Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Otto giorni in una soffitta

204523
Giraud, H. 13 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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. - Abbiamo cenato e bevuto, come sempre, moderatamente. Allora sarà qualcosa di grave. - Nello stesso istante, Maria, che stava per salire lo scalino precedendo Leonia di qualche passo, manda un'esclamazione sorda, si china e raccatta.... il calzerotto che aveva cominciato la settimana scorsa e che ha tanto cercato. Ma essa tiene in mano quel calzerotto come un carbone ardente e lo contempla con occhi da pazza. Leonia, spaventata, la guarda. - Ebbene, poveretta, che cos'altro vi capita ancora? - Maria si passa una mano sulla fronte e fissa con uno sguardo feroce Leonia. - Allora questa è stregoneria, - dice essa. - Vedete questo? - È un calzerotto per uno dei bambini, - risponde la cuoca, la quale vuol far capire a Maria che quell'oggetto impressionante che tiene con tanto spavento è invece inoffensivo. - Sì, - dice Maria con energia - un calzerotto appena cominciato otto giorni fa. Ne avevo fatti quattro o cinque giri; poi è scomparso senza poterlo ritrovare, e ora eccolo quasi fìnito. Tutto il gomitolo di lana è finito. - Leonia guarda Maria e si domanda ansiosamente se non sia divenuta pazza. - Via, via, - dice - non vi ricordate più che l'avete fatto voi. - Maria scuote la testa. - Lo so che divento vecchia, ma sono sicurissima che ho perduto questo calzerotto, appena cominciato, otto giorni fa. - Non sarà lo stesso, forse. - Non so che cosa sia.... ma quello che succede in questa casa è addirittura diabolico. Credete che sia normale vedere il signor Alano ammalarsi a un tratto, chiedere lui stesso il medico che lo guarisce soltanto a guardarlo, e il signor Francesco che si fa una storta e guarisce con l'acqua fredda? - Ah, ma questo.... - comincia Leonia, pronta a difendere il suo rimedio. Ma l'altra continua senza ascoltarla: - Il signor Fil che fa dei discorsi insensati, il signor Maurizio che stasera si è sdoppiato, e ora il calzerotto.... Ah, è proprio tempo che la signora ritorni! Credo di diventar troppo vecchia.... - Se Maria è sorpresa di ritrovare il calzerotto, Nicoletta è ben più sorpresa di non trovarlo più. E nessuno saprà mai com' è andato a finir là. Forse Matù, giocando col gomitolo, l' ha trascinato in fondo alla scala? Oppure sono stati i ragazzi, senza volere, nel discendere precipitosamente in giardino? Il fatto è che quel calzerotto miracoloso finisce di convincere Maria che la casa è stregata e che lei stessa sta per rimbambire. Leonia pensa semplicemente che forse è stata al sole senza cappello. Da lei» ciò provoca spesso crisi di pazzia!...

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. - Allora abbiamo il tetto in comune con quella vecchia strega? - Non lo so, - risponde Nicoletta. - Ho dovuto salire un po'.... c' è framezzo un tetto più piccolo. - lo stesso: - dice Maurizio - per essere una bambina è stata coraggiosa a venire per il tetto. - È nostra figlia, - risponde con dlgnità Francesco, come se per questo ne avesse acquisito anticipatamente le virtù. - Bene! - dice Alano. - Allora quella vecchia non verrà a cercarti qui. - Ma intanto, a qualunque costo la difenderemo! - esclama in tono bellicoso Maurizio. - Nicoletta è nostra! - Francesco scuote la testa. - Sì.... ma io penso che sia più prudente nasconderla, perchè, sai.... alle persone grandi, e per di più cattive come mamma Duflet.... - Sì.... ebbene? - Ebbene, anche se hanno torto, tutti danno loro ragione. - È proprio vero, - approva Nicoletta in tono sconsolato. - Intanto, - dice Alano che si dà daffare per mettere insieme la camera di sua figlia - bisogna andare a cercare dei lenzuoli nel guardaroba. Ma blsognerà tenere occupata Maria durante questo tempo, poichè essa è sempre lì. - La terrò occupata io, - risponde Maurizio. - Che cosa farai? - domanda Nicoletta incuriosita. - Fingerò di andare a rubare un po' di dolce nella stanza da pranzo, e lei allora mi seguirà.

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. - Allora abbiamo indovinato che eri tu, mammina! - Avevo troppo desiderio di rivedere i miei cari bambini, - dice la signora d'Aufran che ho mandato a spasso il medico e la cura e sono ritornata. - Che felicità! - Orsù, piccini miei, dovete aver molte cose da raccontarmi. Venite a sedervi in camera mia. Ditemi, con tutti i particolari, le vostre monellerie, e dopo, se lo meritate, vi farò vedere i miei regali. - A questo punto arriva Maria. - Mia buona Maria, - dice la signora tendendogli la mano - vi hanno fatto arrabbiare? - Oh, come sono contenta di vedere la signora così in buona salute! Sono stati molto buoni, per dir la verità; ma io.... - Come, come, Maria? Voi non siete stata troppo buona? - Eh, no, signora, non voglio dir questo!... Ma, ahimè, divento vecchia, molto vecchia!... - Ma passerà, Maria, passerà, - dice affettuosamente la giovane signora. Ma la vecchia governante non capisce troppo bene come la sua vecchiaia potrà passare e sospira.- - Ho una bella sorpresa per tutti.... - dice la signora d'Aufran - per tutti quelli che sono stati buoni. - Che cos' è? - domanda Maurizio curioso. - Che cosa direste - riprende la signora d'Aufran abbassando il tono - se vi portassi una sorellina? - Una sorellina! - I tre fanciulli hanno fatto questa esclamazione ad una voce e con lo stesso tono deluso. - Sì, so che non vi piacciono le bambine, ma questa è così carina! - Uhm!... - fa Maurizio. Francesco è atterrito. Alano pure. - Sì, - continua la giovane signora - ho adottato una bambina. - Anche tu! - grida Francesco. La mamma sembra maravigliata. - Come anch' io? Ne hai forse adottata una anche tu? - No, - borbotta Francesco. - Ho detto così per dire.... - Una povera bambina infelice, senza genitori. Ho pensato che vi assocereste alla mia opera buona essendo buoni e gentili con lei. - I tre fanciulli si guardano con un'espressione imbronciata e afflitta. Come sono statì stupidi a non scrivere subito alla mamma la storia di Nicoletta!... Perchè, certamente, non possono adottarne due, ed è quella della mamma che resterà.... E la povera Nicoletta dove andrà? A meno che non provino a non accettare questa qui. E Francesco comincia: - Una bambina.... - Noi non vogliamo bambine, - dichiara Maurizio con energia. - Non quella.... - Perchè non quella? Ne vuoi un'altra? - No, - dice Maurizio - bambine, no. - Ma questa è tanto infelice! Vorreste rimandarla via? - È qui?... - domanda Alano. - Si annoierà con noi, - dice Francesco con un po' d' ipocrisia. - Una bambina con tre ragazzi, capirai, mamma.... - Se fossero due, - comincia Maurizio, il quale pensa che dopo tutto, quanto ad adottare bambini, tutto sta nel cominciare. Perchè non prenderebbero anche Nicoletta, insieme con « quella della mamma »?... - Ah, no! - protesta la mamma. - Io ne voglio soltanto una. Se voi non ne volete nessuna, oppure due, non potremo intenderci. Allora nessuna? Devo rimandar via questa poverina? - I tre fanciulli sono molto imbarazzati. E la mamma chiamava quella una bella sorpresa?! - Ebbene, - dice la signora d'Aufran - andate ad aprire quella porta, e dite voi stessi a quella povera bambina di andarsene. - Poverina! - esclama Francesco. Dopo tutto, se i ragazzì accettano quella fanciulla adottata dalla loro mamma, perchè la mamma alla sua volta non accetterebbe la loro? E tossicchiando per rischiarare la voce, egli prende la parola: - Ebbene, mamma, prendila, ma a una condizione.... - No, no, no! - protesta la mamma mettendosi le mani agli orecchi. - Niente condizioni! E con grande stupore dei ragazzi chiama: - Matù! - Prima che i fanciulli abbiano capito, la porta si apre e.... la loro figlia Nicoletta, fresca e ben vestita, entra. Non vi sono parole che possano descrivere questa scena. Grida, risate, baci, Maurizio che balla vertiginosamente, spiegazioni confuse e sconnesse.... Ma alla fine s' intendono, e i tre babbi, lieti di ritornare fratelli, sono ancora più felici che la mamma abbia accolto così bene Nicoletta. - Sì, - dice la mamma un po' severa - non voglio sciuparvi questa bella giornata sgridandovi, e rattristare Nicoletta, ma sono però molto afflitta di tutte queste menzogne. - L' intenzione era buona, però, - obietta Alano. - Non erano bugie cattive, - aggiunge Maurizio. - Una bugia è sempre cattiva, - riprende la mamma. - Perchè non mi avete scritto? - Francesco riprende la parola: - Avevamo paura di farti interrompere la cura, mamma; ed eri così sofferente, quando partisti! - Infine, - dice la mamma - per oggi non ne parliamo più: è giorno di gioia. - Ma ecco che arriva Maria, la quale non riesce a capire la storia se non dopo molto e molte spiegazioni. La sua

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. - Noi non ne abbiamo, - dice Maurizio tristemente. - La mia, la mia bella Fioretta, è rimasta dalla mamma Duflet. - Se tentassimo di andare a cercarla? - propone Alano. Francesco alza le spalle. - Se le riportassimo anche Nicoletta? - aggiunge con disprezzo. Ma, per calmare Nicoletta, che ha preso quel discorso sul serio, spiega che lo ha fatto per burlarsi di Alano. - C' è la bambola della mamma, - dice Maurizio. - È vero, la bambola della mamma quand'era piccina, - Oppure la bambola del salotto, quella bella grande che è seduta sul cuscino, e che la mamma chiama il suo portafortuna. - Quella che il comandante Grey le regalò per il suo compleanno? - Sì.... Che idea, regalare una bambola a una signora! - Questa sarà adatta per Nicoletta; ma a quell'altra, lo sai, Francesco, la mamma ci tiene troppo e potrebbe inquietarsi se gliela prendessimo. - Sì; - aggiunge Alano - eppoi credo che sia ben rinchiusa. - Quando prenderemo la bambola del salotto? - E chi andrà a prenderla? - Le domande s' incrociano, ma è sempre Francesco, il maggiore, che risponde e decide: - Maurizio, fra poco, all'ora della merenda, si nasconderà, e mentre Maria ci servirà, prenderà la bambola e salirà qui di corsa. Così potrai giocare, - continua, rivolgendosi a Nicoletta - perchè, capirai, non potremo stare sempre con te, altrimenti dubiterebbero di qualche cosa. - Il visino di Nicoletta si oscura. - Ma verrete spesso? - chiede. - Sì, molto spesso. - Troveremo qualche scusa per venire in soffitta,- dice Alano. - Bisogna cercare.... - La voce di Maria, che li chiama disperatamente, li inquieta e li turba. - Scendiamo presto, - dice Francesco - che non salga quassù a cercarci! - Prima che Nicoletta abbia il tempo di rendersi conto di ciò che succede, i tre fanciulli sono scomparsi come fantasmi. La fanciulletta siede sulla graziosa poltroncina un po' zoppa che Alano ha scovato per lei, appoggia la testa bionda sulla spalliera e riflette. Pensa alla sua nuova famiglia, ch'ella stessa si è scelta; pensa che non sarà forse sempre molto piacevole stare rinchiusa in quella soffitta. Ma che importa? Tutto è preferibile a quella mamma Duflet così cattiva. Sente che i suoi nuovi amici le vogliono già bene, e, senza cercare altro, il suo povero cuoricino tenero, bisognoso di affetto, sussulta di felicità. A sette anni non si può riflettere alle conseguenze di un'adozione in una soffitta; e i tredici anni di Francesco non hanno dimostrato di rifletterci di più. C' è un'altra cosa alla quale Francesco non ha pensato e che comincia a impensierire Nicoletta. E quando Maurizio arriva tutto scalmanato porgendole la maravigliosa bambola, che non è affatto un giocattolo, ma un oggetto artistico, Nicoletta può appena esprimere la sua ammirazione. Misteriosamente, a voce bassa, la fanciulletta confida il suo tormento a Maurizio. Questi la prende per la mano e la conduce fuori della soffitta. - Là, - indica il ragazzo, mostrando una porta che dà sulla scala tra la soffitta e il piano inferiore. - Ma non andarci di sera; Maria e Leonia ti sentirebbero. Capisci, è quello delle domestiche.... Ma non fa niente, vero? - chiede con voce ansiosa. E, rassicurato da Nicoletta, egli la riporta dietro il paravento con la sua bambola e se ne va. Quando arriva alla porta un' idea lo trattiene, torna indietro correndo, passa le braccia intorno alle spalle di Nicoletta e la bacia teneramente. - Oh, Maurizio, - dice la fanciulletta, con gli occhi brillanti di lacrime di gioia - come vi voglio bene a tutti e tre! - E Maurizio, convinto, risponde: - Anche noi, sai, Nicoletta; e ti custodiremo bene. - Una bambina!... Se Maria li vedesse! Intanto Nicoletta è in estasi davanti alla bambola. Non ne aveva mai sognata una così bella! È quasi troppo bella! Nicoletta è un po' intimidita:

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- Noi abbiamo già fatto merenda, stai tranquilla: abbiamo avuto ognuno la nostra fetta di pane con la marmellata, e Maria non si è accorta di nulla. - Francesco spiega a Nicoletta che, mentre Maria si voltava indietro, ha tagliato una fetta di pane e lo ha nascosto. Alano poi è riuscito a prendere la marmellata dal vaso, quasi sotto il naso di Maria. - Vedrai, - esclama Maurizio con aria disinvolta - ci sapremo disimpegnare! - Nicoletta è infatti molto tranquilla: ha fiducia nell' iniziativa dei suoi amici. Senza poter esprimere i suoi sentimenti, si rende perfettamente conto che quello che avrà dai suoi tre amici sarà sempre migliore del pan secco e condito di cattiveria della Duflet.

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. - E poi, - aggiunge Maurizio con aria d' importanza - la mattina abbiamo da fare i compiti delle vacanze. - E se Maria non ci vedesse nella nostra stanza a lavorare - dice Francesco - si metterebbe in pensiero e comincerebbe a cercarci. Nel pomeriggio facciamo quello che vogliamo, invece. - E così, - riprende Maurizio - Alano ha nascosto uno dei suoi calzini e Maria lo cerca.... e noi abbiamo messo ognuno la metà del nostro latte nella tazza che Francesco aveva nascosta nel suo studio, poi abbiamo chiesto delle fette di pane. Maria è molto contenta quando abbiamo appetito. - Quando avrai fatto colazione, - dice Francesco - ti farai toelette; poi farò finta di andare a domandar qualcosa allo zio nella biblioteca, qualcosa per lavorare, s' intende, e salirò per pettinarti. Non piangerai, vero, se ti tirerò un po' i capelli? - domanda molto inquieto. - Capirai, non ho mai pettinato dei capelli così lunghi. - Nicoletta scuote la testa. - Se tu sapessi come me li tirava la mamma Duflet! E come gridava, se piangevo! - Sbrighiamoci, Francesco; - dice Maurizio con inquietudine - mi par di sentire la voce di Maria. - I due fanciulli scendono la scala correndo. La voce di Maria si fa udire, infatti, ma per rimproverare Alano d'essersi messo il calzino tanto cercato, nella tasca dei calzoni. - Forse - dice tranquillamente Alano, mettendosi le scarpe - l' avrò preso per un fazzoletto. - Benone! Ditemi che vi ci siete anche soffiato il naso! - esclama Maria furibonda. - Forse lo zio Fil lo avrebbe fatto, - replica Alano. - Il signor Fil fa quello che vuole, - dice Maria spazientita. - Anch' io! - esclama una vocina. - E voglio abbracciarti. E prima che Maria, in ginocchio per abbottonare le scarpe ad Alano, abbia avuto il tempo di muoversi, Maurizio le salta addosso, la rovescia all' indietro e le stampa un grosso bacio sulla guancia. - Via, via, signor Maurizio, non fate il matto, - brontola Maria, che, in fondo, è contenta poichè

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Orsù, abbiamo chiacchierato abbastanza, e m' impedite di fare il mio lavoro. Signor Francesco, siate ragionevole: fate lavorare i vostri fratelli. - È molto difficile fare problemi e analisi quando si hanno delle preoccupazioni, e i tre ragazzi pensano assai più alla loro «figlia» che ai compiti. La « figlia » è molto savia, e Francesco la trova a cantar la ninna-nanna alla bambola. Egli giunge con un pettine, una spazzola e un gran libro. - Qui son descritte le avventure di Beccaccino, - dice. - Ma tu non sai leggere e non ti divertirai tanto. Se vuoi, t' insegnerò a leggere. - Oh, sì! - dice Nicoletta. - La mamma voleva farlo, ma era sempre malata e non aveva la forza di muoversi. - T' insegnerò io, - ripete Francesco. - Intanto ti pettinerò meglio che mi è possibile. - Ahimè, è un terribile compito, quello a cui si accinge, e benchè tanto lui che Nicoletta diano prova di una pazienza angelica, la

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- Ma Francesco non è perfettamente in buona fede quando risponde: - Come vedi, ho fatto bene, poiché ne abbiamo bisogno. - Io, - dice Alano - propongo di far leggere Nicoletta quando

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. - Al primo piano; non abbiamo il tempo di scendere. - Presto, presto, - dice Francesco. - Usciamo dalla soffitta. Non aver paura, Nicoletta. - E, come un. buon capobanda, Francesco ha organizzato, in un batter d'occhio, il suo piano di difesa. Egli tiene in mano il ritratto, e insieme coi suoi due fratelli scende la scala a passi di lupo. Prima che la povera Maria, poco svelta, sia arrivata nello « studio », i tre ragazzi sono seduti su uno scalino a mezza strada tra la soffitta e il piano inferiore. E quando Maria apre la porta e vede, con suo grande stupore, la stanza vuota, ode tre scoppi di risa e tre voci allegre sopra a lei. - Benissimo! - Ti abbiamo sorpresa! Curiosa! - Così imparerai! - La vecchia sale i tre scalini e vede i tre fanciulli. - Oh, mi avete sentito salire? - dice ingenuamente. - Perbacco! - Ti avevo raccomandato di non disturbarmi, - dice Francesco in tono severo. La povera Maria è umiliata. - Io non volevo disturbarvi, signor Francesco. Soltanto, avevq dimenticato di avvertirvi che esco. Tornerò per l' ora della merenda. - Va bene, - risponde Francesco in aria maestosa. - Per questa volta ti

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. - Oggi no, grazie; - risponde Francesco con una cert'aria d' importanza - abbiamo una cosa da fare per il ritorno della mamma e siamo già un po' in ritardo. - Quando ritorna la vostra mamma? - domanda la signora Bord. - Ci scrive che vuol ritornare presto, signora, - dice Francesco - che si annoia, e che sta molto meglio. - Non dice quando ritorna? - No, signora, vuol farci una sorpresa. - E se arrivasse giovedì? - osserva Alano. - Oh, addio passeggiata! - dice Giovanni Bord con aria desolata. - Sarebbe per un'altra volta. Pazienza! - La signora Bord cerca di consolare suo figlio: Maria prende la parola. - Io credo che la signora non ritorni giovedì; le scrissi ieri, e sa che andiamo al bosco proprio giovedì. E poi credo che il suo medico di laggiù non la lasci partire così presto. - Arrivano intanto gli Aubry con la loro istitutrice, poi i piccoli Dumont, e tutti i bambini che giovedì devono andare al bosco delle Fate. E allora si parla soltanto della passeggiata e delle belle partite che si faranno in quel giorno. I tre babbi hanno quasi dimenticato la loro figlia! Quella domenica è una giornata molte tranquilla per Nicoletta, poichè dopo il desinare Maria e Leonia vanno al vespro, poi Leonia ritorna a casa, e Maria, che ha preparato la merenda prima di andarsene, non ritorna che dopo le sei. I ragazzi hanno il tempo di divertirsi, di gridare e anche d' incominciare a giocare a nascondino nelle due soffitte. Ma devono smettere subito perchè il passo pesante di Leonia fa rintronare la scala ed essa viene a vedere perchè fanno tanto fracasso; ma crede di aver sognato quando trova Francesco nello «studio» che dipinge, e Alano e Maurizio che posano. Essa non si accorge come la mano di Francesco tremi, nè come Alano sia tutto trafelato e Maurizio tutto rosso; e non vede neppure, dietro le imposte della finestra che si muove, la fanciulletta, il cui cuore batte precipitosamente. Sarà ricondotta dalla Duflet, se Leonia la scuopre? No, Leonia non si accorge di nulla e se ne va dicendo: - È strano, come di giù si senta un gran rumore. Dev'essere nella casa accanto. - Se ne va tranquilla, e, in fondo, piena di ammirazione per quei tre ragazzì «buonì come bambine ». - Ah, che paura ho avuto! - esclama Nicoletta uscendo di dietro all' imposta. - Anch' io, - confessa Maurizio. - Non avrei mai immaginato che si sentisse il rumore di giù, - dice Francesco. - Perchè anche Leonia non va a passeggio la domenica? - Temono per noi, - risponde Francesco. Infatti i ragazzi hanno più d' un malestro sulla coscienza, e i giorni in cui sono stati abbandonati a se stessi, sono segnati sul calendario di casa come giorni nefasti. La giornata finisce tranquillamente, i ragazzi sacrificano a Nicoletta la loro partita di calcio; la faranno più tardi, quando Maria sarà rìtornata, o dopo cena, se sarà ancora abbastanza giorno. Per divertire Nicoletta organizzano una grande partita di steeplechase, lo steeple su tappeto verde regalato dal comandante Grey ai tre fanciulli. E Nicoletta è così estasiata nel vedere il suo cavallo arrivare il primo al palo, attraverso i mille ostacoli del giuoco, e ride con tanto gusto nel vedere Maurizio e Alano sempre perdenti, che i ragazzi non si sono mai divertiti tanto col loro steeple. Soltanto lunedì Francesco, a sua volta, ha una idea e la espone ai suoi fratelli, nel giardino, sotto l'albero grande, dove sono soliti tenere i loro conciliaboli. - Ecco, - spiega - non è necessario che stiamo a casa tutti e tre. Basterà che resti uno di noi.... e propongo che quello faccia tante monellerie da qui a giovedì, che Maria sia obbligata a punirlo privandolo della passeggiata. - I due fratelli sono convinti, una volta di più, che il loro fratello maggiore è proprio un «tipo geniale», come dice Mano. - Bastava pensarci, - dice modestamente Francesco. - Chi di noi? - domanda Maurizio. A questo punto la situazione si complica sempre Maurizio che ha l'abitudine di fare più monellerie degli altri, ma è anche il più piccolo e il beniamino di Maria, e i due più grandi lo sanno. Perchè c' è il caso che Maria gli perdoni tutto per non privarlo del divertimento. - E poi, - aggiunge Francesco - a Maurizio dispiacerà di più di non andare al bosco delle Fate. Per me, invece, fa lo stesso, se rimango in casa. - Anche per me. - Anche per me.... Voglio fare quante più monellerie potrò; - dice Maurizio - ma avevo proprio voglia d'esser buono in questi giorni, ed è molto difficile esser cattivi, quando ce lo dicono.... - Ti occorre qualche ispirazione? - domanda Francesco, serio. - Proprio, - risponde Maurizio, che sdegna l' ironia. - Vuoi che tiriamo a sorte per vedere chi dovrà farsi punire?

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. - Questa è un' idea luminosa, - dice - è la migliore idea che abbiamo avuta. Va' subito a vedere Nicoletta e fatti dire con precisione tutto ciò che ha. - Pochi istanti più tardi, Maria, entrando nella stanza da studio, trova Alano appoggiato sulla tavola, con aria sofferente e gemendo.

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Abbiamo una lunga giornata di tranquillità davanti a noi e ci divertiremo, vedrai. - Come sono contenta, come sono contenta! - esclama Nicoletta saltando dalla gioia e battendo le mani. - Cercherò di farti vedere la casa.... Leonia non si muove mai dalla sua cucina, e credo che sarà facile. - Questo mi farà un gran piacere! - dice la fanciulletta. - Ma lo zio Fil? - Ah, lui non lascia mai la biblioteca! Credo che potremmo entrarvi pian pianino senza che lui se ne accorgesse. - Francesco non può rimanere molto con Nicoletta; teme che Leonia venga a vedere come sta e non vuol far dire d'esser guarito prima del desinare. Torna dunque a mettersi nella sua poltrona, e infatti Leonia non sta molto a venire. - Non è gonfiato? - domanda, parlando del piede malato. - No, Leonia. Guardate! - Com' è naturale, il piede di Francesco è perfettamente normale, ma Leonia, suggestionata, è disposta a trovarlo un po' più grosso dell'altro. - In casa mia, - dice essa - vi guarirebbero, signor Francesco, mettendovi il piede nell'acqua fredda. Volete provare?... - Ma, certo, Francesco vuol provare e con gran docilità si lascia curare da Leonia, che ha la soddisfazione di sentirlo dire, poco dopo, che va molto meglio e che quell'acqua fredda lo ha quasi guarito. - Guardate, Leonia; posso posare il piede in terra. - Allora, non c' è più bisogno del medico! - dice Leonia, rapita. - Ah, Maria mi fa ridere! Per un nonnulla correrebbe dal medico.... Da noi, delle buone tisane, acqua fredda per le enfiagioni.... e si guarisce senza tante spese. I medici, li ha inventati la gente di città. - E Leonia, orgogliosa della sua cura, ritorna ai fornelli, mentre Francesco, lieto di poter considerarsi guarito attribuendone il merito alla cuoca, sale da Nicoletta. Per i due fanciulli è davvero una bella giornata. Dopo il desinare Nicoletta prende la lezione di lettura, nella quale fa molti progressi.

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Al tempo dei tempi

219279
Emma Perodi 5 occorrenze
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Non ti abbiamo dimostrato affetto? Non ti abbiamo fatto del bene? - Sì, sì, sì - rispose Ruggiero. - Siete bellissime, mi avete dimostrato molto affetto che vi contraccambio, mi avete fatto del bene di cui vi sono grato, ma.... - Ma? - ripetettero le sette Fate. - Ma non siete la Reginuccia. Lei, lei sola voglio per isposa. - Le sette Fate divennero a un tratto sette vipere. - Sentitelo, il presuntuoso! Vuole nientemeno che la Reginuccia! Ah! ah! ah! - e tutte e sette gli andarono a rider sul muso, canzonandolo. - Un bel cavaliere non può forse pretendere alla mano di qualsiasi principessa? - domandò il giovane. - Ah! ah! ah! cavaliere perchè ha il cavallo! Leviamoglielo! - E una delle Fate cavò fuori la bacchetta e disse - Comandiamo e vogliamo che il cavallo rompa la cavezza e fugga! - La Fata non aveva appena detto così, che si sentì giù un gran fracasso e poi lo sealpitìo di un cavallo in fuga. - Ah! ah! ah! - fecero le Fate - il cavallo è scappato e il cavaliere non è più cavaliere. E come farà a pretendere alla mano della Reginuccia? - Ruggiero, nel vedersi così schernito, andò su tutte le furie. - Maledette! Maledette, andatevene! - urlava. - Sì, sì, ma prima ti toglieremo quel che ti avevamo regalato, pezzente, - dissero le Fate, e tramutandosi a un tratto in civette gli s'avventarono alla faccia e si misero a strappargli a uno a uno i peli dei baffi e quelli della barba! Ruggiero cercava di difendersi e strillava come un dannato : - Ahi! Ahi! Ahi! - Quando lo ebbero tutto pelato e scorticato che faceva sangue da tutte le parti, lo buttarono in terra e due si misero a storcergli le gambe che gli avevano raddrizzate, due a spingergli le ossa per farlo ritornare piccino, e tre, perchè la fatica era maggiore, a rifargli la gobba e non si contentarono di fargliela di dietro, gliela fecero anche davanti. Poi, così conciato, lo abbandonarono, e volando via dal finestrone se ne andarono per non farsi vedere mai più! Figuratevi la rabbia del gobbo! Figuratevi le esclamazioni della sora Maruzza e della sora Leonora quando entrarono in camera di Ruggiero e lo videro ritornato come prima e anche peggio! Figuratevi i commenti del vicinato! Basta dire che Ruggiero non si alzò più, non si fece più vedere da nessuno e di lì a pochi mesi morì dalla rabbia. Il cortile dove le Fate ballarono si chiama ancora Lu curtigghiu di li sette Fati ed il perchè ve l'ho detto.

. - Monreale è su in cima a un colle, noi abbiamo questa superfluità della gobba e le salite non possiamo farle; danari per pagare una lettiga non ne abbiamo mai avuti, dunque il magnifico duomo non possiamo vederlo, - concludeva o l'una o l'altra delle due donne, e Ruggiero lasciava cadere il discorso e rimaneva immobile a pensare. Ogni sera, quando andava nella sua camerina piccina piccina, stava una mezz'oretta sul terrazzino a guardare nel vicoletto e poi lasciava sempre il finestrone socchiuso con la speranza che fosse venuta la prima Fata per portarlo a veder le maraviglie del mondo, e spengeva il lumino a olio perchè entrasse con più sicurezza. I gobbi riposano poco e Ruggiero stava quasi sempre desto, e se una nottola passava, volando, vicino al finestrone, o un gatto correva sul tetto, faceva un balzo e il cuore gl'incominciava a battere forte forte. Di giorno pensava se la predizione si sarebbe avverata e qualche volta vi prestava fede, e allora era allegro; qualche volta gli pareva impossibile, e allora era tutto cupo e malinconico; ma di notte sperava sempre, sempre aspettava e badava a ripetere: - Anch'io devo avere un giorno o l'altro qualche sollievo, altrimenti la mia vita sarebbe troppo troppo penosa! - Una notte (il giorno seguente ei compiva appunto vent'anni, ma Ruggiero non lo sapeva) il gobbino ansava penosamente seduto sul letto, perchè era un gran caldo e con tutto il finestrone aperto non riusciva a prender fiato. - Poveretto me! - diceva sospirando. - Che bella vita! Tuttì i giovani, belli o brutti, lavorano, ma anche si svagano e almeno mangiano quant'hanno fame e dormono come ghiri. Io, lavorare non posso, di svaghi non c'è neppur da parlarne, la fame non ho memoria d'essermela levata mai, e la notte, invece di dormire, sto qui a far lunari e ad aspettare chi non viene. - Non aveva terminato di pronunziare queste parole, che la sua camera s'illuminò come di giorno e dal finestrone aperto entrarono sette civette con gran starnazzar d'ali. Due si posarono sulla spalliera da capo, due su quella da piedi, due sulle seggiole che erano ai due lati del letto e una proprio sulla mano di Ruggiero. Tutte lo fissavano con i loro occhietti d'oro e quella che gli s'era posata sul pugno e che pareva parlasse per tutte, prese a dire, mentre le altre agitavano le ali per fargli vento: - Perchè credi di aver la bocca? - Per parlare e mangiare. - Allora perchè non te ne sei mai servito? Se lo dicevi prima ti avremmo aiutato; non sai che siamo le tue comari? - Lo so, ma come potevo sapere che mi avreste udito se mi fossi lagnato dalla fame? Le sette civette si guardarono, come per dire che aveva ragione, poi fecero al gobbetto una riverenza e quella che gli s'era posata sul pugno, disse: - Se ti manca la bellezza, e questa non è colpa tua, non ti manca però l'acume, e io vorrei essere pronto di mente come te, piuttosto che sciocco come tanti bellimbusti. Ma se vuoi esser bello, potremo farti sparir la gobba, non senza provar dolore però. - È meglio soffrire una volta sola che sempre come soffro io quando cammino, quando salgo le scale, e soprattutto quando sono a letto e sento il bisogno di dormire, e invece l'asma mi fa soffiar come un mantice. Dunque sono pronto a soffrire per perder la gobba. - Allora, - rispose la civetta - te la faremo sparir subito, perchè correresti rischio di morire per mancanza di fiato, dovendo correr con noi nell'aria. - Le sette civette, a un cenno di quella che parlava, si gettarono sul gobbetto. Una lo prese col becco per la punta del naso, due per le mani, due per i piedi, una per la pelle dello stomaco, un'altra per la pelle del ventre, e dopo averlo sollevato dal letto fino al soffitto, lo lasciaron cadere in terra supino da quell'altezza. - Ohi! ohi! ohi! - urlava il disgraziato. - Per bello apparire, qualche cosa bisogna sofrire! - gli disse per tutta consolazione la civetta. - Ora ti guariremo come non potrebbe guarirti neppure il chirurgo del Re, e a mezzanotte sarai sano e arzillo e ti porteremo a vedere il mondo. - Mi porterete a seppellire! - gemette l'infelice. - Scommetto che non ho più una costola sana. - Oh non si muore per così poco, - rispose la civetta. - Anche se tu avessi la spina dorsale rotta, questo te la guarirebbe. - E nel dir così cavò di sotto l'ala sinistra un barattolino piccino piccino e le altre civette fecero lo stesso. In quel barattolino tuffò una penna che si strappò dall'ala destra e con quella penna, prima la civetta che parlava e poi tutte le altre, unsero la schiena del gobbetto. - Ti duole più? - gli domandò a operazione finita. - No, il dolore è calmato; ma prima che possa dirmi guarito!... - Guarito sei già e la gobba è sparita. Toccati e prova a camminare. - Ruggiero si toccò e sentì che la gobba non ce l'aveva più; si provò a scender dal letto e a camminare, e non soltanto lo fece senza dolore, ma s'accorse che era cresciuto almeno almeno due palmi. - Che bella cosa! M'avete fatto proprio un regalo da comari! - esclamò. - E ora, - disse la civetta che parlava - ora dobbiamo far la festa di ballo. - Dove? - Giù nel cortile. Per cortile è piccolo, ma per sala è grande. - E detto questo volò via e tutte le altre civette fecero lo stesso e di giù si misero a urlare tutte: - Ruggiero, scendi, scendi! S'aspetta te solo e la festa è in tuo onore! - Ruggiero scese e rimase di sasso nel vedere che le sette civette s'erano trasformate in sette donne una più brutta dell'altra, tutte gobbe sdentate, con una bazza lunga lunga, una scuffia sui cernecchi arruffati, e che tutte e sette giravano come trottole, con le gambe a ipsilonne, intorno al cortile illuminato come di giorno. A quel rumore s'erano destate tutte le persone del vicinato, e chi socchiudeva l'uscio, chi il terrazzino per vedere che cosa accadeva. Ma non appena gettavano gli occhi su una delle Fate, si facevano il segno della croce e scappavano a rimpiattarsi sotto le lenzuola. Così non videro che nel girare le sette Fate gobbe avevano messo nel mezzo Ruggiero, e lo facevano girare anche lui, e che Ruggiero non era più gobbo ed era tanto cresciuto. Quanto alla sora Maruzza e alla sora Leonora non sentirono nè il rumore che facevano le sette Fate, nè le loro risate nel veder girare Ruggiero, perchè erano tutte e due sorde, e per di più la notte si fasciavano la testa dalla paura di prender malanni. Gira gira, Ruggiero aveva la lingua fuori e soffiava come un mantice: - Basta, pietà! - balbettava. Ma sì ! Le sette Fate parevano ammattite e non si fermavano. A un tratto però il giovane cadde in terra. Allora tutte lo circondarono e tutte si tolsero la scuffia e con quella gli facevano vento e tutte ripetevano: - Poverino! Poverino! - Aria! Aria! Aria! - balbettava Ruggiero. - E aria sia! - disse quella delle Fate che gli era davanti. A queste parole ella si stese per terra, le braccia le si tramutarono a un tratto in ali enormi, la sottana formò la coda e il corpo le si coprì tutto di penne. In un battibaleno era diventata una civetta. Le sei Fate, non appena la compagna ebbe fatto questo mutamento, sollevarono di peso Ruggiero, glielo misero bocconi sulla schiena e augurandogli il buon viaggio, sparirono. Il cortile tornò buio e silenzioso e i curiosi che s'erano affacciati tornarono a letto. L'immensa civetta volò in alto, nella notte buia,

Noi col Re non abbiamo mai avuto nulla da spartire, e a quest'ora non si viene a molestar la gente; andatevene! - La sorella, sentendo che era un messo del Re, mise le gambe fuori dal letto, s'infilò la sottana e scese per andare ad aprirgli. Risalì col cameriere e questi si guardò intorno e domandò: - Che siete sola? O le altre dove sono? - Ma si può sapere chi cercate? - domandò donna Tura mettendosi le mani sui fianchi e fissandolo con gli occhietti di porco. - In casa ci sono io, e lì in quella stanza c' è la mia sorella Peppa. - Chiamatela, chè debbo parlare con lei. - Donna Tura, lemme lemme andò a chiamarla. Quando il cameriere si vide davanti quelle vecchie orrende, si sgomentò tutto, ma pensò: - Col Re non si scherza, e se lo faccio aspettare e non gli porto nessuno, sale in furia e mi manda certo a morte; se, invece, vede un orrore di donna, è capace di mettersi a ridere e di sgridarmi soltanto; dunque è meglio portargliene una di queste, benché facciano spavento tutt'e due. - Allora il cameriere disse a donna Tura, che era la maggiore: - Il Re vi vuole subito, e il Re non intende di aspettare. Dunque vestitevi per bene e io vi ci accompagno. - Ma il signor Re che può mai volere da me? - Non lo so, e non facciamo chiacchiere inutili. Piuttosto sbrigatevi in un momento. - Donna Tura andò in camera sua tutta tremante e confusa. E mentre si pettinava i cernecchi, pensava: - Ma che vorrà mai il signor Re? Ma che vorrà? - Quand'ebbe terminato di pettinarsi, si mise una sottanuccia nuova di cotone a fiori, un paio di pendenti falsi, un vezzo di vetro, si legò intorno al collo enorme un nastro vecchio, perchè era povera, e si infilò un paio di scarpe, le meglio che avesse. Poi si buttò sulle spalle una certa mantellina dell'anno mai, e così agghindata, che pareva la Befana, si presentò al cameriere. Non appena don Giovannino la vide, si sentì morire e sospirando disse: - Via, andiamo!!! - Scendono le scale, escono e salgono nella carrozza che aveva portato il cameriere e i cavalli partono. Ma avevano fatto pochi passi che donna Tura disse: - Fatemi il favore di far fermare un momento che debbo scendere, - e lo disse con l'intenzione di scappare e non tornar più perchè non aveva coraggio di comparire davanti al Re così brutta e mal vestita. Il cameriere chiama il cocchiere, fa fermare e donna Tura scende e tutta piangente imbocca un vicolo e si mette a correre all'impazzata, ansando come un mantice. Mentre correva così, senza sapere dov'andarsi a nascondere, viene a passare una Fata, che, vedendola tanto disperata, la ferma e le dice: - Figlia, che hai che piangi tanto? - State zitta! Peggior disgrazia non poteva capitarmi. Il Re mi ha mandata a chiamare, e come faccio a presentarmi a lui così brutta e vecchia da far paura? - Figlia mia, non t'affliggere; non sei brutta davvero; anzi, sei tanto bella, - e le passò la mano sulla testa, sul viso, sulle spalle e poi se ne andò. Bastò quella carezza della Fata perchè a un tratto da brutta si facesse bella, da vizza si facesse fresca. E come cambiò lei, così cambiò tutto quello che aveva addosso: il vestito si convertì in un abito sontuoso di broccato, i pendenti falsi in orecchini di diamanti, il vezzo di vetro in un magnifico vezzo di perle e quel mantellaccio dell'anno mai in un sontuoso mantello tutto foderato d'ermellino. Donna Tura, quando si vide così ben vestita da parere una principessa, smise a un tratto di piangere, si fece tutt'allegra e tornò addietro a cercare la carrozza. Figuriamoci come restasse il cameriere nel vedere quella bella ragazza che gli faceva cenno di aprir lo sportello! - Ma chi è lei? - le domandò. - Chi sono? Ma quella di poco fa. - Ma come mai in un momento è così cambiata? - Questo non deve importarvi; aprite e andiamo dal Re! - Il cameriere si sentì allargare il cuore di condurre al Re quella bella cameriera vestita come una gran signora e dette ordine al cocchiere di sferzare i cavalli. Arrivarono al Palazzo e don Giovanni per una porticina e per una scala di servizio, condusse donna Tura in un salottino privato del Re e le disse d'aspettare. Quando il Re entrò la squadrò da capo a piedi. - E lei chi è? - le domandò. Donna Tura fece una bella riverenza e rispose con una vocina tutta latte e miele: - Maestà, sono la nuova cameriera portata da don Giovanni. - Badi, - le rispose il Re che vedendola così bella e ben vestita non s'attentava a darle del voi come alle altre - io sono molto esagerato per la pulizia. - Per questo, - rispose donna Tura - Vostra Maestà può stare tranquilla, perchè io sono veramente sofistica e non posso tollerare nè macchie, nè polvere e non mi piace altro che l'acqua. Guardi le mie mani, come sono pulite, e le unghie? Così le tengo sempre anche quando faccio il servizio. - Il Re s'accostò per guardarle le mani e sentì che la cameriera era tutta profumata. - Bene! Bene! - esclamò. - Lei è proprio la cameriera che fa per me, e lei sola pulirà i miei abiti, avrà cura della mia biancheria e delle mie stanze particolari. Se mi contenta, non dubiti che la pagherò bene e alla mia Corte potrà invecchiare. - Donna Tura fece un'altra bella riverenza e uscì per farsi indicare dal cameriere quel che doveva fare. Ora lasciamola e torniamo all'altra sorella. Donna Peppa, il giorno dopo, aspetta aspetta, e non vedendo tornare la sorella, si veste e va al Palazzo del Re a cercarla, e là giunta la fa chiamare. Donna Tura le va incontro tutta impettita e la guarda d'alto in basso come se neppure la conoscesse, perchè era brutta e vestita male e, senza neppur lasciarla parlare, le mette in mano un'elemosina e le dice: - Buona donna, eccovi una moneta, andate in pace! - Donna Peppa se ne andò, brontolando e sputando veleno, e si fece anche più gialla e più secca dalla grande invidia che la rodeva. - Come, siamo cresciute insieme, siamo invecchiate insieme, siamo sorelle e mi tratta così? -

- Più poveretta assai di me, perchè rimase vedova con quattro piccine e per isfamarle s'è logorata le braccia e tutti noi qui le abbiamo fatto la carità. - E ora? - Comare Momina si strinse nelle spalle. - Che volete che vi dica, comare mia, la fortuna le è venuta tutt'a un tratto. Ora è una signora, sta in un bel palazzo, e le sue quattro figlie marciano con abiti di seta. Mistero! Mistero! - La signora aveva inteso abbastanza. Fece cenno alla cameriera di salutare la comare e tutte e due se ne andarono: Vincenza tutta lieta, la signora con un diavolo per capello. Arrivò a casa di corsa e tutta trafelata andò dal figlio e gli disse: - Quella ragazza tu non la sposerai, se la madre non confessa come da pezzente è divenuta signora! - Il povero Cavaliere si sentì morire. Egli non voleva dire che i quattrini a donna Paola glieli aveva dati lui, e a Maricchia non voleva rinunziare. - Perchè prestate orecchio alle calunnie? - Non sono calunnie; è la verità che un mese addietro donna Paola stava in una catapecchia ed era una pezzente, dunque? - Avrà rivendicato qualche eredità! - Ma che eredità, se è figlia di poveri, se il marito era facchino del porto, se.... - La signora soffocava dalla rabbia all'idea che suo figlio potesse imparentarsi con certa gente. - Io sposerò Maricchia anche figlia di facchino, anche povera! - disse. In quel mentre capitò il padre, che aveva udito il diverbio, e quando fu informato del motivo di esso, dichiarò anche lui che non voleva assolutamente che si facesse il matrimonio, anzi ordinò al figlio di prepararsi a partire per Palermo ove aveva un vecchio zio, e gli promise che la moglie l'avrebbe trovata più bella di Maricchia e certo di miglior condizione, e senza dargli tempo d'avvertirla, lo fece imbarcare su una nave già pronta e lo spedì via. Torniamo a Maricchia. Aspetta aspetta il Cavaliere, il Cavaliere non si vedeva e Maricchia era nelle smanie. Passa un giorno, ne passano due, ne passano tre, finalmente Maricchia manda la cameriera al palazzo del promesso sposo a prender notizie, e la cameriera fa l'ambasciata a donna Vincenza. - Mi manda la signorina Maricchia a prendere notizie del suo promesso sposo, lo riverisce e gli fa dire che aspetta con impazienza una sua visita. - Risponde donna Vincenza trionfante: - Dite a Maricchia, figlia di Totò il facchino del porto, che il Cavaliere è andato a Palermo a sposare una signora pari suo e che tornerà soltanto con la moglie. -

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