dall'eterna azione delle onde. La nave si era arenata verso la punta settentrionale e nell'urto, che doveva essere stato violentissimo, si era piegata su un fianco, appoggiandosi colle bancazze ad una roccia elevata quanto l'alberatura. Temendo una sorpresa, Sandokan comandò a dieci uomini di armare i fucili, poi spinse la scialuppa contro una caletta formata da una cintura di scogli, dove l'acqua era tranquilla. Lasciati sei marinai a guardia dell'imbarcazione, cogli altri raggiunse la nave. - La Marianna! - gridò ad un tratto, con accento di dolore. Il disgraziato veliero, od in causa d'una falsa manovra, o spintovi appositamente, si era sventrato sulle punte delle scogliere in così malo modo, da ritenerlo per sempre perduto. Le rocce assai aguzze, gli avevano fracassata la carena, causandole uno squarcio così enorme, che le onde entravano liberamente nella stiva, rumoreggiando continuamente. - In che stato è ridotto quel povero legno! - esclamò Yanez, che pareva non meno commosso della Tigre della Malesia. - Che l'abbiano costretto a gettarsi su queste scogliere? E il suo equipaggio? - Vi è una scala di corda a babordo, - disse Tremal-Naik. - Saliamo. - Preparate le armi, - comandò Sandokan. - Vi possono essere degli inglesi a bordo. - Pronti! - disse Yanez. Salì pel primo, quindi Sandokan, poi gli altri, tenendo in mano i fucili e le pistole. Un silenzio di morte regnava sulla nave, ma che disordine sulla tolda! ... Si vedevano casse e barili sventrati per ogni dove, fucili e spingarde rovesciate, poi a prora un buco enorme che pareva fosse stato prodotto da qualche granata. Il boccaporto maestro era aperto e giù, nella profondità della stiva, si udiva l'acqua a muggire cupamente. - Non vi è nessuno qui, - disse Yanez. - Che cosa sarà successo dei miei uomini? - si chiese con ansietà Sandokan. - E del carico che aveva la nave? Mi pare che la stiva sia stata vuotata. In quell'istante sulla cima dello scoglio, contro cui s'appoggiava la Marianna, si udì una voce a gridare: - Il capitano! ... Sandokan e Yanez avevano alzata vivamente la testa, mentre i malesi, per precauzione, armavano rapidamente le carabine. Un uomo dalla pelle oscura e semi-nudo, scendeva rapidamente la roccia, tenendo in mano un parang, la cui larga lama scintillava vivamente ai raggi della luna. In pochi istanti raggiunse la murata di babordo e balzò in coperta, dicendo: - Vi aspettavo, capitano. - Tu, Sakkadana! - esclamarono ad una voce Yanez e Tremal-Naik, riconoscendo in lui il pilota della Marianna. - Che cosa è successo qui? - chiese Sandokan. - Siamo stati sorpresi ieri sera da una nave a vapore, che ci ha costretti a gettarci su queste scogliere, avendoci prodotto due squarci sotto la linea di galleggiamento. È fuggita vedendo giungere il vostro incrociatore. - Ha saccheggiato la Marianna il suo equipaggio? ... - Sì, Tigre della Malesia. Ha portato via armi e munizioni. - Ed i tuoi compagni dove sono? ... - Hanno guadagnato il Sedang. - E tu sei rimasto? - Non vi era più posto nella scialuppa, essendo stata l'altra spaccata da una palla di cannone. - Non vi siete abboccati coi capi dayaki? - Sì, - rispose il pilota, - otto giorni or sono, ma nulla abbiamo potuto concludere. Il rajah, sospettando di loro, ne ha fatto imprigionare per precauzione una buona parte ed altri li ha esiliati lontani dalle frontiere. - Maledizione! - esclamò Yanez. - Ecco una notizia che non m'aspettavo. Addio speranze! ... - Forse abbiamo tardato troppo, - disse Sandokan. - Il rajah ci ha prevenuti. - Che cosa faremo ora, Sandokan? ... - Non ci rimane che lottare sul mare, - rispose la Tigre della Malesia. - Ritorneremo verso il nord, giacchè il grosso degli alleati si trova nelle acque di Sarawak e riprenderemo la guerra contro le navi mercantili, arrecando alle linee di navigazione il maggior danno possibile. Se sarà necessario ci spingeremo fino nei mari della Cina. A bordo, amici! ... Non perdiamo tempo. Stavano per ridiscendere nella scialuppa, quando udirono un colpo di cannone rimbombare a bordo del Re del Mare. Sandokan aveva trasalito. - Che segnali la flotta degli alleati? - si chiese. - Lo suppongo, - rispose Yanez. - Vedo che si muove e che punta la prora verso di noi. - Guardate! - gridò Tremal-Naik. Verso l'ovest una luce vivissima illuminava l'orizzonte che poco prima era ancora tenebroso. La flotta degli alleati, composta d'una mezza dozzina di navi, muoveva velocemente per impedire all'incrociatore di prendere il largo. - Presto, a bordo! - gridò la Tigre della Malesia. Si lasciarono scivolare l'un dietro l'altro giù per la fune e la scialuppa mosse velocemente verso il Re del Mare, che dal canto suo le muoveva incontro. Le navi nemiche, quantunque fossero ancora lontane, avevano aperto il fuoco e le cannonate si succedevano alle cannonate e qualche proiettile s'inabissava a poche dozzine di metri dall'imbarcazione. Fra qualche minuto quelle masse metalliche dovevano giungere a destinazione. Il Re del Mare era però ormai a poche gomene. Manovrò in modo da coprire la scialuppa dai tiri delle artiglierie avversarie, opponendo ai proiettili i suoi poderosi fianchi, poi la scala fu abbassata d'un colpo solo. L'ingegnere Horward, Darma e Surama con Kammamuri erano usciti dalla torretta di poppa, gridando: - Presto! ... Presto! ... Salite! ... Alcuni marinai avevano già calati i paranchi per issare la scialuppa. Yanez, Sandokan, Tremal-Naik ed i loro compagni si slanciarono sulla scala, dopo d'aver assicurato i ganci. - Finalmente! - esclamò l'americano. - Credevo che non arrivaste in tempo. - A posto gli artiglieri! - gridò Sandokan. - Doppi timonieri alla ruota! ... - Avremo da fare per sbarazzarci della squadra; però siamo forti e veloci, - disse Yanez.

. - Che abbiano compreso che era inutile ostinarsi contro questo kampong? - Yanez, - disse Tremal-Naik, - che il pellegrino sia stato invece sconfitto e che abbia mandato qui qualche corriere per far ritirare gli assedianti? - O che cerchino di trarci in qualche agguato? - chiese invece il portoghese. - In qual modo? - Colla speranza che noi approfittiamo della loro ritirata per abbandonare il kampong e poi assalirci in piena foresta con tutte le loro forze. No, mio caro Tremal-Naik, non sarò così sciocco io, da abboccare all'amo. Finchè non sapremo la sorte toccata alla mia Marianna, noi non lasceremo questa fattoria dove potremo difenderci lungamente, nel caso che il mio equipaggio sia stato distrutto. Mettiamo qui una sentinella e pel momento non preoccupiamoci delle manovre insidiose di quei furfanti. - Signor Yanez, - disse Darma. - Venite a prendere un po' di riposo, intanto, ed a far colazione. Non udendo più alcun colpo di cannone, quantunque fossero tutti angosciati per la sorte che poteva essere toccata all'equipaggio della Marianna, scesero nella sala pianterrena dove i servi del kampong avevano preparata un'abbondante refezione all'inglese, con carne fredda, burro e thè con biscotti. Terminato il pasto e mandato il meticcio sulla torricella onde li avvertisse delle mosse degli assedianti, fecero una minuta ispezione alle cinte e alle opere di difesa, onde essere pronti a sostenere anche un lungo assedio. Erano trascorse già tre ore dallo scoppio, quando udirono Tangusa gridare dall'alto del minareto: - All'armi! E subito dopo rimbombarono alcuni spari. Yanez e Tremal-Naik si erano precipitati verso la piattaforma più alta della cinta, da cui potevano dominare buon tratto della pianura. Vi erano appena giunti, quando videro un piccolo drappello d'uomini uscire dalla foresta a corsa sfrenata, sparando sui dayaki che accorrevano da tutte le parti come per tagliare loro il passo. Due grida erano sfuggite alle labbra del portoghese e dell'indiano: - Le tigri di Mompracem! Sambigliong! Poi lanciarono due grida tuonanti: - Fuoco le spingarde! - Alzate la saracinesca ai nostri amici! I pirati che avevano scortato Yanez, vedendo i loro compagni alle prese cogli assedianti, si erano gettati sulle tre spingarde che difendevano la cinta dalla parte meridionale, scaricando quasi contemporaneamente. I dayaki, udendo quegli spari e vedendo cadere parecchi compagni, avevano aperte le file rifugiandosi precipitosamente nella foresta. Sambigliong e il suo drappello, trovando il passo libero, si erano slanciati verso il kampong a tutta corsa, non cessando di sparare. La saracinesca era stata alzata e parte della guarnigione era mossa incontro a loro per sostenerli nel caso che i dayaki tornassero alla riscossa e anche per guidarli attraverso il boschetto spinoso. I superstiti della Marianna non erano che una mezza dozzina. Erano neri di polvere, madidi di sudore, ansanti, colle vesti stracciate e insanguinate ed avevano la schiuma alle labbra per la lunga corsa che doveva essere durata non meno di tre ore. Il corriere, che conosceva la via, per fortuna era insieme a loro. - La mia nave? - gridò Yanez, correndo incontro a Sambigliong. - Saltata, capitano, - rispose il mastro con voce rantolante. - Da chi? - Da noi ... non potevamo più resistere ... erano centinaia e centinaia di selvaggi che ci piombavano addosso ... tutti i nostri compagni sono stati uccisi ... anche i feriti ... ho preferito dar fuoco alle polveri ... - Sei un valoroso, - gli disse Yanez, con voce profondamente commossa. - Capitano ... vengono ... sono molti ... preparatevi alla resistenza. - Ah! vengono! - esclamò Yanez con voce terribile. - Vendicheremo i nostri morti!

. - Sono più lieta che vi abbiano strappato alla morte. Il giovane capitano la guardò sorridendo, poi disse: - Grazie miss, ma ... - Che cosa volete dire, sir Moreland? - Che sarei stato più contento anch'io se avessero salvata anche la mia nave ed i miei marinai. Ah! Miss, non m'aspettavo di dover subire una così disastrosa sconfitta e da parte dei vostri protettori. Tuttavia, credetelo, non rimpiango la mia prigionia. - sir Moreland, - disse Sandokan, - sapete che questa notte le navi inglesi ci hanno quasi sorpresi? - La squadriglia di Labuan? - esclamò il ferito con emozione. - Suppongo che fosse quella, ma siamo riusciti ad ingannarla ed a sottrarci facilmente al pericolo. - Non illudetevi tuttavia di poter aver sempre una tale fortuna, - disse l'anglo-indiano. - Un giorno, quando meno lo supporrete, vi troverete dinanzi ad un uomo che forse non vi accorderà quartiere. - Volete alludere al figlio di Suyodhana? - chiese Sandokan. - Non posso spiegarmi di più. È un segreto che io non posso tradire, - rispose l'anglo-indiano. - Non può essere che lui, - disse Yanez, - quantunque voi abbiate affermato di non saper nulla su quel nostro ostinato e misterioso avversario. Sir Moreland pareva che non lo avesse nemmeno udito. Guardava Darma con un senso di profonda angoscia. Sandokan, Yanez e la giovane s'intrattennero alcuni minuti ancora nella cabina, scambiando qualche parola col dottore, poi si accommiatarono. Prima però che la giovane uscisse, sir Moreland le disse, guardandola con una certa tristezza: - Spero, miss, di rivedervi presto e che non vorrete considerarmi sempre come un nemico. Quando la giovane fu uscita, l'anglo-indiano rimase a lungo alzato, tenendo gli occhi fissi sulla porta della cabina e le braccia incrociate sul petto, in attitudine pensierosa, poi si riadagiò, dicendo al dottore, con un lungo sospiro: - Che triste cosa è la guerra. Getta l'odio perfino fra due cuori che potevano battere insieme col medesimo affetto. - Ed il vostro avrebbe battuto assai, è vero, sir Moreland? - disse l'americano sorridendo. - Sì, dottore, ve lo confesso. - Per miss Darma? - Perchè dovrei nascondetelo? - Una bella e coraggiosa giovane, degna di suo padre e di voi. - E che non sarà giammai mia, - disse sir Moreland, con accento strano. - Il destino ha scavato fra noi, senza nostra colpa, un abisso che nessuno potrà mai colmare. - Per quale motivo? - chiese Held, stupito dal tono che pareva avesse in sè dell'angoscia e dell'odio profondo. - Questi uomini sono nemici del rajah, e degli inglesi e non già vostri. Sir Moreland guardò l'americano senza rispondere. Il suo viso però in quel momento aveva assunto una espressione così terribile da colpire vivamente l'americano. - Si direbbe che vi è un segreto nella vostra vita, - disse il dottore. - Maledico il destino, ecco tutto, - rispose il giovane con voce sorda. Poi, cambiando bruscamente tono, chiese: - Dottore, dove ci conduce il comandante? - Va al nord-ovest, per ora. - A Sarawak forse? - Può darsi, Sir. - Che voglia sbarcarmi? - Vi rincrescerebbe? - Forse sì. - Per lasciare miss Darma? - Per altri motivi più gravi, - rispose l'anglo-indiano. - Quali, se è lecito saperlo? - Perchè il rajah mi lancerà nuovamente contro di voi e forse spetterà a me compiere il doloroso dovere di darvi il colpo mortale e di sommergere la donna che amo, - disse Moreland. - Quel giorno può essere molto lontano. - Io credo il contrario, perchè la vostra nave non potrà tenere eternamente il mare, nè rifornirsi sempre di viveri, di munizioni e di combustibile, senza avere un porto amico. - L'oceano è immenso, Sir. - Sì, è vero, ma quando dieci o venti navi solcheranno da tutte le parti quest'oceano e chiuderanno, come in un cerchio di ferro, il vostro incrociatore, quale speranza vi rimarrà? Ammiro l'audacia di questi pirati della Malesia, come ammiro la loro nave, un capolavoro dell'ingegneria navale, tuttavia permettetemi di dubitare sul buon esito della vostra crociera. Che gravi danni possiate recare alla marineria inglese e creare molti fastidi al rajah, non lo nego, essendo il vostro Re del Mare il vascello più rapido che ora esista e forse il meglio armato, nondimeno non la durerete a lungo. - Questi formidabili corsari non hanno la pretesa di tenere in iscacco, per molti anni, le squadre inglesi, sir Moreland. Sanno perfettamente la sorte che li attende e non ignorano che un giorno i loro cadaveri andranno a dormire il sonno eterno nelle tenebrose vallate del mar della Sonda o in fondo a qualche spaventevole baratro. - E anche miss Darma lo sa? - chiese l'anglo-indiano con un brivido. - Lo suppongo, sir Moreland. - Ah! Sbarcatela! Salvatela! - Qui combattono suo padre ed i suoi protettori, ai quali deve la vita, a quanto mi si disse, e non li lascerà, - rispose l'americano. Sir Moreland si passò una mano sulla fronte, poi disse come parlando fra sè: - Sarebbe meglio che domani le squadre riunite affondassero tutte, me compreso. Almeno sarebbe finita e non udrei più mai il grido del sangue che reclama vendetta!

Pare che non abbiano nessuna fretta, mio caro Sambigliong! - Aspettano che la notte scenda. - Prima che la luce se ne fugga vediamo che musi sono. - Prese il cannocchiale e lo puntò sul piccolo praho che precedeva sempre la flottiglia delle scialuppe. Vi erano quindici o venti uomini a bordo, che indossavano l'abito guerresco; pantaloni stretti, abbottonati all'anca e al collo dei piedi, sarong cortissimo, in testa il tudung, un curioso berretto con lunga visiera e molte piume. Alcuni erano armati di fucile; i più avevano invece dei kampilang, quelle pesanti sciabole a doccia d'un acciaio finissimo, dei pisau-raut, ossia specie di pugnali dalla lama larga e non serpeggiante come i kriss malesi, e avevano dei grandi scudi di pelle di bufalo di forma quadrata. - Bei tipi, - disse Yanez colla sua solita calma. - Sono molti, signore. - Ouff! Un centinaio e mezzo, mio caro Sambigliong. Si volse guardando la tolda della Marianna. I suoi quaranta uomini erano tutti ai loro posti di combattimento. Gli artiglieri dietro ai due cannoni da caccia e alle quattro spingarde, i fucilieri dietro alle murate i cui bordi erano coperti di fasci di spine acutissime e gli uomini di manovra, che pel momento non avevano nulla da fare essendo il veliero sempre arenato, sulle coffe muniti di bombe da lanciare a mano e armati di carabine indiane di lunga portata. - Vengano a trovarci! - mormorò, visibilmente soddisfatto degli ordini impartiti da Sambigliong. Il sole stava per scomparire, diffondendo i suoi ultimi raggi e bagnando di luce aurea o rossastra le coste dell'immensa isola e le scogliere contro cui si frangevano rumoreggiando le onde che venivano dal largo. Il grande globo incandescente calava superbamente in acqua, incendiando un gran ventaglio di nubi al di sopra delle quali s'innalzavano grandi zone d'oro e lembi ampi di porpora, smaglianti sull'azzurro chiaro del cielo. Finalmente s'immerse, quasi bruscamente, infiammando per alcuni istanti tutto l'orizzonte, poi quell'onda di luce si attenuò rapidamente, non essendovi crepuscoli sotto quelle latitudini, la grande fantasmagoria solare si estinse e le tenebre piombarono avvolgendo la baia, le isole e le coste bornesi. - Buona notte per gli altri e cattiva per noi, - disse Yanez, che non aveva potuto fare a meno di contemplare quello splendido tramonto. Guardò la flottiglia nemica. Il piccolo praho, le doppie scialuppe e quelle semplici affrettavano la corsa. - Siamo pronti? - chiese Yanez. - Sì, - rispose Sambigliong per tutti. - Allora, Tigrotti di Mompracem, non vi trattengo più. Il piccolo praho era a buon tiro e copriva le scialuppe che lo seguivano in fila, l'una dietro all'altra, per non esporsi al fuoco delle artiglierie della Marianna. Sambigliong si curvò su uno dei due pezzi da caccia piazzati sul cassero che erano montati su perni giranti onde potessero far fuoco in tutte le direzioni e, dopo aver mirato per qualche istante, fece fuoco, spezzando netto l'albero di trinchetto, il quale cadde sul ponte assieme all'immensa vela. A quel colpo veramente meraviglioso, urla furiose s'alzarono sulle scialuppe, poi la prora del legno mutilato a sua volta avvampò. Il mirim del piccolo veliero aveva risposto al fuoco della Marianna, ma la palla, male diretta, non aveva fatto altro danno che quello di forare il contro fiocco che Yanez non aveva fatto ammainare. - Quei bricconi tirano come i coscritti del mio paese, - disse Yanez, che continuava a fumare placidamente, appoggiato alla murata di prora. A quel secondo sparo tenne dietro una serie di detonazioni secche. Erano i lilà delle doppie scialuppe che appoggiavano il fuoco del piccolo praho. Quei cannoncini non erano fortunatamente ancora a buon tiro e tutto finì in molto baccano e molto fumo senza nessun danno per la Marianna. - Demolisci il praho, innanzi tutto, Sambigliong, - disse Yanez, - e cerca di smontare il mirim che è il solo che possa danneggiarci. Sei uomini ai due pezzi da caccia e accelerate il fuoco più ... Si era bruscamente interrotto ed aveva lanciato un rapido sguardo verso poppa. Ad un tratto trasalì e fece un gesto di sorpresa. - Sambigliong! - esclamò, impallidendo. - Non temete, signor Yanez, il praho fra due minuti sarà fracassato o per lo meno rasato come un pontone. - È il pilota che non vedo più. - Il pilota! - esclamò il malese lasciando il pezzo di caccia che era già puntato. - Dov'è quel briccone? Yanez aveva attraversata rapidamente la tolda, in preda ad una visibile emozione. - Cerca il pilota! - gridò. - Capitano, - disse un malese che era al servizio dei due pezzi di poppa, - l'ho veduto or ora scendere nel quadro. Sambigliong, che forse aveva avuto il medesimo sospetto del portoghese, si era già precipitato giù per la scaletta, impugnando una pistola. Yanez lo aveva subito seguìto mentre i due cannoni da caccia tuonavano contro la flottiglia, con un rimbombo assordante. - Ah! cane! - udì gridare. Sambigliong aveva afferrato il pilota che stava per uscire da una cabina, tenendo in mano un pezzo di corda incatramata accesa. - Che cosa facevi, miserabile? - urlò Yanez precipitandosi a sua volta sul malese che tentava di opporre resistenza al mastro. Il pilota, vedendo il comandante che aveva pure impugnata una pistola e che pareva pronto a fargli scoppiare la testa, era diventato grigiastro, ossia pallido, pure rispose con una certa calma: - Signore, sona disceso per cercare una miccia per le spingarde ... - Qui, le micce! - gridò Yanez. - Tu, briccone, cercavi d'incendiarci la nave! - Io! - Sambigliong, lega quest'uomo! - comandò il portoghese. - Quando avremo battuto i dayaki avrà da fare con noi. - Non occorrono corde, signor Yanez, - rispose il mastro. - Lo faremo dormire per una dozzina d'ore, senza che ci dia alcun fastidio. Afferrò brutalmente per le spalle il pilota che non cercava più di opporre resistenza, e gli compresse coi pollici tesi la nuca, poi gli affondò nel collo, un po' al disotto degli angoli mascellari, gli indici ed i medi in modo da stringergli le carotidi contro la colonna vertebrale. Allora si vide una cosa assolutamente strana. Padada stralunò gli occhi e spalancò la bocca come se si fosse manifestato un principio d'asfissia, la respirazione gli divenne improvvisamente affannosa, poi rovesciò il capo indietro e s'abbandonò fra le braccia del mastro, come se la morte lo avesse colto. - L'hai ucciso! - esclamò Yanez. - No, signore, - rispose Sambigliong. - L'ho addormentato e prima di dodici o quindici ore non si sveglierà.1 - Dici davvero? - Lo vedrete più tardi. - Gettalo su qualche branda e saliamo subito. Il cannoneggiamento diventa vivissimo. Sambigliong alzò il pilota, che pareva non desse più alcun segno di vita, e lo adagiò su un tappeto, poi tutti e due salirono rapidamente sulla tolda, nel momento in cui i due cannoni da caccia tornavano a tuonare con tale fragore da far tremare tutto il veliero. Il combattimento fra la Marianna e la flottiglia si era impegnato con grande ardore. Le scialuppe doppie, che, come abbiamo detto, erano armate di lilà, si erano disposte su una fronte piuttosto larga, a destra e a sinistra del praho, onde dividere maggiormente il fuoco del veliero e si erano impegnate risolutamente a proteggere le altre imbarcazioni che, quantunque più piccole, portavano equipaggi più numerosi, riserbati certamente per l'attacco finale. Gli spari si succedevano agli spari e le palle, quantunque tutte di piccolo calibro, fischiavano in gran numero sulla Marianna, smussando qualche pennone, forando le vele, maltrattando il sartiame e scheggiando le murate. Alcuni uomini erano stati già feriti e qualcuno ucciso, nondimeno gli artiglieri di Mompracem facevano freddamente il loro dovere, con una calma ed un sangue freddo meraviglioso. Le spingarde, essendo ormai la distanza diminuita, avevano pure cominciato a tuonare, lanciando sulla flottiglia bordate di mitraglia, composta per la maggior parte di chiodi, che si piantavano nella pelle dei dayaki, facendoli urlare come scimmie rosse. Nonostante quelle scariche formidabili, la flottiglia non cessava di avanzare. I dayaki, che sono generalmente coraggiosi non meno dei malesi e che non temono la morte, davano dentro ai remi furiosamente, mentre quelli che erano armati di fucile, mantenevano un fuoco vivissimo, quantunque poco efficace, non avendo molta pratica di quelle armi, che forse adoperavano per la prima volta. Erano già giunte le scialuppe a cinquecento passi, quando il praho su cui si era concentrato il fuoco dei pezzi da caccia della Marianna, si coricò su un fianco. Aveva ormai perduto i suoi due alberi, il bilanciere era stato fracassato di colpo da una palla tiratagli da Yanez e le sue murate erano state ridotte in così cattivo stato, che non esistevano quasi più. - Smonta il mirim, Sambigliong! - gridò Yanez, vedendo una doppia scialuppa accostarsi al praho coll'evidente intenzione d'impadronirsi del pezzo d'artiglieria, prima che il piccolo veliero affondasse. - Sì, comandante, - rispose il malese, che serviva al pezzo da caccia di babordo. - E voi altri mitragliate l'equipaggio prima che venga raccolto, - aggiunse il portoghese, che dall'alto del cassero seguiva attentamente le mosse della flottiglia, senza levarsi dalle labbra la sigaretta. Una bordata colpì il praho, bordata di pezzi da caccia e di spingarde, smontando il mirim il cui carrello fu fracassato di colpo e spazzando il ponte da prora a poppa, con un uragano di mitraglia che storpiò e ferì la maggior parte dell'equipaggio. - Bel colpo! - esclamò il portoghese, colla sua flemma abituale. - Eccone uno che non ci darà più fastidio. Il piccolo veliero non era ormai che un rottame che si empiva rapidamente d'acqua. Gli uomini che erano sfuggiti a quella tremenda bordata, si erano gettati in mare e nuotavano verso le scialuppe, mentre i pontoni tiravano furiosamente coi lilà con non troppa fortuna, quantunque la Marianna, colla sua mole ed immobilizzata come era, offrisse un ottimo bersaglio. Ad un tratto il legno si capovolse bruscamente, rovesciando in acqua morti e feriti e rimase colla chiglia in aria. Urla feroci s'alzarono dalle scialuppe, vedendo il praho andarsene alla deriva in quello stato. - Gridate come oche, - disse Yanez. - Ci vuole ben altro per vincere le tigri di Mompracem, miei cari. Fuoco sulle scialuppe! Avanti, fucilieri! L'affare diventa caldo. Sebbene privati del praho che col suo pezzo poteva contrabbattere i cannoni da caccia, la flottiglia aveva ripreso la corsa e s'avvicinava rapidamente alla Marianna. Le tigri di Mompracem non facevano economia nè di palle nè di polvere. Colpi di cannone e di spingarda si alternavano a nutrite scariche di fucileria che facevano dei larghi vuoti fra gli equipaggi delle scialuppe e dei pontoni. Quei vecchi guerrieri, che un giorno avevano fatto tremare gli inglesi di Labuan, che avevano vinto e rovesciato James Booke, il rajah di Sarawak, e che avevano distrutti, dopo formidabili combattimenti, i terribili thugs indiani, si difendevano con accanimento ammirabile, senza nemmeno prendersi la briga di ripararsi dietro i bordi. Anzi, sprezzanti d'ogni pericolo, nonostante i consigli del portoghese che ci teneva a conservare i suoi uomini, erano saliti tutti sulle murate per mirare meglio e di là, e anche dalle coffe, facevano un fuoco infernale sulle scialuppe, decimando crudelmente i loro equipaggi. Gli assalitori però erano così numerosi, che quelle gravi perdite non li scoraggiavano. Altre scialuppe, uscite dal fiume, avevano raggiunta la flottiglia e anche quelle cariche di guerrieri. Erano almeno trecento selvaggi, sufficientemente armati, che muovevano all'abbordaggio della Marianna, risoluti, a quanto pareva, ad espugnarla e massacrare i suoi difensori fino all'ultimo, non potendosi sperare quartiere da quei barbari sanguinari che non hanno che un solo desiderio: quello di fare raccolta di crani umani. - La faccenda minaccia di diventare seria, - mormorò Yanez, vedendo quelle nuove scialuppe. - Tigrotti miei, date dentro più che potete o noi finiremo per lasciare qui le nostre teste. Quel cane d'un pellegrino li ha fanatizzati per bene e li ha fatti diventare idrofobi. S'accostò al pezzo da caccia di tribordo, che in quel momento era stato scaricato e allontanò Sambigliong che stava pigliando la mira. - Lascia che mi scaldi un po' anch'io, - disse. - Se non sfasciamo i pontoni e mandiamo in acqua i loro lilà, fra tre minuti saranno qui. - Le spine li tratterranno, capitano. - Eh, non so, mio caro. I loro kampilang avranno buon gioco. - Ed i nostri gabbieri non ne avranno meno colle loro granate. - Sia, ma preferisco che non giungano qui. Diede fuoco al pezzo e, come al solito, non mancò il colpo. Uno dei pontoni, formati da due scialuppe riunite da un ponte, andò a catafascio. Le prore, spaccate a livello d'acqua, in un momento si riempirono ed il galleggiante affondò. Un secondo fu pure gravemente maltrattato, ma al terzo colpo di cannone sparato da Yanez le scialuppe erano già quasi sotto. - Impugnate i parangs e portate le spingarde a poppa! - gridò, abbandonando il pezzo che ormai diventava inutile. - Sgombrate la prora! In un baleno quei comandi furono eseguiti. I fucilieri si ammassarono sul cassero, lasciando soli i gabbieri nelle coffe, mentre Sambigliong con alcuni uomini sfondava a colpi di scure due casse lasciando scorrere per la coperta una infinità di pallottoline d'acciaio irte di punte sottilissime. I dayaki, resi furiosi dalle gravi perdite subite, avevano circondata la Marianna urlando spaventosamente e cercavano di arrampicarsi, aggrappandosi alle bancazze, alle sartie, ai paterazzi ed alla dolfiniera del bompresso. Yanez aveva impugnata una scimitarra e si era messo in mezzo ai suoi uomini. - Stringete le file attorno alle spingarde! - gridò. I fucilieri che stavano presso le murate non avevano cessato il fuoco, fulminando a bruciapelo i dayaki dei pontoni e quelli che cercavano di montare all'abbordaggio. Le canne dei fucili e delle carabine indiane erano diventate così ardenti che scottavano le mani dei tiratori. I dayaki arrivavano, inerpicandosi come scimmie. Ad un tratto atroci urla di dolore scoppiarono fra gli assalitori. Avevano posate le mani sui fasci di spine che coprivano le murate e che erano dissimulati dalle brande stese sopra i bastingaggi, straziandosi orribilmente le dita e non reggendo a così atroce dolore si erano lasciati cadere addosso ai compagni, travolgendoli nella loro caduta. Se non erano pel momento riusciti a scavalcare le murate di babordo e di tribordo, quelli che si erano issati sulle trinche del bompresso, erano stati invece più fortunati, avendo trovato subito un appoggio sull'albero istesso. Accortisi delle spine, a gran colpi di kampilang staccarono i fasci gettandoli in mare, ed in dieci o dodici irruppero sul castello di prora mandando urla di vittoria. - Dentro colle spingarde! - gridò Yanez che li aveva lasciati fare. Le quattro bocche da fuoco lanciarono una bordata di chiodi su quel gruppo, spazzando tutto il castello. Fu una scarica terribile. Nessuno degli assalitori era rimasto in piedi, quantunque non vi fosse nemmeno un morto. Quei disgraziati, che avevano ricevuto in pieno quella bordata, si rotolavano pel castello, dibattendosi e mandando urla spaventevoli e gemiti strazianti. I loro corpi, foracchiati in cento luoghi dai chiodi, parevano schiumarole gocciolanti sangue. La vittoria era nondimeno ancora ben lungi. Altri dayaki salivano da tutte le parti, disperdendo prima le spine coi kampilang e rovesciandosi in coperta, malgrado il fuoco vivissimo delle tigri di Mompracem. Là un altro ostacolo però, non meno duro delle spine, attendeva gli assalitori: erano le pallottole d'acciaio che coprivano tutta la tolda e le cui punte non si potevano sfidare senza i pesanti stivali di mare. Per di più, i gabbieri delle coffe avevano cominciato a lanciare le granate che scoppiavano con fragore, lanciando intorno frammenti di metallo. I dayaki, presi fra due fuochi, impossibilitati ad avanzare, si erano arrestati; poi un subitaneo terrore, accresciuto da un'altra bordata di mitraglia che ne gettò a terra parecchi, li prese e si precipitarono confusamente in acqua, nuotando disperatamente verso i pontoni e le scialuppe. - Pare che ne abbiano finalmente abbastanza, - disse Yanez, che durante la lotta non aveva perduto un atomo della sua flemma. - Ciò v'insegnerà a temere le vecchie tigri di Mompracem. La disfatta degli isolani era completa. Pontoni e scialuppe fuggivano a forza di remi verso le isolette che si estendevano dinanzi al fiume, senza più rispondere al fuoco del veliero, fuoco che ben presto fu fatto cessare dal portoghese, ripugnandogli di massacrare delle persone che ormai non si difendevano più. Dieci minuti dopo, la flottiglia, le cui scialuppe facevano per la maggior parte acqua, scompariva entro il fiume. - Se ne sono andati, - disse Yanez. - Speriamo che ci lascino tranquilli. - Ci aspetteranno nel fiume, signore, - disse Sambigliong. - E vi daranno nuovamente battaglia, - aggiunse Tangusa, che ai primi colpi di cannone era pure salito in coperta per prendere parte alla difesa, quantunque esausto di forze. - Lo credi? - chiese il portoghese. - Ne sono certo, signore. - Daremo loro un'altra lezione che leverà loro, e per sempre, la voglia d'importunarci. Troveremo acqua sufficiente per spingerci fino alle scale del kampong? - Il fiume è profondo per un tratto lunghissimo e purchè il vento sia favorevole non troverete difficoltà a salirlo. - Quanti uomini abbiamo perduto? - chiese Yanez a Kickatany, il malese che funzionava da medico a bordo. - Ve ne sono otto nell'infermeria, signore, fra cui due gravemente feriti e quattro morti. - Che il diavolo si porti quei maledetti selvaggi ed il loro pellegrino! - esclamò Yanez. - Orsù, così è la guerra, - aggiunse poi con un sospiro. Quindi volgendosi verso Sambigliong che pareva aspettasse qualche ordine: - La marea sta per raggiungere la sua massima altezza. Cerchiamo di trarci da questo maledetto banco.

- Che gli inglesi abbiano intenzione di farci sloggiare da Mompracem. È un po' di tempo che tutti gli atti di pirateria che succedono lungo le coste occidentali dell'isola li addebitano a noi, quantunque da molti anni i nostri prahos dormano sulle loro àncore. Dicono che la nostra presenza incoraggia i pirati costieri e che noi direttamente o indirettamente li aizziamo contro le navi che si recano a Labuan. Frottole, ma già tu conosci la doppiezza del leopardo inglese. - E anche la sua ingratitudine, - disse l'indiano. - Ecco come vorrebbero compensarci d'aver liberata l'India dalla setta dei thugs. E Sandokan cederebbe? - Lui! Ah! Quell'uomo è capace di gettare il guanto di sfida contro tutta l'Inghilterra e di ... Un lontano colpo di cannone gli aveva interrotta la frase. - Hai udito? - esclamò, balzando in piedi in preda ad una vivissima agitazione. - Sì, il cannone tuona verso il sud. - I dayaki attaccano la Marianna! - Seguimi sull'osservatorio, Yanez, - disse Tremal-Naik. - Di lassù potremo udire meglio da quale parte giungono gli spari.

. - A meno che non gliela abbiano uccisa! - disse Yanez. - Chi può essere quell'ex servo che l'aiuta? - Ve ne devono essere parecchi fra i ribelli, - rispose Tremal-Naik. - Ne avevo una ventina di dayaki e non me n'è rimasto più uno dopo la comparsa del pellegrino. - Signor Yanez, - disse Sambigliong, - mi troverò io questa notte verso l'angolo che guarda al sud. - Tu sarai più necessario qui che colà, - rispose il portoghese. - Non hai udito che i dayaki si preparano ad assalirci? Manderemo Tangusa col pilota. E ora, amici, prepariamoci a sostenere il secondo attacco, che sarà forse più formidabile del primo e non dimenticate che se i dayaki entrano qui le nostre teste andranno ad arricchire le loro collezioni. La notte era allora calata, una notte oscurissima, che nulla prometteva di buono. La nube nera aveva invaso tutto il cielo, coprendo rapidamente gli astri e verso il sud balenava. Una calma pesante regnava sulla pianura e sulle foreste. L'aria era soffocante al punto da rendere difficile la respirazione e così satura d'elettricità che tutti gli uomini del kampong provavano una viva irrequietezza ed un vero senso di malessere. Anche nei campi dei dayaki tutto era oscuro e di là non proveniva alcun rumore. I lilà ed il mirim da qualche ora non tuonavano più. I difensori del kampong, dopo aver costruite frettolosamente le tettoie per riparare le spingarde, si erano sdraiati sui larghi parapetti delle terrazze, con le carabine a portata di mano, ascoltando ansiosamente i rumori del largo. Yanez, Tremal-Naik e una mezza dozzina di Tigrotti vegliavano sopra la saracinesca, dove avevano piazzata anche la bocca da fuoco che avevano ritirata dalla torricella. Entrambi erano un po' nervosi e preoccupati. Quel silenzio che regnava negli accampamenti dei dayaki produceva su di loro maggior impressione che un fuoco violentissimo. - Preferirei un attacco furioso a questa calma, - disse Yanez che fumava rabbiosamente un cortado masticandone la punta. - Che si avanzino strisciando come serpenti? - È probabile, - rispose Tremai-Naik. - Non si faranno vivi che quando avranno attraversata la pianura e saranno giunti sotto le piante. - O che aspettino l'uragano per rendere meno efficaci le nostre carabine? Quando qui piove è un diluvio che si rovescia. - Il caucciù li calmerà e surrogherà le palle. Tutti i vasi disponibili sono al fuoco. L'uragano intanto si addensava. Qualche soffio d'aria giungeva facendo curvare le cime degli arbusti spinosi con mille fruscii; verso il sud tuonava e lampeggiava. La gran voce della tempesta suonava la carica. Ad un tratto un lampo immenso, simile a una enorme scimitarra, tagliò in due l'enorme nube gravida di pioggia, poi si seguirono dei fragori paurosi. Pareva che lassù, nella volta celeste, si fosse impegnato un duello fra grossi cannoni di marina o da costa e che dei carri carichi di lamine di ferro corressero all'impazzata su dei ponti metallici. Quel fracasso durò due o tre minuti con grande accompagnamento di lampi, poi le cateratte del cielo si aprirono ed una vera tromba d'acqua si rovesciò furiosamente sulla pianura. Quasi nel medesimo istante si udirono le sentinelle collocate agli angoli delle cinte gridare: - All'armi! Ecco il nemico! Yanez e Tremal-Naik, che si erano coricati sul parapetto, erano balzati in piedi. - Alle spingarde! - aveva gridato il portoghese con voce tuonante. Alla luce dei lampi, luce vivissima perchè era un bagliore continuo, con incessante accompagnamento di tuoni formidabili, si vedevano i dayaki attraversare la pianura a corsa sfrenata, a gruppi, a drappelli, coi loro giganteschi scudi alzati per proteggersi dai rovesci d'acqua. Parevano demoni vomitati dall'inferno e l'illusione, con quel lampeggiare che proiettava sulla terra fasci di luce ora rossastra e ora livida, ora cadaverica, era perfetta. Le spingarde, che come dicemmo erano state coperte a tempo colle tettoie, avevano cominciato a sparare furiosamente, falciando le cime degli arbusti spinosi prima che la mitraglia cadesse sulla pianura. Anche i malesi, i giavanesi ed i pirati che non erano occupati al servizio delle bocche da fuoco, sparavano come meglio potevano, rannicchiati dietro i parapetti, ma l'acqua che cadeva era tanta e tanta che il più delle volte le carabine facevano cilecca. La bufera rendeva la difesa estremamente difficile con le armi da fuoco, e non accennava a calmarsi, anzi! È vero che non doveva durare molto; gli uragani che scoppiano in quelle regioni acquistano una intensità spaventevole, di cui non possiamo farci un'idea, ma ordinariamente non si prolungano al di là d'una mezz'ora. Anzi, talvolta cessano dopo pochi minuti. Che furia però in quel brevissimo tempo! Pare che l'universo intero vada a catafascio o che un incendio immenso lo divori, nonostante le trombe d'acqua che si rovesciano dal cielo. La nube nera pareva che fosse diventata di fuoco e che tutti i venti si fossero concentrati sulla pianura stendendosi intorno al kampong di Tremal-Naik. Gli alberi si torcevano come fossero semplici fuscelli; i giganteschi durion che pareva dovessero sfidare le più tremende convulsioni terrestri e celesti, rovinavano al suolo sradicati da quelle raffiche irresistibili; i poderosi pombo si spogliavano rapidamente dei loro rami; le gigantesche foglie delle palme e dei banani volavano per l'aria come mostruosi volatili. Acqua, vento e fuoco si mescolavano gareggiando di violenza, mentre in alto, sulla cima della cupola fiammeggiante, i tuoni facevano udire la poderosa voce della tempesta, soffocando completamente i rombi del mirim, dei lilà e delle spingarde. I difensori del kampong, quantunque accecati dai lampi e affogati sotto quei getti d'acqua colossali, non si smarrivano d'animo e mantenevano il loro fuoco vivissimo mitragliando le orde selvagge che si avanzavano mescendo le loro urla ai tuoni del cielo. - Non arrestatevi! - gridavano senza posa Yanez, Tremal-Naik e Sambigliong, che si trovavano sotto la tettoia che riparava la spingarda della saracinesca. I dayaki che non subivano già grosse perdite, non marciando più in colonna, ben presto giunsero sotto le piante spinose che si misero a sciabolare furiosamente coi loro pesanti kampilang, per aprirsi un varco che permettesse loro di montare liberamente all'assalto della cinta. Tutto il loro sforzo si era concentrato verso le saracinesche che ormai conoscevano. Era quello il punto più solido del kampong, ma anche quello che offriva maggiori probabilità di poter invadere la fattoria. Alcuni drappelli si erano muniti di travi pesanti per servirsene come di arieti e sfondare i panconi della cinta. Yanez e Tremal-Naik, comprendendo che stavano per giuocare la loro ultima carta, avevano fatti accorrere tutti i servi del kampong coi pentoloni colmi di caucciù. Quel liquido terribile, ancora una volta, poteva rendere maggiori servigi che le armi da fuoco. I dayaki, che massacravano rapidamente gli arbusti spinosi, giungevano. Un drappello dopo essersi aperto un largo sentiero, sbucò sotto la cinta ed assalì risolutamente la saracinesca percuotendola poderosamente con un tronco d'albero spinto innanzi da trenta o quaranta braccia. Una pioggia di caucciù bollente, che cadde sulle loro teste, bruciando ad un tempo i loro capelli e la cotenna, li costrinse ad abbandonare precipitosamente l'impresa. Un altro non ebbe miglior fortuna; ma giungeva il grosso che la mitraglia delle spingarde non era riuscita a trattenere. Due o trecento uomini, resi furibondi dall'ostinata resistenza che opponevano gli assediati, si rovesciarono contro la cinta appoggiando ai parapetti delle grosse canne di bambù per dare la scalata alle terrazze. Alle grida di Yanez e di Tremal-Naik, tutti gli uomini del kampong erano accorsi da quella parte, non lasciando che pochi artiglieri alle spingarde. Avevano gettate le carabine, diventate quasi inutili con quell'acquazzone che non cessava ancora, ed avevano impugnati i parangs, armi non meno pesanti e non meno taglienti dei kampilang dei dayaki. Gli assalitori, nonostante gli spruzzi abbondanti del liquido infernale, montavano intrepidamente all'attacco con un coraggio disperato, mandando clamori orribili. I primi che giungono sui parapetti, rotolano nel fossato sottostante con le mani tagliate o la testa spaccata, ma altri ne sopraggiungono menando formidabili colpi di kampilang per allontanare i difensori. Si arrampicano come le scimmie, su pei bambù o balzandosi l'uno addosso all'altro formano delle piramidi umane che nemmeno il caucciù, che continua a venire versato, riesce a scuotere. Mandano urla spaventevoli, la loro pelle cade a brandelli e fuma, eppure quei fanatici, incoraggiati dalla voce del pellegrino che echeggia in mezzo alle piante spinose, resistono con una tenacia che fa impallidire Yanez, il quale comincia a perdere buona parte della sua fiducia. I difensori del kampong, soprattutto i Tigrotti della Malesia, non dimostrano tuttavia meno tenacia, nè meno coraggio degli assalitori. I loro parangs, manovrati da braccia solide, tagliano nel vivo e mutilano orrendamente quelli che riescono a issarsi sui parapetti. Mentre i dayaki urlano: - Allah! Allah! Allah! -, nè più nè meno dei fanatici mussulmani delle sabbiose terre dell'Arabia, i pirati di Yanez rispondono con non meno entusiasmo: - Viva Mompracem! Largo alle tigri dell'arcipelago! Il sangue scorre a fiotti. Le palizzate della cinta grondano e le terrazze si arrossano. Da una parte e dall'altra combattono con pari furore, mentre l'uragano imperversa sempre e somministra la luce ai combattenti onde possano scannarsi meglio. La tenacia e il coraggio dei dayaki, non guadagnano gran che. Tre volte i guerrieri del pellegrino, tutto sfidando, il fuoco delle spingarde collocate agli angoli che li prende di fianco con bordate di chiodi, i getti di caucciù ed i parangs che li mutilano, sono mandati all'assalto e hanno raggiunti e anche scavalcati i parapetti e tre volte sono stati costretti a lasciarsi cadere nei fossati già pieni di morti e di feriti. - Ancora uno sforzo! - urla Yanez, che vede gli assalitori esitare. - Uno sforzo ancora e avremo ragione di questi testardi. Le spingarde raddoppiano il fuoco ed i malesi e i giavanesi, che hanno avuto un momento di riposo, tornano a tagliare nel vivo, mentre i servi rovesciano gli ultimi vasi contenenti il caucciù. L'attacco si rallenta, i dayaki tentano per la quarta volta la scalata, non più con lo slancio e col fanatismo di prima. La paura comincia ad impossessarsi dei loro animi. Non invocano nemmeno più Allah. Tuttavia il loro ultimo sforzo non è meno pericoloso. Sono ancora in buon numero, mentre la guarnigione si è assottigliata non poco, esposta al fuoco di alcuni tiratori nascosti sotto gli arbusti. E poi la stanchezza comincia a farsi sentire. Le lunghe sciabole pesano nelle mani dei malesi e dei giavanesi, se non in quelle dei Tigrotti di Mompracem. I tagliatori di teste tornano ad arrampicarsi, mentre i loro compagni che sono nel fossato, tentano con uno sforzo supremo di aprire una breccia nella saracinesca percuotendo i panconi colle travi. Guai se i difensori si perdono d'animo. È finita per tutti. Anche per la graziosa Darma! Yanez volta la spingarda in modo che la mitraglia rada il parapetto, gridando contemporaneamente ai suoi uomini che stanno per avventarsi sugli assalitori che già si preparano a balzare sulle terrazze: - Indietro ... un momento solo! Il colpo parte e la mitraglia spazza da un angolo all'altro della cinta, tutto il parapetto, fulminando o storpiando quanti nemici si trovano sopra. Nel medesimo tempo i servi rovesciano tutte le caldaie ancora rimaste su coloro che s'accaniscono contro la saracinesca. Il fumo si era appena dileguato, quando una tigre superba si scaglia sul parapetto mandando un aoung ferocissimo, abbranca un dayako rimasto sospeso e miracolosamente illeso e gli pianta i denti nel cranio. Alla vista di quel terribile carnivoro che i lampi incessanti mostrano come se fosse di pieno giorno, un terrore invincibile invade gli assalitori. Se anche le belve della foresta accorrono in aiuto dell'uomo bianco e dell'indiano, vuol dire che gli uomini sono più potenti del pellegrino della Mecca. La ritirata si converte in pochi istanti in una fuga precipitosa, disordinata. Dei selvaggi gettano perfino gli scudi e i kampilang per correre più lesti. Più nessuno obbedisce ai capi, nè alle grida del pellegrino che invano si sfiata a urlare: - Avanti per Allah! Maometto vi protegge! Non erano dopotutto così sciocchi per accorgersi che Allah ed il Profeta non li avevano affatto protetti. Mentre scappavano a rotta di collo, spronati dai tiri delle spingarde, un uomo si era slanciato sulla terrazza, muovendo rapidamente verso Yanez e Tremal-Naik. Era anche quello un bel tipo di indiano di circa quarant'anni, meno alto di Tremal-Naik ed invece più membruto, dalla pelle abbronzata con certi riflessi dell'ottone, che spiccava vivamente sul suo vestito bianco, cogli occhi nerissimi e fieri ed i lineamenti fini ad un tempo ed energici. Vedendolo Yanez aveva mandato un grido di gioia: - Kammamuri! - Il mio bravo maharatto! - aveva esclamato dal canto suo Tremal-Naik. - Arrivo troppo tardi, - rispose il nuovo arrivato, - è vero padrone? - In tempo per vedere i talloni dei dayaki, - rispose Tremal-Naik. - Sei salito in questo momento? - chiese il portoghese. - Sì, signor Yanez, ed è stato un vero miracolo se i vostri uomini non mi hanno ucciso. Mi arrampicavo sulla fune e proprio nel momento che tiravano una bordata di chiodi. - Sei stato a Mompracem? - Sì, signor Yanez. - Dunque hai veduto la Tigre della Malesia? - L'ho lasciata sette giorni or sono. - Sei giunto solo? - Solo, signor Yanez. - Non hai condotto alcun rinforzo? - No. - Va'a rifocillarti, che devi essere stremato dalle privazioni. Fra poco noi saremo da te, - disse Tremal-Naik. - Yanez, diamo gli ultimi colpi ai fuggiaschi e tu, Darma, - gridò, volgendosi verso la tigre, che portava il medesimo nome di sua figlia, - lascia quell'uomo e vattene in cucina.

- Io ritengo che ci abbiano lasciati passare per darci battaglia sull'alto corso del fiume. - Può darsi, signor Yanez. - Quando potremo giungere? - Non prima di mezzodì. - Quanto dista il kampong dal fiume? - Due miglia. - Di foresta, probabilmente. - E folta, signore. - Peccato che Tremal-Naik non abbia fondata la sua principale fattoria sul fiume. Noi saremo costretti a dividere le nostre forze. È bensì vero che i miei Tigrotti si battono splendidamente sia sui ponti dei loro prahos, che a terra. - Saliamo dunque, signore? Il vento è favorevole e la marea ci spingerà per qualche ora ancora. - Avanti e bada di non mandare la Marianna in secco. - Conosco troppo bene il fiume. - Il veliero superò una lingua di terra che formava la barra del fiume e rimontò la corrente, spinto dalla brezza notturna che gonfiava le sue enormi vele. Quel corso d'acqua, che è ancora oggidì poco noto, in causa della continua ostilità dei dayaki che non risparmiano nemmeno le teste degli esploratori europei, era largo un centinaio di metri e scorreva fra due rive piuttosto alte, coperte da manghi, da durion e da alberi gommiferi. Nessun fuoco si vedeva brillare sotto gli alberi, nè si udiva alcun rumore che indicasse la presenza di quei formidabili cacciatori di teste. Solo di quando in quando nelle acque, che dovevano essere profonde, echeggiava un tonfo prodotto dall'improvvisa immersione di qualche gaviale addormentato a fior d'acqua, che la massa del veliero aveva spaventato. Quel silenzio tuttavia non rassicurava affatto Yanez, il quale anzi raddoppiava la vigilanza, cercando di scoprire qualche cosa sotto la fosca ombra degli alberi. - No, - mormorava, - è impossibile che noi abbiamo potuto passare inosservati. Deve succedere qualche cosa; fortunatamente conosciamo il nemico e non ci coglierà di sorpresa. Era trascorsa una mezz'ora, senza che nulla fosse accaduto di straordinario, ed il portoghese cominciava a rassicurarsi, quando, verso il basso corso del fiume, si vide una linea di fuoco alzarsi al di sopra dei grandi alberi. - Toh! un razzo! - aveva esclamato Sambigliong, che aveva potuto scorgerlo prima che si spegnesse. La fronte di Yanez si era abbuiata. - Come mai questi selvaggi posseggono dei razzi di segnalazione? - si chiese. - Capitano, - disse Sambigliong, - ciò è una prova che in tutta questa faccenda vi è lo zampino degli inglesi. Questi ignoranti non li hanno mai conosciuti prima d'ora. - O che li abbia portati quel pellegrino misterioso. - Là, guardate, comandante: si risponde. Yanez si era vivamente voltato verso la prora ed a una notevole distanza, verso l'alto corso del fiume, invece, aveva veduto spegnersi in cielo un'altra linea di fuoco. - Tangusa, - disse, volgendosi verso il meticcio, che non aveva abbandonata la barra. - Pare che si preparino a farci passare una brutta notte, gli ex coltivatori del tuo padrone. - Lo sospetto anch'io, signore, - rispose il meticcio. In quell'istante verso prora si udirono delle esclamazioni. - Lucciole! - O fuochi? - Guarda lassù. - Brucia il fiume! - Signor Yanez! Signor Yanez! Il portoghese in pochi salti fu sul castello di prora, dove si erano già radunati parecchi uomini dell'equipaggio. Tutto l'alto corso del fiume, che scendeva in linea quasi retta con leggeri serpeggiamenti, appariva coperto da miriadi di punti luminosi che ora si raggruppavano ed ora si disperdevano, per riunirsi poco dopo in linee ed in macchie foltissime. Yanez era rimasto talmente sorpreso, che stette per qualche minuto silenzioso. - Qualche fenomeno, capitano? - chiese Sambigliong. - È impossibile che quelle siano lucciole. - Nemmeno io lo credo, - rispose finalmente Yanez, la cui fronte si abbuiava sempre più. Tangusa che aveva affidato momentaneamente la barra a uno dei timonieri, era pure accorso, allarmato da quelle esclamazioni. - Sapresti dirmi di che cosa si tratta? - chiese Yanez, vedendolo. - Quelli sono fuochi che scendono il fiume, signore, - rispose il meticcio. - È impossibile! Se ognuno di quei punti luminosi segnalasse una barca, ve ne dovrebbero essere delle migliaia e non credo che i dayaki ne posseggano tante, nemmeno riunendo tutte quelle che si trovano sui fiumi bornesi. - Eppure sono fuochi, - replicò Tangusa. - Accesi dove? - Non so, signore. - Su dei tronchi d'albero? - Non saprei dirvelo. - Il fatto è che quei fuochi s'avvicinano, capitano, e che la Marianna potrebbe correre il pericolo d'incendiarsi. Yanez lanciò un "per Giove!" tuonante che fece stupire Sambigliong, che non l'aveva mai veduto prima d'allora uscire dai gangheri. - Che cos'hanno preparato quelle canaglie? - esclamò il bravo portoghese. - Capitano, prepariamo per maggior precauzione le pompe. - E arma i nostri uomini di buttafuori e di manovelle per allontanare quei fuochi. Questi maledetti selvaggi cercano d'incendiare la nostra nave. Su lesti, Tigrotti miei: non vi è tempo da perdere. Quelle centinaia e centinaia di punti luminosi ingrandivano a vista d'occhio, trascinati dalla corrente e coprivano un tratto immenso di fiume. Scendevano a gruppi, danzando con un effetto meraviglioso, che in altre occasioni Yanez avrebbe certamente ammirato, ma non in quel momento. Giravano su loro stessi, seguendo i gorghi, formando delle linee circolari e delle spirali, che poi bruscamente si rompevano, oppure delle linee rette che poi diventavano delle serpentine. Un gran numero filava lungo le rive; molti invece, anzi i più danzavano in mezzo, essendo la corrente ivi più rapida. Dove posassero nessuno poteva dirlo, essendo la notte oscura, anche a causa dell'ombra proiettata dalle piante altissime che coprivano le rive. Certo però dovevano ardere su dei minuscoli galleggianti. Tutto l'equipaggio, armatosi frettolosamente di buttafuori, di pennoni, di aste e di manovelle, si era disposto lungo i fianchi della Marianna per allontanare quei fuochi pericolosi. Alcuni erano scesi nella rete delle dolfiniere del bompresso e nelle bancazze per poter meglio agire. - Sempre in mezzo al fiume! - aveva gridato Yanez a Tangusa, che aveva ripresa la barra del timone. - Se prenderemo fuoco, faremo presto a poggiare sull'una o sull'altra riva. La flottiglia giungeva a ondate, correndo addosso alla Marianna la quale s'avanzava lentamente essendo il vento debolissimo. - Recatemi uno di quei fuochi, - disse Yanez ai malesi che si erano calati nella rete della dolfiniera, la cui estremità inferiore sfiorava quasi l'acqua. Tutti i marinai si erano messi all'opera, vibrando furiosi colpi di buttafuori e di manovelle su quei fuochi galleggianti che ormai circondavano la Marianna. Un malese, presone uno, lo aveva recato a Yanez. Si componeva d'una mezza noce di cocco, piena di bambace inzuppato d'una materia resinosa e attaccaticcia che ardeva meglio dell'olio vegetale, di cui fanno ordinariamente uso i bornesi al pari dei siamesi. - Ah! Bricconi! - aveva esclamato il portoghese. - Ecco una trovata meravigliosa che io non avrei mai immaginata! Come sono diventati furbi, da un momento all'altro, questi dayaki! Tigrotti, date dentro a tutta lena; se questo cotone s'attacca ai madieri, arrostiremo come anitre allo spiedo. Aveva gettato via il guscio di cocco e si era slanciato a prora, dov'era maggiore il pericolo, perchè quei fuochi investendo il tagliamare si rovesciavano in gran numero e la materia attaccaticcia e resinosa ond'era imbevuto il cotone poteva attaccarsi al fasciame, dove avrebbe trovato buon alimento nel catrame che lo copriva. I Tigrotti, che avevano compreso il gravissimo pericolo che correva il veliero, non risparmiavano i colpi. Specialmente quelli che si trovavano nella rete della dolfiniera ed a cavalcioni delle trinche, avevano un bel da fare a rovesciare quei minuscoli galleggianti, che giungevano sempre a ondate, scivolando e capovolgendosi lungo i fianchi della Marianna. Tuttavia dei fuochi di cotone di quando in quando s'appiccicavano al fasciame, ed il catrame subito prendeva fuoco, sviluppando un fumo denso ed acre. Guai se quel legno avesse avuto un equipaggio poco numeroso! Le tigri di Mompracem fortunatamente erano bastanti per sorvegliare tutti i bordi e, quando il fuoco cominciava a manifestarsi, le pompe lo spegnevano di colpo con un abbondante getto d'acqua. Quella strana lotta durò una buona mezz'ora, poi i pericolosi galleggianti cominciarono a diradarsi e finalmente cessarono di sfilare, scomparendo verso il basso corso del fiume. - Che ci preparino ora qualche altra sorpresa? - disse Yanez che aveva raggiunto il meticcio. - Vedendo il loro criminoso tentativo andato a male, escogiteranno qualche cosa d'altro. Che cosa ne dici, Tangusa? - Che noi non giungeremo all'imbarcadero del kampong, senza che i dayaki ci diano una seconda battaglia, signor Yanez, - rispose il meticcio. - La preferirei a qualche altra sorpresa, mio caro. Finora però non vedo alcuna scialuppa. - Non siamo ancora giunti, anzi tarderemo assai con questo vento così debole. Se non aumenta, invece del mezzodì dovremo faticare fino alla sera di domani. - E ciò mi rincrescerebbe. Ohè, Tigrotti, aprite gli occhi e tenete le armi in coperta. I tagliatori di teste ci spiano di certo. Accese una sigaretta e si sedette sul capo di banda di poppa, per meglio sorvegliare le due rive. La Marianna, sfuggita miracolosamente a quel secondo pericolo, s'avanzava sempre più lenta, essendo scemata la brezza. Nessun rumore si udiva sulle rive, che erano sempre coperte da alberi immensi che stendevano i loro rami mostruosi sul fiume, rendendo maggiore l'oscurità, eppure nessuno dubitava che degli occhi seguissero nascostamente il veliero. Era impossibile che i dayaki, dopo quel tentativo che per poco non riusciva, avessero rinunciato all'idea di distruggere quella piccola sì, ma poderosa nave che aveva inflitto loro quella sanguinosa sconfitta. Altre cinque o sei miglia erano state guadagnate, senza che alcun nuovo avvenimento fosse accaduto, quando Yanez scorse, sotto le foreste, scintillare dei punti luminosi che apparivano e scomparivano con grande rapidità. Pareva che degli uomini muniti di torce corressero disperatamente fra gli alberi, scomparendo subito in mezzo ai cespugli. Poi dei sibili si udivano in varie direzioni che non dovevano essere mandati da serpenti. - Sono segnali, - disse il meticcio, prevenendo la domanda che Yanez stava per rivolgergli. - Non ne dubitavo, - rispose il portoghese, che ricominciava ad inquietarsi. - Che cosa ci prepareranno ora? - Una sorpresa non migliore dell'altra di certo, signore. Ci vogliono impedire a qualunque costo di giungere all'imbarcadero. - Comincio ad averne le tasche piene, - disse Yanez. - Almeno si mostrassero e ci attaccassero risolutamente. - Sanno che siamo forti e che non manchiamo di artiglierie, signore, ed un assalto diretto non lo tenteranno. - Eppure sento per istinto che quei bricconi preparano qualche cosa contro di noi. - Non dico il contrario e vi consiglierei di non far disarmare le pompe. - Temi che ci mandino addosso un'altra flottiglia di noci di cocco? Invece di rispondere, il meticcio si era vivamente alzato, dando un colpo di barra al timone. - Siamo al passo più stretto del fiume, signor Yanez, - disse poi. - Prudenza o daremo dentro a qualche banco. Il fiume, che fino allora si era mantenuto abbastanza largo, permettendo alla Marianna di manovrare liberamente, si era repentinamente ristretto in modo che i rami degli alberi s'incrociavano. L'oscurità era diventata ad un tratto così profonda che Yanez non riusciva più a discernere le sponde. - Bel luogo per tentare un abbordaggio, - mormorò. - E anche per fucilarci per bene, signore, - aggiunse Tangusa. - Punta le spingarde verso le due rive, Sambigliong! - gridò Yanez. Gli uomini addetti al servizio delle grosse bocche da fuoco avevano appena eseguito quell'ordine, quando la Marianna, che da alcuni minuti aveva accelerata la corsa essendo la brezza diventata più fresca, urtò bruscamente contro un ostacolo che la fece deviare verso babordo. - Che cosa è avvenuto? - gridò Yanez. - Ci siamo arenati? - Ma no, capitano, - rispose Sambigliong che si era slanciato verso prora. - La Marianna galleggia! Il meticcio con un colpo di barra rimise il legno sulla rotta primiera, quando avvenne un secondo urto e la Marianna tornò a deviare indietreggiando di alcuni passi. - Come va questa faccenda? - gridò Yanez, raggiungendo Sambigliong. - Vi è una linea di scoglietti dinanzi a noi? - Non ne vedo, capitano. - Eppure non possiamo passare. Fa' calare in acqua qualcuno. Un malese gettò una fune e dopo averla assicurata, si lasciò scivolare, mentre il veliero per la terza volta tornava a indietreggiare. Yanez e Sambigliong, curvi sulla murata prodiera guardavano ansiosamente il malese che si era gettato a nuoto per cercare l'ostacolo che impediva al legno di avanzare. - Scogliere? - chiese Yanez. - No, capitano, - rispose il marinaio, che continuava a inoltrarsi tuffandosi di quando in quando, senza preoccuparsi dei gaviali che potevano mozzargli le gambe. - Che cos'è dunque? - Ah! Signore! Hanno tesa una catena sott'acqua, e non possiamo avanzare se non la taglieremo. Nel medesimo istante una voce poderosa s'alzò fra gli alberi della riva sinistra, gridando in un inglese molto gutturale: - Arrendetevi, Tigri di Mompracem, o noi vi stermineremo tutti!

IL VENTRE DI NAPOLI (VENTI ANNI FA - ADESSO - L'ANIMA DI NAPOLI)

682514
Serao, Matilde 3 occorrenze
  • 1906
  • FRANCESCO PERRELLA EDITORE
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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A Napoli, con un soldo si hanno sei peruzze un po' bacate, ma non importa: si ha mezzo chilo di fichi, un po' flosci dal sole: si hanno dieci o dodici di quelle piccole prugne gialle, che pare abbiano l'aspetto della febbre; si ha un grappolo di uva nera, si ha un poponcino giallo, piccolo, ammaccato, un po' fradicio; dal venditore di melloni, quelli rossi, si hanno due fette, di quelli che sono riusciti male, vale a dire biancastri. Ha anche qualche altra golosità, il popolo napoletano: lo spassatiempo, vale a dire i semi di mellone o di popone, le fave e i ceci cotti nel forno; con un soldo si rosicchia mezza giornata, la lingua punge e lo stomaco si gonfia, come se avesse mangiato. La massima golosità è il soffritto : dei ritagli di carne di maiale cotti con olio, pomidoro, peperone rosso, condensati, che formano una catasta rossa, bellissima all'occhio, da cui si tagliano delle fette: costano cinque soldi. In bocca, sembra dinamite. Questionario: Carne in umido?-- Il popolo napoletano non ne mangia mai. Carne arrosto?-- Qualche volta, alla domenica, o nelle grandi feste, ma è di maiale o di agnello. Brodo di carne?-- Il popolo napoletano lo ignora. Vino?-- Alla domenica, qualche volta: l'asprino , a quattro soldi il litro, o il maraniello a cinque soldi: questo tinge di azzurro la tovaglia. Acqua!-- Sempre: e cattiva.

Sia, sia anzi tutto, l'onore: anzi tutto che coloro i quali saranno i prescelti, per sedere sulle cose del Comune e che, prescelti, saranno additati al voto popolare, abbiano per insegna del loro nome, la specchiatezza del loro carattere: anzi tutto che, dinnanzi all'Italia, dinnanzi all'Europa, ovunque il nome di Napoli sia pronunciato, sia, oramai, per il decoro, per la coscienza di chi la rappresenta, unito a quello della più bella dignità civile: anzitutto che, per convinzione, giammai più il sospetto, l'accusa, la delazione possa colpirla: anzitutto che ovunque esso sia, l'uomo onesto, intelligente, attivo, fattivo, sia il suo lavoro dato a Napoli, giovandole con tutte le sue forze. Quando ciò sia organizzato, con sapienza, con larghezza, prendendo coloro che dovranno essere i futuri amministratori, dovunque si trovino galantuomini e uomini capaci, senza fare viete questioni di partito, di colore, roba vecchia, roba distrutta: quando ciò sia un fatto compiuto, l'onore di Napoli, che si va lentamente ricostruendo, ma con sicurezza, questo onore di Napoli servirà anche a batter moneta,. Quando i capitalisti dell'estero, del nord, sapranno che, contro ogni ostacolo, Napoli ha voluto per suoi magistrati, comunali, i migliori suoi cittadini, quando gli uomini di finanze di tutti i paesi, di tutte le regioni, sapranno che, quì, il sentimento della probità sociale si è rifatto, nelle persone, nelle cose e nei costumi: quando gli industriali di ogni dove, comprenderanno di poter avere fiducia; allora, sì, che ogni piccola o grande pianta della fortuna pubblica, nascerà, germoglierà, fruttificherà in questo suolo fecondo, in questa terra di anime belle. Tutto si farà, quì, dal momento che il buon nome napoletano, che, il decoro della sua cittadinanza, che, tutto il suo onore, infine, sia esaltato: tutto sarà così facile, così semplice, così naturale che il mondo si stupirà. E nell'onore, in questa potenza tutta morale, in questo elemento più puro e, diciamo, più etereo della coscienza sociale, Napoli ritroverà la sua vita, la sua fortuna, la sua ricchezza!

Il nuovo progetto dunque in cui pare, quasi, che abbiano concorso Raffaello da Urbino, Michelangelo Buonarroti, Vanvitelli e Dante Gabriele Rossetti, è questo: invece di tredici caserme, esse saranno undici e saranno divise da vie più larghette, con file di alberi lungo le vie, simili a quelli da cui è contristato il Rettifilo e che, certamente, verso il mare, saranno distrutti dalle brezze marine, come si dice, sieno stati distrutti quelli della Villa. Questi undici edificî avranno, anche, attorno, un poco di verdura, una piccola fascia, verso il mare. E basta. Ma questa è dunque, la peregrina idea per cui il rione Santa Lucia, sarà chiamato il rione della Bellezza? E il progettista, diciamo cosi, sarà paragonato a Arnolfo di Lapo o a Lenôtre, architetto di Versailles? Nossignore. Nel centro del nuovo rione, verso il mare, gli edifici si divideranno in semicerchio e lasceranno uno spazio, in mezzo, di ottomila metri quadrati non t'illudere, amico lettore, ottomila metri quadrati non sono gran che - ove vi sarà un giardino, e, in mezzo, pare impossibile, una fontana. Attorno, attorno al semicerchio sorgerà un porticato, di stile greco-romano, dove sarà fabbricato solo un primo piano, ad uso di caffè, di birrarie, di cafè chantant , forse, sempre in istile greco. E basta. Questo è il rione della Bellezza: non oltre: non altro. Un giardinetto, cioè, poco più grande di quelli di piazza Cavour, diletto ritrovo di pezzenti di San Gennaro, di cabalisti, di piccoli pensionati del governo: un giardinetto che sarà due o tre volte grande come quello di piazza Municipio, ritrovo, questi, di persone che è inutile quì menzionare, sotto i paterni occhi chiusi dei consiglieri comunali, un giardinetto, con una fontana, dove, probabilmente, vi sarà uno zampillo, basso nei giorni di lavoro e alto nei giorni di festa: e, infine, questo porticato, per rammentare nella vita moderna, l'origine di Partenope, per rifare un poco Pompei, dice il progettista. Anzi, egli voleva far tutta una passeggiata pompeiana , lì, ma questa idea parve tanto barocca, tanto sciocca, che se ne accorsero tutte le anime buone e distratte degli assessori e protestarono. Non vi sarà la passeggiata pompeiana ma un pezzetto di Pompei, col porticato, l'avremo. Chi si metterà sotto questi portici: s'ignora: neppure è certissimo che vi si costruisca il primo piano. Il rione della Bellezza, or dunque, si riassume in un giardino, con fontana e con un portico. Il suo nome, allora, non ti sembra un poco esagerato, amico lettore? Non ti pare che la parola bellezza abbia un senso diverso e profondo? E che applicarlo a sì esigua e ambigua cosa, sia una grande audacia? E che il progetto e il progettista debbano soccombere sotto il ridicolo di quest'audacia? Per aver questo giardino, con la fontanella e il porticato, ecco che cosa deve spendere il Municipio di Napoli. Anzitutto deve dare alla Cassa sovvenzioni di Genova la egregia somma di settecentomila lire: è vero che si pagano in trent'anni, queste settecentomila lire, ma un debito è un debito, anche se si paghi a piccole rate. Non vorrei affermare che il Comune debba corrispondere anche l'interesse, perchè non lo so: ma è probabile che per avere la fontanella nel giardinetto e il porticato, intorno, per aver ciò a credito, qualche interesse si dovrà pagare. Inoltre, il Comune concede alla società, di costruire un sesto piano a tutti gli undici edifici: calcolato, così, a occhio e croce, un piano di più, sovra undici immensi palazzi, può rendere alla società da novanta a centomila lire di maggior reddito, cioè un regaluccio di oltre due milioni di capitale, sempre per aver quel che sapete. Quanto saranno più belli, più accoglienti, più estetici questi palazzi di sei piani, invece che di cinque, lo sa il Signore! Vi è dell'altro: la società ha il diritto di non lastricare più con pietre le vie fra i suoi palazzoni, poichè questo lastricamento costa molto: allo scopo di facilitarle ancora più la posizione, il Comune le permette di adoperare il macadam , col risultato di aver del fango in inverno, fango che macchia i vestiti e li rode; e la polvere più acre, in estate. Non basta ancora: la società ha la concessione della sorgente di acqua solfurea: non sarà gran che; ma è qualche altra cosa. Non vi pare che, per un giardino, una fontana e un porticato ciò costi molto, troppo, immensamente? E con tanti denari, tante concessioni, tante facilitazioni, il risultato sarà questo: e il rione presunto della Bellezza, sarà mortalmente brutto, se si arriva a compiere col suo anacronisma di Pompei, fra edifici di sei piani come in America; che il prezzo dei suoli, restando sempre forte e le difficoltà di costruzione essendo sempre grandi, la Cassa Sovvenzioni, seguiterà a non vendere e seguiterà a non costruire e che alla fine del salmo il rione della Bellezza consisterà in un piccolo giardino, in una fontana e in un porticato vuoto, fra un vasto deserto arido e polveroso. La società si sarà rifatta in parte dei suoi guai, con quelle settecentomila lire; il Comune dovrà pagarle e passando per Santa Lucia nuova, il cittadino inconscio creperà dal ridere, a veder quella buffonata, e tu amico lettore e io, cronista scettico e pessimista, tu ed io che non siamo inconsci, rimpiangeremo quei venticinque o cinquanta centesimi, parte tua e parte mia delle settecentomila lire!

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