Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Giovanna la nonna del corsaro nero

204881
Metz, Vittorio 13 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Mentre Raul e il capitano Squacqueras si avvicinano alla buia sagoma del tempio incas che si stagliava contro il cielo illuminato da una mezza luna, poiché come autori e lettori abbiamo il privilegio di essere invisibili agli occhi dei protagonisti dei romanzi, approfittiamone per penetrare nel tempio senza pericolo di ricevere una botta in testa all'improvviso. Già, perché il tempio del dio Quetzatlcoal (che razza di nomi vanno a trovare in America per i loro antichi dei! Viva la faccia dei nostri antenati antichi romani che chiamavano i loro Giove, Minerva, Giunone, Apollo o Venere e non con dei nomi che sembrano un refuso tipografico), il tempio del dio ecc, ecc. (non abbiamo nessuna voglia di tornare indietro a vedere come diavolo lo abbiamo scritto) era abitato. Infatti nell'interno del tempio, davanti ad una statua riproducente ancora una volta il serpente piumato, un gruppo di incas seguiva attentamente le manovre di un signore in abito sacerdotale che sopra un altare di pietra si stava preparando a tagliare il collo ad un tacchino. E seguivano i suoi movimenti con grande attenzione non perché temessero che si mangiasse il gallinaccio tutto lui, ma perché l'uccisione di quel volatile costituiva una cerimonia sacra, in sostituzione dell'abituale sacrificio umano in uso fra quelle antiche popolazioni, dato che nessuno degli incas presenti, maschi o femmine, si era offerto gentilmente per farsi tagliare la gola dal coltello di pietra del sacerdote. E c'è da capirli perché ormai gli incas, quasi completamente distrutti dagli spagnoli, erano rimasti in pochissimi e alla pelle ci tenevano estremamente se non altro per la continuazione della stirpe. Il gran sacerdote, tagliato il collo al tacchino nonostante le vive proteste del povero gallinaceo, aveva appena incominciato a spennarlo con una velocità che denotava in lui una grande pratica in questo genere di esercizio, quando arrivò di corsa una fanciulla vestita da sacerdotessa. "Gran sacerdote," annunciò "due stranieri vestiti da ufficiali spagnoli stanno attraversando la città morta, venendo verso il tempio..." Veramente non disse proprio così, ma emise soltanto una serie di suoni gutturali che avevano appunto questo significato. E noi approfittiamo ancora una volta della nostra facoltà di scrittori di tradurre tutte le lingue vive o morte di questo mondo, per fingere di aver capito tutto e riferirlo al lettore. "Maledetti!" esclamò il gran sacerdote serrando le pugna. "Non sono ancora sazi d'oro!" "Credi che essi sappiano che nei sotterranei del nostro tempio è nascosto il favoloso tesoro che i nostri padri hanno trasportato qui dal lontano Perù "Gran sacerdote," annunciò "due stranieri vestiti da ufficiali..." per sottrarlo all'avidità dei conquistadores?" "Questo no!" rispose il gran sacerdote."Comunque potrebbero trovarlo se si mettessero a frugare nel tempio..." "Bisognerebbe impedir loro di entrare" suggerì la sacerdotessa. "Ahimè, gli spagnoli hanno armi d'acciaio, mentre le nostre o sono di legno-ferro, o sono d'oro che è un metallo tenero... È per questo che i nostri padri comandati dal povero Montezuma sono stati sconfitti da quel maledetto Pizzarro... No, no, lasciamoli entrare..." "Per ucciderli nel sonno?" domandò la sacerdotessa con un lampo crudele negli occhi. "Non occorre ucciderli" rispose il sacerdote mentre una scintilla di malizia si accendeva nei suoi occhi. "Li spaventeremo a tal punto che non soltanto fuggiranno via da questo luogo, ma riferiranno agli altri spagnoli che in questo tempio ci sono gli spiriti maligni... Così nessuno verrà ad importunarci e il favoloso tesoro degli incas sarà al sicuro... Andiamo, ragazzi!" Fece per avviarsi verso una porta che conduceva nei sotterranei, quando ci ripensò e tornato verso l'altare acciuffò il tacchino, esclamando: "E questo jelo lasciavo qui? Ma che sso'matto? Questo me lo pappo io, me lo pappo!" E uscì seguito dagli altri. Non vi meravigliate se l'ultima battuta il sacerdote l'ha pronunciata in dialetto romanesco, ma sembra che gli antichi incas lo parlassero correntemente. Infatti, una volta, visitando Cinecittà, abbiamo sentito un gran sacerdote incas parlare con perfetto accento trasteverino, senza che il regista lo riprendesse minimamente. Gli incas erano appena scomparsi oltre la porta, che dall'ingresso del tempio entrò Raul il quale, convinto che il capitano Squacqueras fosse dietro di lui, stava parlando da solo come uno scemo. "Avevo ragione... Si tratta proprio di un tempio incaico... Guardate quel mostro felino-gorgonico in ceramica colorata... È simile a quelli che ho veduto in un mio recente viaggio nel Perù meridionale... E guardate quel sole che rappresenta il totem degli incas, come il puma rappresentava quello dei chanca e lo smeraldo dei manta..." Poiché il capitano non gli rispondeva, Raul si voltò e non vedendo nessuno si mise a chiamare in tono irritato: "Capitano Squacqueras! Capitano!" Il capitano Squacqueras fece prudentemente capolino dalla porta principale del tempio. "Cosa c'è?" domandò cautamente. "Perché non venite avanti?" gli domandò Raul. "Sto indietro" rispose il capitano Squacqueras "per guardarvi meglio le spalle..." "Non ce n'è bisogno!" lo rimbeccò Raul. "Il tempio è deserto... E, come vi stavo dicendo, si tratta proprio di un tempio degli antichi incas." Indicò la statua del dio. "Infatti" continuò "vedete? È dedicato a Quetzaticoal, dio dell'aria..." Poiché il capitano che era venuto un po'in avanti, approfittando del fatto che Raul si era voltato per indicargli l'idolo, stava cercando di riguadagnare la porta, Raul lo richiamò indietro. "Be', e adesso dove andate?" "Visto che il tempio è dedicato al dio dell'aria, vado a prendere una boccata d'aria" rispose il capitano Squacqueras. "Tanto per gradire i prodotti del luogo, no?" "Non vorrete farmi credere, spero, che avete paura di qualche idolo di pietra..." disse Raul disgustato. "Non possono farvi alcun male..." "Fate che vi cadano sopra un piede e poi vedrete se fanno male o no!" "Comunque," disse Raul "noi ci accampiamo qui..." Rabbrividì leggermente. "Però" osservò "fa freddo... Bisognerebbe accendere un bel fuoco..." Vide della legna accatastata in un angolo, presso l'altare del sacrificio. "Oh!" esclamò. "Qui c'è della legna... Aiutatemi a raccoglierla e a farne un bel mucchio, qui..." Mentre il capitano Squacqueras lo aiutava nella bisogna, Raul si guardò intorno. "Ecco, così!" disse, smettendo di accatastare la legna... "E adesso, andiamo a vedere se riusciamo a trovare qualche cosa da mangiare..." Fece per avviarsi verso la porta interna dalla quale poco prima erano usciti gli incas. Il capitano che, evidentemente, non aveva nessuna voglia di addentrarsi ancora di più nei bui meandri del tempio, tentò di tergiversare. "In un tempio abbandonato?" obiettò. "E che cosa si può trovare da mangiare in un tempio abbandonato? Soltanto qualche colonna... E io, a dire la verità, le colonne le trovo un po'pesanti..." "Qualche tacchino selvatico potrebbe aver fatto il suo nido qua dentro, quindi ci potrebbero essere delle uova" disse Raul. "Oppure ci potrebbe essere ancora del mais..." "Mais? Mais mangiato mais in vita mia!" "Il mais è il granoturco... E il granoturco si conserva a lungo... Chi ha abbandonato questo tempio potrebbe averne lasciate delle provviste..." gli espose pazientemente Raul."Il granoturco si può macinare e farne della polenta..." "Polenta? Molto bene!" esclamò il capitano Squacqueras."La polenta non mi dispiace, soprattutto se è un po' lenta... Sì, la polenta un po' lenta, mi piace... Vamos!" I due scomparvero oltre la porta interna mentre dall'ingresso entravano l'uno dietro l'altro Giovanna con la spada snudata, il maggiordomo Battista, Nicolino e Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. "Qui non c'è nessuno..." disse Giovanna, parlando a bassa voce. "E allora è meglio che non ci stiamo nemmeno noi..." disse Nicolino, che non aveva meno paura di quel luogo del capitano Squacqueras. "Andiamocene!" "Ma allora" domandò Giovanna a Battista" i nostri guerrieri indiani dove diavolo si sono cacciati?" "Mi sia consentito il dire" disse Battista" che forse, spaventati alla vista delle rovine di questa città morta che molto probabilmente essi credono abitate dagli spiriti maligni, se la siano, mi si permetta la parola, squagliata..." "Pensare che sembravano così contenti di seguirci a Maracaibo per prendere d'assalto la città" esclamò Giovanna. "Comunque è stata una fortuna trovare questo tempio abbandonato sulla nostra strada... Siamo al coperto e potremo riposare in santa pace..." "Eh, giusto in santa pace" balbettò Nicolino. "Qui mi sembra di essere in un ci... ci... ci... ci..." Spaventato dal suono della sua stessa voce, Nicolino sobbalzò, gridando: "Mamma mia, la civetta!" "Ma no" lo rassicurò Jolanda. "Siete voi che balbettate!" "Ah, già è vero" disse Nicolino un po' rassicurato, ma non troppo. "Dicevo che mi sembra di stare in un cimitero qui, con tutte queste statue... Perché non ce ne andiamo?" "Se la nonna ha deciso che dobbiamo rimanere qui, è qui che bisogna fermarci" disse Jolanda. "Del resto" disse il maggiordomo "ti faccio osservare che è per colpa tua che abbiamo sbagliato strada..." "Colpa mia?" "Certamente... Tu che sei o per lo meno dovresti essere un vecchio lupo di mare ci avevi detto che per andare a nord bastava seguire la stella Venere..." "Come, Venere?" disse Nicolino. "Io ho detto la stella po... polare..." "E la stella popolare, quella nota a tutti, non è forse Venere, conosciuta anche come Vespero e Lucifero?" "Ma io" tentò di giustificarsi Nicolino "non volevo dire popolare, volevo dire po... polare..." "Appunto, Venere!" "Forse lui voleva dire la stella polare..." intervenne Jolanda. "È vero, nostromo?" Nicolino annuì vivacemente col capo. "Ecco, sì!" esclamò. "Ci mancava solo questo!" sbuffò il maggiordomo. "Possibile che devi balbettare sempre?" "Non sempre... So... solamente quando pa... parlo..." "E allora parla il meno che sia possibile!" lo ammonì Giovanna."E quando lo fai, cerca di non balbettare..." Quindi il maggiordomo, voltate le spalle al mortificato nostromo, si rivolse a Giovanna indicando il mucchio di legna fatto da Raul e dal capitano. "Signora contessa," disse "vedo che qui c'è della legna... Posso accendere il fuoco? Servirà per tenere lontane le belve..." "Certo, Battista, grazie... Tanto più che ho un po'di freddo..." Mentre Battista batteva l'acciarino per accendere il fuoco, Giovanna continuò: "E anche un po'd'appetito..." Battista smise di soffiare sulla piccola fiamma che cominciava a levarsi, crepitando, dal mucchio di legna e si alzò in piedi. "Provvedo subito, signora contessa... Spero di poter trovare tanto da riuscire ad improvvisare una piccola cena..." Nicolino, ancora mortificato per il rimprovero che gli avevano mosso poco prima i suoi compagni, intervenne timidamente: "Fuori," disse "ho visto delle piante cariche di comeri e poni..." Il maggiordomo, stupito, aggrottò le sopracciglia. "Comeri e poni?" ripeté. "Strano... Non ho mai sentito nominare dei frutti simili..." "Eppure ci sono" insistette Nicolino. "Li ho visti io... Comeri e poni..." "Non so proprio che cosa siano" disse il maggiordomo. 6. Giovanna "A meno che tu non voglia dire cocomeri e poponi..." Nicolino annuì con la testa, felice di essere stato capito. "Eh, sì!" esclamò. "Proprio quelli!" "E perché, allora, hai detto comeri e poni?" "Eh, già!" disse ingenuamente Nicolino. "Se dicevo cocomeri e poponi la contessa mi strillava perché non vuole che balbetti!" "Quosque tandem, Nicolino, abutere patientia nostra?" proferì gravemente Battista, alzando gli occhi al cielo. Quindi, rivolto alla vecchia: "Col suo permesso, vado a vedere, signora contessa..." "Vengo con voi, Battista" disse Giovanna."Vieni anche tu, Jolanda..." "E a me, mi lasciate solo?" balbettò Nicolino spaventato. "Vengo anch'io con voi!" I quattro uscirono all'esterno, mentre dalla porta che conduceva nei sotterranei entravano il giovane Raul e il capitano Squacqueras che trovarono il tempio vuoto. Essi portavano in due una specie di grosso paiolo di rame pieno d'acqua e delle uova di tacchina. "Avete visto, capitano?" disse Raul. "Un po'di uova le abbiamo trovate... Adesso..." Si interruppe vedendo il capitano che fissava il fuoco acceso con espressione spaventata. "Che c'è?" gli domandò. Poi avvedendosene anche lui: "To', il fuoco si è acceso da solo!" Il capitano Squacqueras si riscosse dal suo stupore e si avviò a passo svelto verso l'ingresso del tempio. "Proprio così, mio giovane amico" disse. "Io torno subito..." "Ma no, venite qui, capitano... Forse il fuoco lo avrò acceso io senza avvedermene..." "Me ne sarei accorto io, giovanotto... Quando vedo accendere un fuoco ci sto molto attento perché penso che ci sia qualcosa da mangiare..." "E allora," domandò Raul "come spiegate questa faccenda?" "È chiarissimo, giovanotto, chiarissimo..." E il capitano pronunciò rapidamente uno dei suoi soliti sillogismi: "Il fuoco si è acceso, acceso è il tramonto, il tramonto avviene al calar del sole, il sole illumina il nostro pianeta, il pianeta è della fortuna, la fortuna arride agli audaci, gli audaci non hanno paura di nulla, di nulla sono fatti gli spiriti, ergo: il fuoco è stato acceso dagli spiriti..." "Ma no, si tratterà di un caso di combustione spontanea... Approfittiamo che il fuoco è acceso per far cuocere queste uova..." Raul aiutato dal capitano collocò la pentola sul fuoco e ci mise dentro le uova. "Ecco fatto" disse. "E adesso torniamocene nei sotterranei..." "A che fare?" domandò il capitano. "Non mi piace andare sottoterra..." "Non piace a nessuno, ma dove sono le uova ci potrebbe essere anche la tacchina selvatica che le ha fatte..." "Le tacchine sono un po' piccole per il mio appetito" disse il capitano. "Ma le uova sono di tacchina, cosa sperate di poter trovare di diverso?" "Fra le tacchine ci può essere sempre qualche taccona" osservò il capitano. "Andiamo a vedere..." I due erano appena usciti per la porta che conduceva nei sotterranei, quando da quella che comunicava con la foresta vergine, rientrarono Giovanna con i suoi compagni. Mentre Nicolino aveva le braccia cariche di grossi frutti, Battista teneva una sorta di lucertolone per la coda. "Non sapevo che i cocomeri e i poponi crescessero in America" stava dicendo Jolanda. "Effettivamente" rispose Battista "il cocomero, il cui nome scientifico è Cucurbita citrullus, è una specie originaria dell'Africa meridionale, ma questi, che gli spagnoli chiamano angurie, crescono qui e il loro nome latino è Cucumis anguria... In quanto a questo altro frutto che il nostro Nicolino ha chiamato popone non avendo potuto, nel buio della foresta, vedere altro che le sue dimensioni e il suo colore arancione, si tratta effettivamente dell'ananas che rassomiglia più ad una pigna, come potete costatare, che ad un melone, tanto che gli spagnoli lo chiamano appunto piña." "Ma," domandò Nicolino "si mangia? Si mangia?" "Carlo V a cui fu portato dai primi esploratori del continente americano ne diffidò e non volle nemmeno assaggiarlo, ma Cristoforo Colombo, che ne mangiò, lo trovò squisito..." "Come fate a saperlo?" domandò Giovanna. "Cristoforo Colombo non ne ha fatto alcun cenno nei suoi diari..." "È una cosa di cui si parlava spesso nella nostra famiglia..." rispose Battista. "E come mai se ne parlava?" domandò Jolanda. "Cristoforo Colombo" dichiarò Battista con semplicità "era mio zio!" "Vostro zio!" esclamò Jolanda ammirata."Allora voi sareste..." "Don Battista Cristóbal Colón, duca del Cipango, grande ammiraglio per diritto ereditario dell'Oceano e cavaliere di Speron d'Oro..." "E vi siete ridotto a fare il cameriere!" "Come tutti sanno mio zio morì in miseria a Valladolid" disse Battista. "E poi facendo il cameriere ho scoperto anch'io un nuovo mondo: quello dell'umiltà e della rassegnazione!" "Nobile cuore!" esclamò Jolanda commossa. "Be'" disse Battista riscuotendosi. "Cambiamo discorso... È stata una vera fortuna che la signora contessa abbia potuto uccidere con un colpo di spada quest'iguana..." "Eh, sì," disse Nicolino "poteva morderci..." "Ma no!" esclamò il maggiordomo. "È stata una fortuna perché l'iguana è squisito..." "Co... come?" balbettò Nicolino. "Vorreste mangiare questo lucertolone schifoso?" "La sua carne è molto apprezzata dagli indios bravos" interloquì Giovanna. "Essi dicono che essa, quando sia lessata, ricordi quella del pollo..." "Bisogna vedere di che razza di pollo si tratta" disse Nicolino. "Può darsi che intendano parlare del pollo andato a male... Mangiano spesso la carne marcia quelli lì!" "Comunque, possiamo provare" propose Battista. "Peccato che non ci sia una pentola per farlo lesso... Be', adesso che succede?" domandò vedendo che Nicolino con gli occhi sbarrati stava guardando verso il fuoco. "C'è la pentola, c'è!" esclamò Nicolino. "Eccola lì..." Giovanna si avvicinò e guardò nel paiolo. "È vero," disse"e dentro ci sono delle uova... Chi può averle messe a bollire?" "Io dico che sono gli spiriti..." esclamò Nicolino. "Macché!" rispose Giovanna."Sarà stato qualche viandante. In fondo quello con cui incomincia questo romanzo, non si sa dove sia andato a finire..." "Mi sia consentito il dire" suggerì Battista "che forse quel viandante spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni potrebbe essere arrivato benissimo fin qui... E che forse si sta aggirando nei pressi in cerca di qualcosa da mangiare anche lui..." "Andiamo a vedere" disse con improvvisa decisione Giovanna. "Sono curiosa di conoscere finalmente uno di questi misteriosi viandanti... Intanto quest'acqua che bolle è proprio quello che ci vuole per cuocere l'iguana... Buttatelo dentro, Battista, e andiamo a fare il giro del tempio..." Il maggiordomo obbedì e Giovanna con Jolanda si avviò verso l'uscita, Anche il maggiordomo, sistemato l'iguana nella pentola, fece per andarsene, ma Nicolino gli si appiccicò alle costole. "Un momento," supplicò "non mi lasciare qui solo..." E uscì insieme a lui sulle piste di Giovanna. Immediatamente, dalla porta che conduceva nei sotterranei entrarono Raul e il capitano. Raul aveva in mano la grossa tacchina che abbiamo già visto maneggiare dal gran sacerdote degli incas. Costui, molto probabilmente, nel sentire avvicinarsi i due, si era nascosto abbandonando la tacchina spennata dove si trovava. "Che cosa vi avevo detto?" stava dicendo Raul. "Che ci doveva essere per forza qualche tacchina da queste parti... Però, non capisco come mai sia già morta e spennata..." "Forse," opinò il capitano, allegramente, "avvilita di essere diventata completamente calva si è suicidata..." Raul lo guardò con sorpresa: "Come?" esclamò. "Non avete più paura come poco fa? Non pensate più che possa essere stato qualche spirito?" "La carne fa quasi sempre dimenticare lo spirito" sentenziò il capitano Squacqueras. "Date qua, che la metto a bollire..." Tolse la tacchina dalle mani di Raul e stava per immergerla nella pentola, quando, nel guardarci dentro, sbarrò gli occhi farfugliando: "Oh, sant'Ambrogio! Aiuto!" "Che c'è?" domandò Raul avvicinandosi... Il capitano indicò a Raul l'iguana la cui testa mostruosa sporgeva dalla pentola e sembrava lo stesse fissando con i suoi occhi bianchi che erano schizzati fuori dalle orbite. "Un drago!" strillò il capitano con tutto il fiato che aveva in corpo."Un mostro che mi guarda!" "Ma no!" esclamò Raul. "È soltanto un innocuo iguana... È inoffensivo da vivo, figuriamoci così, mezzo cotto!" "E che cosa sta facendo là dentro? Il bagnetto?" "Sarà caduto nella pentola dal soffitto del tempio che è tutto rotto... Ce ne potrebbe cadere qualcuno in testa... Facciamo una bella cosa, capitano: andiamo di là, dove c'è il tetto sano..." Il capitano Squacqueras indicò le angurie e gli ananas. "Un drago!" strillò il capitano... "Qui ci sono anche delle frutta che prima non c'erano..." "Forse erano cresciute sul tetto e l'iguana, cadendo, se le è trascinate dietro... Comunque, siano le benvenute anche loro... Prendete su tutto e andiamo di là..." I due raccolsero le frutta e impugnarono la marmitta, il capitano per un manico, Raul per l'altro, ed uscirono dalla porta che conduceva nei sotterranei. Provenienti dall'esterno entrarono gli altri quattro. "Macché!" stava dicendo Giovanna. "Fuori non c'è nessuno..." "Si vede che quel viandante, spintovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni, è andato a finire in bocca a qualche giaguaro, signora contessa..." suggerì Battista. "La pepé!" disse Nicolino. "Cosa stai dicendo?" gli domandò Battista, guardandolo malamente. "La mammà!" farfugliò ancora Nicolino. "Il papà..." "Ma che diavolo dici?" gli dette sulla voce Battista. "La pe... pentola!" riuscì finalmente a spiccicare Nicolino."La ma... marmitta... Il pa... paiolo! Non c'è più... È sparito!" "E allora" concluse Giovanna "non c'è niente da fare, vuol dire che nel tempio c'è gente..." "Potrebbero essere il Corsaro Blu e il Doppio Barbanera Illustrato" esclamò Jolanda con la voce piena di speranza. "Sono scomparsi così misteriosamente dal villaggio indiano, quella sera!" "La pepé!" disse Nicolino. "Macché!" esclamò Giovanna. "Debbono essere morti, divorati dalle fiere..." "Spero di no, nonna!" disse Jolanda. "Se sono mo... morti è peggio" balbettò Nicolino "perché potrebbero essere i loro fantasmi..." "La cosa migliore da fare" decise Giovanna "è di cercarli dappertutto... Facciamo una cosa: dividiamoci... Io e Jolanda andiamo di qua," e così dicendo indicava una specie di cunicolo che scendeva a mezzo di una scala di pietra verso il basso, "Battista va ancora a vedere fuori..." "E io?" domandò Nicolino. "Voi restate qua" ordinò Giovanna. "E ci resto di sicuro se mi lasciate qui solo... Ci resto secco..." "Non fate lo sciocco, nostromo... Dovete restare qui per bloccare l'uscita del tempio..." E Giovanna, senza più curarsi del nostromo Nicolino, cominciò a scendere la scala, mentre Battista usciva all'esterno del tempio. Nicolino cadde a sedere su una pietra asciugandosi il sudore. "Oh, mamma mia!" gemeva piano piano. "Oh, mamma mia bella... Povero me!" Era così intento a compiangersi da non avvedersi che alle sue spalle una grossa pietra stava girando su dei cardini invisibili scoprendo un passaggio segreto nel cui vano apparve una figura gigantesca alta per lo meno due metri e mezzo, ricoperta da un lungo mantello intessuto di piume e con la testa di serpente. Accanto all'orripilante figura era la sacerdotessa che sussurrò: "È solo..." "Vado" disse l'orripilante figura che parlava con la voce del gran sacerdote avanzando verso Nicolino. Con un lungo stelo che aveva in mano prese a vellicare l'orecchio di Nicolino che, credendo si trattasse di un insetto, lo scostò con un gesto della mano borbottando: "È pure pieno di zanzare, qui... Però, almeno le zanzare sono vive... Volano, ronzano, ti succhiano il sangue..." Ci ripensò... "Ti succhiano il san..." ripeté "e se si trattasse di un vampiro?" Nicolino, terrorizzato, si voltò piano piano e si trovò davanti, improvvisamente, quella specie di spettro. Aprì la bocca per gridare ma nessun suono usciva dalla sua strozza. "A... a... a..." riuscì soltanto a dire dopo un enorme sforzo. "Maledetti sacrileghi!" tuonò invece la strana figura con voce sepolcrale. «Abbandonate subito questo tempio che avete profanato e lasciate dormire in pace le anime dei nostri morti!" Così detto si voltò e se ne andò maestosamente per dove era venuto. Nicolino avrebbe voluto gridare, ma se riuscì finalmente a dire "Aiuto" lo disse così sottovoce che non si sentiva affatto. "A... a... aiuto!" sussurrò. Finalmente, non riuscendo proprio a gridare, afferrò il suo fischietto da nostromo che gli pendeva dal collo e portatolo alle labbra ne trasse due o tre sibili tremolanti. Il maggiordomo Battista arrivò di corsa. "Ma che succede?" gli domandò. "Cosa credi di essere a bordo della Tonante?" "Un fa... fa... fa..." mugolò Nicolino. "Un fagiano?" "No, un fa... fa... fa..." "Un falco?" Nicolino fece disperati cenni di diniego. "Un fa... fa... fantasma!" esplose finalmente. «Ma fammi il piacere!" scattò Battista. "Avrai avuto un'allucinazione..." "Non ho avuto un'allucinazione, ho avuto una paura tre... tre... tre..." Poiché non riusciva a vincere l'impuntatura, Nicolino muoveva vivacemente la mano in su e in giù come se stesse giocando alla morra. Il maggiordomo, lì per lì, distratto, lo assecondò: "Quattro!" gridò alzando ed abbassando la mano a sua volta ed aprendo ora uno, ora due, ora tre dita. "Due, due, tutta!" Si riprese e si guardò intorno. "Che cosa mi fai fare, imbecille!" scattò. "Se mi avesse visto la signora contessa! Perché vuoi giocare alla morra?" "Non volevo giocare alla morra" si giustificò Nicolino. "Volevo dire che non ho avuto un'allucinazione, ho avuto una paura tremenda!" "Appunto, un'allucinazione causata dalla paura! Comunque, se hai tanta paura di stare solo, vieni con me ad esplorare l'esterno del tempio..." "Ecco, è meglio... Tutto quello che vuoi, basta che non mi lasci qui solo..." "Andiamo... E smettila di battere i denti!" "Non sono io che batto i denti, sono loro che non vogliono stare fermi... Andiamo..." I due uscirono. Quasi immediatamente entrarono Raul e il capitano Squacqueras. "E ora che abbiamo mangiato," disse Raul "direi che ci potremmo mettere a dormire..." "Ottima idea, giovanotto... Chi dorme non piglia pesci e a me il pesce non piace... Dove ci mettiamo?" Raul si avvicinò all'ara dei sacrifici che indicò al capitano. "Io direi di metterci qui" consigliò. Il capitano si avvicinò all'ara e ne saggiò la pietra con la punta delle dita come se si trattasse di un letto. "Qui? Molto bene... Per quanto il materasso sia piuttosto duretto, eh?" "Sono stanco morto" disse Raul sbadigliando. "Credo proprio che dormirò come un sasso..." "Appunto... Niente di più adatto, allora, di un letto di pietra..." Il capitano così dicendo si distese sull'ara e Raul fece altrettanto, accomodandosi accanto a lui. "Buonanotte" disse. "Speriamo bene" disse il capitano. "E voi cercate di non sognare Jolanda, la figlia del Corsaro Nero... Buonanotte..." Pochi istanti dopo dormivano saporitamente tutti e due. Ma, nonostante la raccomandazione fattagli dal capitano Squacqueras, molto probabilmente Raul dovette vedere in sogno la dolce figura di Jolanda, perché, ad un certo punto, cominciò ad agitarsi sul suo letto di pietra, chiamando nel sonno: "Jolanda! Jolanda!" Jolanda stava risalendo dai sotterranei, mentre dalla porta del tempio rientravano Nicolino e Battista. "Mi è sembrato di aver sentito chiamare il mio nome" disse "da una voce d'uomo..." "Mi sia consentito il dire che la cosa è impossibile, contessina" le fece rispettosamente osservare il maggiordomo. "Io e Nicolino eravamo fuori e non vi abbiamo chiamato... In quanto alla voce della signora contessa, nonostante i suoi toni baritonali, non si può dire che sia una voce d'uomo..." "Eppure," disse Jolanda, pensosamente "mi sembrava la voce di quel giovane... Sì, del Corsaro Blu..." "E allora," piagnucolò Nicolino "avevo ragione io... Quello è morto e adesso il suo fantasma vaga per la foresta in cerca di pace..." "Dio non voglia!" esclamò Jolanda, turbata. "Piuttosto, dov'è la nonna? I sotterranei di questo tempio costituiscono una specie di labirinto e l'ho perduta... Sentite, prendete un ramo acceso da quel fuoco e andiamo a vedere..." "Sì, signorina, è meglio" approvò il nostromo Nicolino. "Non so com'è ma con la signora mi sento più sicuro... Lei non ha paura di niente, beata lei!" Nicolino si avvicinò al fuoco e ne tolse un ramo che sollevò in aria servendosene come di una torcia. I bagliori della fiamma illuminarono Raul che disteso sull'ara con le braccia incrociate sul petto sembrava un morto. Non ci volle di più per paralizzare completamente Nicolino. "Il fantasma del Corsaro Blu!" farfugliò. Vide il capitano Squacqueras disteso accanto a Raul. "C'è anche il Doppio Barbanera Illustrato!" gridò. Risvegliati dagli urli di Nicolino, il capitano Squacqueras e Raul balzarono a terra, pensando all'attacco di qualche nemico. Raul rimase di stucco nel trovarsi davanti Nicolino. «Ma voi... Che cosa fate qua?" "Pietà, signor fantasma!" gridò Nicolino cadendo in ginocchio e tendendo le mani supplici verso il giovanotto... "Macché fantasma d'Egitto!" esclamò Raul. "Io sono vivo!" Jolanda non riuscì a trattenere la propria gioia. "Vivo!" esclamò. Raul si voltò dalla parte di Jolanda e nel vederla lanciò un grido di contentezza. "Jolanda!" esclamò. "Anche voi siete qua!" Poiché il giovanotto le si era avvicinato quasi per abbracciarla, Jolanda si trasse indietro e abbassando pudica gli occhi: "Sì, e c'è anche la nonna..." "Ci ritroviamo tutti!" esclamò il capitano Squacqueras, facendo buon viso a cattivo giuoco. "Come luogo di ritrovo, però, lo abbiamo scelto piuttosto maluccio!" Il maggiordomo Battista si rivolse a Nicolino. "Lo vedi, pezzo di cretino, che non c'era nessun fantasma?" Nicolino fissò con gli occhi sbarrati la scala da cui era salita Jolanda e rispose balbettando: "Lo dici tu!" "Che c'è ancora?" domandò Battista. "Il serpente piumato!" "Ma fammi il piacere!" Battista si voltò dalla parte verso la quale stava guardando Nicolino e annichilì vedendo la spaventosa figura che tanto aveva impressionato il nostromo avanzare verso di lui. Perdendo la sua naturale compostezza, gridò: "Mi sia consentito il dire: Aiuto!" Il sedicente Corsaro Blu sguainò la spada mentre il capitano Squacqueras correva ad acquattarsi dietro l'ara. "Capitano!" lo rimproverò Raul."Perché vi nascondete?" "Nascondermi io? Niente affatto! Mi accoscio per poter saltare meglio addosso a quella creatura infernale!" Da dietro la spaventevole figura sbucò Giovanna. Teneva in mano la spada sguainata che aveva tenuto puntata fino a quel momento dietro la schiena del mostro. "Niente paura," disse. "To', ci siete anche voi!" esclamò vedendo Raul e Squacqueras. Quindi, agli altri due: "L'ho acchiappato. E non è affatto un fantasma o un dio incas, o un gigante..." Si rivolse alla fantasmagorica figura che quatta quatta tentava di riguadagnare la porta. "Fermo là, non ti muovere, se non vuoi fare conoscenza con la punta della mia spada..." "Non è un gigante?" domandò Raul. "E come fa ad essere così alto?" Giovanna con un colpo secco strappò il mantello che ricopriva il finto serpente piumato, mostrando che si trattava di un erculeo incas sulle cui spalle si era posto a cavalcioni il gran sacerdote il quale, visto che oramai il suo trucco era scoperto, si tolse la maschera di serpente. L'uno sull'altro i due formavano la fantastica figura che per poco non aveva provocato un infarto al povero Nicolino. "Semplicissimo, guardate" spiegò Giovanna. "Volevano spaventarci per allontanarci dal favoloso tesoro degli incas che è nascosto in questo tempio..." 7. Giovanna Giovanna con un colpo secco strappò il mantello che ricopriva il finto serpente piumato... "Il tesoro degli incas?" esclamò Raul. "E dov'è?" "Eccolo" disse Giovanna. Si rivolse verso il sotterraneo da cui era sbucata chiamando: "Ehi, venite avanti voialtri, se non volete che del vostro gran sacerdote faccia un fodero per la mia spada!" Gli incas e le incas che abbiamo visto presenziare al sacrificio del tacchino, sbucarono dai sotterranei portando delle barelle cariche di vasi d'oro, braccialetti e collane di smeraldi, armille, corone d'oro, tiare, armi tempestate di pietre preziose, statuette e persino padelle tutte d'oro massiccio. Mentre i sei si affollavano intorno al tesoro, il maggiordomo Battista che era andato a guardar fuori del tempio, attratto da un rumore, si trasse di lato appoggiandosi con le spalle al muro: "Un drappello di soldati spagnoli!" annunciò con voce ufficiale. "Spagnoli!" esclamò Giovanna. "E noi siamo quasi inermi! Ma niente paura! Li conceremo per le feste ugualmente... E voi" seguitò, rivolto a Raul e al capitano Squacqueras "ci darete una mano, signori..." Raul esitò un istante, poi sospirando dichiarò: "Io non posso stare con voi, signora..." "Perché?" domandò Jolanda, sorpresa. "Perché fino ad ora vi abbiamo mentito... Io non sono il Corsaro Blu... Sono Raul di Trencabar, figlio del governatore di Maracaibo..." "Il figlio di Trencabar!" esclamò Jolanda, annichilita. "Sì, Jolanda, perdonatemi!" esclamò Raul. "Vado a raggiungere i vostri nemici, che altri non sono che i miei soldati... Andiamo, capitano Squacqueras..." "Non è il Doppio Barbanera Illustrato?" domandò Nicolino. "No, ma mi raccomando," scongiurò l'ex almanacco "non ci sparate alle spalle! Non è corretto! Non sta bene!" Uscì in fretta dietro Raul mentre Giovanna gli gridava dietro: "Non spariamo alle spalle, noi... Non siamo spagnoli!" "Non avrei mai creduto!" sospirò Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, con lo sguardo fisso nel vuoto. "Non ci pensare, Jolanda, e aiutami... Li sistemeremo noi questi spagnoli... Fate tutti come me!" Si avvicinò al tesoro degli incas, afferrò dei gioielli a casaccio e corse verso la porta. Fuori del tempio il sergente Manuel che comandava il drappello di soldati spagnoli sollevò una mano. "Alt!" comandò. Quindi, rivolto ai suoi uomini: "Attenzione," disse"qualcuno sta venendo verso di noi procedendo fra le rovine..." Quindi, a voce altissima: "Chi va là?" domandò. "Spagna!" rispose Raul. "E Milano!" aggiunse il capitano Squacqueras. "Ah, siete voi!" esclamò il sottufficiale. "Siete salvi, grazie alla Beata Vergine del Pilar... E ditemi! Non c'è nessuno nel tempio?" Raul esitò un momento. "No" dichiarò poi. "Non ci sembra, almeno..." "Sarà meglio assicurarsene... Avanti, soldati..." Sulla soglia del tempio apparvero Giovanna con i suoi compagni, le mani cariche di gioielli. "Pronti?" comandò Giovanna. "Fuoco!" Tutti lasciarono i gioielli contro gli spagnoli. I gioielli caddero intorno agli spagnoli che si fermarono interdetti. Il sergente Manuel ricevette in un occhio un enorme smeraldo che gli cadde in mano. "Caramba!" esclamò. "Uno smeraldo..." "Qui piove oro!" gridarono i soldati gettandosi a pesce sui gioielli provenienti dal tesoro degli incas e facendo a spintoni fra loro. "A me!" "A me!" "Lascia stare!" "Questo l'ho visto prima io!" "E togliti di mezzo, tu!" "Lascia quel vaso o ti ammazzo!" "Fermatevi!" gridò Raul gettandosi sulla mischia. "Capitano, aiutatemi a fermare questi energumeni!" "Magnifico!" esclamava intanto Giovanna, soddisfatta. "I soldati combattono fra loro per arraffare quanti più gioielli possono! Il sergente afferra una tiara di smeraldi, la passa a un soldato che la passa ad un altro, questo la lancia sulla testa del sottufficiale, goal! Lo ha preso in pieno! I soldati spagnoli si azzuffano, magnifici per continuità e resistenza! Il figlio di Trencabar tenta invano di opporsi alla loro furia, ma è travolto. I soldati si pestano fra loro. Siamo appena al primo minuto e già non c'è più un uomo valido in campo. Presto, approfittiamone per barricarci nel tempio!"

"Come se questo non bastasse," sospirò Jolanda "in questi quattro giorni di assedio abbiamo consumato tutti i viveri che erano nel tempio..." "E io" disse Nicolino "ho una fame da lupo... Oh, Dio, dov'è?" "Che cosa?" gli domandò Giovanna. "Il lupo..." "Lo avete nominato voi, imbecille!" "Ah, già!" esclamò Nicolino, rassicurato. Giovanna si rivolse al gran sacerdote. "È possibile" gli domandò "che siano finiti tutti i viveri qua dentro?" Il gran sacerdote incas, seduto in terra davanti ad un vaso di coccio, stava aspirando qualcosa per mezzo di una lunga canna. Egli sollevò la testa e soffiò fuori del fumo, rispondendo: "Finito tutto, vecchia di ferro... Ma a me non importa nulla..." E avvicinata una delle estremità della cannuccia al vaso di coccio, ne aspirò con voluttà una boccata di fumo. "Ehi, di'un po', gran sacerdote... Che stai facendo con quella cannuccia? Qualche magia?" gli domandò Giovanna, guardando le sue manovre con diffidenza. Il gran sacerdote indicò il vaso fumante. "No," rispose "ho messo qua dentro delle foglie secche e ne respiro il fumo... Ciò toglie l'appetito..." "E come si chiama questa pianta?" domandò Nicolino incuriosito. "Tabacco" rispose il gran sacerdote. "Se è vero quello che afferma quest'uomo," osservò il maggiordomo Battista "a portar questa pianta in Europa ci sarebbe da far fortuna..." "Macché, non attaccherebbe!" esclamò Giovanna. "Ve lo immaginate che cosa accadrebbe se le persone andassero in giro gettando fumo dalla bocca e dal naso come i draghi?" Nicolino si avvicinò al gran sacerdote. "Sentite, io adesso, siccome non ne posso più dalla fame, ci provo... Come si fa?" "Ecco, con questa cannuccia," rispose il gran sacerdote, porgendogliela, "aspira il fumo e gettalo fuori... Prova anche tu, vecchia di ferro..." Incuriosita, anche Giovanna si avvicinò e prese una cannuccia in mano. Gli altri fecero altrettanto. Nicolino provò ad aspirare il fumo, ma questo gli andò per traverso facendolo tossire maledettamente. "Aiuto!" esclamò con voce strozzata. "Soffoco!" Giovanna provò anche lei, riuscendo a fumare benissimo. "Ma no, mica male, invece" disse. "Riprovate e provate anche voi... Tu, no!" disse rivolta a Jolanda che aveva preso anche lei una cannuccia. "Non sta bene che una ragazza della tua età fumi..." "Mi sia consentito il dire che il fumo di questa erba distende i nervi" disse Battista "e placa effettivamente i morsi della fame..." "Visto che l'arrosto non c'è, bisognerà accontentarsi del fumo" disse filosoficamente Nicolino riprovando a fumare e riuscendo a tirare due o tre boccate. Un po'storditi dal fumo, i quattro non si avvidero che il gran sacerdote, la sacerdotessa e gli altri incas stavano approfittando della loro disattenzione per avvicinarsi alla porta segreta, far girare il sasso sui suoi invisibili cardini e uscire silenziosamente, mentre la porta di pietra si richiudeva dietro di loro. Sullo spiazzo del piccolo accampamento che i soldati spagnoli avevano improvvisato nei pressi del tempio per tenerne d'occhio la porta d'ingresso, il capitano Squacqueras, che aveva trovato delle grosse palle che sembravano di corno fra le rovine della città incas, si stava esercitando con Raul al gioco delle bocce. Lanciata la prima, aveva impugnato una palla più grande e aveva tentato di farla accostare al boccino, riuscendoci abbastanza bene, quando il boccino si aprì, tirò fuori quattro zampette e un musetto appuntito e si allontanò dalla boccia, tornando ad appallottolarsi poco lontano. "Eh, no!" esclamò il capitano Squacqueras, rivolto al giovane Raul."Qui si bara!" Un po'storditi dal fumo, i quattro non si avvidero... Si rese improvvisamente conto dell'enormità della faccenda e sbarrò gli occhi. "Ma quel boccino aveva la testa e le zampe," balbettò "e pure la coda." "Per la semplice ragione che non è un boccino, ma un animale" gli spiegò Raul ridendo. "E non mi dicevate nulla! Avrebbe potuto mordermi!" esclamò il capitano diventando pallido. "Si tratta soltanto di un innocuo armadillo" lo rassicurò Raul. "Si appallottola così rinchiudendosi nel proprio guscio semplicemente perché ha paura di voi." "Allora, siamo pari!" disse il capitano allontanandosi prudentemente dagli altri armadilli appallottolati che erano ammucchiati ai suoi piedi. In quella il sergente Manuel, con una mezza dozzina di soldati, si avvicinò spingendo davanti a sé il gran sacerdote degli incas e la sacerdotessa, mentre i soldati facevano altrettanto con gli altri incas. "Capitano!" chiamò. "Capitano!" "Che c'è?" domandò il capitano sobbalzando. "Abbiamo catturato questi nativi mentre sbucavano da un'apertura nascosta da quella specie di piramide. Un passaggio segreto, credo..." "Ah, sì? Ah, sì?" esclamò il capitano. "E dove conduce questo passaggio segreto?" domandò al gran sacerdote. "Nel tempio del dio dell'aria..." rispose il gran sacerdote. "Vogliamo provare ad entrare?" propose il sottufficiale. "Non credo che sia prudente," obiettò il capitano "dato che conduce al tempio del dio dell'aria, niente di più naturale che vi siano delle correnti..." "Potremmo penetrare nel tempio e prendere di sorpresa gli assediati" propose il sergente Manuel. "Io penso che sia meglio aspettare questa notte" opinò il giovane Raul... "Ecco, bravo!" approvò il capitano Squacqueras. "Aspettiamo la notte... La notte porta consiglio e il consiglio potrebbe essere quello che è meglio lasciare perdere e andarcene via di qui... Intanto, tenete d'occhio i prigionieri che non scappino... Da queste parti, la tentazione di scappare è forte, fortissima, direi quasi che è contagiosa... Andate e, in quanto a voi..." Si rivolse agli incas: "Machilei, bambu, tanchini, paraguai, sakanali" disse. "Cosa avete detto?" "Non lo so" rispose il capitano. "Quando parlo incaico non mi capisco..."

"Veramente" schernì la voce ironica del Pirata Col Coperchio" a quest'ora non abbiamo più appetito, quindi non vogliamo assaggiare niente..." "E allora, largo... E toglietevi il cappello, quando parlate con una signora!" "Ma questa è la voce di mia nonna!" esclamò il Corsaro Nero, stupito. Intanto, nella strada il Pirata Col Coperchio stava discutendo con una vecchia signora dall'aspetto volitivo, vestita alla moschettiera, con la spada al fianco, accanto alla quale era un tipo in livrea che portava due valigie. Era con lei anche una graziosa fanciulla dal viso dolcissimo. "Ma questo non è un cappello!" stava protestando furioso il Pirata Col Coperchio. Interloquì il tipo dall'aspetto di cameriere. "Mi sia consentito il dire, signora contessa," disse "che effettivamente quello non è un cappello... È una calotta d'argento..." "E perché ve ne andate in giro con una calotta d'argento in testa?" esclamò la vecchia irritata. "Siete un pazzo, forse?" "Durante un combattimento ho avuto il capo scoperchiato da un colpo di sciabola" rispose fieramente il Pirata Col Coperchio. "E allora mettetevi il cappello perché la vostra calotta è sporca! Non sapete che l'argenteria va lucidata tutti i giorni? Vieni, Jolanda... Andiamo, Battista..." E senza più curarsi dei due pirati abbrutiti, l'energica vecchietta seguita dai suol compagni entrò nella taverna sulla cui soglia si incontrò con il Corsaro Nero che esclamò nel vederla: "È proprio lei! Mia nonna Giovanna!" E corse incontro alla nonna, abbracciandola affettuosamente. "Nipote mio!" esclamò Giovanna, commossa. Il Corsaro Nero alzò gli occhi e vide la fanciulla che era entrata con la nonna. "C'è anche Jolanda!" esclamò. La fanciulla corse ad abbracciare a sua volta il Corsaro Nero. "Papà!" mormorò con affetto. "Sono molto lieto di vedervi," disse il Corsaro Nero con una espressione cupa che non lasciava scorgere affatto la sua allegria "ma..." Si staccò dalla figlia, rivolgendosi alla vecchia: "Come diavolo vi è saltato in mente di venire qui, alla Tortue?" "Abbiamo approfittato di uno sciabecco genovese che veniva da queste parti," rispose la nonna "ed eccoci qui..." "Ma perché siete venute?" "E volevi che ti lasciassi solo?" proruppe la vecchia. "Tu, il mio unico nipote? E senza una persona accanto che abbia cura di te..." "Veramente" disse il Corsaro Nero "questo non è un posto per donne." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, si rivolse alle quattro creole che avevano smesso di ballare e si erano affollate con gli altri intorno al gruppo composto dal Corsaro Nero e dai suoi familiari: "Avete capito voi?" disse in tono perentorio. "Questo non è un posto per donne... Perciò, fuori di qui!" "Ma," tentò di obiettare ancora il Corsaro Nero "anche voi e Jolanda siete donne..." "Io sono tua nonna" protestò Giovanna. "E io sono tua figlia!" esclamò Jolanda, fieramente. "Quindi abbiamo il dovere di starti accanto anche nei pericoli..." "Che non debbono essere pochi a voler giudicare dalle facce patibolari che ti circondano!" concluse la nonna, girando lo sguardo sui volti dei pirati. I filibustieri, lusingati di essere stati chiamati "facce patibolari" scoppiarono in una grande risata. "C'è poco da ridere!" esclamò la nonna impermalita. "Avete tutti delle facce che fanno spavento..." "Ma sono i migliori pirati del Mar delle Antille!" esclamò il Corsaro Nero. "Migliori, in che senso?" domandò la nonna con diffidenza. "Nel senso che sono tutti Fratelli della Costa..." "Tutti fratelli? Che brutta famiglia!" esclamò Giovanna, facendo una smorfia. "Questi signori" continuò il Corsaro Nero indicando quattro brutti ceffi dalla cui espressione si capiva che, se avessero incontrato per la strada quel viandante di cui si parlava poco fa, lo avrebbero lasciato in mutande "da soli hanno conquistato il Panama..." "Bella prodezza rubare un cappello di paglia!" esclamò la nonna, con una smorfia di disprezzo. "Peuh!" "E questo signore qui," proseguì il Corsaro Nero indicando il Pirata Col Coperchio" aiutato solo dal suo matelot, si è avvicinato di nottetempo ad una caravella spagnola e, a colpi d'ascia, le ha praticato un buco nella fiancata facendola affondare..." "Peuh!" esclamò Giovanna, con disprezzo. "In fondo cosa ha fatto? Ha inventato la caravella col buco..." "E che dire del signor Mendoza," disse il Corsaro Nero senza lasciarsi smontare, indicando il Pirata Meno Un Quarto" che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. "E lui," così dicendo il Corsaro Nero indicava il nostromo Nicolino "che in una sola giornata nel "E che dire del signor Mendoza, che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. suo paese ha tagliato mille teste con il suo coltello, tanto che lo hanno soprannominato il Terrore di Pozzuoli?" "Bella roba!" esclamò Giovanna."No, mi dispiace tanto, ma tu questa gente non puoi assolutamente assumerla..." La dichiarazione di Giovanna, che in fondo era la nonna del loro comandante, destò una grande sensazione fra i filibustieri che si guardarono fra loro interdetti. Il Corsaro Nero intervenne: «Come?" domandò."E perché?" «Perché da quello che ho potuto capire," dichiarò la vecchia "questi pirati sono una massa di bricconi... Non sono pirati per bene..." "E noi non ti lasceremo davvero imbarcare con una simile compagnia!" aggiunse Jolanda, con forza. "Ma, signora..." balbettò il nostromo Nicolino "se lei ci caccia via, noi che facciamo?" "Mi dispiace," rispose la nonna crollando il capo "ma siete tutti gente troppo poco raccomandabile..." "Ma io" protestò Nicolino "non ho mai fatto male ad una mosca!" "E le mille teste?" rimbeccò Giovanna. "Le mille teste che avete tagliato in una giornata?" "E... erano teste di pe... pesce, signora..." rispose Nicolino che quando era emozionato balbettava più che mai. "Al mio paese facevo il pescivendolo e non c'era nessuno nella mia città sve... svelto come me a pulire i merluzzi e le sardine..." "E perché allora vi chiamavano il Terrore di Pozzuoli?" inquisì Giovanna guardandolo con diffidenza. "Il Terrone di Pozzuoli, non il Terrore" corresse Nicolino. "Sapete, io sono di vicino Napoli e loro" e così dicendo indicò i pirati "sono tutti settentrionali... E così mi chiamano il Terrone... Il Corsaro Nero ha capito il Terrore e mi ha nominato nostromo... Se gli dicevo la verità perdevo il posto..." "Va bene..." sentenziò Giovanna "questo può restare... Ma gli altri?" Nicolino, visto che a lui era andata bene, volle intervenire a favore degli altri pirati. E con la voce querula che fanno i meridionali in genere quando vogliono ottenere qualche cosa: "Signora," disse "gli altri sono pirati vecchi, fra poco vanno in pensione! Li volete mandar via all'ultimo momento?" Giovanna rifletté un istante. "E va bene," disse "li posso anche tenere, ma ad un patto..." "Che patto?" domandò il Corsaro Nero. "Che assuma io il comando della nave..." Persino Jolanda che, si vedeva benissimo, aveva per la sua bisnonna una vera adorazione, questa non riuscì a mandarla giù. "Ma, nonnina" non poté fare a meno di esclamare. "Avete ottant'anni!" "Ti sbagli, mia cara nipotina" ribatté Giovanna, prontamente. "Ne ho appena venti." "Venti?" trasecolò il Corsaro Nero. "Certo" rispose Giovanna. "Sono nata il 29 febbraio 1587... Siamo nel 1667..." "Quindi avete ottant'anni" calcolò il Corsaro Nero. "No, perché essendo nata il 29 febbraio, cioè 2. Giovanna in anno bisestile, compio un anno ogni quattro" rispose Giovanna con logica strettamente femminile. "Già, ma non so se..." volle ancora obiettare il Corsaro Nero. Ma intervenne Jolanda. "Su, paparino, fai contenta la nonna" pregò, giungendo le piccole mani. "Quando tu non c'eri, al castello, se l'è sempre cavata, sai..." "Sì, questo è vero," annuì il Corsaro Nero, esitando "ma non so se ai miei uomini faccia piacere essere sottoposti a una donna che comanda..." Il Pirata Meno Un Quarto sogghignò. "Perché, mia moglie non comanda forse?" disse. "E la mia?" disse il Pirata Col Coperchio. "Comanda poco quella?" "Io ho sempre sognato di avere una nonna" sospirò il pirata Catenaccio, mentre una lagrima gli solcava il volto patibolare seguendo il percorso tracciato dalla cicatrice. "E voialtri, ragazzi?" "Anche noi!" esclamarono i pirati all'unisono. "Viva la nostra comandante?" gridò il Pirata Meno Un Quarto. "Viva Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" gli fecero eco gli altri pirati in coro, sventolando tutti in aria i loro cappelli, meno il Pirata Col Coperchio che non poteva, com'è facile immaginare, mettere a nudo il proprio cervello sventolando la calotta d'argento. "Viva!" "Allora, siamo tutti d'accordo" concluse il Corsaro Nero. E avvicinatosi alla infernale vecchietta: "Nonna," le annunciò con voce sonora "vi cedo il comando della mia nave..." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, respirò con forza. Quindi, sguainata la lunga spada che le pendeva al fianco e levandone la punta verso il cielo, gridò minacciosamente: "Ed ora a noi due, conte di Trencabar, governatore di Maracaibo! A noi due, assassino dei miei nipoti! A noi due!" Dall'alto del ballatoio che attraverso una scala di legno conduceva al piano superiore si affacciò un bambino, il figlio del bettoliere: "Dice così mamma" disse "che per favore quando dice: 'A noi due!' lo dica un po' più piano... Su, c'è un malato!"

Io e i miei Fratelli abbiamo deciso..." "Quali fratelli? Tu sei figlio unico, adesso..." "I Fratelli della Costa..." "Ah, bene... E che cosa avete deciso tu e i tuoi fratellini?" "Che tu e Jolanda dovete tornare immediatamente all'isola della Tartaruga..." sbuffò il Corsaro Nero. "E io dovrei lasciarti qui solo in mezzo a questa brutta gente? Giammai!" "Ma, signora!" protestò Morgan. "Noi dobbiamo combattere!" "E io combatterò con voi!" "Signora mia," cercò di spiegarle Morgan "per vivere la dura vita dei pirati ci vuole il fisico... Voi non siete abbastanza robusta per condurre questa esistenza..." "Volete provare la vostra forza con me?" proruppe Giovanna. "Avanti, giovanotto, fatevi sotto..." Così dicendo Giovanna sedette su uno sgabello e appoggiò il gomito del suo braccio destro sul piano del tavolo, disponendosi come per una sfida a braccio di ferro. "Ma è ridicolo!" protestò Morgan. "Vi dico di provare!" insistette Giovanna. "Tanto per darvi soddisfazione" acconsentì Morgan. Sedette davanti a Giovanna e afferrò la mano della vecchia con la sua. "Pronti?" domandò. "Pronti!" rispose Giovanna, tranquillamente. Così dicendo la vecchia, con una energia che nessuno avrebbe potuto mai sospettare in così fragile corpo, e nonostante la strenua resistenza di Morgan, riuscì a far toccare al dorso della mano dell'erculeo corsaro il piano del tavolo. "Corpo di mille squali!" esclamò Morgan stupito. "L'ha buttato giù" esclamò Barbanera, con ammirazione. "Come avete fatto?" domandò il capitano Kid. "Niente di straordinario" rispose modestamente la vecchia. "Avete mai sentito parlare di quel famoso giocatore chiamato 'l'uomo dal braccio d'oro'? Ebbene, io sono 'la donna', anzi 'la nonna dal braccio di ferro'... così mi chiamano in tutta la contea..." "Lo ammetto," disse il capitano Kid "siete forte... Ma non potete ugualmente far parte della Filibusta... Non sapete nemmeno tirar di spada..." Con un rapido gesto Giovanna portò la mano all'elsa del suo spadone che sguainò, e cadde correttamente in guardia, come se si fosse trovata sulla pedana di una sala d'armi. "In guardia, giovanotto" disse con semplicità. "Ma... Cosa volete fare?" Giovanna lo minacciò con la punta della sua spada, mentre il capitano Kid indietreggiava. "Volete mettervi in guardia, sì o no?" insistette. "O preferite che del vostro ventre faccia un fodero per la mia spada?" Il capitano Kid per difendersi da Giovanna che lo incalzava fu costretto a trarre dal fodero la spada e a scostare la lama della nonna del Corsaro Nero, iniziando così una schermaglia con la vecchia. "Ehi!" disse. "Andateci piano con quell'arnese... Non è un ferro per lavorare a maglia..." Giovanna rispose saggiando con la sua lama quella dell'avversario. "Io la maglia la faccio, ma soltanto con il filo di acciaio... Infatti non mi fido dei giachi di maglia che vendono gli armaioli di Milano... Attenzione! Para questo colpo segreto, se puoi!" Così dicendo lanciò qualche cosa alle spalle del capitano Kid. Si sentì come un tintinnio di monete. Il capitano Kid si voltò istintivamente. "Oh!" esclamò "mi sono caduti i soldi..." Così dicendo si voltò e si chinò per raccogliere delle monete. Giovanna ne approfittò per andare fulmineamente a fondo, bucando con la punta della sua spada le terga dell'avversario. "E voilà!" disse Giovanna. Il capitano Kid si portò le mani alla parte colpita, gridando: "Ah! Toccato! Toccatissimol" Mentre il capitano Kid si stropicciava energicamente la parte lesa col palmo della mano e Giovanna si appoggiava trionfante all'elsa del suo spadone, il Corsaro Nero le si avvicinò domandandole: "Ma, nonna, come avete fatto? Il capitano Kid è la lama più fine di tutta la Filibusta!" "Gli ho lanciato, come puoi vedere, un cartoccetto pieno di soldi... L'avversario, abitualmente, credendo che siano caduti a lui, si volta per raccoglierli ed io... Là! Questo colpo infatti si chiama il colpo del cartoccetto..." "Ma alla pistola, cara vecchietta, non sareste capace di cavarvela con la vostra vista!" insinuò il feroce Barbanera. "Davvero?" esclamò Giovanna. "Sareste capace voi di colpire una moneta al volo?"

"Quanti cuochi abbiamo qui?" "Ma" rispose il Corsaro Nero imbarazzato. "Un paio, credo..." "E con il mio cuoco indiano e il mio maggiordomo che si arrangia anche a cucinare, fanno quattro... Ehi, voi, venite qua..." Un paio di pirati che erano addetti alle cucine da campo avanzarono titubanti, mentre il maggiordomo Battista spingeva avanti il caraibo che una quindicina di giorni prima aveva tentato di cucinare Nicolino allo spiedo. "Mettetevi qua," ordinò Giovanna "davanti alla porta di Maracaibo e aprite la bocca..." I quattro obbedirono macchinalmente, schierandosi in fila e spalancando le fauci. "Ma nonna!" esclamò il Corsaro Nero "ci deve 8. Giovanna "Mettetevi qua," ordinò Giovanna "davanti alla porta di Maracaibo e aprite la bocca..." essere un errore di stampa! Credo che voglia dire bocche da fuoco!" "Forse hai ragione" disse Giovanna, colta dal dubbio. "Allora, via, cuochi... Portate qui le bocche da fuoco...!" I quattro chiusero la bocca mentre altri corsari agli ordini del Pirata Meno Un Quarto trascinavano dei cannoni. "Ora vediamo cosa dobbiamo fare" disse Giovanna. E rivolta al maggiordomo:"Avanti," comandò "leggete". "Puntate le bocche da fuoco..." cominciò a leggere il maggiordomo Battista. "Avevi ragione tu" disse Giovanna, facendo una carezza al Corsaro Nero. "C'era proprio un errore di stampa..." Quindi, rivolta al maggiordomo: "Andate pure avanti, Battista..." "Puntate le bocche da fuoco e caricatele con la pelle di Pietro..." "Alt!" comandò Giovanna, alzando una mano. "C'è nessuno che si chiami Pietro, qui?" "Io, signora Giovanna" rispose il Pirata Meno Un Quarto. "Il mio nome è Pietro Mendoza..." "Anch'io mi chiamo Pietro" disse il Pirata Col Coperchio... "Pietro Romoletti, ai vostri ordini..." "Benissimo" disse Giovanna. Si rivolse a due indiani ai quali, a forza di calci, aveva insegnato a capire la sua lingua in brevissimo tempo e indicò i due pirati. "Togliete loro la pelle, ma con delicatezza, mi raccomando, in modo che non muoiano..." I due indiani tolsero dalle cinture i loro larghi coltelli e avanzarono sui due pirati terrorizzati. "Ma perché?" esclamò il Pirata Meno Un Quarto, indietreggiando. "Che abbiamo fatto per essere scorticati vivi?" "Su, avanti!" lo incoraggiò Giovanna. "Avete lasciato il vostro occhio su un galeone spagnolo, la vostra mano a Trinidad e la vostra gamba non ricordo dove, potete pure lasciare la vostra pelle a Maracaibo!" "Ma voi siete matta!" rispose il pirata. "Mi sia consentito il dire" disse Battista "che forse qui avrebbe dovuto essere scritto a palle di pietra, signora contessa..." "Pensi?" domandò Giovanna, in tono dubbioso. "Ma certo!" si affrettò a confermare il Corsaro Nero. "E allora" domandò Giovanna "portate le palle di pietra, presto!" Arrivò il pirata Catenaccio, di corsa. "Comandante!" gridò rivolto al Corsaro Nero. "I nemici stanno aprendo la porta della città e si preparano a fare una sortita in forze!" "Signori corsari!" tuonò il Corsaro Nero, balzando su un macigno. "Serrate le file!" "Un momento" lo interruppe Giovanna. "Fino a nuovo ordine comando io!" Quindi, rivolta al maggiordomo Battista: "Cosa dice la dispensa?" Il maggiordomo lesse sulla dispensa: "In caso di sortita del nemico caricate le colubrine a gallinacci!" "Alt!" comandò Giovanna. Si guardò intorno, perplessa. "Non vedo nessun gallinaccio da queste parti" osservò. "Gallinacci?" esclamò il Corsaro Nero, abbrutito. "Sì, tacchini... Eppure siamo in America, loro terra di origine..." Giovanna si rivolse agli uomini presenti, con autorità. "Andate a cercare dei tacchini selvatici nella foresta" comandò. "Subito, contessa" si affrettò a rispondere il pirata Catenaccio. E si allontanò seguito da altri verso la foresta emettendo il verso che le massaie fanno abitualmente quando vogliono richiamare intorno a sé il pollame: "Billi, billi, billi, billi!" "Ma nonna, che cosa hai fatto?" esclamò il Corsaro Nero. "Hai allontanato i migliori dei miei pirati! Come faremo ora ad affrontare il nemico che sta per effettuare una sortita?" "Senza gallinacci non si può far niente" rispose ostinatamente Giovanna. "Ma non ci sarà stato scritto 'pallinacci', per caso?" esclamò il Corsaro Nero colpito da un'improvvisa illuminazione. Il maggiordomo Battista guardò sulla pagina della dispensa. "Infatti" constatò. "Qui appresso dice: Sparate i pallinacci quando il nemico è vicino... La mitraglia li fermerà..." "Il nemico è vicino, vicinissimo" esclamò il Corsaro Nero. "È già uscito dalla città e ci sta circondando." "E poi che dice?" domandò Giovanna, senza badargli, rivolta al maggiordomo. "Se il nemico vi sta circondando, stringete le pile formando un quadrato..." "Un momento... Dove sono le pile?..." "Le file, nonna, le file..." ruggì il Corsaro Nero, strappandosi i capelli. "Può darsi..." ammise a malincuore la nonna. "Formate un quadrato!" comandò ai pirati rimasti, con voce stentorea, mentre i nemici si avvicinavano sempre più e i pirati si disponevano in quadrato urtandosi fra loro per la confusione. "E poi che cosa dice?" "Sperate soltanto quando i nemici vi sono vicini..." "Vedete?" esclamò la vecchia trionfante. "Dice che se anche sono vicini, si può sperare nella vittoria..." "Sparate, non sperate!" singhiozzò il Corsaro Nero. E rivolto ai pirati: "Fuoco!" gridò. "Che aspettate a far fuoco! Gli spagnoli ci sono addosso." I pirati disorientati sparacchiarono a casaccio qualche colpo con i loro archibugi, mentre Giovanna, avendo ritrovato gli occhiali, strappava la dispensa dalle mani del maggiordomo, e lanciatavi una rapida occhiata, tuonava: "Sporgete le pance!" "Ma che diavolo dici?" ringhiò il Corsaro Nero esasperato. "Qui c'è scritto che quando il nemico viene addosso bisogna accoglierlo sulla punta delle pance..." "Delle lance!" urlò il Corsaro Nero che era divenuto viola dalla rabbia e che se la cosa fosse continuata ancora sarebbe diventato ultravioletto e quindi invisibile. "Ma è troppo tardi, non ci resta che ritirarci!" "L'ordine di ritirata è..." Giovanna aguzzò gli occhi sulle righe della dispensa, poi si rivolse ai pirati con voce tonante: "Etaoin, etaoin... przorhfgetdreirorororororofgfg... etaoin, etaoin, etaoin..." gridò con tutto il fiato che aveva in gola. "Nonna, non stai gridando un ordine di ritirata, stai gridando un refuso tipografico" blaterò il Corsaro Nero strappandole la dispensa dalle mani e facendola in mille pezzi. E, decidendosi finalmente a prendere lui il comando: "Ripiegare!" comandò. "Signori uomini del mare, ripiegare..." Ma non c'era bisogno che urlasse in quel modo perché i pirati già correvano disordinatamente verso la foresta, incalzati dagli spagnoli vittoriosi.

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"Abbiamo affondato or non è guari tutta la flotta dei filibustieri e abbiamo purgato tutto il Caribeo da pirati, corsari, bucanieri, filibustieri e schiumatori dei mari..." "E l'esercito che assediava Maracaibo?" "Pol-ve-riz-za-to!" scandì il capitano Squacqueras. "Infatti, come potete constatare, appena arrivato qui mi sono dovuto cambiare perché i miei abiti erano ancora pieni di polvere..." "Ditelo al Viceré, capitano..." esclamò Trencabar, tutto contento, accompagnando il capitano verso il tronetto. "Il Viceré? Molto bene, benissimo!" esclamò il capitano. E avvicinatosi a don Miguel, lo interpellò con disinvoltura: "Come va, Vice Maestà?" "Perché mi chiamate Vice Maestà, capitano?" disse il Viceré in tono piuttosto seccato. "Oh, bella, se foste il Re vi chiamarci Maestà, ma siete il Viceré, come volete che vi chiami? Vice Maestà, oppure Vice Sire, Vice Monarca, e se preferite Vice Sacra Corona!" "Capitano," gli sussurrò il conte di Trencabar "gli spetta l'Altezza..." "Gli spetta l'altezza? In questo caso" esclamò il capitano osservando il Viceré che era piuttosto piccolo di statura "permettetemi di dire che non gliel'hanno data..." E il capitano rise a piena gola del suo scherzo, mentre il Viceré, toccato nel suo difetto, aggrottava sempre più le sopracciglia. Il capitano continuò: "Comunque, ho il piacere di comunicarvi, Altezza, che i corsari sono stati da me distrutti completamente e che il Mar dei Caraibi è stato decorsarizzato e depiratizzato completamente... Non più filibustieri, bucanieri e simili insetti, mercé il corsaricida Squacqueras!" Leggermente annoiato dalla lunga tirata del capitano, il Viceré sbadigliò portandosi educatamente una mano davanti alla bocca. "Bene," disse "vi ringrazio in nome di Sua Maestà il Re Cristianissimo per tutto ciò che avete fatto... Vedo con piacere che potrò dormire i miei sonni tranquillo... Giusto sono stanchissimo per il lungo viaggio..." Saltò giù dal trono, mentre il conte di Trencabar gli diceva premurosamente: "Vi accompagno nella vostra camera, Altezza..." "Buonanotte a tutti, signori" disse il Viceré, sbadigliando ancora. E si avviò dietro il governatore mentre gli invitati si inchinavano rispettosamente al suo passaggio. Con la scarsa educazione che lo distingueva, il capitano Squacqueras che si sentiva al centro dell'attenzione generale per il racconto che aveva fatto delle sue immaginarie imprese, gli gridò dietro: "Buonanotte, Altezza! E se sognate dei pirati, vuol dire che state male di stomaco perché di pirati non ce ne sono più".

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Se quel viandante che abbiamo incontrato poco fa, sempre trattovi dal caso o dalla solita sua smodata vaghezza di solitarie meditazioni, fosse passato davanti alla villa del governatore in quel momento, non avrebbe veduto altro che la sentinella che passeggiava avanti e indietro perché Giovanna con Jolanda, il nostromo Nicolino e il maggiordomo Battista erano nascosti fra le alte e fitte canne da zucchero di una piantagione che si trovava esattamente di fronte al cancello della villa. Il che dimostra che non è sufficiente il fatto di essere viandanti per vedere tutto. Basta che uno si nasconda in un canneto e il viandante è tagliato fuori. A meno che egli, trattovi dal caso o da vaghezza di solitarie meditazioni, non si inoltrasse anche lì. In questo caso bisogna proprio dire che uno non si può sentire sicuro di non essere visto da nessuno nemmeno quando è dentro il bagno, completamente nudo. Giovanna scostando le canne da zucchero stava guardando verso la facciata della villa. "Chissà dov'è la camera del governatore..." sussurrò rivolta agli altri tre. "Andiamo a domandarlo alla sentinella!" propose Nicolino con la sua solita accortezza. "Sì, bravo!" esclamò Battista fulminandolo con un'occhiataccia. "Così dà l'allarme!" "Attenzione," mormorò Jolanda concitatamente "una finestra si è illuminata a pianterreno... Si sta aprendo... Qualcuno si affaccia..." Infatti, dalla finestra che si era aperta si sporse il conte di Trencabar che si rivolse verso il corpo di guardia, posto a una certa distanza dal cancello. "Capoposto!" chiamò. Il capoposto, che altri non era che la nostra vecchia conoscenza il sergente Manuel che appena arrivato era stato messo di servizio, il che lo aveva reso di pessimo umore, accorse andando a piazzarsi sull'attenti sotto la finestra dalla quale si era affacciato il conte di Trencabar. "Comandate, Eccellenza!" "Le sentinelle" domandò il conte di Trencabar "sono al loro posto?" "Sì, signor governatore..." rispose il sergente. "Va bene," disse il conte di Trencabar "raccomandate loro di far buona guardia." "Va bene, Eccellenza!" Dentro il canneto, Giovanna, che aveva sentito tutto, si rivolse ai suoi compagni. "Il governatore di Maracaibo! Non ho potuto vederlo in faccia, a causa del buio, ma so che la sua camera è quella lì, al pianterreno!" Il governatore si ritrasse dalla finestra e si rivolse al Viceré che aveva indossato una lunga vestaglia e si stava preparando per la notte in una magnifica camera tappezzata di broccato bianco. "Avete sentito, Altezza? Potete veramente dormire fra due guanciali..." "Grazie, governatore..." Si guardò intorno, compiaciuto. "È molto bella questa camera da letto..." osservò. "Fino ad ora" disse il conte di Trencabar "non ci ha dormito nessuno..." "Perché? È rumorosa?" domandò il Viceré, allarmato. "No, perché è destinata ai membri della famiglia reale e alle personalità come voi, in visita alle colonie... E voi siete il primo che mi fa questo onore..." "Bene, bene, vi ringrazio" disse il Viceré. "Speriamo piuttosto che non vi siano attacchi di pirati..." "Lo avete sentito il capitano Squacqueras... Non vi sono più filibustieri nel Caribeo... Li ha distrutti lui... Con mio figlio, naturalmente..." "Bene, bene..." tagliò corto il Viceré. "Buonanotte, governatore..." "Buonanotte, Altezza." Il conte di Trencabar si ritirò mentre il Viceré andava a sedersi davanti ad uno specchio iniziando la sua toletta notturna. Nel frattempo Giovanna stava tentando di scostare le canne senza produrre troppo rumore per uscire dal suo nascondiglio. "Attenti alla sentinella, signora contessa" la ammonì il maggiordomo Battista... "Lasciate fare a me" lo rassicurò Giovanna. Uscita dal canneto si rizzò e si avvicinò alla sentinella la quale, sentendo rumore, imbracciò l'archibugio e lo puntò contro l'ombra che stava avanzando verso di lui. "Alto là!" intimò. "Chi va là?" "Appartengo al personale" disse Giovanna, seguitando a camminare verso di lui. "Sono la governante..." "Governante, alto là!" Giovanna si fermò e la sentinella le si avvicinò. Fu rassicurato nel vedere una vecchietta, comunque, disse: "Se siete della villa dovete conoscere la parola d'ordine..." Giovanna finse di frugare nella sua borsa. "Aspettate," disse "l'ho scritta su un foglietto..." Tirò fuori un biglietto e se lo lasciò sfuggire di mano. "Oh, mi è caduto in terra!" esclamò in tono di disappunto. "Aiutatemi a cercarlo, per favore... Ci vedo poco!" La sentinella, che era un bravo giovanotto di Castiglia a cui la madre aveva insegnato a rispettare i vecchi perché i vecchi sono deboli, si chinò istintivamente per cercare il foglietto e Giovanna ne approfittò per assestargli con la mano a coltello un formidabile colpo sulla nuca che lo fece stramazzare a faccia avanti, privo di sensi, dimostrandogli così che non sempre le madri danno dei buoni consigli ai loro figlioli Giovanna aveva imparato il judo durante un suo recente viaggio in Giappone dove si era recata per acquistare un ventaglio (storico). Giovanna si assicurò che il soldato fosse veramente svenuto, poi si rivolse agli altri tre facendo loro cenno di avvicinarsi. "Presto!" disse. "Entriamo..." "A... anche io?" balbettò il nostromo Nicolino spaventato al pensiero di doversi cacciare in un'altra pericolosa avventura. "Certo!" disse Giovanna con forza. "Tutti!" "Non vi sembra che sia un po'... po'... pe... pe..." "Eh, sono arrivati i pompieri!" esclamò Giovanna con impazienza. "Un po'pericoloso? Se vengono qui e trovano la sentinella svenuta montano in sospetto e arrestano tutti..." "Giusto!" disse Giovanna. "E allora fate una cosa... Indossate gli abiti di questo soldato spagnolo e prendete il suo posto, mentre noi penetriamo nella villa..." Si rivolse al maggiordomo Battista. "Spogliate la sentinella" gli ordinò. Battista si affrettò ad obbedire e chinatosi sulla sentinella svenuta la sollevò e le sfilò il giaccone che porse a Nicolino il quale lo prese di malavoglia. "E... vorreste lasciarmi qui solo?" balbettò. "Torneremo subito con il governatore" lo rassicurò Giovanna... Nicolino infilò il giaccone sul suo vestito, mentre Battista, legata la sentinella con la sua stessa cintura, la trascinava a qualche distanza nascondendola fra i cespugli. "Ma il governatore," tentò di protestare Nicolino "se si accorge che non sono la sentinella, mi fa prendere e impiccare..." "Siamo noi che prenderemo ed impiccheremo lui" rispose Giovanna. Il maggiordomo Battista tornò indietro con l'elmo della sentinella e lo andò ad infilare in testa a Nicolino a cui l'elmo calò giù fino alla bocca coprendogli occhi e naso. Nicolino protestò con voce soffocata: "Ma questo elmo mi sta grande..." "Meglio," disse Battista "così non ti possono vedere in faccia..." "E passeggia in su e in giù come faceva la sentinella" disse Giovanna. "E va bene..." disse Nicolino in tono rassegnato. "Ma tornate presto, mi raccomando..." Mentre Nicolino si metteva a passeggiare su e giù con il risultato di andare a sbattere prima contro il pilastro destro, poi contro il pilastro sinistro del cancello, i tre si avvicinarono alla villa la cui porta era aperta. Attraversato il patio, Giovanna e i suoi due compagni entrarono nel salone e lo percorsero cautamente guardandosi intorno. "Ecco," disse Giovanna, indicando una porta "questa dovrebbe corrispondere con il corridoio che conduce alla camera dalla quale si è affacciato quel dannato Trencabar..." Entrarono nel corridoio dove si apriva una sola porta. "Non può essere che quella" mormorò Giovanna. "A noi due, assassino dei miei nipoti!" Nella sua camera, il Viceré, che aveva finalmente terminato la sua elaborata toletta notturna, si alzò, si tolse la vestaglia e, in camicione da notte, si avvicinò alla finestra che chiuse. Non si avvide che alle sue spalle la porta si stava aprendo cautamente lasciando entrare Giovanna, il maggiordomo Battista e Jolanda. Giovanna rivolta al maggiordomo gli indicò il letto. Battista comprese al volo e tolta via la coperta di broccato si avvicinò al Viceré e gli gettò la coperta sulla testa prima che avesse avuto il tempo di voltarsi. Il Viceré cominciò a dibattersi, gridando con voce soffocata dalla coperta: "Ma chi è? Chi è?" "Sono Giovanna, la nonna del Corsaro Nero! Camminate e state zitto! Un solo grido che vi esca dalla strozza e siete morto!" "E chi ce la fa a gridare!" gemette il Viceré sotto la coperta, mentre Giovanna lo spingeva fuori dalla stanza.

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Nicolino, con l'archibugio in ispalla e l'elmo che gli calava continuamente sugli occhi, qualche minuto prima degli avvenimenti che abbiamo testé cessato di narrare, stava passeggiando su e giù come una sentinella, quando gli si era avvicinato il sergente Manuel seguito dagli altri tre soldati di guardia. Il sergente si era fermato davanti a Nicolino. "È finito il tuo quarto di guardia, è l'ora del cambio" gli aveva detto. "Dai il posto al tuo compagno." "Ma io" disse Nicolino preoccupato dal fatto che se si fosse mosso di lì Giovanna e gli altri non lo avrebbero più ritrovato "vorrei restare qui..." "Il tuo zelo è degno di lode," lo elogiò il sergente Manuel "ma il regolamento è il regolamento... Su, andiamo..." Battista comprese al volo e tolta via la coperta di broccato... Lo guardò sorpreso mentre Nicolino entrava nel fascio di luce della sua lanterna per mettersi in coda alla fila delle guardie, mentre la prima prendeva il posto della sentinella in suo luogo. "Com'è che ti si è allargato l'elmo in quel modo?" domandò vedendo che l'elmo copriva per metà la faccia del supposto soldato. "Non è l'elmo che si è allargato" ciangottò Nicolino. "È la testa che mi si è ristretta... Qui ai tropici le notti sono umide..." "Su, andiamo," disse allora il sergente senza indagare oltre "ho fretta di dare il cambio agli altri per farmi un sonnellino... Non ne posso più dalla stanchezza..." I tre uomini in fila indiana si misero in cammino con il sergente che marciava a fianco degli altri, mentre Nicolino che non ci vedeva un accidente andava a sbattere contro il soldato che lo precedeva. "E stai attento a come cammini!" lo rimproverò il sergente. "Avanti, tenere le distanze, uno, due, uno due..." Mentre si allontanavano diretti verso il corpo di guardia, dalla porta della villa uscirono Giovanna e i suoi spingendo il Viceré che inciampava continuamente nei lembi della coperta di broccato che lo ricopriva completamente e saltellava ora su una gamba, ora sull'altra per via dei sassolini che gli facevano male sotto la pianta dei piedi nudi. "Avanti, cammina, maledetto" lo spronò Giovanna, pungolandolo con la punta della sua spada. E afferratolo per una spalla lo guidò verso il cancello presso il quale credeva fosse di guardia Nicolino. La sentinella che lo aveva sostituito, vedendo lo 10. Giovanna strano gruppo che avanzava verso il cancello, insospettita imbracciò l'archibugio. "Alto là!" esclamò. "Chi va là?" "Imbecille!" esclamò Giovanna. "Sono io, Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" "All'armi!" gridò la sentinella. E poiché Giovanna tentava di passare, l'afferrò per un braccio esclamando: "Non vi muovete!" Non si aspettava la reazione della vecchia che con un perfetto colpo di judo lo fece volare al disopra della sua spalla e lo colpì col taglio della mano sulla nuca. Il Viceré approfittò di ciò che stava avvenendo per mettersi a scappare per il giardino strappandosi la coperta di dosso e gridando come un'aquila spennata viva: "Aiuto! Mi vogliono rapire! Sono il Viceré! Aiuto" Giovanna abbozzò un gesto di stizza e si diresse di corsa verso il cancello. "Per le trippe del diavolo!" ruggì. "Non era Trencabar! Scappiamo!" Fece appena in tempo a uscire dal cancello e a gettarsi nel canneto seguita da Jolanda e dal maggiordomo Battista. Il conte di Trencabar stava arrivando di corsa seguito da due camerieri negri che portavano dei doppieri accesi, dal maggiordomo e qualcuno degli ospiti della villa. Arrivò di corsa anche il sergente Manuel. "Che succede?" domandò il governatore di Maracaibo. Vide il Viceré in camicione da notte e allibì. "Sua Altezza il Viceré!" esclamò. Il Viceré, furioso, gli puntò un dito contro. "E voi mi avete detto che non c'erano più pirati!" ringhiò. "Veramente," cercò di giustificarsi il governatore "è stato il capitano Squacqueras che ha detto..." "Un corno!" gridò il Viceré. "Sapete chi era che mi voleva rapire? Me lo ha detto lei stessa! Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" In quella arrivò il capitano Squacqueras il quale avendo visto delle luci in giardino e sentito del rumore aveva pensato che gli invitati spinti dal caldo si fossero trasferiti in giardino per consumare una cenetta. "Ci sono anch'io!" esclamò. "Cosa vi state mangiando di buono?" "Il mio fegato!" rispose il governatore, andandogli con le mani sotto il viso. "Ecco quello che mi sto mangiando! Non avevate detto di aver sterminato tutti i pirati?" "Infatti!" "E com'è che Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, è qui! Lo sapete che a momenti rapiva Sua Altezza il Viceré?" "Santo cielo!" esclamò il capitano rivolto al Viceré. "Non mi direte che avete avuto paura di una vecchietta seminferma!" "Siete voi seminfermo di mente!" scattò il Viceré. "Quella vecchia è terribile... Quando mi teneva, ho sentito sulla spalla le sue dita che sembravano di ferro!" "Forse" opinò il governatore "vi avrà tenuto con le molle..." "E perché?" lo investì il Viceré. "Sono forse una immondizia io, da prendere con le molle?" "Non volevo dir questo" si scusò il governatore, confuso. Il Viceré gli cacciò la punta dell'indice sotto il naso, agitandola rapidamente. "Governatore..." gli sibilò sul viso. "Voglio sperare che una cosa simile non si ripeta mai più..." Raccolse la coperta da terra, vi si avvolse dentro come un antico romano nella sua toga e si avviò verso la porta del patio. Il conte di Trencabar si rivolse al capitano Squacqueras. "Avete capito, capitano? Voglio che una cosa simile non si ripeta mai più..." E rientrò nella villa seguito dagli invitati e dalla servitù. Il capitano Squacqueras si rivolse al sergente Manuel. "Avete capito, sergente? Voglio sperare che una cosa simile non si ripeta mai più..." Il sergente Manuel si rivolse alla sentinella che si era alzata faticosamente e si stava stropicciando con forza le membra ammaccate dal magistrale colpo di judo della vecchia. "Avete capito, sentinella?" gli disse. "Voglio sperare che una cosa simile non si ripeta mai più..." "Voglio sperarlo anch'io" rispose la sentinella di pessimo umore. "Ho preso una tale botta fra capo e collo che mi ha rintontito..." "Perciò" disse il capitano rivolto al sergente "non è in grado di fare la sentinella come si deve... Quando si è rintontiti non si capisce niente... Sarà meglio sostituirlo..." "Sì, signor capitano" si affrettò a rispondere il sergente Manuel. E mentre il capitano rientrava nella villa, il sergente chiamò rivolto verso Nicolino che si era avvicinato per vedere se riusciva a ritrovare i suoi compagni. "Ehi, tu!" Nicolino si fermò interdetto. "Dite a me?" "Sì," disse il sergente "tu prima non volevi lasciare il tuo posto... Questo dimostra che ci tieni a far bella figura... Mettiti lì di sentinella..." "Sissignore..." "Si dice signorsì, imbecille!" "Signorsì, imbecille!" Il sergente Manuel fece un gesto di disperazione. "Santa Vergine del Pilar" esclamò in tono scoraggiato. Quindi, rivolto alla guardia che seguitava a massaggiarsi: "Andiamo, su..." E si allontanò lasciando Nicolino il quale, non sapendo che Giovanna e gli altri erano usciti, si rimise a passeggiare al posto che aveva dovuto abbandonare poco prima. Intanto Giovanna, nascosta nel canneto, teneva con gli altri un piccolo consiglio di guerra. "Avete sentito? Non era il governatore che avevamo rapito, ma il Viceré... Abbiamo sbagliato camera... Cosa si può fare, Battista?" "Io opino, signora contessa," rispose rispettosamente Battista"che dobbiamo trovare la vera camera del governatore..." "Sì, ma per far questo bisogna rientrare nella villa" disse Giovanna. "Chissà dov'è andato a finire il nostromo Nicolino" disse Jolanda. "C'era un'altra sentinella, prima, al suo posto..." "Giusto" disse Giovanna. "Venite con me..." Così dicendo Giovanna estrasse la spada dal fodero e la impugnò per la punta della lama flessibile, uscendo dal canneto e avanzando cautamente verso Nicolino che la vide avanzare. "Chi è?" domandò con voce tremante. Poi riconoscendo la sagoma della vecchia: "Oh, finalmente, siete voi... Oh, mamma mia bella?" Questa sua ultima esclamazione era dovuta al fatto che Giovanna, convinta di aver a che fare con la sentinella di prima, aveva usato la spada come una clava colpendo alla testa con un terribile colpo il povero Nicolino che strabuzzò gli occhi, girò su se stesso e si accasciò lentamente a terra. "Bel colpo, nonnina!" esclamò accorrendo Jolanda. "Leghiamolo ed entriamo" comandò Giovanna, rivolta al maggiordomo. Il maggiordomo si chinò su Nicolino per rivoltarlo sotto sopra allo scopo di legargli le mani dietro la schiena, ma, poiché l'elmo gli era andato via dalla testa, lo riconobbe. "Ma è Nicolino!" esclamò. Lo scosse. "Ehi, Nicolino... Nicolino!" E gli assestò degli schiaffetti per risvegliarlo. Nicolino aprì gli occhi e fissò lo sguardo davanti a sé con una sorridente espressione da ebete dipinta sul volto, brontolando qualcosa. "Che hai detto?" gli domandò Battista. "La pecheronza!" gli sembrò che rispondesse Nicolino. "La pecheronza! E che è la pecheronza...?" domandò Giovanna. "La pecheronza" ripeté Nicolino. "Qui, nella mia testa..." "Non capisco" disse Jolanda. "Mi sia consentito il dire che credo abbia voluto dire: l'ape che ronza..." spiegò Battista. Quindi, rivolto a Nicolino: "Non ci sono api che ronzano da queste parti: è il colpo che hai ricevuto in testa..." "Io vorrei sapere perché prima non c'eri tu di sentinella!" disse Giovanna, irritata. "Perché," rispose Nicolino che cominciava a riprendersi "mi avevano dato il cambio... Adesso mi avevano rimesso di sentinella perché l'altra l'avete messa voi fuori uso..." "Se prima ci fossi stato tu al posto della sentinella, questo adesso non ti succedeva." "E invece mi è successo," rispose Nicolino, rialzandosi faticosamente in piedi "perché avete messo fuori uso anche me!" Giovanna si chinò, raccolse l'elmo e glielo rimise in testa. "Be'," disse "resta di guardia..." "Speriamo che vada tutto bene, questa volta" disse Nicolino. "Andrà tutto bene" assicurò Giovanna, con forza. "Perché questa volta invece di rapire il governatore, lo sfiderò al duello e voi due, Battista e Jolanda, mi farete da padrini... Andiamo..." "Tornate presto!" si raccomandò Nicolino mentre i tre si allontanavano verso il patio.

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"Credo che abbiamo trovato ciò che stiamo cercando..." "Il favoloso tesoro degli incas?" domandò il Pirata Col Coperchio esultando. "No, signor Romoletti, il luogo dove potremmo trovare mia nonna... Ella non può essersi diretta altro che qui, dopo la sua fuga... Con il tesoro degli incas avrebbe potuto acquistare una flotta ed arruolare dei mercenari con i quali continuare per suo conto la guerra contro gli spagnoli come era sua intenzione..." Si rivolse al Pirata Meno Un Quarto. "Voi, signore, montate lassù, per favore" gli disse indicandogli una sorta di alta piramide la cui cima sovrastava quella degli alberi. "Per vedere da che parte è il tempio incas?" "Per vedere da che parte è mia nonna, signore..." "M'importa assai della nonna!" scattò il Pirata Meno Un Quarto. "Vi prego, signore, montate..." Il Pirata Meno Un Quarto soggiogato dallo sguardo ipnotico del Corsaro Nero (egli, oltre l'occhio d'aquila, l'orecchio della volpe, l'agilità della tigre e il naso del bracco aveva anche lo sguardo fascinatore del pitone il che lo faceva essere una specie di giardino zoologico), cominciò ad arrancare su per le scale della piramide incas con la sua gamba di legno. Arrivato in cima si rivolse al Corsaro Nero. "E adesso che debbo fare?" "Avete buona vista?" gli gridò il Corsaro Nero. "Vedo un passero lontano un miglio" rispose il Pirata Meno Un Quarto. Si portò vivamente la mano sull'occhio buono come se questo fosse stato colpito da qualche cosa. "Corpo di mille pescicani!" esclamò. "Adesso non lo vedo più..." "Che cosa?" "Il passero... Mi è passato sopra e mi ha tappato proprio l'occhio buono!" Si stropicciò l'occhio con forza. "Oh," esclamò. "Meno male." "Vedete nulla?" gli domandò il Corsaro Nero. "Un luccicar d'armi nella boscaglia... Sono soldati spagnoli..." "E che cosa fanno?" "Rotolano delle botti!" rispose il Pirata Meno Un Quarto. "E che è la vendemmia?" esclamò il pirata Catenaccio. "Credo di sapere perché vengono con delle botti... Scendete, signor Pirata Meno Un Quarto e noi, nascondiamoci! Vedremo se è il caso di attaccarli o no!"

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Non abbiamo il sestante per fare il punto!" "Elementare, sergente Manuel, elementare!" disse il capitano. "Basta cercare queste caratteristiche righe nere che s'incrociano sulla carta fra l'erba della foresta. Immagino che saranno solo un po' più grosse..." Il capitano si chinò frugando con lo sguardo fra l'erba. Lanciò un grido di trionfo e impugnò e tirò su un lungo cordone nero della grossezza di un braccio d'uomo sollevandolo all'altezza del suo petto. "Ecco appunto un meridiano!" esclamò. "E il parallelo non dovrebbe essere lontano... Infatti, guardate..." E il capitano mostrò un altro grosso cordone "Ecco appunto un meridiano!" esclamò... lucido e nero che, avendo sollevato il parallelo, era venuto su insieme ad esso poiché si incrociava con il primo. "Ecco il parallelo!" annunciò trionfalmente. "Noi, veramente, li chiamiamo mussurana" disse il sergente Manuel. "Però, debbo ricredermi sul vostro conto, capitano... Avete un bel coraggio a tirar su così dei serpenti velenosi di quella lunghezza..." "Serpenti?" esclamò il capitano Squacqueras lasciando cadere a terra i presunti meridiano e parallelo e spiccando un balzo indietro. "E non mi dicevate nulla! Io non mi preoccupo per me ma per voi!" "I mussurana non attaccano l'uomo, preferiscono nutrirsi di serpenti velenosi, caro capitano" rispose ironicamente il sergente, mozzando la testa dei due serpenti con la sua spada. "Comunque, imparate come si fa!" "Oh, ma ecco il serpente, meno male!" esclamò il capitano. "Come? Vi è passata la paura dei rettili?" si sorprese il sergente. Poi vedendo di che si trattava: "Ah, capisco!" disse ironicamente. "Si tratta del serpente di pietra di cui mi avete parlato. Il serpente piumato..." "Già— Siamo arrivati!"

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"Mi domanda che cosa abbiamo intenzione di fare! Ah! ah! ah! Diteglielo voi, signori pirati!" "Ti faremo fare la passerella!" ghignò il Pirata Meno Un Quarto. "La passerella? Non sono una ballerina di rivista!" protestò dignitosamente Trencabar. "Ah, ah, ah!" seguitò a sghignazzare allegramente il Corsaro Nero a cui dolevano le mascelle per il gran ridere. "Fategli vedere che cos'è la passerella, al governatore..." Due pirati corsero a prendere una lunga tavola flessibile che collocarono in modo che sporgesse con l'estremità più lunga dalla murata della nave, sul mare. "Legategli le mani dietro la schiena e fatelo avanzare sulla passerella" ordinò il Corsaro Nero torcendosi dalle risa. "Ah, ah, ah! Che spasso, quando lo vedremo ballare là sopra!" "Aspettate!" disse Raul, avanzando. "Voglio dividere la sorte di mio padre..." "Lo farei anch'io volentieri, ma non so ballare" disse il capitano Squacqueras. "Un momento!" esclamò Trencabar. "Arrivati a questo punto, è meglio che dica tutta la verità." "Quale verità?" gli gridò sul volto Giovanna. "Hai ucciso i miei nipoti il Corsaro Verde e il Rosso!" "Ma io non ho ucciso proprio nessuno!" esclamò il governatore. "Come non hai ucciso nessuno?" rispose il Corsaro Nero. "Ah, ah, ah, hanno visto il Corsaro Verde e il Corsaro Rosso, ah, ah, ah, non ne posso più dal ridere dopo tanta tristezza, tutti hanno visto i miei fratelli ah, ah, ah, impiccati! E li avete lasciati lì come semaforo! Ih, ih, ih, ih!" "Non erano i vostri fratelli!" dichiarò Trencabar. "Erano soltanto due manichini..." "Due manichini?" trasecolò Giovanna... "Sì, due fantocci! Assalii è vero la nave comandata dai due corsari, ma essa andò a picco con tutto il suo equipaggio..." "E allora?" domandò Giovanna, con ansietà. "Ero soltanto vice governatore in quel tempo... Per ottenere la promozione dovevo dar prova di durezza al Viceré... E così, dato che i due corsari erano scomparsi in mare, feci vestire di rosso e di verde due fantocci e li impiccai..." "Mente! Mente per la gola!" gridò il Corsaro Nero con voce metallica. "Tieni, caro" gli disse Giovanna prontamente, tirando fuori una scatoletta e offrendogli due pastiglie. "Cosa sono?" "Mente per la gola... Non devi urlare così... Ti va via la voce metallica!" "Ma no, sto dicendo che egli mente per la gola, che afferma sfrontatamente il falso. Quale prova ci può dare di aver detto la verità?" "Uomini in mare!" gridò in quel momento il Pirata Col Coperchio che aveva preso il posto della vedetta spagnola sulla coffa del galeone. "Non è il momento di soccorrere naufraghi, questo!" esclamò il Corsaro Nero, seccato. "Eh, no, potrebbero essere nemici, guardiamo di che si tratta!" disse Giovanna. Corse alla murata, guardando nell'acqua. "Due uomini su una zattera!" esclamò. "Ma... Sono vestiti uno di verde, l'altro di rosso! Che siano i miei nipoti?" "I miei fratelli!" esclamò il Corsaro Nero. "I miei zii!" esclamò Jolanda, commossa. "I miei padroni!" esclamò Battista. "I miei guai!" gemette Nicolino. "Perché i tuoi guai?" domandò il maggiordomo. "Eh, sì, perché se ne ho passati tanti con il Corsaro Nero, che era vestito da persona seria, figuriamoci quelli che passerò con questi, tutti colorati come sono!" Intanto i pirati avevano gettato dalla murata una scaletta. Giovanna si sporse dal parapetto. "Sì, sì, sembrano proprio loro..." disse. Uno dopo l'altro i due corsari creduti morti saltarono sulla nave. "C'è qui la nostra nonna!" esclamò il Corsaro Verde. "E nostro fratello!" gridò il Corsaro Rosso. "E nostra nipote... e il nostro fedele maggiordomo." Mentre tutti si abbracciavano piangendo di commozione, Raul si avvicinò a Jolanda e la prese per mano. Si rivolse al Corsaro Nero. "Ma allora... Se le cose stanno così," disse "se il Corsaro Verde e il Rosso sono vivi... Io posso sposare Jolanda..." "Oh, questo, no!" esclamò il Corsaro Nero ridiventando serio. "E perché?" gli dette sulla voce Giovanna. "Ci ha salvato la vita tante volte... È un bravo ragazzo!" "E va bene!" disse il Corsaro Nero, tornando a sorridere. "Quello che nonna vuole, Dio lo vuole!" "Avanti, ragazzi," disse Giovanna spingendo i due giovani l'uno nelle braccia dell'altro. "Abbracciatevi e siate felici... Vi sposerete nel mio castello di Ventimiglia! E abiterete con me!" "Viva Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" gridarono tutti, amici e nemici in coro. "E mai più guerra fra i Ventimiglia e i Trencabar" sussurrò dolcemente Jolanda, baciando appassionatamente Raul.

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"Già, ma noi non abbiamo polvere" disse candidamente il Pirata Meno Un Quarto. "Non c'è polvere?" gemette il Corsaro Nero, annichilito. "L'ho fatta togliere io" disse Giovanna. "Non 3. Giovanna Così dicendo Giovanna tolse la palla dalla mano del Pirata Meno Un Quarto... mi piace viaggiare sopra una nave piena di polvere! Esigo la massima pulizia, a bordo..." "Santo cielo!" esclamò il Corsaro Nero, disperatamente. "E adesso, come la mettiamo?" Un colpo terribile squassò la Tonante che si inclinò leggermente su un lato. Il nostromo Nicolino arrivò di corsa: "La na... nave è stata colpita!" balbettò. Il Corsaro Nero corse verso la murata della nave, guardò in basso. "È vero! Signori uomini del mare!" tuonò. "Adunata! Falla a poppa!" Nicolino soffiò nel suo fischietto da nostromo traendone un forte sibilo e i pirati corsero verso di lui. "Cosa vogliono costoro?" domandò Giovanna, inarcando le sopracciglia. "Fanno l'adunata" rispose il nostromo Nicolino. "Mio nipote ha gridato: 'Adunata! Falla a poppa!', quindi l'adunata si deve fare a poppa mentre qui siamo a prua." "Ma no, nonna, va bene così" intervenne il Corsaro Nero."Perché le pompe per vuotare la nave dall'acqua sono sotto il castello di prua... Uomini del mare, alle pompe, alle pompe!" "Non ci sono più pompe a bordo" rispose il nostromo. "Come, non ci sono più pompe?" "Le ho fatte gettare in mare per ordine della contessa..." E poiché il Corsaro Nero lo guardava con la faccia inebetita: "La signora contessa" spiegò "ha detto che finché durava il lutto per i suoi nipoti il Corsaro Verde e il Corsaro Rosso, ogni pompa doveva essere abolita, a bordo..." "Ma si trattava delle pompe mondane, non delle pompe per pompare!" urlò il Corsaro Nero mentre la nave che imbarcava acqua a torrenti cominciava a sbandare paurosamente. "E adesso? Qui andiamo a picco!" "A picco?" disse Giovanna. "Non si era detto che dovevamo andare a Maracaibo? Qui si cambia sempre idea..." "Stiamo andando a picco, a fondo, in bocca ai pescicani!" gridò il Corsaro Nero, esasperato. "Se vogliamo salvarci non ci resta che tentare l'arrembaggio del galeone... Signori uomini del mare, presto... Preparate i grappini di arrembaggio!" "Gettati in mare" rispose laconicamente il Pirata Col Coperchio. "Anche quelli? E perché?" "Per ordine della contessa... Quando ha sentito parlare di grappini ha detto che non voleva alcoolici a bordo e ha comandato di buttarli via..." "Ho l'onore di annunciarvi che la nave sta affondando, signori!" disse il maggiordomo Battista comparendo silenzioso come un fantasma accanto al Corsaro Nero. "Forse è meglio abbandonarla" disse Nicolino. "Qui la faccenda comincia a puzzare di bruciato." Infatti, alcune palle incendiarie lanciate dal galeone spagnolo avevano appiccato il fuoco in più punti del vascello. Il Corsaro Nero che oltre ad avere l'occhio d'aquila, l'orecchio della volpe e l'agilità della tigre, aveva anche il naso di un bracco, annusò l'aria: "Purtroppo," disse"non sento nulla... Tutto è perduto, anche l'odore! Comunque, signor nostromo, avete ragione..." Gridò alla ciurma che si affrettò ad obbedire correndo verso il barcarizzo: "Calate le scialuppe di salvataggio! Prima le nonne e i bambini!" "Ma non ci sono bambini a bordo" obiettò il Pirata Col Coperchio. "Jolanda è sempre la mia bambina, per me" disse il Corsaro Nero con voce commossa."Su, montate sulla scialuppa anche voi" disse rivolto al nostromo Nicolino. "Come uomo di mare potrete aiutarli a raggiungere la costa..." Giovanna, Jolanda, il maggiordomo Battista e il nostromo Nicolino montarono sulla scialuppa di salvataggio. "Ma il comandante non deve andare a fondo con la sua nave?" tentò di obiettare Giovanna. "Mi sia consentito il dire" disse il maggiordomo Battista mentre i pirati facevano calare la scialuppa in mare "che se voi ve ne andate c'è speranza che la nave si salvi..." "E mio nipote?" domandò Giovanna. Il maggiordomo indicò il cassero della nave sulla quale si stagliava contro il cielo azzurro la cupa figura del Corsaro Nero. "Guardate lassù," disse "il Corsaro Nero piange."

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"No, non abbiamo l'abitudine di adoperarla!" rispose Giovanna, fieramente. "Appunto..." disse il capitano. "Volevo sapere se c'era una bandiera bianca per poterci scrivere sopra il mio motto: 'Noi non ci arrenderemo mai!". Raul credette bene metter fine alle smargiassate del capitano. "Ed ora diteci, signora... Cosa dobbiamo fare?" "Questa notte" rispose Giovanna "monterete la guardia all'ingresso della palizzata che circonda questo villaggio... Il vostro compito sarà facile perché il cielo è sereno e la luna è piena..." "Piena?" esclamò il capitano Squacqueras. "Beata 0 lei! Io, invece, sono vuoto, vuotissimo... Avrei bisogno di un paio di occhiali..." E poiché Giovanna lo guardava interrogativamente: "Ho una fame che non ci vedo" spiegò. "Va bene," ordinò Giovanna agli indiani "portategli da mangiare... Voi, Corsaro Blu, andate, intanto... Jolanda, accompagnalo..." "Volentieri, nonnina!" si affrettò a rispondere Jolanda, tutta contenta... Jolanda con un cenno del capo invitò il sedicente Corsaro Blu a seguirla e si allontanò verso l'ingresso del villaggio. Intanto il capitano Squacqueras si stava rivolgendo ad una donna indiana. "Allora," le stava domandando "che cosa c'è da mangiare, buona donna?" La donna rispose ciangottando qualche cosa di incomprensibile. "Non capisco questa lingua..." sospirò il capitano, scuotendo la testa. "L'unica lingua che comprenderei, in questo momento, è la lingua in iscatola..." "Se il signore me lo consente, traduco io..." intervenne gentilmente il maggiordomo Battista. "Ha detto che c'è una cinghialessa arrosto..." "Una cinghia, ohibò! E poi, ditemi, buon uomo, se questa cinghia di cui parlate è lessa, come fa ad essere arrosto?" "Ma no, si tratta della femmina del cinghiale..." "Molto bene, ben venga la cinghialessa, allora... E ditemi, buon uomo... Vino ce n'è?" Battista cavò dalle falde della sua lunga giacca una borraccia. "Porto" disse. "Portate pure" disse il capitano, equivocando. "Ma portatelo presto perché debbo portarmi alla porta..." Alla porta del recinto, Jolanda si fermò. "Ecco, è qui" disse, rivolta a Raul. "Buona guardia, signor Corsaro Blu..." E si voltò per andarsene, ma molto lentamente, per dire la verità. Raul la fermò prendendole un braccio. "Ve ne andate di già?" domandò. "Sì" rispose Jolanda. "Perché non restate con me?" domandò Raul. "A che fare?" domandò Jolanda. "A tenermi compagnia..." rispose Raul. "E a guardare le stelle..." "Anche la luna è molto bella stanotte" sospirò Jolanda. "Fino ad un certo punto" rispose Raul, scetticamente. "Signor Corsaro Blu, cosa dite?" esclamò Jolanda. "Il cielo è così bello questa sera proprio perché c'è la luna..." Raul si avvicinò ancora di più alla fanciulla. "Ma sarebbe molto più bello per me," disse "se al posto della luna ci foste voi..." "Perché?" domandò Jolanda, battendo rapidamente le palpebre. "La sera, in cielo, invece della luna ci sarebbe Jolanda... Tutti i telescopi della terra punterebbero su Jolanda... E invece del chiar di luna ci sarebbe il chiar di Jolanda..." "Già, ma succederebbero anche delle altre cose 5 Giovanna spiacevoli" rispose giudiziosamente Jolanda. "Molti si domanderebbero se Jolanda è abitata e sarebbe molto seccante per me dover sentire la gente che cita il proverbio: 'Gobba a levante, Jolanda calante, gobba a ponente, Jolanda crescente...' Oppure sentire qualcuno lamentarsi perché la moglie quella sera ha la Jolanda per traverso. Senza contare che starei lontanissima..." "Avete ragione, Jolanda... Ed io per chiedervi un bacio, dovrei venire fin lassù!" "Perché?" domandò ingenuamente Isabella. "Avreste intenzione di chiedermi un bacio?" "Sì, ma non so come reagireste..." "Io..." cominciò Jolanda avvicinando il suo volto a quello di Raul. I due giovani stavano per baciarsi quando con molto scarso senso di opportunità arrivò il capitano Squacqueras. "Ehm, ehm!" tossicchiò discretamente. Jolanda si voltò di scatto, lo vide e: "Oh!" esclamò confusa. "Arrivederci e... buona guardia, signor Corsaro Blu!" E fuggì via, tanto per fare un paragone nuovo, come una cerbiatta impaurita. Il giovane Raul, un po' seccato, si rivolse al capitano. "Caramba!" imprecò. "Proprio in questo momento dovevate capitare!" "In qualità di capitano è naturale che debba capitare da un momento all'altro" si giustificò Squacqueras. "Ma debbo dirvi qualche cosa di molto importante: mentre voi cantavate quel duetto d'amore con la ragazza, io facevo cantare la vecchia... Lo sapete chi sono quelle due?" I due giovani stavano per baciarsi... "La regina dei caraibi e sua nipote" rispose Raul. "Sono rispettivamente la nonna e la figlia del Corsaro Nero, se non vi dispiace... E domani mattina hanno intenzione di raggiungere Maracaibo alla testa dei loro indiani per espugnarla... Mettete che trovino lì anche il Corsaro Nero con i suoi pirati, sarà molto difficile che la città resista..." "E allora, che cosa consigliate di fare, capitano?" "È molto semplice, mio giovane amico... Scappare! Se la vecchia viene a sapere che siete il figlio dell'uomo che ha fatto impiccare i suoi due nipoti, il Corsaro Rosso e il Verde, utilizzandoli poi come semaforo stradale, ci farà fare la stessa fine... E, francamente, mi seccherebbe di finire i miei giorni in mezzo a una strada..." "Noi raggiungeremo Maracaibo, attraversando a tappe forzate la foresta!" "La foresta? Ohibò! Non sono forestiere!" "Forse, non conoscendola bene, avete paura di finire affondato nelle sabbie mobili della savana tremante?" "Paura io? Se mai sarebbe la savana ad aver paura di me... Per questo la chiamano tremante." "O temete i serpenti e le belve?" "Scherzate!" esclamò il capitano Squacqueras. "Se dovessi incontrare un anaconda, me ne farei una cravatta, se dovessi essere caricato da qualche bisonte, gli opporrei la mia fronte e vedreste chi è più forte dei due, in omaggio al proverbio che dice: 'Chi l'ha dura la vince!' In quanto al giaguaro, poi, esso in fondo non è che un grosso gatto! Per ciò che riguarda gli orsi..." Il suo sguardo cadde casualmente fra i cespugli. Il capitano Squacqueras lanciò un urlo di terrore: "Oh, Dio, un orso!" Raul guardò dalla stessa parte e vide un piccolo orso che, seduto in terra, sgranocchiava allegramente un grosso salmone, pescato molto probabilmente nel vicino torrente. "Ma no, capitano" si affrettò a rassicurare Squacqueras. "È soltanto un innocuo baribal... Si nutre esclusivamente di pesce..." "Già" obiettò il capitano Squacqueras. "Ma io sono capitano..." "Ebbene?" gli domandò Raul prestandosi gentilmente a fargli da spalla. "Potrebbe scambiarmi per un capitone... Non si sa mai!" "Comunque è meglio andare... Se andiamo di buon passo, fra un paio di giorni avremo raggiunto Maracaibo..." "Un giorno solo se procederete con la mia stessa velocità!" affermò con forza il capitano Squacqueras. "E se lascerete a me il compito di guidarvi..." Quindici giorni dopo, Raul di Trencabar e il capitano Squacqueras, stanchi, laceri, con la barba incolta e i piedi gonfi, stavano litigando fra loro ai piedi di un gigantesco albero di tamarindo. "E io vi dico, capitano Squacqueras, che a quest'ora avremmo dovuto già aver raggiunto Maracaibo, se non ci fossimo smarriti nella foresta vergine!" "Smarriti? Ohibò, mio caro Raul, è impossibile! Maracaibo si trova a nord e io ho sempre camminato nella direzione indicata dall'ago della mia bussola..." "E dov'è la vostra bussola?" "Mi è caduta in terra mentre guardavo la rotta e, naturalmente, si è rotta..." "E allora, come diavolo avete fatto a seguire la direzione indicata dall'ago?" esclamò Raul, irritatissimo. "Elementare, mio giovane amico, elementare! Lo tenevo in mano... Così..." E il capitano Squacqueras mostrò l'ago della bussola che egli teneva stretto fra il polpastrello del pollice e quello dell'indice. "Ecco, perché ci siamo smarriti!" esclamò Raul. "L'ago magnetico deve poggiare sopra una punta d'acciaio, non va tenuto in mano! E adesso, senza bussola, come facciamo?" "Niente paura!" rispose il capitano Squacqueras. "Ci orienteremo con le stelle..." "Ma le chiome di questi alberi sono così fitte che le stelle non si possono vedere!" "Lo dite voi, giovanotto! Prima, a causa del buio ho dato una testata al tronco di un albero e ho visto delle stelle grosse così!" "Capitano," disse Raul con impazienza "con quelle stelle lì non possiamo orientarci... Bisogna attendere il sorgere del sole..." Si guardò intorno. "Se potessimo trovare una grotta, o il tronco di un albero cavo per trascorrere la notte al coperto, almeno! Purtroppo, non vedo nulla di simile da queste parti... Ossia... Guardate là!" Così dicendo indicò al capitano qualcosa che biancheggiava fra i tronchi d'albero. Il capitano, spaventato, fece un salto indietro. "Oh, sant'Ambrogio mio, che cos'è?" "Un serpente piumato..." rispose Raul avvicinandosi alla cosa che biancheggiava. Il capitano, spaventato, fece un salto indietro. "Piumato o spennato, sempre un serpente è!" "Ma è di pietra!" Così dicendo Raul si avvicinò all'oggetto che biancheggiava, scostò le liane che lo nascondevano in parte scoprendo l'effige del dio incas Quetzaticoal che com'è noto è rappresentato sotto la forma di un serpente piumato. "Si tratta" spiegò Raul "di un idolo degli incas..." E poiché il capitano Squacqueras lo guardava interrogativamente: "Gli incas" spiegò "sono i primi abitanti dell'America... Essi furono quasi totalmente distrutti dai primi conquistadores che volevano impadronirsi dei loro immensi tesori... Comunque, se qui c'è un idolo, nelle vicinanze ci deve essere qualche tempio abbandonato... Infatti, mi sembra di vederne la sagoma nel buio... Sì, sì, è proprio un tempio incas... Cosa ne dite, capitano? Potremmo rifugiarci lì, per questa notte..." "Dico," rispose il capitano Squacqueras "che sarebbe bene andare subito specialmente se, come dite voi, il tempio è abbandonato... Non sarà facile trovarne un altro da queste parti e poi, come dice il proverbio? Chi ha tempio, non aspetti tempio..."

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