Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il discorso dell'on. Degasperi al convegno universitario di Mezacorona

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Noi in particolare delle Nuove Provincie che abbiamo imparato a sentire che cosa sia la Nazione nel lungo tormento dell’esserne dalla violenza straniera disgiunti, sappiamo valutare in tutta la sua bellezza ogni sforzo che tenda a farla risorgere nelle coscienze e negl’istituti del paese; ma anche tale attività dovrà andare soggetta alle norme della morale e ai principi immutabili della giustizia. La rappresaglia e la legge del taglione sono Vecchio Testamento. Cristo ci ha dato un Testamento Nuovo! L’on. Degasperi termina eccitando i giovani a sollevare lo spirito al di sopra delle lotte presenti, a non lasciarsi vincere dalla tristezza dello spettacolo quotidiano, a tenere fisso lo sguardo a quanto è secolare, permanente, divino nello svolgimento della nostra civiltà italica e cristiana. Ogni volta, egli dice, che spinto dal bisogno irrefrenabile di cercare come nel cielo un’idea che mi elevi al di sopra dei contrasti terreni m’innalzo fino dentro la cupola di Michelangelo a contemplare dipinti nell‘ampio empireo Angeli e Santi che fanno corona alla Tomba apostolica, penso con infinito orgoglio che qui ove s’incurva il duomo della mia religione universale s‘innalza anche il tempio del genio della mia stirpe e al di sopra delle delusioni presenti, rinnovo nel mio spirito rinfrancato la visione dei grandi e sicuri destini della Patria.

Rivoluzione e ricostruzione

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Sturzo, Luigi 11 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 264-308.
  • Politica
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Non possiamo a due mesi di distanza e nel fermento vivace della coscienza pubblica, dare giudizi e fare per giunta delle profezie; però abbiamo già in mano una materia che possiamo valutare e che ci dà elementi notevoli atti a caratterizzare i fatti. Rivoluzionaria ha chiamato il nuovo capo del governo l'azione che ha portato i fascisti al potere; ma non basta una definizione, sia pure esatta nelle intenzioni degli uomini, per essere corrispondente alla realtà. Già da parecchio si è parlato di rivoluzione in Italia; i socialisti due anni fa credevano alla loro rivoluzione, ignorando che non sono mai le masse che fanno le rivoluzioni e soprattutto a loro profitto; ma sono le classi dominanti che si servono anche delle masse, ove occorra, per fare le rivoluzioni. Queste sono figlie di idee e di sentimenti prima che di interessi; e senza le idee ed i sentimenti, per i soli interessi, non si fanno le rivoluzioni. Nel caso presente, se le idee sono in parte mancate, e non se ne ha tuttora una conoscenza chiara e quindi volitiva, i sentimenti invece hanno avuto larga presa sulla pubblica opinione, hanno creato una coscienza di dominio nei dirigenti e nei proseliti, ed hanno vivamente secondato lo sforzo di un partito giovane, che nell'incertezza generale ha voluto rompere gli indugi, forzare le situazioni e conquistare il potere alla bersagliera.

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E qui non possiamo tacere la preoccupazione che abbiamo per una confusione che diversi fanno anche oggi fra stato e nazione, diventando statolatri, purché così credono di difendere la nazione; la quale vive di tutto il complesso dei suoi organi, nella distinzione delle funzioni e nella gerarchia dei fini, entro lo stato, che ha in sé i diritti di sovranità e le ragioni supreme della vita nazionale. Guai se la riforma amministrativa rimane come un rimaneggiamento di organi statali, e ripete l'errore di altri accentramenti e di altra burocratizzazione: le economie saranno dubbie, ma la riforma sarà assolutamente mancata.

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Noi abbiamo fiducia nel lavoratore italiano, nella sua forza di organizzazione, di produzione, di risparmio e di espansione; noi abbiamo fiducia nel lavoratore italiano, che nei giorni della guerra e del pericolo ha fatto baluardo con il proprio petto contro la pressione dell'esercito nemico. La deviazione bolscevizzante non ha toccato, in gran parte della massa operaia, né i sentimenti di moralità domestica e religiosa, né quelli di nazionalità, né quelli di amore e sacrificio al lavoro. Il nostro lavoratore ha l'animo plasmabile a sane idealità, e deve essere elevato, più che nelle sue condizioni economiche, nella sua funzione civile. Per questo noi invochiamo la fine della seminagione dell'odio e della vendetta, e auspichiamo una politica sociale equilibrata e serena.

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Ieri avevamo la preoccupazione di un governo tardigrado e insensibile a questi problemi; oggi abbiamo l'impressione di persone impreparate che hanno fretta; in Italia sono pochi i tecnici, al di fuori delle rappresentanze degli interessi privati, e oggi molti di essi han perduto autorità e credito. Lo sforzo sarà quindi più arduo e più meritorio di fronte al paese, che aspetta di sentirsi salvato dalla crisi che preme da ogni parte.

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Il partito popolare italiano già da più di un anno è andato insistendo su questo ordine di idee con memoriali e con affermazioni; fu accusato di germanofilia, ed anche nostri amici francesi ci ebbero in sospetto, quando abbiamo sostenuto una politica di risanamento economico dell'Europa, i cui riflessi si sentono assai più da noi, che siamo i più poveri dell'Intesa. Se l'Italia potesse arrivare al compenso fra crediti tedeschi e debiti anglo-americani, pur nulla prendendo di riparazioni, avrebbe un tale sollievo e creerebbe una tale fiducia all'estero, da porre una prima salda base alla sua rinascita economica.

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Non abbiamo vantaggio alcuno ad acutizzare i nostri rapporti con la Jugoslavia, né utilità a fare una politica equivoca con la Piccola Intesa; sì bene ad influire per la formazione di una economia degli stati successori, che possa ricreare il nostro mercato con loro in una larga zona doganale. A questa visione economica devonsi coordinare le varie questioni politiche, che potranno oggi avere la soluzione intermedia dei trattati già firmati, ma si avvantaggeranno di uno spirito di cointeresse che farà superare anche antipatie di razze.

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Un altro punto della nostra politica è il Levante, ove bisogna avere il coraggio di rinunziare a pretese economico-territoriali, quali il « tripartito » che desta antipatie, e che in realtà non potrà giovarci, perché non abbiamo capitale da esportare; invece dobbiamo riprendere i nostri traffici con il Levante, ed aumentare la nostra influenza culturale e religiosa; dobbiamo sostenere le nostre colonie con politica ferma perché insieme si ottenga il rispetto, necessario fra i popoli levantini, che disprezzano il debole e l'infido, ma stimano il forte e sicuro; il che è possibile, se, come per l'Italia, non han da temere né mandati (contro i quali bisogna riprendere la libertà di indirizzo politico) né pretese territoriali in Asia, né soverchiamenti politici nella Turchia europea.

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Tracciate così le linee della ricostruzione amministrativa, finanziaria, economica e politica dell'Italia, è superfluo riaffermare quel che abbiamo discusso, cioè che occorrono un governo e un istituto parlamentare che abbiano la fiducia del paese; però questa larga fiducia non può essere effettiva, né la ricostruzione basata su fondamento saldo e reale, senza la unificazione e la vivificazione della coscienza nazionale nei suoi valori morali e nella efficienza delle forze spirituali.

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Nessuno può negare che noi abbiamo sempre — e oggi più che mai — piegato le esigenze di organizzazione alle superiori esigenze della vita nazionale; e chi parla diversamente ha il torto di non conoscerci o di combatterci per partito preso.

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Questo è possibile quando anche noi, nei più difficili momenti, abbiamo fede nei destini della patria nostra. Al di sopra di ogni bene terreno e di ogni affetto umano, noi amiamo la patria nostra e la vogliamo risorta. Per questo abbiamo la forza del lavoro e l'impeto della lotta; per questo pieghiamo alla disciplina degli eventi; per questo cooperiamo con ogni zelo e sacrificio al bene comune; per questo sentiamo il dovere, per vocazione e per convinzione, di essere noi, popolari,al nostro posto per il bene d'Italia.

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Crisi e rinnovamento dello Stato

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Sturzo, Luigi 6 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 232-263.
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E mentre il pensiero liberale ebbe dalla fine del secolo decimottavo ad oggi economisti, pensatori, poeti e artisti che crearono la base spirituale e l'ambiente naturale agli uomini politici; nella evoluzione della attività così detta democratica e nella preparazione del pensiero socialista e anche di quello cristiano, sociale che rappresentano le tre forze politiche dell'oggi, noi in Italia abbiamo ben poco come studio e letteratura, che non sia semplice negazione o critica, ma che sia invece elaborazione ideale e pratica, elemento di forza, costruzione sociale, spinta di grandi movimenti nazionali e internazionali, che poggino sopra teorie e sistemi che penetrino nell'animo dei popoli.

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Non possiamo oggi accusare gli uomini della democrazia e del liberalismo delle responsabilità politiche della guerra in Italia, non abbiamo ancora tutti gli elementi per una rielaborazione storica e morale; nessuno volle fare un torto al suo paese, però abbiamo elementi per poter dire che nessuno o quasi in Italia, del partito o dei partiti dirigenti e responsabili, ebbe una visione della realtà durante il periodo della neutralità; certo nessuno valutò la posizione politica, economica e militare dell'Italia, per prepararne sufficientemente gli avvenimenti; il patto di Londra fu la risultante del passato, non fu un patto di antiveggenza per l'avvenire. Non faccio una colpa a nessuno se gli avvenimenti giganteschi sorpresero gli uomini, tutti gli uomini e non solo gl'italiani. Solo rilevo la parte diretta pensata e voluta dai nostri dirigenti, cioè l'indirizzo politico di prima e di durante la guerra, che culminò nella politica adriatica e che determinò la crisi di tutta la nostra politica della ricostruzione e della pace. Alcuni credono colpevoli Salandra e Sonnino prima e Orlando dopo; e certo questi sono gli esponenti e i responsabili; ma invano cerco negli atti parlamentari dal 1914 al 1919 uno solo che avesse portato alla tribuna parlamentare un pensiero, una linea politica, una concezione organica da poter contrapporre al governo del tempo e da poter guidare il paese smarrito e disorientato. È vero: Giolitti il neutralista fu messo a tacere, e forse il suo silenzio fu più meritevole della sua parola; ma quando parlò, riportato per consenso generale al potere, molto era compromesso e molto egli compromise: fu più un liquidatore che un animatore.

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Per questo se oggi l'enunciazione nostra ad alcuni sembra superficiale ed esteriore, se altri crede che non abbiamo un vero riferimento economico, tutto ciò avviene perché il terreno dei contrasti è spostato nell'attrito dei partiti e nel prevalere delle fazioni. Ma solo che si consideri la imponenza del fenomeno sindacale, lo sconvolgimento portato dalla rappresentanza proporzionale, la profondità dei contrasti fra economia libera e burocrazia statale e l'assalto immane, colossale, di tutti gli appetiti burocratici o travettisti contro la finanza statale, si vedrà che le linee costruttive del partito popolare italiano sono semplici, ma toccano le radici del male e tendono ad una profonda trasformazione istituzionale.

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Questo metodo di realizzazioni lente, sul terreno costituzionale (che ci ha fatto essere contrari nel 1919 alla propaganda per la costituente, che i socialisti volevano e che alcuni democratici ritenevano fatale); questa fiducia nel lavoro di penetrazione e di trasformazione (che ci fa sicuri della nostra concezione e del nostro metodo) non sembra a molti rispondente e proporzionata al programma di lotta contro lo stato accentratore e alla visione che noi abbiamo della crisi e della paralisi statale. O la visione è inesatta, essi dicono, e i termini sono ingigantiti; ovvero occorre il metodo chirurgico della rivoluzione.

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Non abbiamo mai confusa la religione con nessuno istituto civile, politico ed economico; né abbiamo attribuito alla chiesa, come organismo cattolico, una ristretta partecipazione allo svolgersi e mutare degli istituti politici e al divenire dei partiti; ma non possiamo né dobbiamo sfuggire al problema etico della vita, alle sue ragioni sociali, alla sua forza morale. E questo problema è posto in tutte le nazioni civili, come un elemento e una conquista della civiltà, che dopo il paganesimo classico, è per noi civiltà cristiana. E neppure la rivoluzione francese e il laicismo liberale, anche nelle loro transitorie aberrazioni o nelle lotte sul terreno politico dell'influenza civile della chiesa, poterono sopprimerla o variarla; come non potrebbe neppure il socialismo (se domani trionfasse, non dico nel suo trasformismo collaborazionista, ma nel suo primitivo aspetto materialista, edonista e dittatoriale), sopprimere l'impronta, la forza della civiltà cristiana, della sua etica, dei suoi istituti e della sua espansione.

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E noi abbiamo la maggiore considerazione, anche politica, dei valori morali, che debbono essere diretti a dare anche nella vita pubblica una forza di carattere che oggi invano si cerca. È questo un lato trascurato dagli altri partiti legati ad una preponderante preoccupazione materialistica, ma è invece il mezzo precipuo, più profondo del risorgimento del nostro popolo, che ha ancora le riserve morali immense della famiglia e della religione come la forza di espansione e di vita nel lavoro e nel risparmio.

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