Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il libro della terza classe elementare

210511
Deledda, Grazia 16 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Noi, invece, abbiamo questi doni preziosi. Preghiamo, dunque, o fanciulli. Il fanciullo che prega dà lode a Dio, fa sorridere Gesù, dà letizia agli Angeli, dà refrigerio alle anime dei suoi poveri morti, fa contenti i suoi genitori, abbellisce tutta la sua giornata.

il lupacchiotto che abbiamo avuto in casa fino a due anni fà e poi è fuggito! Apro piano piano la porta, armato di una forca; il lupo si avvicina piano, dolce e, cosa meravigliosa, alza la zampa come per salutarmi. Poi manda un ululato straziante. Visto che non era pericoloso gli getto certe viscere d'agnello: le fiuta, non le mangia, poi si avvicina ancora più a me e mi addenta la giacca e mi tira. Che cosa vuole? Io faccio per ribellarmi e colpirlo con la forca, ma lui è così mansueto che io mi sento trasportato da una convinzione strana: e il lupo seguita a tirare con grande forza; lo seguo per alcuni passi: quando s'accorge che lo seguo mi lascia e mi precede. Se mi fermo, anche lui si ferma e di nuovo mi tira per la giacca. Compresi e lo seguii per dei chilometri sulla neve sino a che arrivammo al bosco: durante il cammino egli si voltava sempre per vedere se lo seguivo. Al limitare del bosco si fermò e anche io mi fermai. Che c'è? pensai. Ad un tratto vidi con terrore, in una breve radura, una quindicina di lupi famelici che si aggiravano intorno ad un albero guardando in su: e anzi, due o tre di essi tentavano inutilmente di arrampicarsi su per il tronco della quercia. Tra i rami della quercia vidi un'ombra che non tardai a distinguere per mio padre che si era rifugiato lassù. - Proprio così - disse Paolo Francesco - durante il viaggio fui assalito da un branco di lupi e feci appena in tempo a salvarmi su quella quercia provvidenziale. - E poi? - chiese Sergio. - E poi - continuò Martino piano piano, strisciando nella neve, feci un lunghissimo giro e verso l'alba arrivai al paese. Ritornammo con i carabinieri e i Militi Nazionali: vi fu una scarica di moschetteria: sette lupi vi lasciarono la pelle, gli altri fuggirono, e mio padre, mezzo morto dal freddo, potè discendere salvo dall'albero. La sua salvezza è dovuta a questo lupaccio - finì col dire Martino e andò ad abbracciare Lico che mugolò di piacere. Tutti erano pensosi al mistero di quella bestia, quando Cherubino domandò: - E gli hanno dato la medaglia?

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. - Domani mattina che è domenica, bagno, Messa, e poi verrai, a casa nostra - disse il babbo di Sergio - E siccome abbiamo avuto questa discussione su Porta Pia verrete da me, nel mio studio, e cercherò di mettervi d'accordo. Tu, Cherubino, chiama anche Anselmuccio. - Ma Anselmuccio è zoppo! - disse con cattiveria Cherubino. - Che vuol dire? Appunto per questo bisogna aiutarlo, fargli compagnia, consolarlo. Sopratutto senza farsene accorgere. - rispose con dolcezza il padre di Sergio: e passando la mano sui capelli sporchi e ispidi di Cherubino aggiunse: - Ti piacerebbe che io dicessi che anche la tua testa è zoppa?

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Dunque sta bene che abbiamo a chiedergliene perdono nella preghiera. Dice il proverbio: - Peccato confessato è mezzo perdonato. - Questo con gli uomini; ma con Dio, peccato confessato, con vero pentimento, è perdonato. Però, affinchè il Signore abbia a perdonare a noi, è necessario che noi prima perdoniamo a chi ci ha offeso. Questa è una condizione rigorosissima e necessaria. E difatti, in che modo placherà il padre quel figliuolo che non vuol fare la pace col suo fratello? Un compagno, dunque, ci ha offeso? Ebbene, cosa ci costa perdonargli? La gioia serena del perdono ci metterà il cuore in pace. E non solo si deve perdonare, ma anche pregare di cuore per i nostri offensori. E questa è tutta una carità che porta sempre buon frutto da raccogliere in Cielo.

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- Il Figliuolo di Dio si è fatto uomo, prendendo un corpo e un' anima, come abbiamo noi, nel seno purissimo di Maria Vergine, per opera dello Spirito Santo.

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Abbiamo ammirato, in Gesù, il Maestro Divino; ammiriamo ora la sua divina potenza.

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. - Signore, non abbiamo nulla, - risposero gli Apostoli. - C'è solo un fanciullo che ha cinque pani e due pesci: ma che cosa sono mai per una moltitudine come questa? Gesù si fece portare i cinque pani e i due pesci; e, dopo aver alzato gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò, li fece distribuire alla folla. Allora si vide il miracolo! Erano circa cinquemila uomini; e quel pani si moltiplicarono così che tutti ne ebbero a sazietà, e avanzò tanta roba da riempire dodici canestri.

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Questa è l'umile ma divina origine della Chiesa, alla quale noi abbiamo il grande onore e la grande consolazione di appartenere.

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Anselmuccio gridò: - La sua storia è così interessante che non abbiamo voglia di nulla. - Sì - disse Chérubino - è vero. Sergio guardò Cherubino con molta allegria e gli volle un gran bene. - Chi comandava quell'esercito? Chi lo sa di voi, saputelli? - chiese all'improvviso il signor Goffredo. I ragazzi si guardarono in faccia, non poterono trattenere quella risatina dell'ignoranza che io ben vi conosco e rimasero in silenzio. Cherubino però, da quello sconsigliato che era, alla fine esclamò: - Giulio Cesare! - Come è possibile che quell'esercito di bersaglieri, con cannoni, fucili, fosse comandato da Giulio Cesare che è vissuto più di venti secoli prima? Perchè non impari ad essere più cauto, prima di fare un'affermazione? Cherubino però, e ci dispiace dirlo, fu convinto soltanto quando udì il seguito dell'appassionato racconto del signor Goffredo che diceva: - Sulle mura di Porta Pia vi erano i soldati del Papa. Vi fu un giorno di trattative, il giorno 19: ma visto che quei soldati, per onore, non volevano cedere Roma, il 20 cominciò il bombardamento delle mura. I colpi di cannone atterrarono un tratto di mura circa cento passi a destra di Porta Pia. Sarebbe stato più facile abbattere la Porta, davanti alla quale era stato innalzato un terrapieno per difesa. Ma quel generale Raffaele Cadorna, che tu Cherubino non ricordavi, preferì lasciare intatta la bella opera d'arte. - Raffaele Cadorna è parente del Maresciallo Cadorna, che ha combattuto nella nostra Grande Guerra? - interruppe Sergio. - Si: il padre. Quando fu aperta la breccia i soldati di Raffaele Cadorna si lanciarono all'assalto. Si vedevano in testa gli ufficiali con la sciabola in pugno, scintillante come un lampo, i trombettieri con la cornetta squillante fra le labbra gonfie, i bersaglieri, i fantaccini con le bocche rotonde, aperte nel grido della lotta. Vi furono caduti da una parte e dall'altra. La breccia fu conquistata. Durante questo episodio Pino, dopo aver detto al padre «Vado sino a Porta Pia e ritorno», aveva compiuto un atto eroico. Vi era una sorgente d'acqua nella campagna (in una località che oggi è un popoloso quartiere) che i nemici tenevano sotto il tiro delle loro artiglierie per impedire che i bersaglieri assetati potessero attingere. Era facile dall'alto delle mura scorgere i soldati del Cadorna che si sarebbero avviati alla sorgente e quindi fulminarli; di notte quel luogo dov'era l'acqua era continuamente fatto segno ai colpi di cannone.

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Gli scrittori che abbiamo ricordato cercarono di diffondere questa verità. Essi volevano persuadere di due cose i principi che regnavano in Italia: concedere maggiori libertà ai propri sudditi; aiutare con le proprie milizie quello di essi, che si fosse assunto il maggior peso della prima guerra per la riscossa nazionale.

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Ma tutta la legna che abbiamo raccolta è umida e non è possibile accendere un po' di fuoco. Sulla paglia umida, infatti, giaceva un fascista con la testa nascosta dalle bende: le bende erano state strappate dalla camicia di un camerata. Tutti aspettavano l'alba, che sarebbe sorta livida.

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Ebbene, i nuovi numeri che ora abbiamo incontrati, cioè duecento, trecento, quattrocento, cinquecento, seicento, settecento, ottocento e novecento, si rappresentano 200., 300, 400, 500, 600, 700, 800 e 900; mentre il numero mille si rappresenta con 1000. 8. Il successivo di cento è cento e uno, e se ci poniamo a contare da cento e uno in poi, abbiamo, prima di arrivare a duecento, i numero cento e uno, cento e due, cento e tre..... cento e nove, cento e dieci, cento e undici, .... cento e novantanove. Essi si chiamano centouno, centodue, centotrè .... centonove, centodieci, centoundici, ....., centonovantanove; e si indicano scrivendo: 101. 102, 103. . , 109, 110, 111,....199. Essi sono tutti i numeri interi maggiori di 100 e minori di 200. In modo simile si vede che i numeri interi maggiori di 200 e minori di 300 sono duecento e uno, duecento e due, duecento e tre... duecento e nove, duecento e dieci, duecento e undici, ..... duecento e novantanove, i quali si chiamano duecentouno, duecentodue, duecentotrè,...., ducentonove, duecentodieci, duecentoundici,...., duecentonovantanove; e si indicano scrivendo: 201, 202, 203,....209, 210, 211,..., 299. Così continuando, si trovano i numeri: trecentouno, trecentodieci, trecentonovantanove, quattrocentouno,..., quattrocentodieci,..., quattrocentonovantanove, cinquecentouno, cinquecentodieci, cinquecentonovantanove, seicentouno, seicentodieci, seicentonovantanove, settecentouno, settecentodieci, settecentonovantanove, ottocentouno, ottocentodieci, ottocentonovantanove, novecentouno, novecentodieci, novecentonovantanove, che si rappresentano con: 301, 310, 399, 401, 410, 499, 501, 510, 599, 601, 610, 699, 701, 710, 799, 801, 810, 899, 901, 910, 999. 9. Si consideri uno qualunque dei numeri a tre cifre; per es., 327 (leggi: trecentoventisette). Esso è trecento, venti e sette; ma trecento è 3 centinaia, venti è 2 diecine, e sette è 7 unità, dunque possiamo dire che: 327 è 3 centinaia, 2 diecine e 7 unità. Così: 485 Leggi: quattrocentoottantacinque. è 4 centinaia, 8 diecine e 5 unità, 906 Leggi: novecentosei. è 9 centinaia, 0 diecine e 6 unità, ecc., ecc. Perciò, per un qualunque numero a tre cifre, la prima cifra (a partir dalla sinistra) si dice la cifra delle centinaia, la seconda si di la cifra delle diecine e la terza, la cifra delle unità. Per il numero 1000, 1 si dice la cifra delle unità di migliaia; le altre tre sono, successivamente, la cifra delle centinaia, quella delle diecine e quella delle unità. Invece di una unità, una diecina, un centinaio o un migliaio si dice anche una unità (intera) del 1°, 2°, 3° o 4° ordine. Quindi si dirà, per es., che per 825Leggi: ottocentoventicinque. 5 è la cifra delle unità del 1° ordine, 2 la cifra delle unità del 2° ordine, 8 quella delle unità del 3° ordine. Ma dunque: Quando uno degli interi, ora introdotti, è espresso in cifre, la cifra, che contando da destra verso sinistra occupa il 1°, il 2° o il 3° posto, rappresenta unità del 1°, del 2° o del 3° ordine. 10. Disporre in colonna più numeri dati, espressi in cifre, significa scriverli su altrettante righe diverse per modo che capitino in una medesima colonna le cifre che rappresentano unità del medesimo ordine. Così qui a fianco sono disposti in colonna tanto i numeri 106, 24, 341 e 1000; quanto i numeri 304, 6 e 34. 106 304 24 6 341 34 1000

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Così nella divisione di 235 per 8 abbiamo trovato un quoziente a due cifre, perchè, fatto nel dividendo il distacco voluto dalla regola, in esso non rimaneva che una cifra sola; nelle divisioni di 934 per 7 e di 607 per 3 abbiamo trovato quozienti a tre cifre, perchè, fatti nei dividendi i distacchi voluti dalla regola, in ciascuno di essi rimanevan due cifre. E passiamo ora a considerare il caso delle divisioni col divisore a due cifre ed il quoziente ad una sola cifra. ESEMPIO I. - Sia da dividere 97 per 25. Qui il quoziente ha una sola cifra, perchè per formare un numero non minore del 23 bisogna considerare entrambe le cifre del dividendo; quindi il numero delle cifre che restano nel dividendo è 0 e 0 + 1= 1. Per trovare il quoziente si veda quante volte il 2 sta nel 9. Vi sta 4 volte; ebbene, il quoziente 22 o è 4 o è minore di 4. Per provare se è veramente 4 si procede nel modo che segue. 2 per 4, 8; 9 meno 8, 1; 1 preposto a 7 dà 17; il 5 nel 17 non sta 4 volte; ciò significa che il quoziente non è 4. Proviamo 3. 2 per 3, 6; 9 meno 6, 3; 3 preposto al 7 dà 37; il 5 nel 37 sta anche più che 3 volte. Ciò significa che il quoziente è 3. Scrivo 3 sotto il tratto orizzontale; moltiplico 25 per 3; il prodotto 75 lo sottraggo da 97; e la differenza, 22, è il resto della divisione. ESEMPIO II. - Sia da dividere 234 per 37. Anche in questo caso il quoziente ha una sola cifra, perchè per formare un numero non minore del 37 bisogna considerare tutte le cifre del dividendo. Per trovarlo si dirà: il 3 nel 23 sta 7 volte; il quoziente è 7 o minore di 7. Proviamo il 7. 3 per 7, 21; 23 meno 21, 2; 2 preposto a 4 dà 24; il 7 nel 24 non sta 7 volte; dunque 7 è da respingere. Proviamo il 6. 3 per 6, 18; 23 meno 18, 5; 5 preposto al 4 dà 54; il 7 nel 54 sta più che 6 volte; dunque 6 è da accettare. Scrivo 6 al posto del quoziente. Il prodotto di 37 per 6 è 222. 234 meno 222, 12. Il quoziente è 6, il resto 12. ESEMPIO III. - Sia da dividere 126 per 15. Anche questa volta il quoziente ha una sola cifra; ma adesso il numero rappresentato dalla prima cifra del divisore, cioè 1, sta 12 volte in quello formato dalle prime due cifre del dividendo. Ebbene, in questo caso nel far le prove non si incomincerà dal 12. ma dal 9. Quindi si dirà: 1 per 9, 9; 12 meno 9, 3; 3 preposto al 6, dà 36; il 5 nel 36 non sta 9 volte, dunque 9 è da respingere. Proviamo 8. 1 per 8. 8; 12 meno 8, 4; 4 preposto al 6 dà 46; il 5 sta nel 46 anche più che 8 volte; dunque 8 è da accettare. Il prodotto di 15 per 8 è 120. 126 meno 120, 6. Quindi il quoziente è 8, il resto 6. 34. Divisioni col divisore e il quoziente a due cifre. ESEMPIO I. - Sia da dividere 805 per 38. In questo caso il quoziente ha due cifre, perché per formare un numero non minore del divisore basta staccare dal dividendo le prime due cifre; quindi il numero delle cifre che restano nel dividendo è 1, e 1 +1 = 2. Ebbene, si compia la divisione di 80 (numero formato dalle dette prime due cifre) per 38, procedendo al modo che è stato illustrato negli esempi precedenti. Si trova come quoziente i 2 e come resto 4. Adesso si scriva alla destra del 4 la terza cifra, 5, del dividendo ; con che si ottiene 45, e si divida 45 per 38. Si trova come quoziente 1 e come resto 7. Ebbene, per la divisione proposta di 805 per 38: il quoziente è 21, ossia esso ha per cifre quelle dei quozienti delle due divisioni parziali ora compiute, nell'ordine in cui sono state trovate: il resto è 7, ossia è il resto della seconda divisione parziale. In pratica l'operazione si dispone come è indicato dallo schema qui a fianco. ESEMPIO II - Sia da dividere 954 per 26. Anche in questo caso il quoziente ha due cifre; cerchiamolo, compiendo l' operazione secondo Io schema che si segue nella pratica. Distacco alla sinistra del dividendo il minimo numero di cifre che occorre per formare un numero non minore del divisore. Ottengo così 95. Divido 95 per 26. 2 nel 9, 4 volte. 2 per 4, 8; 9 meno 8, 1; 1 preposto al 5 dà 15; il 6 nel 15 non sta 4 volte. Dunque la cifra 4 è da respingere. Proviamo 3. 2 per 3, 6; 9 meno 6, 3; 3 preposto al 5 dà 35; il 6 nel 35 sta più che 3 volte; dunque la cifra 3 è da accettare. Scrivo 3 al posto del quoziente; moltiplico 26 per 3 e il prodotto, 78, lo sottraggo da 95. Ottengo come resto 17. Abbasso dal dividendo la cifra 4 e formo così il numero 174. Divido 174 per 26. 2 nel 17, 8 volte. Provo 8. 2 per 8. 16; 17 meno 16, 1; 1 preposto a 14 dà 14; il 6 nel 14 non sta 8 volte ; dunque 8 è da respingere. Provo 7. 2 per 7, 14; 17 meno 14. 3; 3 preposto al 4 dà 34; il 6 nel 34 non sta 7 volte; dunque anche 7 è da respingere. Provo 6. 2 per 6, 12; 17 meno 12, 5; 5 preposto al 4 dà 54; il 6 nel 54 sta anche più che 6 volte; dunque 6 è da accettare. Scrivo 6 al posto del quoziente alla destra del 3. Moltiplico 26 per 6 e il prodotto, 156, lo sottraggo da 174. Ottengo come differenza 18. L'operazione è terminata; il quoziente è 36, il resto 18. ESEMPIO III. - Sia da dividere 795 per 39. Anche in questo caso il quoziente ha due cifre; la prima, 2, si trova dividendo 79 per 39, con che si ha come resto 1. Abbassata alla destra di 1 la cifra 5 del dividendo si forma il numero 15. Dividendo 15 per 39 si ha come quoziente 0 e come resto 15; dunque il quoziente della divisione proposta è 20, il resto 15. 35. Eseguita una divisione, se ne verifica l'esattezza, ossia se ne fa la prova, moltiplicando il divisore per il quoziente e aggiungendo il resto al prodotto così ottenuto. Se non si sono commessi errori, il totale della somma sarà eguale al dividendo.

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Ognuna delle espressioni 4,65, 0,604, 13,24,... che ora abbiamo incontrate e ogni altra del loro medesimo tipo rappresenta in cifre ciò che si dice un numero decimale. La parte intera di un numero decimale, espresso in cifre, è il numero intero rappresentato dalle cifre che precedono la virgola; la parte decimale è quella rappresentata dalle cifre che seguono la virgola. Si osservi pertanto che: In un numero decimale, delle cifre che seguono la virgola, la prima rappresenta decimi (e si dice la cifra dei decimi), la seconda centesimi (e si dice la cifra dei centesimi), la terza millesimi (e si dice la cifra (lei millesimi).. Invece di un decimo, un centesimo o un millesimo si dice anche una unità decimale del 1°, del 2° o del 3° ordine. 52. Vediamo ora come si leggono i numeri decimali espressi in cifre. Consideriamo, per es., il numero 7,54. Esso è 7 unità, 5 decimi e 4 centesimi; ma giacchè 1 decimo è 10 centesimi, 5 decimi e 4 centesimi sono 54 centesimi; dunque esso è 7 unità e 54 centesimi. Perciò esso si legge appunto sette unità e cinquantaquattro centesimi o, brevemente, sette e cinquantaquattro centesimi. Così il numero 21,632 è 21 unità, 6 decimi, 3 centesimi e 2 millesimi. Ma, giacchè 1 decimo è 10 centesimi ed 1 centesimo è 10 millesimi, si ha 6 decimi = 60 centesimi = 600 millesimi, 3 centesimi = 30 millesimi; quindi 6 decimi, 3 centesimi e 2 millesimi equivalgono a 632 millesimi ed il numero dato equivale a 21 unità e 632 millesimi. Ed esso si legge appunto ventuno e seicentotrentadue millesimi. Dopo ciò è chiaro che, per es., i numeri decimali 8,5 ; 9,06 ; 5,007 ; 0,625 si leggeranno: otto e cinque decimi, nove e sei centesimi, cinque e sette millesimi, seicentoventicinque millesimi. Cosicché pertanto: Per leggere un numero decimale espresso in cifre si legge dapprima la parte intera (se è diversa da zero), indi si legge, come se fosse un intero, il numero rappresentato dalle cifre che seguono la virgola (trascurando, se vi sono, gli zeri che seguono immediatamente la virgola) e al nome di questo si fa seguire quello delle unità decimali rappresentate dall'ultima cifra. È poi chiaro ormai come si scriverà in cifre un numero decimale espresso in parole. Siano, per es., da esprimere in cifre i numeri decimali tre e quindici centesimi, ottantacinque e dodici millesimi, tre millesimi. Si scriverà: 3,15 ; 85,012 ; 0,003. Quindi: Per scrivere in cifre un numero decimale si scrive dapprima la parte intera (o la cifra 0, se essa manca), indi, tracciata la virgola, si scrive a destra di questa la parte decimale, avendo cura che la sua ultima cifra occupi il posto indicato dall'ordine delle unità decimali che essa rappresenta. Il che si otterrà premettendo, ove occorra, qualche zero. 53. I numeri decimali 2,3 ; 2,30 ; 2,300; sebbene si leggano: due e tre decimi, due e trenta centesimi, due e trecento millesimi, sono eguali, perchè tanto trenta centesimi quanto trecento millesimi sono la stessa cosa che tre decimi; e dunque: Non si altera un numero decimale espresso in cifre, scrivendo degli zeri alla destra della parte decimale. E se la parte decimale. di un numero decimale termina con degli zeri, questi possono esser soppressi, in tutto o in parte, senza che il numero decimale muti.

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. - Senti, - dice in confidenza - contentati di un piccolo uovo di vero cioccolato: perchè quello è di cartapesta e lo abbiamo messo per mostra. E la mamma compra a Valeria un bel piccolo uovo da cinque lire aggiungendo - Vedi come le apparenze ingannano.

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Per esempio: io e la mia famiglia abbiamo fame o dobbiamo naturalmente lavorare. Il padrone cattivo sfrutta questo nostro bisogno per pagarci poco e trattarci male. - E allora ho diritto di protestare. - No. Ora c'è la Carta del Lavoro. Che cosa è questa Carta? - disse con compiacenza Fafòn - È l'intervento dello Stato. Lo Stato fascista ha imposto questa regola: non ci deve essere sopruso fra il datore di lavoro e chi lavora. Una volta a salvaguardare i nostri interessi c'erano i sindacati di mille colori. Ora il sindacato ha un solo aspetto e una sola funzione: è fascista.

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