Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbian

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Come presentarmi in società

199903
Erminia Vescovi 1 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Eccola: E' l'orgoglio che tacitamente ci fa supporre la nostra superiorità nell'abbassamento degli altri, che ci consola dei nostri difetti col pensiero che gli altri ne abbian dei simili o dei peggiori; è l'invidia che si rallegra del male, e respira più liberamente quando una bella reputazione è macchiata; è l'odio che ci rende tanto facili sulle prove del male; è l'interesse che ci fa odiare i concorrenti d'ogni genere. «Non di rado, aggiunge, è una adulazione, tanto più ignobile quanto più ingegnosa, verso chi ascolta». Ammettiamo pure che il quadro sia eccessivamente fosco, e concediamo che talvolta son meno ignobili le ragioni che ci spingono a menar un po' di lingua sul conto del nostro prossimo: per es. la voglia di parer più informati degli altri, la vanità di fare un po' di psicologia, il piacere di sapersi (o di credersi!!) esenti da quel difetto, il gusto di brillare con motti spiritosi e osservazioni argute... Ma è sempre pericoloso avventurarsi su questo terreno, e lo proibisce la carità cristiana non meno che il galateo. Infatti, nei salotti ben tenuti, per tacito accordo la maldicenza è esclusa, e fiorisce solo nei discorsi delle comari, o di coloro che abbiano a loro somigliante l'animo. Non per questo è proibito qualche frizzo, qualche motto sarcastico. Ma si badi che sia discreto, ben diretto, appropriato al caso, e che abbia un valore morale. Chi potrebbe chiamar insolenza l'ironia sapiente e garbata di Socrate contro i sofisti? Ed è anche molto graziosa la risposta degli Ateniesi a chi annunziò loro che Dionigi il tiranno era morto di gioia perchè una sua commedia era stata coronata in Atene. «Se l'avessimo potuto prevedere, dissero, lo avremmo coronato venti anni prima». Ad ogni modo è sempre meglio tacere e sacrificare un motto, anzichè offendere l'altrui amor proprio e farsi un nemico senza ragione. E perciò stesso si eviti di scherzar troppo familiarmente cogli astanti, e di pungerli senza ragione: e si badi che ciò è molto più sconveniente con le persone inferiori a noi per condizione e che non possono ribellarsi. Non faremo mai oggetto di celia qualche difetto fisico delle persone, o presenti o assenti che siano; ciò è regola vecchia, ed ogni eccezione può essere pericolosa. E nemmeno è permesso scherzar imprudentemente sulle usanze particolari, sulla professione, sulla patria di taluno. E' un triste vezzo, quest'ultimo, di noi italiani, che ancor abbiamo nel sangue il germe delle antiche discordie, e sentiamo l'eco di tanti detti ingiuriosi che un tempo si scambiavano tra di loro gli abitanti delle città vicine... Ma non solo lo diciamo per celia; purtroppo c'è chi ha il mal gusto di criticar per metodo la città nella quale il caso lo ha portato a vivere, di metterne in ridicolo le usanze, di deplorarne il clima, di biasimarne la cultura, la vita intellettuale e materiale, di lamentarsi perchè troppo rumorosa o troppo quieta, o, quando non si sa più che dire, censurar velenosamente gli abitanti e dire per esempio: Gran bella città sarebbe Napoli... se non ci fossero i Napoletani. Bisogna far guerra a questa scortesia antipatriottica ed ingiusta: è tempo che i benefici dell'unità non siano frustrati da piccolezza d'animo e di idee. Tornando all'argomento di prima, la celia però tra amici dev'essere amichevolmente tollerata, e chi ne è fatto segno, non deve mostrarsi permalosamente indispettito. Parlando di celie e di motti spiritosi, è opportuno qui ricordare che il buon gusto interdice le parole a doppio senso, i bisticci, i calembours nei quali si deliziano i provinciali dallo scarso intelletto, e che formano il tormento di chiunque sia dotato di vero spirito. Passi per una volta o due, ma farne un fuoco di fila, introdurli per forza in ogni discorso, sviare talvolta o interrompere un argomento importante con simili scempiaggini, è veramente spiacevole... I discorsi frivoli e leggeri annoiano le persone di buon senso e si devono sfuggire. E il parlar del tempo e della stagione? E' questo l'argomento satireggiato come il più insulso e impersonale... Pure non a torto Melchiorre Gioia difende chi. se ne occupa notando che le vicende delle stagioni hanno grande influenza sullo stato fisico e morale della specie umana, sui prodotti dei campi, sul corso del commercio, e non di rado sui pensieri degli uomini grandi e piccoli: a un punto tale che gli uomini di scienza ne osservano l'andamento progressivo e ne desumono delle leggi. Ora poi che la metereologia va pigliando basi scientifiche così stabili, si può escluderla davvero dagli argomenti frivoli. Se però non si avessero a mettere in campo che inutili geremiadi sulla siccità o sulla pioggia ostinata, è meglio tacere. E non vorremmo essere troppo severi con le madri di famiglia che si confidano le loro angustie domestiche, piccole e grandi, tra cui è l'eterno argomento della servitù... Questi e altri discorsi, però, come quelli dei colleghi d'ufficio riguardo alle miserie della loro professione, vanno tenuti nell'intimità, e sono compatibili solo se non si prolungano troppo. Chi poi ha noie, dolori, fastidi, preoccupazioni tutte personali si guardi bene dal metterle come tema in una conversazione: non avrà altro effetto che di annoiare gli astanti, e di riceverne qualche parola di stereotipato compianto, che ben mostra la loro indifferenza. Certe confidenze non sono permesse che tra intimi amici, da cui veramente possiamo avere conforto e consiglio. Si deve cercar, invece, nel soggetto del nostro discorso, di scegliere ciò che comunemente è gradevole. Le notizie buone, sia degli amici, sia delle vicende pubbliche, le festività, le ricorrenze, gli spettacoli, i libri, le esposizioni, i viaggi, i lieti incontri... E la lista sarebbe infinita. Tra le persone colte e fini, si parla volentieri di argomenti letterari e scientifici, si pongono e si sviluppano questioni morali e psicologiche, e la conversazione resta continuamente nutrita. Trovandoci poi in gruppi ristretti, o in dialogo con una persona sola, è arte cortese quella di saperla intrattenere con ciò che la riguarda e la interessa di più. Alla madre di famiglia si farà parlare dei suoi figli, colla modesta massaia ci potremo intrattenere di economia domestica, colla persona devota delle ricorrenze e solennità e funzioni religiose, col giovane studente dei suoi studi e dei suoi progetti per l'avvenire. Al vecchio chieder notizia sugli usi del suo tempo, all'agricoltore dell'andamento dei suoi raccolti, dei vari modi di coltivazione, ecc. ecc. Ma bisogna stare attenti. Ci son per esempio certi letterati che si impuntigliano e si seccano quando il profano vuol entrare nel suo campo; ci sono gli scienziati che tengono volentieri per sè le loro cognizioni; ci sono i medici che stanno all'erta per paura di essere indotti a dare un consulto gratis, ci sono i funzionari pubblici che hanno paura che si voglia carpir loro qualche segreto d'ufficio. Vi sono poi moltissimi, (anzi è tendenza comune) che nella conversazione voglion dimenticare le noie delle loro consuete occupazioni, e dimostrano chiaramente che tale argomento non è loro gradito. E noi rispetteremo le loro riserve. Così pure, mentre è cortesia informarsi di ciò che riguarda gli interlocutori, e interessarsi delle loro vicende, bisogna star ben attenti che tale interessamento non abbia a sembrar loro indiscreta curiosità. Ci sono taluni così ombrosi che solo a chieder loro dove andranno a passar le vacanze o a che ora arriverà quel tal parente che desiderano tanto, piglian l'aria di chi riceve una domanda indiscreta, e si esimono dal rispondere, o lo fanno con aria dispettosa. E anche questa gente va lasciata stare e con loro bisogna tenersi sulle generali. Si devono cercare, discorrendo, argomenti su cui facilmente si va d'accordo, ma è bello e utile ravvivar la conversazione anche con qualche obbiezione, per meglio svolgere tutti i lati di un argomento, e permettere ad ognuno di dire la sua. La discussione è uno dei piaceri più delicati. Ma si badi però di non andar mai tant'oltre che la disputa si accalori, e quando così si vedesse che accade, è bene sviar l'argomento, o troncarlo con una celia opportuna. Ognuno deve portare il suo tributo alla conversazione comune. E' disdicevole e offensivo per gli altri starsene sempre a bocca chiusa, e quasi sdegnoso della compagnia; è presunzione e petulanza voler sempre tener tutti pendenti dalle nostre labbra. E' bene, se si deve fare un racconto piuttosto lungo, chiederne prima licenza con una parola gentile, e se vediamo che il discorso annoia o non interessa, si interrompa senz'altro, sviando con garbo, senza mostrare risentimento o dispetto. Ma se gli ascoltatori si infastidiscono, bisogna pensare che talvolta è colpa del parlatore, che la tira troppo lunga, confonde troppe cose insieme, apre interminabili parentesi, ripiglia stentatamente il filo del discorso. Chi sappia di aver tali difetti, abbia la prudenza di non metterli in mostra. A un amabile e facile parlatore si presta orecchio assai volentieri anche a lungo, e gli si perdona un po' d'indiscrezione. Non è bene però che una donna prenda la parola e la tenga per tempo notevole, essa correrebbe il pericolo di passare da saccente e presuntuosa, taccia intollerabile nel suo sesso. Coloro che poi non vorrebbero mai lasciar parlare gli altri, e troncano e ripigliano loro le parole in bocca sono paragonati da Mons. Della Casa a quei polli che nell'aia si rincorrono per togliersi di becco la spiga di grano. Giacchè nella conversazione l'arte necessaria è non solo di saper parlare, ma anche di saper ascoltare. Bisogna ricordarsi che anche gli altri hanno diritto a esporre le loro idee, e non annoiare con continue interruzioni; bisogna aspettare la fine di un discorso prima di far una domanda superflua o un commento forse inopportuno. E bisogna tollerare con pazienza certi sfoghi prolungati di vecchi e d'infermi, e la ripetizione delle stesse cose, e spesso anche fastidiose e inutili querimonie. E se talvolta accade di sentir cose anche spiacevoli, per una ragione o un'altra, e non si abbia autorità sufficiente a imporre il silenzio, bisogna rassegnarsi a udire anche quelle, senza impegnarsi in dispute inutili: basterà il tacere come segno della nostra disapprovazione e come salvagaurdia della nostra responsabilità. Bene inteso però che se fossero offese alla morale o alla fede o ai più sacri sentimenti umani (il che non si suppone che come eccezione in una brigata civile) non è il caso affatto di dissimulare una ben legittima indignazione. Si può e si deve interrompere il discorso in bocca al malcreato, e allontanarsi da lui. In tutti gli altri casi, dobbiamo cortese ascolto a chi parla, e partecipazione alle sue idee. E' perciò sconvenientissimo, mentre uno intrattiene la conversazione, alzarsi, passeggiare per la stanza, guardar l'orologio, tamburellar le dita sulle ginocchia e sui mobili. E quando siamo in dialogo diretto con qualcuno, si devono tener gli occhi rivolti a lui, e mostrar di comprendere e gustare ciò ch'egli dice, e non mai guardar qua e là, mostrando una scortese distrazione. Ma il nostro interesse per ciò che viene raccontato non deve però estrinsecarsi con interruzioni inutili, con domande anticipate, con commenti ad ogni passo. E anche non bisogna esagerare nelle esclamazioni e nelle approvazioni. Si lasci finire il discorso, e poi si risponda con calma e con moderazione: daremo maggior prova di cortesia e d'interesse. Che dire poi di taluni, che dopo aver f atto una domanda non aspettano la risposta, e foggiandola da sè, fabbricano su questa osservazioni e commenti che naturalmente riescono a sproposito, e senza dar tempo a rettificazioni proseguono con una ridda di altre domande, di esclamazioni, di consigli?... Dio ci scampi da questi cotali!... E Dio ci scampi anche da coloro che, dopo essersi appena preso il tempo di salutarci, aprono immediatamente le cateratte della loro eloquenza per narrarci enfaticamente tutto ciò che è loro accaduto da che non ci siamo visti, e tutto quello che hanno fatto o fanno o faranno, e quel che non faranno altresì, e il perchè... Dico ce ne scampi Iddio, perchè i rimedi della prudenza umana sono a questo proposito assai scarsi. Tacere, e aspettar la fine del diluvio, per esaurimento? Ma l'esaurimento non avviene mai, le riserve sono eterne. Mettere una frase d'approvazione o di contrasto sarebbe appoggiar imprudentemente una mano sopra una valvola che provocherebbe nuovi getti impetuosi. Non c'è altro, se non liberarsene al più presto possibile, e cercar di scansare simili incontri, quando si disegnano da lontano. Coloro non sono, in fondo, altro che egoisti, e l'egoismo è nemico capitale di ogni cortesia. Per questi, la conversazione non è che un monologo, a tutto loro perpetuo beneficio. Badiamo anche al nostro modo di parlare. Non si devono metter fuori le parole con tal rapidità da soffocare gli altri e non farsi intendere; e nemmeno così lentamente da indurre a noia chi ci ascolta, oppure con una pronunzia strascicata, con innumerevoli ripetizioni. E si guardi anche di non prender l'abitudine di intercalari, innocenti bensì, ma ridicoli, e che talvolta nel senso del discorso producono bizzarri accozzi di idee, e curiosi equivoci. A persone bene educate è inutile poi raccomandare di non usar mai espressioni di imprecazione, o altre che vi somiglino, nemmeno per via di figura rettorica. Si scansino anche le esclamazioni popolari proprie al parlare d'ogni città. E in quanto alla bestemmia (che purtroppo infierisce in certe regioni d'Italia anche nelle classi elevate) l'opinione pubblica va fortunatamente segnando una energica reazione, e il Governo saggiamente l'ha assecondata con sanzioni punitive ai colpevoli. Può accadere, nel discorso, di dover nominar qualche cosa che la decenza vieterebbe. La persona urbana evita lo scoglio con mutar l'espressione, e se poi è anche persona colta, sa cavarsela graziosamente con una metafora, una perifrasi, una citazione classica... Ognuno sa poi che in una conversazione non è lecito appartarsi in due, e parlar segretamente. Ma se ciò qualcuno facesse, non si deve mostrar curiosità, anzi allontanarsi e guardar altrove. Nel parlare si eviti l'enfasi, l'esagerazione, la prosopopea. Certuni si rendono intollerabili col parlar sempre di sè e delle cose proprie, in perpetua lode, altri, raccontando ciò che han visto o sentito, vanno tanto esagerando che divengon ridicoli, e perdono il credito, come millantatori e bugiardi. Nel discorrere, si tenga il volto atteggiato a corretta piacevolezza, senza smorfie e contorsioni; non si apra troppo la bocca, non si gestisca continuamente, si evitino i suoni onomatopeici. Raccontando poi una facezia, si conservi la serietà sino in fondo: chi s'interrompe a mezzo col riso sciupa il piacere altrui e perde l'effetto. Il linguaggio da usarsi in conversazione dev'essere corretto ed elegante, ma senza affettazione. Si evitino le parole troppo ricercate, i termini troppo tecnici, gli inutili barbarismi. E' poi una sconvenienza, in un salotto dove si trovano persone di altre provincie, parlar il dialetto locale. Purtroppo tale uso permane, in certe regioni, anche tra persone altolocate, ma speriamo che col tempo si faccia luogo alla nostra bella e cara lingua comune. Quando due o più persone, dopo aver ben cinguettato nel loro dialetto, si rivolgono al forestiere e gli chiedono: Lei capisce non è vero? - è naturale che quello risponda: Io non ascoltavo ciò che non è diretto a me. Usar poi una lingua straniera in presenza di chi non la comprende, è mancanza ancor più grave, perchè, oltre metterlo fuori dalla conversazione, gli si aggiunge una specie di umiliazione per l'inferiorità intellettuale di quella tal ignoranza, mentre può valer più di noi per mille altre ragioni. Nel discorrere, insomma, bisogna aver una quantità di grandi e piccoli riguardi, i quali palesano la persona gentile e padrona di sè, e destano la simpatia e la gratitudine. Con la conversazione si collegano naturalmente le presentazioni, i saluti, i complimenti.

Pagina 58

Cerca

Modifica ricerca