Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I mariti

224565
Torelli, Achille 6 occorrenze
  • 1926
  • Francesco Giannini e Figli
  • Napoli
  • teatro - commedia
  • UNICT
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Che cosa non abbiamo fatto, tu ed io, tu per sposare il tuo Marchese, ed io il mio Barone?

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- Colpa di noi altri genitori, che abbiamo conservato e accresciuto il patrimonio ai nostri figliuoli: novanta su cento riescono asini e villani.

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L'abbiamo ammogliato sperando che mettesse giudizio, ed abbiamo fatto l'ultima corbelleria!

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- Tanto, che abbiamo fatto questo bel fuoco.

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Abbiamo detto azioni appositamente. I Mariti non camminano sulla falsariga delle altre commedie con un'azione principale intorno a cui si aggruppino le poche secondarie; invece ne menano quattro tutte di fronte con ammirabile arditezza, e non slegate, e non disordinate, ma strette insieme da una catenella d'oro che fa le veci dell'antica unità. II giovane autore aveva cominciato ad abituarci a certe uscite particolari di lui che facevano già presentire con sicurezza la maschia potenza del suo ingegno; ma nulla di quanto egli ha scritto presagiva il magnifico tessuto della tela comica dei Mariti. Dalla Missione della Donna in poi, che ha due o tre personaggi disegnati e dipinti con straordinaria sicurezza di mano (ma che pure ha durezze ed angolosità nella condotta dell'azione e stride alquanto nel colorito) Achille Torelli è andato sempre innanzi, non lo neghiamo, acquistando il valore ora nella forza del disegno, ora nella vigoria della espressione, ora nel modo di distribuire i suoi gruppi, ora nel modo di lumeggiarli con più verità e con maggior effetto. Però allorchè negli Onesti tentò un'azione più vasta e più complicata di quelle di prima, egli parve subito esitante, incerto, quasi impacciato della moltiplicità delle fila volute mettere in opera per tessere la sua tela. E malgrado quella larghezza di fare che si notò nell'insieme, malgrado certi tocchi nuovi e delicati che diedero nell'occhio in alcune scene, nè il concetto d'essi sembrò felicemente trovato, nè l'esecuzione efficacemente raggiunta, come dicono i pittori, Si temette anzi un possibile traviamento per troppo studio di originalità; una tal quale ammanieratezza ed eccessiva eccezionalità cercata ne' personaggi; e tra i pregi soliti di lui che li mancarono quelli che per la prima volta vi facevan capolino, la bilancia non stette in bilico, ma traboccò in favore dei primi; cosa che a molti dispiacque. Oggi che possiamo volgere sugli Onesti uno sguardo in distanza, noi vi scorgiamo facilmente quell'inquieto ricercare della fantasia dell'artista, quell'incerto intravvedere d'una forma o affatto nuova, o più precisa ed adatta alla rivelazione del concetto, che soglion precedere sempre l'apparizione d'un'opera fuor del comune. Ma nemmeno queste postume riflessioni valgono a darci la chiave della nuova commedia del giovane napolitano. I Mariti mostrano la maturità di pensiero e la tranquillità d'esecuzione propri soltanto d'un ingegno provetto e già molto addentro nei più riposti misteri dell'arte. Quelle figure hanno un'espressione cosi profonda di verità; quegli avvenimenti scorrono e s'intrecciano con tanta naturalezza e con semplicità sì stupenda, che tu sperimenti subito il più grande effetto dell'arte, quello di dimenticare perfettamente l'artista. Noi non ci proveremo a dare nemmeno un disegno a profilo di questo lavoro grandioso come un poema e gentile come un idillio. Ci contenteremo d'accennare i tratti più eccellenti, di fermarci con lieta compiacenza dinanzi ad uno o due dei gruppi principali che si staccano con più vivace rilievo dal resto delle figure; ed augureremo a' lettori che non hanno visto la commedia il piacere di trovar meschine queste nostre parole d'elogio.

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É una finzione dell'arte; ma noi ne abbiamo parlato senza accorgercene come di caso verissimo! La signorina Campi si è mostrata inarrivabile nella bellissima parte d'Emma. Non solo ha potuto farvi sfoggio di tutte le sue eccellenti qualità che noi già conoscevamo, ma è stata nel caso di rivelarcene delle altre che eravamo certi si sarebbero sviluppate in lei con una più lunga pratica dell'arte. Noi infatti credevamo che ancora le mancasse quella perfetta sicurezza di tocco nella rivelazione d'un carattere che è propria soltanto degli artisti provetti. Invece la Campi ci ha dimostrato il contrario, interpretando il carattere d'Emma con una squisitezza di colorito e di sfumature incantevole davvero. Questa figura così vaga, così gentile, intorno alla quale il poeta ha speso un largo tesoro di grazia e di bellezza, è stata incarnata da lei senza mende, senza incertezze e con una ispirazione felicissima, dalla prima all'ultima scena. Fanciulla bizzarra e alquanto leggiera nell'atto primo; donna esitante, ignara di ciò che realmente prova nel suo petto, e sbalordita della mutazione che intravveda dover fra poco accadere nella sua esistenza all'atto secondo; nel quinto la gioia di sapersi madre la fa quasi ritornare alla ingenuità fanciullesca! E lì la Campi ha indovinato cose che la nostra parola non può rendere affatto, giacchè l'eloquenza de' sorrisi, delle vereconde reticenze e delle riflessioni amorose son lampi di bellezza artistica che solo il ricordo di chi li ha visti può richiamare alla vita. La signora Ciotti (Giulia) sostenne anch'essa la sua parte con molta perizia. Quella povera marchesa di Riva, perseguitata, oppressa, ridotta alla disperazione dalle gelosie del marito, ci fu resa da lei con la comica vigoria possibile e senza esagerazioni di sorta. Biliosa, isterilita negli affetti, recisa ne' gesti, come nelle risoluzioni; tale immaginò il poeta la sua marchesa di Riva, e tale fu la signora Ciotti da cima in fondo. Dopo aver strepitato ed urlato per quasi tutti i cinque atti, che sospirone essa non manda fuor del petto nel momento in cui apprende la prossima rottura della sua funesta catena! Non vanno dimenticate la signora Scarpellini (Sofia) che si è mostrata così piena di rassegnazione e di affetto nelle poche scene dove ha una parte un po' estesa; nè la Sollazzi che disse con molto brio quella bravissima d'Amelia; nè la Bergonzio che, da cameriera della baronessa, comparve una sola volta e non istuonò. Con loro abbiam già saldato il nostro debito verso le attrici. Venendo agli attori, cominceremo da Cesase Rossi (il Duca d'Herrera). Non occorrerebbe nemmen dire ch'egli rappresenti a perfezione questo tipo aristocratico, se non vi avesse spiegato alcune particolari finezze. II Duca è uno di que' caratteri che cominciano a sparire nella nostra società. Possiede tutta la dignità del suo titolo, ma vi unisce una benevolenza ed un'affabilità proprio all'antica. Il suo spirito è afflitto o dall'esser vissuto troppo per provare de' disinganni o dall'averli provati quando non era più in tempo a correggere. La sua casa aveva delle tradizioni. Egli le ha rispettate senza badare che il mondo era affatto mutato; ed ora ne piange, ma invano. Educazione vuol essere, e non sangue! egli esclama con profonda amarezza, vedendo il duchino suo figlio caduto così basso; e coteste parole escono dalle labbra come una verità confessata a malincuore da chi l'ha appresa troppo tardi, e con assai dura esperienza. Rossi ha accentuata questa scena con arte squisita. Era indignato, era commosso, e parlava con una calma che lasciando intravvedere, più che vedere, lo stato dell'animo del duca, accresceva al personaggio simpatia ed interesse. Nell'atto quinto quando il duca, vecchio e gottoso, è risoluto di rivendicare cavallerescamente l'onore della sua famiglia creduto offeso dal Riverbella; quando si lascia trasportare dallo sdegno a rispondere colla voce un po' alterata alla duchessa che rientra nelle sue stanze singhiozzando, il Rossi fu dignitoso, fu agitato, fu affettuosissimo. Non diede nè un tocco di più, nè uno di meno; e fece apparire la figura del Duca tra le più belle del quadro, benchè si mostri due sole volte, nel primo e nell'ultimo atto. Il Ciotti (Fabio Regoli) non rappresentava un personaggio a forti risalti, tale da dargli campo d'adoperare una grande varietà di colorito. Però recitò con giustezza e con diligenza inappuntabili. Sotto quella sua dolce serenità si vedevano la risolutezza, la fermezza e la nobiltà dello stupendo carattere dell'avvocato; e la sua voce seppe trovare inflessioni piene d'affetto gentile, di dignità profondamente sentita ma senza albagia, che improntarono al personaggio una vita dove l'arte pareva affatto estranea, e dove intanto fors'era più grande. II Lavaggi (Di Riverbella) che non potè avere una parte primaria, perchè la commedia non gliene forniva; il Belli-Blanes (barone d'Isola); il Bozzo (duchino Alfredo); il Pagani (Felice, servo del Duca); fin lo Scarpellini (dottore) e il Lavagnino (servo del barone d'Isola) che dissero due parole, tutti, recitarono, secondo le diversi parti, con accuratezza e con amore, e contribuirono a darci lo spettacolo d'una rappresentazione dove non ci fu nulla che potesse dare appiglio alla critica più schizzinosa e più incontentabile. Ci siamo riserbati di parlare all'ultimo del signor Bellotti-Bon, perchè, oltre le lodi che merita per la sua parte assai scabrosa del marchese de Riva, dobbiamo dargliene più larghe come capocomico direttore per la diligenza e la maestria della messa in scena. Egli non ha trascurato niente sia nel concerto dell'insieme, sia nella decorazione della nuova commedia. Ogni cosa anzi è stata da lui ordinata con gusto, con intelligenza, con vero rispetto per l'Arte. Al poeta ed a lui, i quali ci hanno mostrato tutte queste meraviglie assai rare per la nostra Arte rappresentativa, non possiamo quindi far altro che ripetere il motto da noi posto in capo di questa rassegna, con cui vien riassunto mirabilmente il sentimento di tutti:

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