Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La federazione trentina dei ferrovieri - il risultato delle trattative passate - il nuovo memoriale del 7 marzo - Una deputazione a Roma

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Circa le concessioni da noi richieste per tornare ai postulati immediati dei ferrovieri trentini, ne abbiamo di già ottenute e di altre da conseguire (i due anni e mezzo di anzianità, il vestiario, le trasferte). Per il vestiario, il ministero ha assicurato che furono ordinate 500 uniformi alla ditta Callegari, ma qui non sono giunte. Sulle indennità di trasferte, il governo si è mostrato d’accordo in via di massima, e solo aspettava il rapporto favorevole della Delegazione. Voci. È stato mandato. È insoluta, invece, la questione delle trasferte per quelli che durante la guerra furono mandati a lavorare in Germania. Precisiamo: un importo di 14000 corone fu versato alla Banca Cooperativa, ma dal ministero del Tesoro, per quanto se lo sia promesso, non è stato ancora concesso il cambio; per un altro importo di 63000 corone i denari non si sono avuti e ci sono soltanto i titoli accertati di credito. Poiché le cose vanno per le lunghe nelle pratiche fra ministero del tesoro e ministero dei trasporti, e poiché i creditori hanno indubbio ed urgente bisogno di soldi, non c’è che un’unica strada da seguire: che il debito se lo assuma e lo liquidi subito l’amministrazione. Per la richiesta dei caroviveri al cento per cento fu anche dal ministero del tesoro risposto che in via di massima si è d’accordo: rimane soltanto da stabilire il termine iniziale del riconoscimento del diritto alla parità. Fu invece risposto che se ne tratterà dalla commissione che deve recarsi a Roma la questione dei caroviveri mensile posteriore all’occupazione italiana. Infine, riguardo alle licenze, è stato accordato che esse rimangano quali vigevano nella antiche gestioni.

L'assemblea generale del partito

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Alcide de Gasperi 5 occorrenze

Se dovessi esaurire questa relazione, bisognerebbe dire anche dell’opera svolta dal partito nella sfera di non sua diretta competenza, là cioè ove si trattava di fiancheggiare e sostenere un movimento apolitico: tale opera ausiliaria abbiamo dato alle organizzazioni dell’Unione del lavoro specie quando era in causa la libertà dell’organizzazione per il contratto edile e tale appoggio abbiamo raccomandato a tutte le sezioni di dare al movimento apolitico delle società dei padri di famiglia, che si propongono di difendere la scuola cristiana e all’azione promossa dal «comitato diocesano per l’azione cattolica» contro la progettata legge per il divorzio. Le società cattoliche o i sindaci hanno una propria sfera d’azione ed una funzione particolare. Il partito politico non le assorbe né pretende dirigerle o sfruttarle, ché esse hanno vita propria e, direi, anteriore e superiore al partito, ma ne appoggia l’azione quando essa rientra nella direttiva del suo programma. Ed ora la vecchia direzione ha terminato il suo compito e chiede da voi la discussione ed il giudizio sul suo operato.

Avremmo mancato in molte altre cose, ma in questa che a noi parve il problema centrale del paese, abbiamo prodigate tutte le nostre energie, e ci pare che per merito di essa ci possiate perdonare le altre nostre mancanze! Per essa abbiamo fatto la più attiva propaganda nella stampa, presa la parola nei congressi del Partito popolare italiano di Bologna e di Napoli, conquistata l’adesione della direzione centrale e del consiglio nazionale del partito, l’appoggio del nostro gruppo parlamentare che ne fece oggetto di pattuizione per il programma della coalizione governativa, cercato e raggiunto l’accordo coi decentralisti e regionalisti d’Italia d’ogni fede politica e trovata infine l’adesione di massima dei governi da Nitti a Giolitti ed il voto di principio delle due Camere. I futuri deputati sono chiamati ad attuare; noi fummo i pionieri che abbiamo aperta la via. Giammai un postulato particolare di una nuova regione trovò Il resto dello Stato così poco disposto a prendere notizia, a discuterlo, ad avviarlo alla soluzione (applausi). Noi abbiamo dovuto svolgere la nostra azione a scatti, con intermezzi di lenti assedi e poi con attacchi frontali, agendo in mezzo ad una crisi politica in permanenza e fra le convulsioni che preparano la rivoluzione sociale. La politica in tempi più normali fu paragonata ad una partita a scacchi; oggi essa assomiglia piuttosto all’acrobatica; Chi non ha il polso fermo e l’orecchio pronto, si rompe il collo. - Noi non ce l’abbiamo ancora rotto, e ci pare già questo un successo così fortunato da dover vantarlo al cospetto di quest’assemblea (ilarità, applausi). Dovrò pur ricordare qui la nostra azione, per la ratifica del trattato di S. Germano, ratifica ch’era indispensabile per giungere all’annessione? In questo nesso avrei da ricordarvi anche le trattative avviate a Trento e finite a Roma per l’assetto politico-amministrativo della provincia in confronto dei postulati dei nostri vicini tedeschi, trattative alle quali collaborarono mons. Gentili e Ciccolini in prima linea, colla loro preziosa energia. Dovrei ricordarvi la nostra opera svolta in paese per ristabilire l’autonomia comunale e l’iniziativa presa dai nostri amici, nostri rappresentanti nel consiglio municipale delle città autonome per l’abolizione dei corpi elettorali? Fu tutta una serie d’iniziative prese seguendo sempre la stessa direttiva: ricostruire il paese su basi autonome e ricostruirlo al più presto possibile.

Queste idee e queste forze attingeranno al programma trasformatore del Partito popolare, al quale programma generale abbiamo dato già l’anno scorso la nostra adesione e al cui maturare nelle soluzioni concrete abbiamo anche noi, ultimi venuti, contribuito colla nostra stampa e col nostro delegato nel consiglio nazionale e dovremo contribuire ancora più a mano a mano che i vincoli della regione nuova con quelle vecchie, si faranno più stretti (grandi applausi).

Giustizia vuole che, giudicando la nostra attività, non dimentichiate il carattere particolare del periodo straordinario che abbiamo attraversato. Fino che parve vicina l’elezione dei deputati, la direzione doveva pensare anzitutto alla propaganda politica, ma quando fu manifesto che il paese sarebbe rimasto ancora a lungo senza rappresentanti, la direzione fu costretta a sostituirli, bene o male, nella loro funzione di sostenere l’interesse del paese. Su questo terreno abbiamo svolta un’attività che credo non potesse essere più intensa. Dal 27 ottobre in cui il vostro segretario presentava all’on. Nitti i vostri o.d.g., votati nell’ultima assemblea fino a questi ultimissimi giorni la direzione esercitò un vero mandato di delegazione presso il governo o presso il parlamento nazionale. Ricordo rapidamente: il nostro intervento per la ricostituzione dei comuni, per i problemi della liquidazione austriaca (on. Grandi, per il rimpatrio dei prigionieri dall’Estremo Oriente, per il pagamento delle pensioni ai sinistrati, per l’applicazione della legge sul risarcimento dei danni di guerra, per i contributi al genio civile, per la ricostruzione, per i contributi dello Stato o dell’istituto federale veneto al consorzio dei comuni, per l’estensione dell’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra e di armistizio anche alle terre redente, per la sistemazione dei pubblici funzionari, per miglioramenti ai ferrovieri, ai postelegrafonici, alla guardia di finanza, ai cancellieri giudiziari, per l’assimilazione agli effetti economici di tutte le categorie di addetti ai servizi pubblici, salvi sempre i loro diritti acquisiti, per sostenere memoriali di maestri e di operai del tabacco, dei segretari ed impiegati comunali, per prorogare l’imposizione di nuove tasse ai contadini per la questione dei vini e dei trattati commerciali, in favore della caccia, del concorso forestieri ecc.

Abbiamo anche esercitato attiva opera di vigilanza nel campo della scuola intervenendo anche efficacemente in favore dei nostri fratelli adriatici, quando l’on. Ciuffelli tentò di eliminare l’insegnamento religioso. A tutta questa opera, che non è davvero esaurita in questi rapidissimi cenni, aggiungete l’azione quotidiana e svariatissima che la direzione svolse presso il commissario generale e le autorità locali; e mi direte se questo compito di esercitare - certo imperfettamente e non completamente - quelle funzioni che sarebbero state dei deputati, non abbia già da solo reso travagliato e affaticato quant’altri mai questo periodo di attività della direzione. Ma due problemi, sovra ogni altro, richiesero tutta la nostra attenzione, quello della valuta e quello della ricostituzione politico-amministrativa del nostro paese. Del primo possiamo dire che i nostri replicati e disperati interventi contribuirono - senza con ciò voler menomare l’opera altrui - al risultato di costituire e far lavorare quella commissione che ora a Roma sta risolvendo ad uno ad uno l’intricate questioni che vi sono connesse; del secondo ci sia lecito affermare che senza la nostra tenace propaganda, senza le nostre insistenze, che non disperarono mai né di fronte all’ignoranza né di fronte alle opposizioni, esso non sarebbe oggi divenuto per l’Italia uno di quei problemi istituzionali, che oramai s’impongono a qualsiasi governo e a qualsiasi parlamento.

Crisi economica e crisi politica

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Sturzo, Luigi 2 occorrenze
  • 1920
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 132-161.
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Come abbiamo visto, il punto centrale oggi è per l'Italia il problema della produzione, ambientata e resa efficace e sicura dalla soluzione del problema del lavoro: a questo si lega il problema dell'organizzazione sindacale che si prospetta nella riforma degli istituti pubblici e loro rappresentanze; riforme che possono avere efficienza se rese agili dal decentramento politico, amministrativo ed economico, che può valorizzare le forze, le risorse, le caratteristiche locali e regionali, così varie e diverse in Italia, da non potersi annullare e livellare neppure attraverso cinquant'anni di legislazione e di ordinamento statale centralizzato.

Pagina 158

E noi abbiamo fede che la patria nostra, per la quale combattiamo e lavoriamo, uscirà dalle angustie che la travagliano e la travaglieranno per un pezzo, rifatta nella sua unità morale, nelle sue forze indistruttibili e nella sua missione civilizzatrice, vincendo col lavoro la sua crisi economica e vincendo per il lavoro la sua crisi politica.

Pagina 161

Il primo anno di vita del Partito Popolare Italiano

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Sturzo, Luigi 4 occorrenze
  • 1920
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 357-368.
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Non farò la cronaca della nostra vita vissuta nel primo anno di esistenza del partito; tutti abbiamo seguito con ansia e con ardore lo svolgersi minuto e vasto di un'azione nuova nel nostro paese, spesso in mezzo a diffidenze e contrasti, che sarebbe assurdo mancassero come elemento di attrito che rende valido il moto e sensibile l'azione.

Pagina 357

Noi abbiamo espresso questa finalità fin dall'apparire del nostro partito, fin dall'appello del 18 gennaio 1919, e proseguiamo su quella linea nello sforzo pratico dell'ora e del momento; — abbattere l'accentramento statale. che sopprime la personalità alle collettività operanti in esso, che toglie la responsabilità alle persone che in nome di esso operano; — ridare la coscienza giuridica agli organismi che natura crea, perché lo svolgersi della loro azione non sia senza i limiti della coesistenza e senza il rispetto delle libertà; — chiamare la solidarietà umana col nome di giustizia e di carità, che unica rende possibile la collaborazione delle classi e contingente la lotta; — eccitare le energie individuali perché diano all'economia nazionale la fiducia e la forza, che eventi o malvolere di uomini oggi hanno ridotto quasi all'impotenza; — ridare ai valori morali e ideali la importanza suprema nell'educazione di un popolo per la sua resistenza nelle ore tragiche del paese.

Pagina 362

Mi domanderete: abbiamo oggi, nel momento che urge, questa forza di evoluzione, di resistenza e di fecondazione?

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Così abbiamo polarizzato verso il partito una notevole parte della vita italiana, abbiamo destato simpatie e rapporti con l'estero, abbiamo tentato di creare una nuova coscienza politica nel paese.

Pagina 367

Il modernismo che non muore

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Murri, Romolo 7 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 37-59.
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Dei tre uomini che abbiamo più particolarmente nominato, uno, il Tyrrell, ci è mancato; ma nessuno dubita che, vivendo, egli avrebbe continuato ad occuparsi con eguale fervore, nella sua operosa solitudine di Storrington. del problema religioso, così come gli era apparso ed egli lo aveva, sino alla sua morte, studiato e discusso; "Si veggano in particolare, oltre all'Autobiografia, le ultime cose di lui">Da Dio o dagli uomini, in «Rinnovamento», I, 4Medievalismo, Roma, Libr. Editrice Romana, 1909Il cristinesimoal bivio, Roma, Voghera, 1910Il papa e il modernismo, Roma, Voghera, 1912 gli altri due, Loisy e Murri, con¬tinuano instancabilmente il loro lavoro : di critica religiosa, l'uno, di propaganda religiosa nella democrazia, l'altro. Chi riconosce d'aver sbagliato strada la muta. Se essi tirano innanzi per la loro via, mostrano nel miglior modo di ritenere che essa non era sbagliata.

Bisognava stendere l'atto di morte, stabilendo bene le generalità del defunto; ed è quello che abbiamo fatto.

Pagina 40

In questo tentativo sta il modernismo, quello che non può morire, che è cominciato da secoli, anzi al principio stesso della Chiesa, con la lotta fra la vecchia concezione messianica del giudaismo e il Regno di Gesù, poi fra paolinismo e giudaizzanti, e che è la storia stessa interiore, dialettica, della vita della Chiesa; ad esso appartiene, con ben altro valore e significato da quello che abbiamo veduto nel capitolo precedente, l'iniziativa e l'opera dei principali modernisti; la quale, in quanto esprime un momento caratteristico di questo perenne processo di adattamento della realtà allo spirito religioso, momento che è ancora ben lungi dall'avere avuto il suo epilogo, continua necessariamente, in essi o in altri; e può anzi e deve essere ripreso con più consapevole programma e più organica solidarietà di sforzi.

Pagina 43

Ed ora ci apparisce meglio la verità di quello che abbiamo detto. L'errore del modernismo morto, la sua illusione, fu nel fare dell'elemento Chiesa, istituzionale e gerarchica, la norma e il contenente; dello spirito religioso l'energia assoggettata alla norma, misurata e contenuta da quello; nell'avere insomma ingenuamente pensati che ci fosse un tale istituto storico, perenne e fondamentale nei suoi elementi costitutivi, il quale potesse, senza alcun suo rivolgimento e sovvertimento interiore, far proprie le nuove esigenze dello spirito- religioso: coscienza, critica, democrazia. Il modernismo che non muore sta nell'aver invertito il rapporto, nell'aver fatto della coscienza religiosa la dominatrice vera delle forme istituzionali e gerarchiche, considerate oramai tutte e solo come strumenti e mezzi esteriori riformabili e rinnovabili.

Pagina 44

Il modernismo del quale abbiamo pianto la morte precoce è morto, non perché era modernismo, ma perché era ancora ortodossia; contro la sua ortodossia diminuita e vacillante, precaria, ha avuto ragione l'ortodossia tutta d'un pezzo del parroco veneziano; in altre parole, non è morto il modernismo, ma l'illusione ortodossa di taluni modernisti. E il loro non fu un errore nel senso volgare della parola, uno sbaglio che quei bravi signori potevano anche risparmiarsi, o che si può immaginare sarebbe stato risparmiato ad altri, i quali avessero occupato il posto loro. Fu un errore che doveva essere; fu lo sforzo di coscienze che rompevano in sé il tenace vincolo gerarchico dentro il quale si erano venute formando, risolvevano il passato nella storia che sempre si fa; fu una crisi interna della stessa ortodossia, la quale doveva così, contraddicendosi interiormente e dilacerandosi brano a brano, giungere alla suprema delle sue negazioni ed al supremo dei suoi innovamenti, nell'inversione definitiva dei rapporti fra coscienza e autorità esteriore A questa coscienza il modernismo era giunto nel suo ultimo periodo, specialmente col Tyrrell e con taluni degli scrittori modernisti di Nova et Vetera ; e chi farà più tardi la storia del modernismo dovrà notarlo. Ma furono come dei battelli di salvataggio verso le rive dello spirito ; la nave s'era sfasciata..

Pagina 45

Ma se quello che abbiamo detto é vero, una osservazione può parer legittima, che fu fatta già da G. Gentile al P. Semeria GIOVANNI GENTILE – Il modernismo e I rapporti tra religione e filosofia, Bari, Laterza, 1909 il modernismo, incidente nuovo, non ha valore ideale, perché il suo momento essenziale va fatto risalire molto addietro; p. es. a Giordano Bruno od almeno a Hegel; dopo di allora, dal punto di vista ideale, non si tratta che di ripetizioni. L'obiezione varrebbe se la storia dello spirito e della vita religiosa potesse essere inclusa tutta nella storia delle filosofie recenti e del razionalismo. Il valore del modernismo, in quanto esso viene dopo l'idealismo trascendentale, sta per metà in questo: nell'essere stato, controlo stesso razionalismo, una rinnovata affermazione delle esigenze dello spirito religioso; nel non essersi presentato come il superamento del cattolicismo, ma anzi come una intima esigenza degli elementi religiosi vivi e verdi nella coscienza cattolica, verso una nuova sistemazione del loro mondo esteriore; e nell'aver ricondotto tutto quello che prima pareva definitivo e normativo nel cattolicismo ad esteriorità ed espressione e creazione passiva. Esso non é negazione di quel che è cattolico e quindi tradizione religiosa e credenza e rito, in nome di quel che è razionale; i diritti imprescrittibili della coscienza religiosa, del fare (non del fatto) religioso, sono affermati in una con il diritto di sovranità di questa coscienza su tutte le sue manifestazioni e forme storiche esteriori e concrete. Un tempo si diceva che i più violenti anticlericali andavano cercati fra gli ex; oggi una tale affermazione sarebbe un luogo comune vuoto di senso. Il modernista che fu cattolico rimane non solo religioso, ma cattolico, in quanto egli rivendica la religiosità cattolica viva di oggi contro le forme morte della religiosità cattolica di ieri; in quanto tende, con un lavoro di revisione critica e di pratica autonomia, ad aggiornare il passato, non a porre una barriera insormontabile, a creare un antagonismo fra esso e l'avvenire.

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— A questa domanda abbiamo già implicitamente risposto. Finché i modernisti partivano dalla presunzione e dalla speranza di un tacito accordo fra la Chiesa «ufficiale» e le esigenze delle quali essi si facevano interpreti, essi erano nella Chiesa e il loro modernismo anche; fino aquando non furono negati, espulsi, annullati come valore ecclesiastico. Ma quando, liberati dall'illusione fugace, posti nell'alternativa di esser sé stessi o di esser la Chiesa, essi videro non l'incompatibilità dei due termini, ma la falsa posizione di un principio che voleva essere ricreazione dei valori storici religiosi e docilità alle forme morte, norma e soggetto alla norma; quando il modernismo, in quanto posizione storica di cattolici dinanzi al cattolicismo, fu infine pienamente conscio, fu senso di sovranità vera ed originaria ed inappellabile della coscienza religiosa sulla Chiesa, allora e per ciò stesso la Chiesa cattolica romana cessava di essere per esso la Chiesa, istituzione sovrana ed autorità decisiva, e diventava semplicemente una Chiesa, una delle molte forme positive di religione e di cristianesimo, un momento ed un ramo della sto¬ria di questo, un istituto soggetto come tutti gli altri alla legge delle variazioni e delle formazioni storiche, della relatività e della attualità; anche se esso, nella storia del cristianesimo, era stato e continuava ad essere il momento centrale, l'istituto sul quale più è necessario agire per gli ulteriore sviluppi dello spirito e della civiltà cristiana.

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Il Partito Popolare Italiano

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Murri, Romolo 4 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 92-127.
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Da pochi e solo assai vagamente li abbiamo visti ricordati in questi giorni: perché c'è qualche nome di mezzo che non si osa scrivere, come per non toccar parti di anima dove geme una occulta piaga; e pure è storia recentissima e assai nota e senza di essa non si spiega nulla di quel che oggi avviene.

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Il 9 febbraio il Domani d'Italia pubblicava una breve dichiarazione redatta da me, ma non recante la mia firma, in cui, in termini molto rispettosi, si annunziava di non poter accettare il nuovo Statuto e la presentazione alla Santa Sede di un memorandumEcco alcuni brani di quella memorabile dichiarazione «Abbiamo letto il nuovo statuto dell'opera dei congressi fatto conoscere ora ai cattolici, insieme a istruzioni emanate dalla S. Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari: e più specialmente la parte che riguarda la riorganizzazione della democrazia cristiana in Italia.«Cattolici sinceri e devoti alla Santa Sede, amanti sopra ogni altra cosa 1' unione sincera e costante con essa, ma gelosi altresì dei diritti e delle esigenze della attività civile e sociale dei cattolici italiani, e pieni di sollecitudine per l'avvenire delle nostre giovani associazioni operaie, noi ci sentiamo in dovere di osservare che nuove disposizioni statutarie dell'opera dei congressi contengono norme pratiche e regolamentari le quali ci sembrano non diradare un equivoco che in questo momento era necessario veder evitato — quello che vela la distinzione, necessaria a farsi, fra il compito religioso e i compiti civili e sociali delle organizzazioni popolari — e creano un pericolo serio per lo sviluppo ulteriore delle giovini forze operaie».Seguiva l'annuncio di un memorandum da sottoporre alla approvazione delle associazioni d.c. di tutta Italia per esser poi presentato alla Santa Sede.Fra i firmatari, tutti laici, era anche 1' avv. Mattei Gentili, oggi direttore del Corriere d'Italia.. Per non compromettere io sacerdote, la resistenza dei miei amici, feci annunziare la mia partenza da Roma e rimasi per più giorni nascosto in casa, non vedendo che qualche fedelissimo collaboratire. Il Vaticano ebbe paura. Se, come ho detto sopra, il laicato cattolico, che aveva oramai un numeroso stato maggiore, in cui erano già quasi tutti gli antesignani di oggi, fosse stato meno vile, la causa era vinta sin da allora e costituito, diciassette anni fa, il partito popolare italiano.

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«Non abbiamo da sostenere nessun speciale programma circa i modi di questa libertà (della Chiesa), non dipendendo dal nostro apprezzamento»

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La Democrazia Cristiana in Italia

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 62-90.
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Anche qui noi troviamo quel duplice momento che abbiamo detto. L'assunto è un ideale, o un programma, di rapporti civili nei quali si attui la democrazia. Il primo momento è caratterizzato dalla fiducia che i postulati ideali di questa ascensione civile dello spirito nella storia sieno in intimo sostanziale consenso con lo spirito e con la dottrina dell'istituto cattolico, così da dover essere rivendicati contro inetti od indegni interpreti di questo e promossi nell'interesse medesimo della Chiesa e di un nuovo e meraviglioso sviluppo della sua influenza civile e sociale. Poi, quando la Chiesa si sottrae a questo tentativo e resiste e respinge e condanna, il movimento si volge contro di essa facendo appello ad una libera ed intima reinterpretazione del cristianesimo primitivo e delle sue occulte o palesi derivazioni nella storia; e i principi che si era creduto di derivare dalla sua dottrina sono invece applicati a questa, ed alla costituzione interna del cattolicismo, come criterio di discernimento e di risoluzione; e l'incompatibilità diventa contrasto; processo spirituale cui si sottraggono solo le coscienze le quali, per docilità alla Chiesa o per difetto di coraggio, si rifiutino di vedere nella rivelatasi incompatibilità un dissidio teorico e storico risolutivo, e si adattino invece a considerarla come temporanea incapacità o colpa di uomini, ed attendano con rassegnata fiducia, e fra alternative di docilità e di resistenza, di speranza e di disperazione, che la storia si corregga e torni ad essi.

Pagina 64

Che cosa fu il modernismo?

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Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 6-36.
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Gli esempi che abbiamo addotto parlano con sufficiente evidenza; perché in pochi nomi si raccoglie tutto il modernismo e perché essi ci permettono di giudicare della intima vacuità di tutto un grande movimento apparente, che si risolve poi in un piccolo numero di crisi individuali, dovute ad un errore di fatto. Queste, come esperienze «cattoliche», possono essere istruttive, ma solo per spiegare come nell'ultimo quarto del secolo XIX fosse ancora possibile l'illusione della quale caddero vittime. Nella Chiesa, per il. sistema di educazione che vi prevale, l'esperienza non si accumula né si continua, ma è sempre rifatta su tipi fissati una volta per sempre, e quel che non rientra in essi reciso; e ciò spiega gli anacronismi e gli equivoci dei quali abbiamo parlato, il ripetersi di illusioni identiche di generazione in generazione. L'uno non sa dell'altro.

Pagina 19

Il modernismo, adunque, non fu un movimento interno della chiesa cattolica, ma appartiene ad un ciclo enormemente più vasto di generazioni e di creazioni spirituali; il problema che esso elabora non é quello di una riforma del cattolicismo, come parve, per l'errore che abbiamo mostrato, ai principali sostenitori, ma quello stesso delle assise spirituali della coscienza contemporanea, che ha eroso, con la critica e con la democrazia, ogni immaginata e presunta e creduta eteronomia della dottrina e dell'autorità. La chiesa cattolica aveva due buone ragioni di difendersi: quella che la toccava in proprio, in quanto i modernisti erano fra i cattolici, e quella che ha comune con ogni altro istituto o tradizione di eteronomia o di autorità discendente dall'alto e imponentesi dal di fuori.

Pagina 35

Un solitario

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Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 128-144.
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E infatti dai cattolici che hanno commemorato il maestro abbiamo sentito dire che egli fu un sociologo e un filosofo, una guida di anime ed un costruttore della società ideale. Ma la sociologia è disciplina spuria, positivismo larvato — caratteristica l'ammirazione del Toniolo per E. Spencer, — e non è riuscita mai a fissar chiaramente i suoi metodi e le sue pretese; ed è, quindi, alogicità e confusione. Né filosofo fu o pretese di essere il Toniolo, perché il suo assunto stesso, come vedremo, glielo impediva; se egli ebbe perfetta fiducia nella consonanza e nella identità delle esigenze del domma e della grazia cattolica con la ragione e la libertà umane, era la sua fede che gli ispirava questa fiducia piena, e la sua economia sociale è, per molta parte, teologia.

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Toniolo, abbiamo detto, non era di questi: dinanzi ai timori del Vaticano egli si sentiva senza colpa. Quando aveva detto, correggendo il grido di Marx: Proletari di tutto il mondo, unitevi in Cristo, per Cristo egli intendeva il Papa, suo vicario visibile.

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