Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Come devo comportarmi. Le buone usanze

185111
Lydia (Diana di Santafiora) 29 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Dei doveri e dei diritti di ciascun membro abbiamo già parlato, ma tutti questi doveri e questi diritti devono poi concatenarsi fra loro, fondersi insieme in un'armonia perfetta. Ciò non è possibile se non presiede alla famiglia un'autorità indiscutibile e indiscussa, dinanzi alla quale tutti pieghino il capo, quella del padre, di quel pater familias che presso gli antichi Romani aveva diritto di vita e di morte sulla moglie, sui figli, sui servi. Tutti i componenti la famiglia devono ubbidire al capo di essa, tutti: anche la madre di famiglia, che è pure quasi alla pari con lui. In quelle case dove la donna comanda e l'uomo china il capo, non c'è, nè ci può essere, armonia perfetta. Degli altri membri, ognuno renda al padre di famiglia quella forma d'obbedienza che è conforme alla sua condizione subordinata. La confusione dei diritti e dei doveri è causa di discordia nelle famiglie. In certe case, tutti comandano: il padre alla madre, la madre al padre, i figli ai loro fratelli, tutti ai domestici; in altre invece tutti obbediscono nello stesso modo: il padre tiranno ha avvezzato a un'obbedienza cieca e paurosa la moglie, i figli, i servitori. Errori gravi gli uni e gli altri: una moglie deve, sì, obbedire al marito, ma in una forma dignitosa, senza perdere il prestigio di madre di famiglia; e colui che la tratta da schiava è indegno del nome di uomo. L'obbedienza dei figli dev'esser più passiva e più intera, ma sempre imposta con moderazione, senza abusi. Un padre intelligente si guardi dal forzar troppo la mano, e dal far uso della sua autorità quando non ce ne sia bisogno: il mostrare ad ogni momento ch'egli è il padrone e può fare quello che vuole, è un cattivo metodo, che produce spesso effetti contrari a quelli attesi. Prima di comandare, pensi bene a che cosa comanda e a chi comanda: non usi lo stesso tono con un bambino di cinque anni e un giovanotto di venti. Soltanto il padre e la madre hanno il diritto di comandare ai figliuoli; e devono esserne gelosissimi. I diritti di primogenitura sono ormai tramontati da un pezzo, e dinanzi al padre e alla madre i figli sono tutti uguali. Non si mostrino dunque preferenze, che son sempre causa di malumori e di gelosie; non si permetta ai figli maggiori di sgridare i figli minori. Se qualcuno ha da lamentarsi, c'è in famiglia un tribunale inappellabile, al quale ogni membro deve ricorrere; nè gli è permesso farsi giustizia da sè. Abbiate cura che i vostri figliuoli si trattino fra loro cortesemente: nulla spiace più che vedere due fratelli azzuffarsi, nulla è più bello della concordia, della gentilezza tra fratelli. Soprattutto non permettete mai che un vostro figliuolo manchi di riguardo verso sua sorella; inculcategli fin da piccolo quel rispetto cavalleresco verso la donna, di qualunque condizione essa sia, di qualunque età, di qualunque grado di parentela. La cortesia, la gentilezza su tutti i rapporti di famiglia sono il miglior segno di educazione perfetta. Una persona cortese in famiglia è cortese anche fuori; chi non sa attenersi in casa alle regole del galateo, non le osserva a lungo andare neppur fuori di casa. In famiglia si forma l'uomo e il cittadino; e la moralità delle famiglie è arra di moralità dello Stato.

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Già abbiamo parlato del saluto e delle norme che lo regolano. Aggiungiamo ora che anche del saluto, come di ogni altra cosa di questo mondo, bisogna far un uso giusto, senza esagerare nel troppo e nel poco. Ci son persone che provano un gran godimento a salutare e a esser salutate: salutano anche le persone che conoscono appena di vista, quelle incontrate per caso una volta sola in tram o in ferrovia, e con le quali hanno barattato dieci parole di complimento; incontrando poi persone a loro inferiori per condizione o per età, ne provocano il saluto in mille modi, atteggiando la persona e il viso a quell'attesa cortese e insieme impaziente che significa a chiare note: - Salutatemi! - Altri invece hanno un sacro orrore del saluto e fanno di tutto per evitarlo. Se vedono da lontano avvicinarsi un loro conoscente, spiegano tanto di giornale e fingono di leggerlo attentamente; oppure si soffermano davanti a una vetrina tutti intenti a guardare, che so io?, un paio di guanti o un bastone da passeggio; e non si muovono finchè quel tale non sia passato oltre. Conosco perfino di quelli che fanno un brusco voltafaccia e cambiano strada. Non c'è bisogno di dire che una persona normale non cerca nè fugge il saluto. Salutata, risponde cortesemente, o, se tocca a lei, saluta quando è necessario, con serena disinvoltura. Ma del saluto in genere abbiamo già dato le norme. Nella strada, si eviteranno quelle soverchie effusioni, che piacciono tanto a noi, popoli meridionali. Incontrando un amico che non si vede da gran tempo, sarà inutile dare in esclamazioni, alzar le braccia al cielo e poi buttargliele al collo, baciandolo su tutte e due le guance: tutte cose belle e buone, ma sconvenienti in un luogo dove tutti ci guardano. La maraviglia, la gioia si possono esprimere con più moderazione e non meno efficacemente. Si potranno fare delle eccezioni in casi veramente speciali; ma anche allora si farà bene ad evitare ogni pubblicità. C'è già occorso di parlare del contegno di una signorina che va fuori sola. Non si creda però che soltanto alle signorine sole sia imposto un contegno riservato e corretto: anche la donna in genere, anche l'uomo devono sottostare a certe regole d'educazione inderogabili. Così, avremo tutto il diritto di considerare come ineducato l'uomo che parla per la strada ad alta voce, che si abbandona a grandi gesti, che fa roteare il bastone o l'ombrello, che cammina in modo da dar noia ai passanti, che non cede il passo alle signore, che attacca briga per un nonnulla. Gli uomini che, appena passata una signora, si voltano indietro a guardarla con ostentata curiosità, sono degli impertinenti. Colui che, passando accanto a una bella signora, si permetta rivolgerle una parola d'ammirazione, anche innocente, è un mascalzone: se la signora fosse accompagnata dal marito o dal fratello, egli avrebbe probabilmente la lezione che si merita. Una persona bene educata, non scende mai in istrada se non vestita di tutto punto; nè deroga da questa abitudine neppure per impostare una lettera a cinque passi dall'uscio di casa. Non di rado, anche in quei brevi istanti, si possono fare incontri che ci inducono a pentirci amaramente della trascuraggine commessa. Chiunque cammina per la strada deve comportarsi, oltrechè con educazione, anche con prudenza: soprattutto deve evitare le osservazioni inutili, le critiche, i litigi. Non tutti i passanti sono persone educate, e spesso una parola tira l'altra e nascono delle scene spiacevoli. Questa norma di prudenza dev'essere specialmente osservata quando si sia in compagnia di signore, semprechè l'atto altrui non sia tale da meritare d'esser rilevato. Coloro che, per un malinteso senso di cavalleria, si credono in obbligo di difendere l'onore della loro dama attaccando lite in mezzo alla strada con un maleducato qualunque per una cosa da nulla, non mostrano nè tatto nè cervello. 5 E non è neppure una bella cosa vederli piantare in asso la signora affidata alle lore cure, per venire alle mani col primo che capita. Una cosa da nulla può diventare una cosa seria, e le signore in generale sone facili a impressionarsi e spaventarsi. Ognuno del resto capisce che questi sono consigli di prudenza e non di vigliaccheria, e hanno il solo scopo di far evitare eccessi inutili. Se l'occasione veramente si presentasse, un uomo deve saper affrontare ogni pericolo senza esitazione, pronto anche, per l'onore di colei che lo accompagna, ad arrischiare la vita. Ma chi ha veramente coraggio, non lo sciupa inutilmente e se ne serve soltanto al momento del bisogno. A questo proposito, non possiamo astenerci di dare anche alle signore un avvertimento. Le liti per la strada sono sempre spiacevoli, spesso pericolose: non cercate mai di provocarle col vostro contegno, perchè, più spesso che non si creda, esse hanno origine dall'imprudenza vostra. Ci sono molte signore che s'adombrano di tutto, che s'inquietano se non si fa loro posto, che non esitano a buttar là una di quelle parole acri e impertinenti, che irritano ed esasperano. Il marito, il fratello, prendono naturalmente le loro difese, anche se, in cuor suo, riconoscono tutto il torto della loro compagna; e le conseguenze sono spesso dolorose. Siate dunque prudenti, signore mie; sappiate anche, al momento opportuno, non avere nè occhi nè orecchi: eviterete ai vostri mariti, ai vostri fratelli, ai vostri amici delle noie e dei pericoli. Se poi, per disgrazia, una questione avviene in vostra presenza, non intralciate col vostro contegno l'opera di chi vi accompagna: non gridate, non piangete, non date in ismanie. Se ci accade per la strada di urtare involontariamente una persona, si è in obbligo di chiederle scusa; e le scuse saranno più ampie se si tratterà di un vecchio o d'un mutilato. Chi è urtato, se è persona bene educata deve accontentarsi di quelle scuse e rispondere con una parola gentile. Chiunque, transitando per la strada in bicicletta, in automobile o su qualunque altro veicolo di sua proprietà, è causa involontaria di una disgrazia, ha l'obbligo assoluto di mettersi interamente a disposizione del ferito e di curarne il trasporto a casa o in un ospedale: fuggire per timore delle responsabilità nelle quali, sia pure involontariamente, è incorso, è azione da barbaro. Una persona di cuore considera un dovere prestare l'opera sua ai passanti tutte le volte che ne vede la necessità, senza credere di decadere dalla propria dignità neppure se si tratta d'un umile servizio. Una persona di buon senso evita di far circolo intorno ai ciarlatani e soprattutto intorno a coloro che leticano o vengono alle mani. Questa brutta abitudine di godersi come uno spettacolo le baruffe che così frequentemente avvengono nel mezzo di strada, fu già ripresa da Dante che, come di tante altre cose, s'intendeva anche d'educazione. Dice Virgilio a Dante, dopo averlo rimproverato d'essersi fermato ad ascoltare due dannati in lite fra loro:

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La questione del vestiario è, come si vede dalle norme che abbiamo suaccennate, del massimo interesse e tutt'altro che facile a trattare. Forse, a trattarla a fondo, non basterebbe un libro intero. A noi basti aver fatto capire al benevolo lettore e alla gentile lettrice tutta la difficoltà dell'argomento, e averli indotti così a non trascurare questo aspetto particolare della vita civile, al quale di solito non si dà tutta l'importanza che merita.

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Ci si regolerà per essi secondo quelle norme che abbiamo già date per i balli in genere; ma una madre di famiglia accorta si ricorderà che tutti quegl'inconvenienti a cui accennammo crescono a mille doppi quando, come nel caso presente, a simili ritrovi prende parte una società cosmopolita, frivola e non di rado equivoca. Io la consiglio perciò a pensarci non una ma dieci volte, prima di condurre le proprie figlie a un ballo in uno stabilimento balneare o in un così detto Kursaal; e se non ne farà di nulla, tanto meglio.

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Non abbiamo intenzione di parlare di quel giuoco che si potrebbe chiamare legalmente organizzato e che si fa nei così detti Casini, nei grandi alberghi, nei Circoli, nelle case di dubbia fama. Quando si è detto che è una vergogna che lo Stato lo tolleri, e che un uomo onesto non deve mai prendervi parte neppure come spettatore, si è detto tutto. Diremo invece due parole del giuoco che si fa così alla buona, fra amici o fra conoscenti. Non di rado, specialmente in campagna, qualche famiglia si riunisce in una casa o in una villa amica; e lì, mentre i ragazzi giuocano e le signore parlano fra loro, gli uomini si divertono al biliardo, o seduti a un tavolino con un mazzo di carte. Si tratta per lo più di giuochi innocenti, che hanno soltanto lo scopo di procurare un po' di svago e di far passare piacevolmente un'ora. Qualche volta a questi giuochi, specialmente se richiedono molte persone, partecipano anche le signore. Non ricordo più chi ha detto che l'uomo educato si rivela durante il giuoco. Ma, chiunque esso sia, ha detto una gran verità. Chi è poco educato, e perciò non trova nell'educazione forza bastante per controllare e frenare i propri impulsi, raramente sa comportarsi bene nel giuoco: se vince, mostra una gioia smodata e rumorosa; se perde, si fa cupo, irascibile e non di rado pronunzia parole o frasi poco corrette. La persona dabbene, il vero gentiluomo, giuoca con serenità e con calma, e non mostra mai di dar troppa importanza al giuoco che fa. Se perde, non si lamenta e non mette su muso, neppure se altri è causa, coi suoi errori, della sua perdita: evita i rimproveri, le parole scortesi. In caso di contestazione, non si ostina e cede anche se crede di aver ragione: per nessun motivo al mondo suscita liti o questioni. Non importa dire che nel giuoco bisogna sempre comportarsi con estrema correttezza. Anche quando non si giuoca di denaro, anche quando si abbia voglia di scherzare, non ci si permetterà mai di alterare la partita, di scambiare una carta o di modificare un tiro. In queste cose lo scherzo non è permesso; e ogni galantuomo si fa, di chi si lasci andare a simili indelicatezze, un cattivo concetto. Se si volesse far bene, non si dovrebbe mai giocar di denaro; poichè una persona ammodo giuoca per divertirsi e non per guadagnare. Tutt'al più, la posta dovrebbe esser di pochi centesimi, tanto per crescere l'interesse della partita. Ad ogni modo ci si ricordi quello che si è detto a proposito delle gite: non si mettano gli ospiti o gli amici nel caso di far delle perdite dolorose. In casa propria, non si permetterà mai che si giuochi di somme forti; e appena si vedrà che il giuoco, cominciato per ischerzo, finisce col diventar serio (ciò che purtroppo avviene assai spesso), si sarà pronti a metterci un freno. Così facendo, non solo impediremo una cosa disonesta in sè, ma toglieremo non di rado dall'imbarazzo qualche amico o conoscente il quale, per timidezza o per un malinteso senso di dignità, non abbia saputo dir di no a chi gli proponeva di raddoppiare o triplicare le poste, mettendo così in grave pericolo la sua borsa poco fornita. Per quel che riguarda i cosiddetti giuochi di società, si sappia giocarli con ritegno e con prudenza. Alcuni di questi giuochi sono fatti a base di domande e di risposte, di giudizi, di considerazioni. La persona bene educata, pur sapendo scherzare, si mantiene sulle generali ed evita le personalità; si astiene da critiche troppo ardite, soprattutto verso coloro che son conosciuti come permalosi ed ombrosi, risparmia le signore giovani e le signorine; non prende mai occasione per far dello spirito da infermità o difetti fisici. In quei giuochi che richiedono contatti confidenziali (meglio sarebbe evitarli), sa comportarsi da gentiluomo senza insistere e senza trasmodare. In tal modo, i giuochi si mantengono innocenti e divertono; ma se vi prendono parte persone poco fini, si cambiano facilmente in sollazzi poco decorosi e non di rado danno origine a spiacevoli incidenti. Alle signore e signorine non sapremmo mai troppo raccomandare un contegno riservato. Molto spesso le confidenze d'atti e di parole, che altri si prende con loro durante il giuoco, sono o sembrano giustificate dalla sventatezza di cui esse danno prova. Una signorina deve sempre ricordarsi che molti uomini, in apparenza bene educati, non lo sono che superficialmente, e che il chiasso, l'allegria, la presenza di persone giovani e vivaci tolgono loro molto spesso la vernice esterna e rivelano quello che si nasconde sotto di essa: che non è sempre una bella cosa. Sia dunque prudente, e sappia all'occasione gastigare con una parola severa l'intraprendenza maschile.

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Il contegno da tenere in simili casi è di replicare brevemente, facendo intendere che in presenza nostra simili apprezzamenti non sono permessi, e soggiungendo che anche gli altri paesi hanno i loro difetti: se non gli stessi che abbiamo noi, altri non meno gravi. Lo straniero che ha osato permettersi una simile indelicatezza, generalmente se lo tiene per detto, e non tocca più l'increscioso argomento; se seguitasse, non c'è che piantarlo lì, e andare per i fatti nostri. Ogni buon Italiano deve sperare e affrettare col desiderio e con l'azione che venga il momento che l'Italia divenga la prima nazione del mondo, ed avere un giusto orgoglio di quello che intanto produce e fa. Siamo già sulla buona via, ma bisogna percorrerla sino in fondo. Mettiamo dunque da parte ogni sciocca idolatria per ciò che ci viene dall' estero. Fino a qualche anno fa, nessuna cosa in Italia aveva valore se non portava la marca estera: colpa in parte della deficienza della nostra produzione, ma anche della manìa che aveva invaso gl'Italiani: oggi, quel che si fa da noi è in gran parte ben fatto: libri, utensili, macchine, stoffe posson rivaleggiare con quelle delle altre nazioni d'Europa. Dobbiamo esser noi i primi a incoraggiare la nostra industria, dando la preferenza ai nostri prodotti, anche se, per le condizioni speciali d'un dato momento, il far questo c'imponga qualche sacrifizio. È l'unico mezzo per mostrarci buoni Italiani.

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Quanto abbiamo avuto occasione di dire più sopra ci dispensa dallo spender troppe parole su quest'argomento. È una bella e gentile usanza riconoscere nella famiglia gli onomastici e i compleanni. Le condizioni economiche non floride non giustificano quell'assoluta trascuratezza che alcuni ostentano per simili ricorrenze: se non si possono fare spese superflue, si può sempre dimostrare in qualche modo, a colui o a colei di cui ricorre l'anniversario, il proprio affetto o la propria riconoscenza. Basterà una parola, un augurio affettuoso, un ricordo di poco valore, un piccolo rialto a pranzo. I figli verso i genitori, i giovani verso i vecchi, abbiano cura di non dimenticare questi giorni: i vecchi specialmente, quando vedono i loro figli o nipoti lasciar passare la loro festa del nome o degli anni senza una parola d'augurio, ne provano una profonda tristezza; e non è bene rattristare coloro a cui resta ormai poco da vivere e che hanno rinunziato a quasi tutte le soddisfazioni della vita. A persone di riguardo o ad amici intimi si usa mandare o portare gli auguri per il loro onomastico. Agli auguri giunti per iscritto si risponde ringraziando.

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Abbiamo già avuto occasione di parlare, nella prima parte di questo libro, dei doveri di chi sia invitato a pranzo in casa d'amici. Parleremo ora brevemente del modo con cui l'ospite deve esser ricevuto, e più specialmente delle cure che una buona massaia deve dare alla preparazione del pranzo. Si capisce che non intendiamo parlare dei veri e propri pranzi di parata, noiosissimi per chi li dà e per chi li riceve. Questo libro, l'abbiamo già detto più d'una volta, è destinato soltanto alle famiglie della buona borghesia, che intendono comportarsi educatamente nelle varie circostanze della vita. Vediamo dunque qual siano i principali doveri di chi voglia radunare intorno alla propria tavola qualche amico, o anche delle persone di riguardo, per passare insieme un'ora di piacevole compagnia. La preparazione del pranzo è, naturalmente, la cosa più importante; e da essa si riconosce il buon gusto dei padroni di casa. Un tempo, s'imbandivano dei pranzi pantagruelici, con un'infinità di portate così abbondanti, che più di mezze ritornavano in cucina; oggi, e con più buon gusto, si preferisce la qualità alla quantità, badando più che altro alla delicatezza dei cibi e alla loro elegante disposizione. Ad ogni modo, senza giungere alle esagerazioni dei nostri avi, si provveda a che la roba non scarseggi, e non abbia ad accadere che qualche convitato debba servirsi scarsamente. Un pranzo si compone generalmente dei così detti principî, di una minestra, di alcune portate guarnite, di un dolce o gelato, formaggio, frutta e caffè. I principî possono essere di vario genere, e non è nostro compito indicarne le diverse specie. Ma, di qualunque genere siano, debbono essere fini e delicati e non troppo abbondanti. Servono, come si suol dire, a stuzzicar l'appetito e a preparar lo stomaco ai cibi che verranno: perciò ogni convitato se ne servirà con parsimonia. Quanto alla minestra, l'etichetta vuole che sia servita in piccola quantità; ma a un pranzo che non abbia pretese troppo aristocratiche, si potrà servire, senza incorrere nella taccia di grossolanità, una buona scodella di minestra ben calda. Le portate, per così dire, di prammatica di un pranzo di buon gusto sono tre, raramente quattro. I nostri nonni, su questo punto, erano d'un rigorismo feroce, e i piatti erano sempre gli stessi: lesso, fritto, umido e arrosto; qualche volta, nei pranzi meno sontuosi, si faceva a meno del lesso o del fritto, ma il resto non cambiava; cambiava soltanto la materia prima, per chiamarla così: il lesso poteva essere di manzo o di pollo, l'arrosto di pollo o d'agnello o di manzo, l'umido di vitella o di rigaglie: la scelta, come si vede, era molto ristretta. Oggi invece è ormai sanzionata dall'uso una libertà maggiore; tuttavia, anche nei nuovi e variati aspetti, le portate conservano ancora, almeno nel fondo, il loro carattere primitivo. Ad ogni portata sarà sempre unito un piatto di legumi: così vogliono l'uso e l'igiene. Il dolce sarà fine e abbondante; belle e abbondanti e ricche le frutta; aromatico il caffè. Prima di dire come si debba servire un pranzo, occorre premettere qualche parola sul modo di preparare la tavola; preparazione divenuta nell' uso d'oggi importantissima e da cui traspare il buon gusto e la finezza della padrona di casa. La tavola deve esser disposta e preparata in modo da dare ai commensali un senso d'elegante semplicità. Si eviterà dunque di sovraccaricarla troppo con oggetti incomodi o ingombranti: una candida tovaglia, più fine che è possibile, i piatti e le posate disposti in bell'ordine, i bicchieri di varia grandezza ben allineati; nel mezzo le bottiglie dell'acqua e del vino, le saliere, ecc.; dei piccoli vasi da fiori davanti a ciascun piatto o uno più grande, ma basso, nel centro: ecco quanto è necessario e sufficiente a una bella apparecchiatura. La finezza della biancheria, la bellezza del vasellame, della cristalleria e della posateria contribuiscono più che tutto all'eleganza d'una tavola, anzi si può dire che siano l'unico ornamento di essa. Sbagliano tuttavia coloro che credono di renderla più bella facendo sfoggio di tutta la guardaroba e di tutta l'argenteria; poichè il troppo nuoce, anche se è bello. È quindi da approvarsi l'abitudine ormai invalsa di disporre sulla credenza o su altra tavola tutti gli oggetti che dovranno servire nel corso del pranzo, salvo i bicchieri: sulla tavola da pranzo si troverà soltanto un piatto per ciascun convitato, e una posata. Tovaglia e tovagliuoli di candido lino sono i più adatti in ogni circostanza; potranno anche esser finemente ricamati e traforati con gusto. Oggi, specialmente nei pranzi in campagna e nelle colazioni che abbiano un certo carattere intimo, si fa uso di biancheria colorata; e l'uso non è da disprezzarsi, quando si sappia con gusto scegliere i colori e i disegni. Il pranzo deve esser servito da persone attente e pratiche, in modo che la padrona di casa non sia costretta a correggere gli errori e tanto meno ad alzarsi da tavola. Si cambierà il piatto e le posate ad ogni portata; si serviranno le pietanze alla sinistra di ogni convitato e si eviterà l'uso familiare di posare il vassoio nel mezzo della tavola. Ogni pietanza sarà sempre servita due volte, salvo la minestra e il formaggio; e si farà in modo che fra pietanza e pietanza corra il tempo necessario perchè possano mangiare comodamente anche i più lenti, senza tuttavia esagerare: i lunghi intervalli fra piatto e piatto stancano i convitati e prolungano troppo la seduta a tavola. Nei pranzi di parata, sarebbe una sconvenienza invitare gli ospiti a riprendere ancora di questa o di quella vivanda; ma abbiamo già detto che di tali pranzi non ci occupiamo. In quelli di famiglia, anche se abbiano una certa pretesa d'eleganza, non ci sarà nulla di male se il padrone o la padrona di casa incoraggeranno l'ospite a mangiare con qualche parola cortese; ma, per carità, non s'insista mai su questo punto: detta la parola e ricevuto un cortese rifiuto non è lecito aggiungere altro. Non è neppure segno di buona educazione incitar l'ospite a bere, riempiendogli il bicchiere ad ogni momento, o infastidirlo con dei continui: - Ma Lei non mangia; ma Lei non beve! - L'ospite ben educato sa da sè come deve comportarsi, conosce la capacità del proprio stomaco e ha tutto l'interesse a non levarsi da tavola con la fame come a non prendere un'indigestione. Si lasci dunque fare, o tutt'al più si inviti con parole gentili a non far complimenti e a considerarsi come in casa sua. La parte più scabrosa d'un pranzo è il principio, quando ancora i convitati non si sono ben affiatati, e la tavola è silenziosa. Più tardi, i cibi e il vino, anche se presi in dosi convenienti, faranno il loro effetto: la cordialità regnerà da sovrana e la conversazione diverrà spiritosa e animata. Il padrone e la padrona di casa metteranno perciò ogni impegno a superare quel primo quarto d'ora d'imbarazzo, sostenendo essi stessi la conversazione 7 su argomenti piacevoli e gai; ma sapranno farlo con tatto, in modo da lasciare agl'invitati tutta la libertà di mangiare e di bere. Un pranzo ben riuscito non è soltanto quello in cui siano stati serviti cibi e vini squisiti, ma quello che sia stato rallegrato da una conversazione arguta e piacevole. Quest'ultima qualità essenziale si ottiene soprattutto con una sapiente e prudente scelta dei convitati, invitando persone che per carattere, per cultura, per educazione, per idee, possano stare bene insieme e trovarsi facilmente d'accordo. Esistono individui dotati di particolari requisiti, che sono, in questi casi, veramente preziosi: simpatici all'aspetto, buoni parlatori, faceti, pieni d'un umorismo lepido e castigato. La loro presenza basta a tenere allegra la conversazione, a stabilire legami d'amicizia, sia pure provvisoria, fra i convitati. Un padrone di casa farà gran conto di essi e non mancherà, quand'è possibile, d'invitarli. Finito il pranzo, si suol passare in altra stanza a prendere il caffè e a fumare. Generalmente, si proseguono allora le conversazioni incominciate e la cordialità diviene più espansiva. Il compito dei padroni di casa è quindi di molto facilitato, ma non finito. C'è sempre, fra i convitati, specialmente se numerosi, qualcuno che rimane in disparte, o per naturale timidezza o perchè il genere di conversazione che si sta svolgendo non è adatto per lui. A costui o a costoro si rivolgerà allora l'attenzione degli anfitrioni, i quali troveranno modo di toglierlo dal suo isolamento rivolgendogli parole cortesi o toccando argomenti che sappiano interessarlo. Dopo il caffè, e fatta una mezz'ora di conversazione, gl'invitati prendono generalmente congedo, con parole di ringraziamento, dai loro ospiti. Ma negli inviti che abbiano una certa intimità, e specialmente in campagna, questo periodo del dopopranzo si protrae talvolta a lungo, anche per qualche ora. Se ciò avviene, i padroni di casa hanno il dovere di intrattenere piacevolmente i loro ospiti con qualcos'altro che non sia la semplice conversazione. Se la compagnia è tutta omogenea e vi predomina l'elemento giovane, si troverà modo con molta facilità di passare allegramente il resto della giornata mettendo tutti d'accordo: dei giuochi di sala, i soliti quattro salti, una passeggiata nel giardino o nel bosco sono altrettanti mezzi adatti allo scopo. Ma nel caso, più frequente, di molti gusti da contentare, bisognerà ricorrere a vari espedienti: mentre le persone d'età rimarranno probabilmente in salotto a parlare del più e del meno, gli altri si raduneranno intorno al pianoforte o nella sala da biliardo o scenderanno in giardino all'aria aperta. Toccherà allora ai padroni di casa a farsi in quattro, come suol dirsi, per riparare a questo e a quello, per far sentire la loro presenza dappertutto: fatica non lieve e tutt'altro che piacevole, che si aggiunge all'altra sostenuta durante il pranzo e prima di esso; ma, come dice un proverbio, quando si è in ballo bisogna ballare. Quando gli ospiti si congedano, i padroni di casa li ringraziano dell'onore ricevuto ospitandoli; sicchè, lo scambio di cortesie è reciproco. Dentro gli otto giorni è di regola la così detta visita di digestione.

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Le regole generali per un invito ad un thè sono quelle stesse che abbiamo già date per un invito a pranzo. Ci sono soltanto due differenze: che il thè è cosa più semplice d'un pranzo e che, appunto per questo, gl'invitati sono più numerosi. Se intendete dare un thè a persone amiche, sappiate prima di tutto preparar bene l'esotica bevanda. Un buon thè non è facile a farsi: occorre provvedersi d'una buona materia prima, che non si trova dappertutto; in secondo luogo conoscer bene la dose, per non offrire una bevanda che sappia d'acqua calda o abbia un sapore astringente, tutt'altro che piacevole. Se dunque vi manca l'abitudine e l'abilità, ricorrete ai consigli e all'aiuto di qualche amica, piuttosto che esporvi alle critiche nascoste, ma sempre poco benevole, dei vostri invitati. Il thè si prepara generalmente sotto gli occhi degl'invitati; ed è la padrona di casa stessa che se ne occupa. Essa versa sulle foglie già preparate l'acqua bollente che le porge la cameriera o che attinge da un samovar, secondo l'uso russo. Nei pochi minuti d'attesa, fino a che il thè sia fatto, la padrona di casa prepara le tazze e s'informa dei gusti degl'invitati. Ad alcuni piace forte, ad altri leggero; chi lo preferisce col latte o con la panna, chi col limone, chi senza alcun ingrediente. La padrona di casa in persona serve il thè, mescendolo nelle tazze e porgendolo agl'invitati: in quest'ultima operazione può essere aiutata dalla cameriera o anche da qualche signora della compagnia, che gentilmente si presti. È un uso ridicolo quello di servire il thè su una tavola apparecchiata, come si servirebbe una colazione. Sulla tavola stanno soltanto la teiera e i dolci; gl'invitati, stando ciascuno al posto che occupano nel salotto, ricevono la tazza e il piattino con la mano sinistra e sorbiscono la loro bevanda senza cambiar posizione: se vien loro dato un piccolo tovagliuolo, lo posano sulle ginocchia, o lo tengono sotto il piattino, a guisa di sottocoppa. I dolci o i crostini che vengono loro offerti, li posano sull' orlo del piattino, tenendo in mano quello che stanno mangiando; è quindi buona regola di non prenderne più di un paio per volta. Questo cerimoniale, consacrato ormai da un uso che ci viene dall'Inghilterra, è tutt'altro che di facile attuazione. Chi non ha una certa abitudine si trova imbarazzato a dover sostenere su di una mano piatto, tazza, cucchiaino, tovagliuolo e dolci, e spesso finisce col rovesciare qualcosa in terra o sul vestito. Ma con un po' di attenzione si finirà sempre col cavarsela con onore. Un thè è tanto più ricco quanto maggiore è l'abbondanza, la finezza e la varietà dei dolci che l'accompagnano. Ognuno sa che esistono i così detti dolci da thè, che consistono in biscotti speciali e pasticcetti assortiti, tutti di piccola mole e di sapore delicato. Ad essi una brava padrona di casa deve aggiungere dei crostini e dei sandwiches, preparati da lei stessa con burro e vari ingredienti, come acciughe, prosciutto, marmellate, ecc., per contentare tutti i gusti. Sulla tavola dove sono disposti, in piatti o piccoli vassoi, i crostini e i dolci assortiti, troneggia generalmente un dolce di grandi proporzioni, per esempio una torta o un plum-cake, tale che possa servire a tutti gl'invitati. Servito il thè nelle tazze, si comincia con l'offrire i crostini, poi i biscotti e i pasticcetti; in ultimo si serve il dolce. Ad ogni persona presente si deve sempre offrire una seconda tazza, e magari una terza, disponendo le cose in modo che il thè non manchi finchè si servono le cose da mangiare. Mostra un'ignoranza assoluta delle regole di buona educazione chi intinge nella tazza del thè i biscotti o i dolci che gli vengono offerti o porta la tazza alla bocca prima di aver finito di masticarli. Ad un invito al thè si va generalmente in abito da passeggio e senza soverchie pretese d'eleganza; ma in casi speciali si può anche esigere un abito più d'etichetta, perfino l'abito da società. La padrona di casa riceve quasi sempre, secondo la moda inglese, col così detto abito da thè, che è un vestito da casa molto fine ed elegante; per le giovinette si preferiscono i colori chiari. Dopo un invito al thè non è necessaria la visita di ringraziamento.

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Quelle norme che abbiamo già date sul ballo in genere e sull'accettazione o meno d'un invito, valgono anche qui. Se abbiamo consigliato ad una buona madre di famiglia di non condurre le proprie figlie a ballare in case dove non si sia sicuri d'incontrare una compagnia superiore anche al più lontano sospetto, dobbiamo ora consigliare chi si propone di dare un ballo a scegliere con grande oculatezza gl'invitati, in modo da evitare che qualche elemento discordante turbi l'intimità e la dignità della festa. S'invitino dunque persone della cui buona educazione e correttezza si abbiano prove sicure, scartando tutti coloro che anche lontanamente ci siano sospetti. Secondo l'importanza del ballo, gl'inviti si fanno a voce o per iscritto, e generalmente molto tempo prima (una quindicina di giorni almeno) della data stabilita. È bene ch'essi siano limitati, specialmente se lo spazio di cui si dispone non è molto: l'affollamento nuoce quasi sempre all'andamento regolare della festa. Per quel che riguarda più da vicino i preparativi del ballo, è necessario, per far le cose in regola, avere a disposizione almeno tre sale: una più grande, dove si ballerà; una seconda per coloro che non ballano o si riposano dopo aver ballato; una terza per il buffet. La sala da ballo deve essere molto illuminata e vuota d'ogni mobile: tutt'al più, se è molto grande, può aver tutt'all' intorno degli stretti divani, per i ballerini e le ballerine. In un angolo si farà il posto per il pianoforte o per l'orchestrina. Non importa dire che, se appena appena il ballo è d'una certa importanza, ci devono essere per la musica delle persone apposta: sottoporre al martirio di sonare a ballo per ore e ore qualcuno degl'invitati, è cosa alla quale non si deve neppur pensare. Sul pavimento della sala da ballo si stende generalmente una tela a mo' di tappeto, che trattiene la polvere e facilita i movimenti delle coppie danzanti. La seconda sala sarà invece provvista di ogni comodità. In essa potranno stare a loro agio le mamme che non ballano o coloro che si riposano. Ottima cosa sarà poter disporre di una stanza contigua, riservata specialmente agli uomini che fumano o giuocano; servirà mirabilmente, a questo scopo, la sala da biliardo, se c'è, o anche lo studio del padrone di casa. La sala da buffet rimane generalmente chiusa e oscura fino a quando non entra in funzione, cioè verso la mezzanotte. In essa, su una lunga tavola centrale, o su piccole tavole laterali, sono disposti i cibi e le bevande destinati agl'invitati. La preparazione d'un buffet freddo per una festa da ballo di una certa importanza è un affare difficile e complicato; e la cosa migliore è affidarla a persona dell'arte, risparmiandosi fatiche talvolta, sgradite sorprese. Tuttavia, chi voglia farla da sè, tenga conto soprattutto che la nottata è lunga e che i ballerini sono generalmente molto giovani e d'ottimo appetito. Ci sia dunque una certa abbondanza di cibi e di bevande. In generale i cibi principali sono il pollo in galantina, gli sformati, il prosciutto, i crostini assortiti, le paste dolci, le arance, i mandarini e altre frutta; per le bevande, oltre lo spumante, che è di rito, i vini bianchi e in special modo le bibite ghiacciate, come aranciate e limonate, delle quali si fa durante la notte gran consumo. Quando cominciano ad arrivare gl'invitati, il padrone e la padrona di casa debbono interamente dedicarsi al loro ricevimento, non omettendo mai di presentarli gli uni agli altri, quando non si conoscano. È questa la regola più antica e più comoda; oggi, specialmente quando si tratti di balli con gran numero d'invitati, si omette spesso questo cerimoniale; in tal caso, gl'invitati si presentano fra loro al momento opportuno. Durante il ballo, i padroni di casa e le altre persone di famiglia, se ce ne sono, devono occuparsi soprattutto delle persone che non ballano. Sono queste, in generale, le mamma e i babbi, e quelle povere signorine che la natura matrigna, privandole delle doti di grazia e di bellezza, destina a far da tappezzeria. Il padrone di casa farà dunque l'opera buona d'invitarle ogni tanto, e per turno, a fare un giro con lui, e pregherà garbatamente i suoi amici più intimi a far lo stesso. Intanto la signora terrà circolo con le mamme, cercherà di affiatarle fra loro, intavolerà la conversazione; e quando vedrà che tutto procede bene, potrà anche alzarsi per occuparsi d'altro. Di tanto in tanto, farà anch'essa il suo giro di ballo, accettando qualche invito; ma non ballerà tutta la notte, lasciando la sorveglianza generale della festa. Per dei padroni di casa che desiderano che tutto proceda regolarmente, una festa da ballo esige una gran fatica e molto spirito di sacrifizio. L'unica preoccupazione di chi la dà dev'essere di far divertire gli altri senza pensare a sè; l'unica soddisfazione, quella di veder godere gli altri. Abbiamo parlato altrove degli abiti da ballo. Qui diremo soltanto che il padrone a la padrona di casa devono per i primi strettamente uniformarsi alle regole che hanno stabilite. Se si è imposto l'abito nero, sarebbe una sconvenienza presentarsi in giacchetta, col pretesto che si è in casa propria; se non si è imposto, sarebbe un esporre gl'invitati a far cattiva figura, indossando il frac. Quanto ai figliuoli, se sono molto piccoli, non conviene che prendano parte al ballo: essi sono quasi sempre d'impiccio, e la loro salute non gode a perdere per una notte intera il riposo e il sonno; se sono grandicelli, potranno assistere alla prima parte del trattenimento più come spettatori che come attori; quasi sempre, i bambini che ballano intralciano le danze dei grandi. Queste regole non valgono naturalmente per i balli dei bambini, che si danno nelle ore del giorno. In essi, soltanto i bambini devono ballare, e i grandi, anche se molto giovani, devono far la parte di spettatori. Per quel che riguarda il vestito, una madre saprà vestire il proprio piccino con eleganza, senza arrivare all'esagerazione. Purtroppo si vedono talvolta girare per le sale dei bimbi abbigliati come tante bambole, pieni di fronzoli e di nastri; e la madre che è responsabile di una tale caricatura vien subito tacciata di cattivo gusto. Si può, anzi si deve, unire l'eleganza, alla semplicità, perchè ciò che veramente è elegante non può non essere anche semplice. Tornando all'argomento, la festa ha termine di solito la mattina, fra le quattro e le sei; ma gl'invitati possono lasciarla anche prima, quando lo credano conveniente; nè i padroni di casa hanno diritto di aversene per male. Nelle feste di gran parata e molto numerose, si può filare all'inglese, cioè senza salutare gli ospiti; ma nei balli di famiglia, e quando si abbiano relazioni d'amicizia con chi dà la festa, l'accomiatarsi con parole gentili è d'obbligo. Ed è pure d'obbligo una visita di ringraziamento dentro gli otto giorni.

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Le signore, come abbiamo detto, salutano con la testa. Come regola generale, esse non salutano mai per le prime, ma restituiscono il saluto, quando s'incontrano con uomini: potranno tuttavia, anzi dovranno salutare per le prime gli uomini di età, gli uomini illustri, coloro cui son legate da vincoli di obbedienza o di rispetto; ma questi, alla lor volta, faranno di tutto per prevenire il loro saluto. Incontrandosi con persone del loro sesso, osserveranno le stesse regole che abbiamo date per gli uomini.

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Chi ha pratica della vita sa quanto sia frequente il caso di matrimoni male assortiti, sebbene dall'una parte e dall'altra non siano mancati tutti i requisiti essenziali ai quali abbiamo accennato. - Non vanno d'accordo: - ecco come i parenti e gli amici riassumono la situazione. E disgraziatamente è una situazione senza rimedio. Prima dunque di dar la loro approvazione, un padre e una madre procederanno con somma cautela, o prenderanno tempo a riflettere. Delle indagini, fatte con metodo e senza fretta, non solo sulla persona in causa, ma sulla sua famiglia e sui parenti, potranno fornire elementi preziosi di giudizio. Meglio se si potrà osservare da sè, penetrando nell'intimità della famiglia, sotto la veste dell'amicizia: giovano in questo caso i soggiorni prolungati al mare o in campagna, dove facilmente si presentano le occasioni di stare insieme. Se il resultato delle indagini non fosse buono, i genitori non si lascino vincere da un affetto, che in questo caso sarebbe davvero colpevole. Abbiano il coraggio di dir di no, di dare un dolore alla loro figliuola. Sarà, forse, un dolore grave, ma infinitamente meno grave di quello che essa proverebbe quando si accorgesse, senza rimedio, d'aver per sempre rovinato la sua esistenza. Il fidare nel periodo del fidanzamento per mettere in chiaro punti dubbi od oscuri, è un mezzo pericoloso e fallace; e del resto, la rottura d'un fidanzamento è per ogni verso più grave e dolorosa che una rinunzia prima che esso si inizi. Tocca perciò alla giovinetta a mostrarsi ragionevole, considerando che la decisione dei suoi genitori non può essere ispirata che al suo bene, e che essi hanno, del mondo e delle persone, una esperienza di molto superiore alla sua. Essa deve pensare che molto spesso un babbo e una mamma danno il loro consenso a un fidanzamento che non approvano, perchè non hanno la forza di opporsi al capriccio della loro figliuola; e che per questa loro debolezza mancano al loro primo dovere e procurano un mare di guai a colei che essi vorrebbero invece preservare da ogni dolore. Perciò la sottomissione e la ragionevolezza sono in questo caso più che necessarie.

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Torniamo agli sposi, che abbiamo lasciati al termine della cerimonia nuziale. La sposa ha deposto l'abito bianco, ha indossato un semplice vestito da viaggio; le valigie son chiuse, la carrozza attende. Gli ultimi addii, le lacrime, la promessa di presto rivedersi.... via, via: non c'è da perder tempo; si parte per il viaggio di nozze! - Ma, - interloquisce a questo punto una gentile lettrice - si deve proprio fare il viaggio di nozze? O non è passato di moda? O non si è detto e ridetto che è fatica inutile e denaro sprecato? E non si è anche affermato che non è nè decente nè conveniente portare a spasso per le città e per gli alberghi la propria felicità, sotto gli occhi dei curiosi e degli indiscreti? - Sì, cara lettrice, si è detto questo, e tante altre cose ancora. Ma la gente è ostinata e, nonostante tutte le opposizioni, il novanta per cento degli sposi novelli fanno ancora il viaggio di nozze. E non volete che se ne parli in un libro destinato a un pubblico vario e molteplice? Del resto, intendiamoci: il viaggio di nozze può farsi in tante maniere: può essere una fatica e diletto, una cosa incomoda e una cosa comoda. Tutto sta nel saperlo preparare con gusto e con un giusto senso di praticità. Certo, gli sposi che, per quindici o venti giorni, non fanno che passare dal treno all'albergo, dall'albergo al battello, dal battello di nuovo al treno, col solo intento di veder più cose nel minor tempo possibile, non mostrano nè buon senso nè buon gusto; ma quelli invece che sanno disporre le cose in modo da unire l'utile al dilettevole, da procurarsi il maggior godimento con la minor fatica, non possono che riportare un grato ricordo dal loro viaggio. D'altra parte, il viaggio di nozze, se fu inventato ed ebbe gran voga, dovette avere uno scopo utile e preciso; e lo scopo vero ci fu, anzi fu duplice: prima di tutto, di dare ai due sposi il mezzo di veder cose nuove e belle, ciò che, purtroppo, quando poi la vita comincia a mostrarsi in tutta la sua cruda realtà, non è più possibile o è troppo difficile; in secondo luogo, di sottrarre la giovane coppia alla curiosità molesta e incomoda dei parenti, degli amici, dei conoscenti. Ed all'uno e all'altro scopo il viaggio di nozze, fatto come dev'esser fatto, serve egregiamente. Quando si è fuori della propria città o del proprio paese, la curiosità degli estranei non turba nè impedisce il beato egoismo dei due sposi: quel signore che al ristorante o in treno ha sorpreso una stretta di mano furtiva o il muto disegno d'un bacio sulle labbra della signora, è padrone di pensare quello che vuole: ma probabilmente non si rivedrà più, e non farà più arrossire con la sua presenza la confusa sposina; padronissimi i camerieri dell'albergo di sorridere ed ammiccare ogni volta che s'incontrano per le scale o per i corridoi: domani gli sposi saranno altrove e si rideranno dei sorrisi altrui. Tuttavia, ad evitare certi incidenti tutt'altro che piacevoli, noi consigliamo d'adottare un temperamento al viaggio di nozze, che senza toglierne l'incanto, lo rende più adatto allo scopo che si prefigge. Molte coppie di sposi usano oggi di recarsi subito dopo le nozze in un luogo appartato e tranquillo, ed ivi passare la prima settimana della luna di miele. Se il matrimonio ha luogo d'inverno o di primavera, servono mirabilmente allo scopo le stazioni balneari, quasi deserte in quella stagione. Il mare è uno sfondo meraviglioso nel quadro dei primi amori; e la mitezza del clima, la semplicità della vita, l'assoluta solitudine danno un sentimento intimo di pace e di gioia alle due anime innamorate. Trascorsi i primi giorni, che sono anche quelli delle effusioni più irresistibili e perciò meno facili a celare, nulla impedirà di compiere un breve viaggio prima di tornare al nido preparato con tanto amore. La sposa novella che parte per il viaggio di nozze non si sovraccarichi di valigie, di valigette, di cappelliere, di scatole; non si provveda di troppi vestiti, di troppi oggetti di toelette, procurando imbarazzi e noie a sè e al marito. Sappia, fin dal principio della sua vita novella, mostrarsi pratica e assennata; e pensi che il marito, fino a ieri giovanotto e non avvezzo a viaggiare con donne, può non trovar di suo gusto tutto quell'arsenale di bagagli. Nè dica, come dicono tante signore, credendo di far mostra di spirito: - È bene che si abitui; è bene che impari. - Sì, il marito impara: impara a viaggiar solo, per evitar seccature. La durata d'un viaggio di nozze dipende dai mezzi e dal tempo disponibile; ma non sia mai troppo lungo, perchè sarebbe un gran danno che finisse col venire a noia: esso deve lasciare negli sposi un ricordo grato e duraturo. Quando si visitano città o luoghi famosi per bellezze naturali, ciascuno dei due sposi cerchi di assecondare e comprendere i gusti dell'altro. Se il marito, amante dell'arte, si ferma estatico ad ammirare un monumento, una statua o un quadro, la signora non si mostri indifferente e non dia segno d'impazienza o di noia; se la signora si sofferma pensosa davanti alla dolcezza d'un tramonto sul mare, il marito non le faccia fretta e non sorrida dei suoi sentimenti poetici. Un mutuo rispetto, anche per cose di secondaria importanza, è condizione essenziale d'armonia, ed è bene che si cominci a praticarlo fin dai primi giorni del matrimonio. Ma il viaggio di nozze volge al suo termine. Il marito comincia già a tornare col pensiero ai suoi affari, alle sue occupazioni giornaliere, che gli danno modo di guadagnare e di vivere; la sposina è impaziente d'entrare nel nuovo nido, di prender finalmente la direzione della sua casa.

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Dei rapporti fra suocera e nuora abbiamo avuto occasione di parlare incidentalmente nella prima parte di questo libro; ma l'argomento è così importante, che nessuno troverà strano che ne parliamo ancora, e più a fondo. Sulla suocera c'è, si può dire, un'intera letteratura: ne dicevano male gli antichi, ne dicono male i moderni. «Suocera a nuora, tempesta e gragnola», è un detto popolare, ripetuto ormai migliaia e milioni di volte. Ma, a forza di parlarne, s'è finito con l'esagerare. Si consolino dunque e si tranquillizzino i giovani sposi: con un po' di tatto e di.... furberia, si rimedia facilmente anche a questo guaio. La causa dei rapporti agrodolci fra suocera e nuora è quasi sempre, come dicemmo già, la gelosia; gelosia sui generis, ma sempre gelosia. La madre dello sposo, che ha educato il suo figliuolo con tanto amore e sollecitudine, che è stata fino a ieri il suo più grande affetto, che l'ha consigliato e diretto e ne ha avuto in contraccambio una rispettosa obbedienza, vede tutt'a un tratto sorgere sull'orizzonte un'altra donna, verso la quale il frutto delle sue viscere si rivolge con tutto l'amore, con tutta la fiducia, con tutta la cieca obbedienza che finora erano riserbate soltanto a lei. Lo vede perdere abitudini a lei care per prenderne altre suggerite o imposte dalla nuova sposa; lo sente esprimere idee nuove e, per lei, spiacevoli; s'accorge infine con immenso dolore che, messo alle strette, suo figlio preferisce la sposa alla madre. Ne nasce il più delle volte una sorda gelosia, che trasparisce in ogni parola, in ogni atto della povera madre ferita nel più sacro dei suoi affetti. D'altra parte la nuova sposa, con tutto l'egoismo della gioventù e dell'amore, vuole il marito tutto per sè, e non intende fare a mezzo con nessuno. Padrona in casa sua, non le piace ubbidire alla volontà altrui, tranne a quella del marito; conscia dei propri diritti, si ribella ad ogni imposizione che cerchi di menomare la sua indipendenza. Gelosa dell'affetto del marito, s'impenna tutte le volte che lo vede propenso ad assecondare i desideri di colei ch'egli ama ancora - e come potrebbe essere altrimenti? - di un affetto immenso e profondo. Di qui lotte sorde e tenaci, battibecchi, e talvolta guerra feroce ed aperta. E il povero marito soffre e non sa a che santo votarsi. Peggio ancora, se la suocera s'accorge che la nuora non ha per suo marito tutto il rispetto e l'affetto, che dovrebbe. Ogni sgarbo fatto al proprio figlio, è un'offesa fatta a lei, anzi più grave e più profonda; e ci vuol molto tempo, prima che la ferita si rimargini. Certo, messo in questi termini, il caso è grave e il più delle volte senza rimedio. O meglio, il rimedio c'è, ma doloroso: che suocera e nuora divengano fra loro come due estranee, e limitino i loro rapporti alla stretta convenienza, rinunziando alla dolcezza d'ogni intimità. Ma se l'una e l'altra sapranno esaminare bene il carattere della loro inimicizia; se avranno animo retto e coscienza onesta e si sentiranno la forza di fare qualche rinunzia reciproca, le cose potranno accomodarsi con relativa facilità e con mutua soddisfazione. Una giovane sposa non deve mai dimenticare che la suocera è la madre di suo marito; e che questi le deve sempre rispetto, amore, obbedienza. È troppo naturale ch'egli subisca ancora la sua influenza; ed è per lo meno una crudeltà, per non dire un delitto, metterlo alle strette e costringerlo a scegliere fra la madre e la moglie. A questo non si deve mai giungere, per nessuna cagione. E poichè una suocera vede nella nuora soprattutto una rivale, il mezzo migliore per disarmarla è di metterla a parte delle proprie idee, di chiederle spesso aiuto e consiglio. Se la suocera vede la nuora venire a lei con atto di filiale sottomissione, è ben raro il caso che l'intimo compiacimento che prova non la induca a prender verso di essa un atteggiamento di materna benevolenza. L'idea d'aver le chiavi del cuore di colei di cui tanto temeva, la predispone a concessioni e a gentilezze che per ogni altra via le sarebbero impossibili. Così la fine sposina finisce col fare quasi sempre a modo suo, con l'approvazione della suocera e del marito soddisfatto e beato. Di più, essa consegue un altro e non indifferente vantaggio: gode della fiducia d'una persona d'esperienza, che non solo può consigliarla utilmente sul modo di governare la famiglia, ma le può dare preziosi suggerimenti sulle abitudini, sui gusti, sui desideri, magari sui difetti del marito. Da parte sua, la suocera accetti ormai il fatto compiuto e non cerchi nella nuora una condiscendenza e un'arrendevolezza, che ad ogni modo non potrebbero esser sincere. Ripensi a quando essa stessa, sposa novella, pretendeva per sè tutto l'amore del marito, e non ammetteva di dividerlo con altre. Se non approva le abitudini, il modo di parlare, di fare, di vestire della nuora; se la vorrebbe più casalinga, più sottomessa al marito, meno amante dei divertimenti, sappia fare le dovute concessioni all'età giovanile, ai tempi cambiati. Dire: - Ai miei tempi non si faceva così, - non significa nulla. In un periodo di tempo di venti o venticinque anni le cose sono necessariamente mutate, poichè tutto, a questo mondo, si evolve e si modifica. Nè si deve credere che tutto muti in peggio; spesso anzi si va migliorando, con vantaggio del buon senso e dell'igiene. Una delle più gravi questioni fra suocera e nuora verte specialmente, e anche di questo abbiamo già fatto cenno altrove, sull'allevamento e sull'educazione dei figliuoli. La suocera, forte della sua esperienza, ha un monte di consigli, di suggerimenti da dare; e vorrebbe che la nuora, nella sua inesperienza, si lasciasse guidare interamente da lei; ma la nuora, fiera e orgogliosa della sua nuova missione, vuol fare da sè: ha letto dei libri d'igiene del bambino, ha preso consiglio dal medico, ha consultato le amiche; e le idee della suocera le sembrano errate o antiquate. In generale, dopo qualche battibecco, l'una si ritira sdegnata, l'altra, piena di baldanza, si mette a far di sua testa. Di qui, fino dalle prime prove, incertezze, errori, rimpianti da parte della madre novella, che manca d'un aiuto prezioso e non sa decidersi a richiederlo dopo averlo rifiutato; inquietudine e talvolta sdegno del marito che in fondo, in cose di questo genere, riconosce in cuor suo la superiorità della propria madre. Se invece le cose si son sapute accomodare con tatto e con prudenza, tutto procede per il meglio: la suocera, senza pretendere di far da padrona in una casa che non è sua, consiglia e guida senza averne l'aria, lasciando alla giovane mammina l'illusione della sua indipendenza; la nuora, lusingata dalle attenzioni della suocera e convinta ch'ella non ha affatto intenzione di attentare alla sua libertà, trae tutto il giovamento da un'esperienza consumata e affettuosa. Concludendo, si cerchi dall'una parte e dall'altra di smentire con le parole e coi fatti il brutto proverbio citato al principio di questo capitolo. Da un normale stato di cose e da una serena concordia fra suocera e nuora, trarranno vantaggi incalcolabili non solo le due persone interessate, ma il marito, i figliuoli, la famiglia intera.

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Abbiamo detto che la madre deve seguire scrupolosamente i consigli del medico. Insistiamo su tale particolare importantissimo; e aggiungiamo che, in questo, essa farà bene a non dar retta alle esortazioni delle così dette persone pratiche, siano pure la suocera o la madre. L'igiene è una scienza moderna, che ha pochi anni di vita e che progredisce di giorno in giorno; di più, solo da qualche decennio l'allevamento del bambino è stato studiato razionalmente e scientificamente, sottraendolo all'empirismo d'un tempo. Ne è venuto fuori un complesso di norme e di disposizioni, che le persone della passata generazione guardano con sospetto e spesso anche con palese ostilità; per esse i vecchi espedienti, i vecchi rimedi, sono sempre i migliori. Bisogna che la mammina moderna, con dolce fermezza e senza suscitar risentimenti, faccia a modo suo o meglio a modo del medico; ciò che non le sarà poi troppo difficile, se si appoggia sull'autorità di colui a cui tutti devono riconoscere, in un certo campo, il diritto di comandare e d'essere obbedito. La madre e la suocera, alla lor volta, lascino alla figliuola e alla nuora la più ampia libertà; e si ricordino che l'istinto materno ha, in ogni occasione, vedute e risorse meravigliose.

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Abbiamo già detto che all'allattamento artificiale si preferirà sempre la balia. La scelta d'una balia è cosa difficile e seria. Una volta si sceglieva una balia su per giù come si sceglie una persona di servizio: un po' di interrogatorio, qualche informazione, colloquio e accordo sul baliatico; e tutto era finito. Oggi, per fortuna, si procede con ben altre cautele. Prima di tutto, si prenderanno sulla futura nutrice del bambino informazioni ampie ed esaurienti. Avanti di entrare in trattative, bisognerà esser sicuri che sia giovane, sana, onesta e discretamente agiata, che non abbia in famiglia tare ereditarie, che il marito sia laborioso e senza vizi, ecc. Naturalmente, tutto ciò non si potrà fare senza l'aiuto di un medico, nel quale si abbia grande fiducia e che possa esaminare la donna con scrupolo e con coscienza. Le trattative si inizieranno dopo, quando si è sicuri di ciò che più importa. Una madre che rinunzia ad allattare da sè il proprio bambino, desidera quasi sempre - ed è naturale - di avere la balia in casa. Ma purtroppo ragioni di carattere finanziario spesso si oppongono alla realizzazione di un così giusto desiderio. Una balia in casa costa molto, e come baliatico e come trattamento, e richiede in più spese d'impianto non indifferenti. Se dunque non si può, si rinunzi coraggiosamente al bel miraggio, e si dia il bambino a balia fuori. Il sacrifizio sarà grande, ma offrirà, in compenso, dei vantaggi. Se la balia è buona e onesta, l'allattamento riuscirà meglio lasciando la nutrice nel suo ambiente e nelle sue abitudini. Non di rado la balia campagnuola, avvezza all'aria aperta e a un cibo sano ma ordinario, soffre a star rinchiusa in una casa cittadina e a empirsi lo stomaco di pietanze delicate, alle quali non è abituata; allora tutte le funzioni del suo organismo si turbano, e prima ch'essa si adatti al nuovo regime passano delle settimane, talvolta dei mesi, durante i quail il bambino cresce su stento e da poco. Dunque, tutto il male non viene per nuocere, e la mamma può consolarsi al pensiero che, in fondo, il sacrifizio ch'ella fa sarà tutt'altro che dannoso al suo bimbo, che avrà poi il vantaggio inestimabile di vivere in campagna, all'aria aperta. Del resto, coi mezzi di comunicazione d'oggi, e salvo casi eccezionali, una balia non è mai troppo lontana; e la madre, il padre e le persone di famiglia si faranno un obbligo di visitarla spesso. In queste visite, si renderanno conto delle condizioni del bambino, e osserveranno soprattutto se è curato con amore e con pulizia. La balia si affeziona al figlio altrui, come se fosse suo, ed ha per lui cure veramente materne. Quando questo si verifica - e si verifica quasi sempre - i genitori possono star tranquilli: il loro bambino è in buone mani. Perciò, non si lamenteranno troppo delle abitudini rozze o contadinesche della balia o della sua famiglia, e se esse non sono addirittura contrarie all'igiene, non le rileveranno neanche. Già, sarebbe inutile; perchè la balia, partiti i genitori, farebbe di nuovo come prima; e poi il bambino, abituato ormai all'ambiente, non ne risente danno. Certo, quando si ha la balia in casa, le cose, per molti rispetti, vanno meglio, e la madre è più tranquilla, senza quel rodìo di pensare al suo bambino lontano. Ma, anche in questo caso fortunato, tutto non è sempre di color di rosa. La balia è spesso ignorante ed esigente; nella sua astuzia di montanara, essa sente tutto il privilegio della sua posizione, e ne abusa. Sa che, per rispetto al bambino, non le si possono fare nè osservazioni nè rimproveri, e a forza di chiedere e di volere finisce col diventare la vera padrona di casa. Occorrono perciò, nel trattare con lei, molta prudenza e molto tatto, non disgiunti però da una certa energia. La madre e il padre debbono, fino dai primi giorni, sapersi imporre, senza esagerare nelle attenzioni e nelle gentilezze, come spesso avviene per un malinteso affetto verso il bambino. La balia s'accorge subito che nessuno, nella nuova casa, le mancherà di rispetto e di riguardo, ma che, nello stesso tempo, nessuno si lascerà soverchiare da modi sgarbati o esigenti; tutti saranno disposti a trattarla alla pari, con amorevole deferenza, ma tutti si opporranno ai suoi ordini o ai suoi capricci. Una volta messe così le cose a posto, il periodo del baliatico trascorrerà senza gravi incidenti; la nutrice, capito una volta per sempre che deve anch'essa sottostare a quella disciplina che regola tutti gli altri membri della famiglia, farà il suo dovere senza troppo ricalcitrare. Alla balia, in casa e fuori di casa, si faranno spesso regali. È un uso ormai vecchio, e anche ragionevole. I regali predispongono l'animo alla benevolenza e alla riconoscenza, doti troppo necessarie in chi ha in mano le sorti d'un essere caro. Un regalo di maggiore importanza si usa fare quando il bambino mette il primo dente: un paio d'orecchini, uno spillo d'oro o un vestito, a seconda della condizione e del desiderio della balia stessa. Se la balia ha altri bambini, non si dimenticheranno neanche quelli: ogni cortesia fatta ad essi ridonda a vantaggio del proprio bambino. Un ultimo regalo si fa quando si divezza il bambino, cioè, in generale, quando ha termine il baliatico. Si sia esatti nel pagare gli onorari alla balia, nè ci si culli nell'illusione ch'essa compia il suo ufficio con disinteresse. Una donna che non ne ha bisogno non allatta bambini altrui; soltanto la necessità di guadagno la induce a sobbarcarsi a un compito incomodo, faticoso e pieno di responsabilità, anche se dopo le diverrà piacevole. Ora, coloro che vivono nell'agiatezza non sanno in generale di quali preoccupazioni e imbarazzi possa esser causa un ritardo di pochi giorni nel pagamento di ciò su cui altri ha fatto conto. In molte famiglie si usa di vestir la balia in modo grottesco, con costumi fantastici o tradizionali. Senza riprovare assolutamente quest'abitudine, siamo di parere che anche in questo, come in tutte le cose di questo mondo, la semplicità sia da preferirsi. È passato il tempo delle livree chiassose per fare impressione sulle persone semplici e sciocche; e il denaro costa oggi troppe fatiche per sciuparlo in inutili cianfrusaglie. S'intende però che una balia ben vestita non solo fa onore a chi la tiene presso di sè, ma diffonde intorno a sè un senso di benessere e di pulizia, che ridonda in gran parte a vantaggio del suo allievo.

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Vogliamo parlare, s'intende, di quella pulizia speciale alla quale abbiamo già accennato; l'altra, quella normale, non può essere che giornaliera, in una casa che si rispetti. Le fatiche d'una padrona di casa saranno maggiori o minori a seconda dell'ampiezza del suo appartamento e del numero delle persone di servizio. Non si creda tuttavia che chi ha molti domestici abbia poco da fare. Tirate tutte le somme, è forse più da invidiare la modesta massaia che fa molte cose da sè con l'aiuto di una sola donna di servizio. Del resto, una massaia intelligente saprà distinguere il necessario dal superfluo, e quando le forze o il tempo non le bastino, sacrificar questo a vantaggio di quello.

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Abbiamo parlato in un altro capitolo della cura con la quale dev'essere imbandita e apparecchiata la tavola, quando si dà un pranzo. Ma non vorremmo che qualche nostra lettrice credesse che la padrona di casa abbia l'obbligo di curare l'apparecchiatura soltanto in certe circostanze speciali. Se fosse così, cambi subito idea: una brava massaia dà sempre alla tavola da pranzo le cure più amorose e più minuziose. La vita moderna, più assai che quella d'un tempo, è piena d'occupazioni e di preoccupazioni. Per acquistarsi un buon nome, per vincere la concorrenza altrui, per guadagnare ogni giorno il necessario per la famiglia, l'uomo si sottopone a una fatica giornaliera grave e snervante. Esce di casa la mattina presto - d'inverno non è ancora sorto il sole - e si reca al banco, all'ufficio, allo studio, dove l'attende un lavoro che l'assorbe per ore ed ore; si concede appena un'ora o due al massimo, per mangiare un boccone e prendere un istante di riposo, e torna di nuovo alle sue occupazioni che si prolungano fino a tarda sera, fino all'ora in cui rincasa per godere finalmente un po' di quiete in famiglia, con la moglie e i figliuoli. È stanco, affamato, qualche volta inquieto e nervoso. Nulla giova più a ridare la calma e la tranquillità a un animo esacerbato, quanto il trovare la casa in ordine, la stanza da pranzo sgombra e pulita, la tavola bene apparecchiata. Sul biancore immacolato della tovaglia, sotto la luce gaia della lampada, brillano le stoviglie disposte con simmetria, scintillano le posate ben allineate, splendono i bicchieri e le bottiglie, ciascuno al loro posto. Emana da tutto l'insieme un senso di pace domestica, che penetra nel cuore e lo dispone alla bontà e alla gentilezza. Una moglie che credesse di potere, quando non ci sono invitati, far le cose alla svelta, buttando giù sulla tovaglia quattro piatti e quattro posate, senz'ordine e senza gusto, mostrerebbe di non conoscere i primi elementi del buon senso. Colei che non vuole o non sa render gradita la casa al marito, non avrà poi il diritto di lamentarsi se questi prenderà l'abitudine di passar fuori le sue ore di riposo. Dopo un pasto affrettato, in una stanza in disordine e su una tavola disadorna e poco pulita, in mezzo ai figliuoli chiassosi e turbolenti, non ci sarà da meravigliarsi s'egli si metterà il cappello, accenderà il sigaro e si recherà al caffè o al circolo, a cercarvi quello che non ha trovato in casa: la tranquillità, l'ordine, la pulizia. Sono stati scritti dei libri interi per dimostrare che l'uomo sta troppo a tavola, e mangia il doppio di quel che dovrebbe; si sono scagliati anatemi contro i cibi troppo saporiti e complicati, e si è raccomandato all'umanità intera di mangiar poco e sempre roba semplice. Tutto questo è certamente gusto, nè noi consigliamo alle massaie d' imbandire ai loro mariti e figliuoli pranzi luculliani, con grave scapito della salute e della borsa. Ma fra semplicità a trascuratezza c'è un abisso, e tutti gli eccessi sono viziosi. Del resto, a tavola non si sta solamente per mangiare; l'ora del pranzo è quella in cui tutta la famiglia si riunisce, in cui si inizia e si svolge quella conversazione intima, nella quale si riepilogano tutti gli avvenimenti della giornata, si fanno disegni sull'avvenire, si discutono argomenti che c' interessano, s' interrogano i bambini sui loro studi, sui loro giuochi: ora deliziosa, che rafforza i vincoli familiari, ribadisce ed accresce gli affetti più puri. Non date dunque al vostro pranzo l'aspetto di un episodio della giornata breve e momentaneo, di una di quelle cose che si fanno alla svelta per non pensarci più. La tavola sia dunque ogni giorno apparecchiata con cura e con amore: una brava donnina da casa ci penserà da sè, risparmiando una fatica alla donna di servizio e compiendo la bisogna molto meglio e con più intelligenza. Piatti e bicchieri siano sempre ben puliti e asciugati e la tovaglia sempre candida: non si aspetti a cambiarla quando è piena di macchie di vino o di caffè: nulla di più orribile che un'apparecchiatura elegante su una tovaglia sudicia. Anche il servizio del pranzo dev'esser sempre fatto con proprietà e con una certa eleganza: certe cure non costano nulla e valgono molto. Non si permetta alla donna di servizio di venire a servire in tavola senza grembiule o con quello da cucina; non si facciano portare le vivande nei tegami e nelle cazzaruole, ma si abbia cura che siano sempre disposte sui vassoi e accomodate con una certa eleganza; non si lascino sulla tavola scodelle o piatti sudici e che non servono più: ne deriverebbe una confusione tutt'altro che piacevole all'occhio. Mangiando, si osservino le regole della decenza e della buona educazione, nè si creda, perchè non c'è nessuno di fuori, di poter fare il proprio comodo. Chi è abituato a mangiar male, prendendo i cibi con le mani o masticando rumorosamente, non saprà all'occasione comportarsi da persona fine e educata, o sarà costretto a fare uno sforzo, che non sfuggirà agli altri convitati. Ordine e decenza nel mangiare si esigerà anche dai figliuoli fin dalla più tenera età, ammonendoli e sorvegliandoli; imparano presto e conservano poi le abitudini apprese da piccoli, per tutta la vita. Qualche fiore nel centro della tavola non dovrebbe mai mancare: è un uso gentile, pieno di festiva allegria. Non importa che i fiori siano molti e neppure di specie rara: basta un nonnulla per rallegrare la tavola. Nell'inverno, quando i fiori costano cari, chi non può spendere può sostituirli con una piantina in vaso che, se ben curata, dura parecchi mesi.

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Abbiamo avuto occasione, in più pagine di questo libro, di far cenno dei regali, specialmente di quelli che si fanno in certe ricorrenze dell' anno, come il Natale e l'Epifania. Ecco ora alcune norme generali, specialmente nei riguardi degli estranei. Ricever regali è forse una cosa piacevole; farli è quasi sempre un imbarazzo e un disagio: un imbarazzo, perchè generalmente non si sa come scegliere ciò che si deve donare; un disagio, perchè ogni regalo importa una spesa. Ho detto che il ricever regali è forse una cosa piacevole; e non mi pento di quel forse. Ogni regalo porta con sè un obbligo di contraccambio e di riconoscenza, due cose assai spesso, e per diverse ragioni, tutt'altro che piacevoli. Ma procediamo con ordine. Presso gli Anglosassoni, popolo pratico e calcolatore, vige, in fatto di regali, un'usanza eccellente. Chi vuol fare un regalo, o lo fa in denaro o chiede francamente alla persona stessa qual sia l'oggetto che più le farebbe comodo. Per esempio, le signorine che stanno per prender marito compilano una nota di ciò che desiderano e la sottopongono ai parenti e agli amici, perchè scelgano l'oggetto che credono. Scelto l'oggetto, lo cancellano e passano la nota ad altri. Naturalmente, dato che così vuol l'uso, nessuno pensa a male: il donatore non si adonta d'esser costretto a fare a modo altrui, e chi accetta il dono è tutto contento, tanto se riceva l'oggetto desiderato o il denaro corrispondente. Ognun vede quanto un tal uso sia fecondo di ottimi resultati; ma la suscettibilità latina non riesce ancora ad adattarsi a un simile modo di procedere, in verità un po' commerciale, e preferisce fare il dono di sorpresa. Il male è che, quando non si ha un po' d'immaginativa, si finisce sempre col regalare su per giù le stesse cose; e più d'una giovane coppia, alla vigilia delle nozze, guarda con malinconia cinque o sei serviti da caffè, tre o quattro ombrellini da sole, sette o otto ventagli, giunti da parti diverse. Noi siamo dunque di parere che quando si debba fare un regalo a persona che ne riceverà parecchi, com'è il caso d'un matrimonio, la cosa migliore sia di prendere informazioni su ciò che può far più piacere. Se non si vuol proprio far la domanda all'interessato, ci si può rivolgere ai genitori o ai parenti più prossimi, che sono sempre in grado di dare un buon consiglio. Costretti, per qualunque ragione, a sceglier da sè, si pensi sempre a regalare una cosa utile, se si tratta di sposi novelli o di persone che vivono modestamente e senza sfarzo. Gli sposi che metton su casa non hanno bisogno, in generale, di oggetti inutili o di pura eleganza; se son persone serie, se non sono ricchissimi, preferiscono ciò che può loro servire nella nuova casa, e tengono a risparmiar denaro. Lo stesso si dica delle persone che vivono del loro lavoro: uno studioso farà maggior festa a un libro di valore o a un oggetto da tavolino, che a un oggetto elegante ma insulso; una signora di modesta condizione accoglierà più volentieri un taglio d'abito di buona stoffa che un ombrellino di fantasia col manico intagliato. Anche, si dovrà tener conto dell'indole e del carattere di ciascuno, oltre che delle sue condizioni economiche. Un giovinetto amante dello sport gradirà immensamente un bastone da montagna o una maglia di lana da ciclista, mentre non saprà che farsi d'una collezione di libri che costino il doppio; una signorina amante della musica preferirà uno spartito a un oggetto da toelette; e così via di seguito. Alle persone di riguardo, se capiti di dover far loro regali, non si doneranno invece oggetti di confidenza, ma soltanto cose che siano insieme graziose ed eleganti. Non si facciano mai regali con secondi fini; e tanto meno si chiedano servizi o favori a colui al quale si è da poco inviato un regalo: è una delle sconvenienze più grandi che si possano commettere e una vera e propria mancanza d'educazione. Non è neppure cosa molto fine inviare un dono a qualcuno, subito dopo averne ricevuto un favore; se si ha motivo d'essergli obbligati, gli si mostri con le parole o col contegno la nostra riconoscenza; quanto al regalo, gli si farà in seguito, prendendo pretesto da una qualche buona occasione. Chi riceve un regalo contrae naturalmente un obbligo verso il donatore; e l'unico mezzo di sdebitarsi sarà di rendere il contraccambio. Ma, anche in questo caso, non si abbia furia, e si aspetti l'occasione propizia. Chi replicasse subito ad un regalo con un altro regalo, mostrerebbe di non voler avere obblighi di riconoscenza verso chicchessia; e passerebbe anche per scortese.

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. - Quando verrà al nostro ballo, vedrà come abbiamo disposto le nuove sale.... - La festa, il ballo avvengono, e l'amico non riceve il promesso invito! Siate dunque prudenti anche in questo, fate prima i vostri calcoli, non prendete impegni vani, e quelli che avete presi, adempiteli. La persona invitata a mezzo ha tutto il diritto d'aversi per male d'esser lasciata da parte all'ultimo momento. Quando date una festa e preparate la lista degli invitati, calcolate bene le vostre forze, l'ampiezza dei locali, il servizio di cui potete disporre. È inutile, anzi è dannoso, invitare una folla di gente, quando non si ha modo di accoglierla degnamente: la festa riesce male, in mezzo alla confusione e al disordine, e gli apprezzamenti del giorno dopo sono tutt'altro che benevoli. Non dal numero degli invitati, ma dal modo con cui sono stati ricevuti, si giudica della finezza dei padroni di casa. Siate dunque molto parchi nel diramare i vostri inviti, se volete far buona figura, e tenete conto che all'ultimo momento ci sarà sempre da rimediare a qualche dimenticanza. E a proposito di dimenticanza, badate bene, nel compilare la lista, di non lasciar da parte quei parenti e quegli amici che sono a voi legati con vincoli più stretti, posponendoli a persone di più lontana parentela e amicizia: ne deriverebbero, al solito, recriminazioni e impermalimenti. Compilata la lista, preparate gl'inviti e inviateli per tempo. Bisogna che gl'invitati possano prepararsi alla vostra festa, specialmente le signore, che hanno sempre da fare qualche ritocco alle lore toilettes. Per un pranzo o un trattenimento di famiglia, basterà un anticipo di alcuni giorni, al massimo d'una settimana; ma ci vorranno quindici giorni, se si tratta d'una festa d'importanza. Se il numero degl'invitati è ristretto, si scriverà a ciascuno una lettera; o anche s'inviteranno a voce, se l'occasione si presenta. Se si tratta di molti inviti, si potranno fare a stampa, su cartoncini semplici ma eleganti. L'invito, l'abbiamo già detto, sia sempre chiaro e preciso, in modo da non ingenerare incertezza e confusione. Se è in iscritto o a stampa, porti sempre il giorno e l'ora del trattenimento e le indicazioni del caso sull'abito da indossare. Specialmente sulla famosa questione del frac è bene essere espliciti, per non mettere gl'invitati nel caso di far cattive figure, delle quali sarebbero sempre responsabili i padroni di casa. Se si vuole l'abito nero, si dica espressamente nell'invito: chi va alla festa sa allora come regolarsi, e se non ha l'abito nero può sempre trovare un pretesto per rifiutare. Quando si dà alla festa un carattere familiare e non si vuole il frac, è una bella abitudine, che ora va facendosi strada, di dirlo ugualmente nell'invito. Ad ogni modo, quando in un invito non è detto nulla, l'invitato ha il diritto, anzi, secondo noi, il dovere, di non indossare l'abito nero. Non è bella la situazione d'un invitato vestito inappuntabilmente in frac e cravatta bianca, in mezzo a tutti gli altri uomini in giacchetta! Oggi va divenendo sempre più comune, per gli uomini, l'uso dello smoking. È infatti un abito semplice, elegante e comodo, che sostituisce con vantaggio la giacchetta o la redingote. Si badi però che non è, a propriamente parlare, un abito da società, e non può mai sostituire, come da qualcuno si crede, il frac; non è, insomma, un abito nero. Le signore si regoleranno, in questo, seguendo le norme indicate per gli uomini. Se nell'invito è detto che l'abito nero è di rigore (frase sacramentale), esse dovranno indossare un abito decolleté di gran parata. Negli altri casi sarà sufficiente un abito elegante da sera, senza la grande scollatura di rito. Quanto ai colori, si regoleranno secondo la loro età, secondo il genere della festa, secondo l'ora in cui è data: abiti chiari per le fanciulle e giovinette, in ogni circostanza; più seri e di colori scuri per le mamme e per le signore anziane; maggior libertà nei colori e nel taglio di mattina che non di sera, in campagna che non in città, d'estate che non d'inverno. Ma son tutte cose, queste, delle quali le signore hanno un'intuizione precisa; ed ogni consiglio a tal proposito sarebbe pressochè vano. Gl'invitati, quando arrivano nel vostro salotto, devono esser presentati a coloro che li hanno preceduti. L'uso di evitare le presentazioni, lasciando ciascuno sbrigarsela come crede meglio, non è italiano, e, secondo noi, non è da approvare. Come regola generale, si presentano gl'inferiori ai superiori: quindi, un giovane a un vecchio, un uomo a una signora, una signorina a una signora. Ma è una regola che soffre molte eccezioni, perchè la superiorità e l'inferiorità non si misurano nè dall'età nè dal sesso. Così, per esempio, a un uomo illustre, anche se giovane, si presenteranno gli uomini d'età e anche le signore, senza tuttavia esagerare nelle manifestazioni d'ossequio. Le presentazioni si facciano semplicemente, non omettendo i titoli, nobiliari e accademici, ma nello stesso tempo evitando le lodi personali che potrebbero mettere in imbarazzo la persona che si presenta. Se i presentati sono due uomini, essi si stringeranno la mano e si diranno qualche parola cortese, iniziando anche, se lo desiderano, una conversazione. Invece, l'uomo presentato a una signora, s'inchinerà profondamente e non prenderà mai per il primo l'iniziativa della conversazione. In ogni caso, chi presenta e chi è presentato cerchi di comportarsi con scioltezza e con disinvoltura per vincere quel primo momento d'esitazione che si verifica sempre al principio d'una festa e che è così spiacevole per tutti. È inutile aggiungere che chi, per qualunque motivo, non può accettare un invito, ha il dovere di scrivere subito ringraziando e rifiutando: bisogna dare a chi invita tutto il tempo di sostituire con altri coloro che vengono a mancare.

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Per esempio, ecco che abbiamo in vista un bell'appartamento pieno di sole e di luce, con le stanze grandi e ben aereate, con una bella vista su orti e su giardini: proprio quello che farebbe per noi, e il prezzo non sarebbe neanche eccessivo; ma.... ma è molto lontano dal centro, della città, e il marito non si sente di fare a piedi tutti i giorni una lunga camminata, e il fare uso del tram lo secca e l'annoia; la signora.... la signora rimpiange quelle belle strade centrali, piene di botteghe e di magazzini; pensa che per far visita alle sue amiche dovrà fare un vero viaggio, che il ritorno dal teatro, la sera, sarà tutt'altro che piacevole. Ci sarebbe invece un quartierino proprio nel centro, piccolo sì, è vero, e anche un po' buio e con una lunga scala; ma l'ufficio del marito è lì a due passi, e la signora non ha che a scender le scale per trovare tutto quello di cui ha bisogno. Che si fa? Che cosa si decide? Noi non possiamo che ripetere quello che abbiamo già detto. Sulle questioni d'igiene non si può rimanere incerti: aria, sole, luce soprattutto, a qualunque prezzo, con qualunque sacrifizio. E i sacrifizi non son poi troppo gravi; con un po' di abitudine, le distanze, che prima sembravano eccessive, si accorciano; e la necessità di muoversi un po' di più, di far giornalmente qualche chilometro, finisce col ridondare in tanta salute. Chi vive in città, diviene pigro, lento, pallido; ingrassa eccessivamente, o dimagra, si rovina la salute: e ciò per mancanza di moto, per mancanza di sole e d'aria. S'egli si troverà in un ambiente più sano, se sarà costretto a concedere qualche quarto d'ora della giornata a una rapida passeggiata, s'accorgerà ben presto di tutto il vantaggio del suo nuovo regime di vita. Non si esiti dunque, non si dia ascolto alla nostra pigrizia: prendiamo la casa più lontana, ma più igienica. Una casa sana, oltre ad avere aria e luce, deve anche esser priva di qualunque traccia d'umidità. Generalmente, dove c'è sole non c'è umidità; ma dovremo ad ogni modo esaminar bene gli ambienti della nuova casa prima di affittarla, specialmente se si tratti d'un pianterreno. C'è un certo genere d'umidità, che nè l'aria nè il sole valgono a scacciare; e l'umidità d'una casa, specialmente della camera, può esser causa di gravissime malattie. La vostra casa sarà arredata con lusso maggiore o minore, secondo i vostri mezzi; potrà anche, se i mezzi sono pochi, essere arredata poveramente; ma dovrà esser sempre igienica e sana. Se siete ricchi, e vi potete concedere il lusso di mobili eleganti e costosi, di tappeti soffici, di tende e di tendine ricamate, badate che tutta questa suppellettile non faccia ingombro e impedisca la pulizia giornaliera. Si può far del lusso anche con semplicità, e poche cose sono così brutte a vedere quanto certe stanze piene zeppe di mobili, con le pareti coperte di quadri, col pavimento nascosto dai tappeti; regno della polvere e dei ragnateli. In ogni stanza ci dev'essere, invece, spazio sufficiente per le persone: i mobili si devono poter smuovere facilmente; i tappeti non dovrebbero esser mai fissi e inchiodati sul pavimento, ma a forma di pedane e asportabili con facilità. Le tende siano leggiere e trasparenti, di colori chiari, da potersi lavare ogni tanto; oggi vi sono delle signore di buon gusto, e veramente moderne, che hanno avuto il coraggio di abolirle, e di sostituirle con eleganti tendine ai vetri delle finestre, can gran vantaggio della pulizia e dell'igiene. La casa deve esser sempre tutta pulita, anche nei suoi più piccoli bugigattoli. Se avete una così detta stanza da sbratto, anch'essa deve esser sempre in ordine, senza polvere e senza ragnateli. E in ordine e pulita dove essere la cucina, in modo da peter esser mostrata, in qualunque ora del giorno, a qualunque persona che desiderasse vederla. La pulizia della casa va fatta la mattina, al più presto possibile. Una casa coi letti sfatti e con le camere in disordine sull'ora del mezzogiorno accusa di negligenza e di sciattezza la padrona e la donna di servizio. Quando si fa pulizia, si devono aprire le finestre, in qualunque stagione. Non abbiate paura dell'aria: la più parte dei malanni si prendono a star tappati in casa. Oltre alla pulizia giornaliera di tutta la casa, qualche brava signora ha l'abitudine di pulire a fondo una stanza per giorno, a turno, cominciando dal levare i mobili, sollevare i tappeti, lustrare il pavimento, ecc. È un'ottima abitudine, che non possiamo mai raccomandare abbastanza; e su di essa ci fermeremo ancora a lungo. La casa è il regno della donna; ed essa deve esserne gelosa come di cosa che appartiene tutta a lei. Una casa ben tenuta non solo fa onore alla padrona di casa, ma è fonte d'armonia fra i coniugi e di felicità familiare. Il marito che torna stanco dal lavoro, entra contento nel suo nido tutto lindo, dove ogni più piccolo oggetto rivela le cure amorose d'una persona gentile; da una casa sporca e mal tenuta egli si stacca invece volentieri, e cerca altrove, nelle sale del circolo o nei caffè, una distrazione alle fatiche della giornata. Pensateci, lettrici cortesi.

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Certi animali parassiti che oggi abbiamo orrore perfino di nominare, furono comunissimi non solo nel medio evo, ma anche in seguito, fino alla Rivoluzione Francese; e le cólte dame della corte di Francia ne parlavano tranquillamente fra loro, come oggi si parlerebbe di mosche o di zanzare. Certe schifose malattie, che oggi le persone civili conoscono soltanto di nome, come la tigna, la rogna, la scabbia, non risparmiavano neppure i principi e i re, e nessuno ne faceva caso. Quanto alla morale basterà ricordare quello che Dante dice delle sfacciate donne fiorentine, la cui foggia di vestire sarebbe scandalosa anche oggi in questi tempi moderni in cui gli scrupoli in fatto di moda non sono davvero eccessivi; basterà ricordare la strana moda del guardinfante, quella specie di gonnella rigonfia, tenuta lontana dal corpo da una serie di cerchi elastici; la quale, come il nome dice, aveva lo scopo di nascondere agli occhi altrui la più nobile deformazione che corpo di donna possa subire; basterà ricordare la corruzione della nobiltà nei secoli del Parini e dell'Alfieri, le mode scandalose del cicisbeismo e dei cavalieri serventi, tutte cose dalle quali, se Dio vuole, siamo ormai lontani. Si potrebbe seguitare all'infinito; ma crediamo che il lettore non abbia bisogno di più parole per convincersi che oggi, per ciò che riguarda la civiltà, la morale e la decenza, si sta molto meglio di prima. Ma non vorremmo che egli per questo si credesse in diritto di riguardare con indulgenza le persone immorali o incivili che esistono purtroppo anche oggi, pensando che, ad ogni modo, esse sono sempre più morali e più civili dei nostri antenati; e molto più ci dispiacerebbe se si credesse autorizzato, per la stessa ragione, a lasciarsi un po' andare, a trascurare le norme presenti della buona educazione. No, per carità! Il mondo progredisce continuamente, e quel che una volta bastava, oggi non basta più. Per aver la fama di persona maleducata o villana, è sufficiente non attenersi alle regole sancite dalla moderna civiltà, e nessuno, nel giudicare il suo prossimo, si mette a far confronti con le età passate. C'è poi o ci deve essere in ognuno di noi quel rispetto alla propria dignità, quel desiderio del proprio perfezionamento, che ci spinge a fare quello che è giusto e doveroso fare, e ci tien lontani da ogni atto che possa incorrere nel biasimo della società in cui viviamo. Curiamo dunque la nostra educazione. Una persona bene educata possiede già una delle primissime qualità per conquistarsi la stima dei suoi simili e per percorrere con successo la via della vita.

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Molte delle norme che abbiamo date nel capitolo precedente valgono così per i giovinetti come per le giovinette. Ma, come abbiamo anche detto, da una certa età in su non è più possibile educare gli uni e le altre con gli stessi metodi. La giovinetta ha l'animo più gentile, più sensibile del giovinetto; e la sua educazione offre meno difficoltà. Raramente, e solo in casi eccezionalissimi e quando si abbia che fare con caratteri speciali, si è costretti a ricorrere con lei ai grandi mezzi, alle severità, ai gastighi: i buoni consigli della mamma, le sue dolci parole, bastano in ogni occasione a farle compiere, con buona volontà e con serenità, il suo dovere. Ogni fanciulla è come un fiore delicato, che cresce sotto le cure amorose a pazienti del giardiniere; trascurato, avvizzisce o intristisce. Una volta, la giovinetta stava in casa con la mamma, usciva fuori con la mamma, viveva tutta la sua vita di fanciulla con la mamma. Oggi non è più così: sarà un bene, sarà un male: non lo so e non voglio giudicare; ma il fatto è che la signorina moderna va a scuola come i ragazzi, sta in iscuola coi ragazzi, esce di casa sola e ritorna sola, con una libertà un tempo assolutamente ignota. Se tutto ciò fosse frutto soltanto di una nuova moda, si potrebbe anche esser tentati di consigliare di tornare all'antico; ma di tutte queste nuove abitudini sono causa principale le mutate condizioni della società moderna, la quale sembra voler imporre il precetto che la donna debba guadagnarsi la vita come l'uomo. Le fabbriche, gli uffici, le scuole sono oggi piene di operaie, d'impiegate, di maestre; e in molte famiglie numerose, anche d'antico stampo, non si vede di mal occhio che le figliuole si assicurino un avvenire, indipendentemente dalla speranza, sempre aleatoria, di accasarsi. Prendiamo dunque le cose come sono, che è il più saggio dei consigli; e vediamo come ci si debba regolare in questa nuova condizione di cose. L'uso delle scuole promiscue, che al suo primo apparire fu così biasimato, non ha poi prodotto quei danni morali che i pessimisti avevano preconizzato. Maschi e femmine, abituati fin da piccoli a vivere insieme, sanno comportarsi con correttezza e con disinvoltura, senza danno della convenienza e del decoro. Tuttavia, non consiglieremmo mai una madre a mettere in una scuola promiscua, una figliuola già grande, abituata a vivere in famíglia o in scuole femminili: sarebbe un esporla a un troppo radicale cambiamento d'abitudini, che potrebbe condurre a conseguenze spiacevoli. I giovinetti e le giovinette debbono sapere vivere insieme, acquistando, specialmente le giovinette, quel fare semplice e spigliato, e nello stesso tempo riservato e modesto, che non si acquista che con la lunga abitudine. Non sempre, specialmente nelle piccole famiglie borghesi, si può permettersi il lusso di accompagnare o far accompagnare le proprie figliuole alla scuola; ed oggi vige quasi dappertutto l'abitudine di mandarle sole. Non c'è gran male; ma una madre saggia e oculata farà in modo che questa eccezione, imposta dalle circostanze, non divenga un'abitudine: altro è vedere una signorina recarsi la mattina a scuola, coi libri sotto il braccio, o ritornarne nel pomeriggio, percorrendo sempre la stessa strada con passo frettoloso, altro vederla aggirarsi per la città, in qualunque ora, soffermandosi alle vetrine delle botteghe a osservare e curiosare. L'andar fuori sole sia dunque una necessità e non un'abitudine; e si ricordi che a una signorina sola incombe il preciso dovere di sorvegliare più che mai il proprio contegno, di non accompagnarsi con nessuno, e meno che mai con uomini, di vestire modestamente, per non dar nell'occhio ai passanti. In casa, una signorina per bene veste sempre con correttezza, non esce di camera se non interamente abbigliata e pettinata, non fa uso di vestaglie, che sono permesse soltanto alle signore maritate. La sua camera è semplice e modesta, senza sfarzo e senza stonatura; non è ingombra d'oggetti d'ogni genere, ma delle sole cose necessarie, disposta con ordine e con metodo; la biancheria, le vesti, le scarpe stanno al loro posto e non sono sparse qua e là in disordine; le pareti, il soffitto, le tende, le tendine sono a tinte chiare, e danno a tutto l'ambiente un'aria incantevole di festività e di gentilezza. La madre deve educare la sua figliuola in modo da sviluppare in lei i sentimenti più delicati, più femminili, cercando soprattutto, se ha altri figli, di tenerla lontana dall'influenza dei maschi. In certe famiglie, nelle quali i maschi sono in maggior numero, la figlia o le figlie finiscono col prendere abitudini maschili: saltano, gridano, fischiano, vengono alle mani. Moderate questi eccessi e fate comprendere alle vostre bambine tutta la sconvenienza del loro modo di comportarsi. Una giovinetta fine e gentile è la consolazione della casa. Essa è sempre ilare e tranquilla, non ha scatti di malumore, non alza la voce, non si lamenta; se ha dei fratelli, li tratta con cortesia, con una premura quasi materna. Col padre e con la madre è affettuosa, attenta, e cerca di prevenire i loro desideri: tratta tutti con gentilezza, così le persone di casa come gli estranei. Giunta a una certa età, essa è l'aiuto della mamma in tutte le faccende domestiche; e se studia e va a scuola, non per questo deve credersi dispensata da tali suoi doveri di figliuola; ma sa trovare il tempo per compierli con serenità e con piacere. La futura maestra, la futura impiegata, dovrà anche essere, un giorno, una buona massaia; avrà probabilmente una famiglia da curare, un marito, dei figliuoli; e se non avrà fin da principio imparata l'arte difficile di governare la casa, sarà costretta a impararla in seguito, con maggior fatica e con resultati molto meno soddisfacenti; se pure non preferisca - e gli esempi purtroppo non mancano - di abbandonar la casa a sè stessa, con danno suo e della famiglia. Soprattutto, la madre cerchi di avvezzare la propria figliuola alla più severa economia: economia in tutto, nelle spese personali, nelle spese di famiglia. Il buon andamento d'una famiglia dipende, più spesso che non si creda, dall'abilità finanziaria della madre di famiglia. Se non si tengono con diligenza i conti giornalieri, se nelle compre non si cerca di risparmiare acquistando via via i generi più convenienti, se non si sa rinunziare ai capricci della moda, alle stoffe troppo costose, ai gioielli, ai ninnoli troppo cari, la famiglia si avvia inevitabilmente al fallimento. Ora, accade spesso che i genitori, per un malinteso affetto, si studiano di tenere i figliuoli all'oscuro di tutte le loro difficoltà, cercano di accontentarli nei loro desideri, anche se non conformi alla loro condizione, e non hanno altro scopo che di tenerli lontani da ogni preoccupazione; e i figliuoli crescono su spensierati, egoisti, proclivi a spendere il loro denaro nelle cose più frivole. Quando poi devono essi stessi metter su famiglia, hanno, per così dire, un triste risveglio, e si trovano improvvisamente a contatto con le aspre difficoltà dell'esistenza, senza la preparazione necessaria. I genitori che non impongono ai loro figliuoli quei sacrifizi che richiede la loro condizione, commettono dunque un grande errore; e invece di spianar loro la via della vita, non fanno che preparargliela più grave e più difficile.

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Il marito eviterà sempre di usare con la moglie quel tono perentorio di comando, che invece può esser utile coi figli e coi domestici; se nascesse qualcuna di quelle divergenze di vedute, che sono inevitabili anche nelle famiglie più concordi, si deve, come abbiamo già detto, discuterle e definirle a quattr'occhi. Nulla indebolisce più il principio di autorità, quanto il vedere palesemente discordi coloro da cui dipende l'ordine e l'andamento della famiglia. Nelle famiglie ben educate, il marito, anche dopo molti anni di vita comune, tratta la moglie con quella cortesia cavalleresca che userebbe con una signora di conoscenza; e si fa un dovere di aver per lei tutte quelle piccole attenzioni, che gli uomini usano generalmente con le signore. Per esempio, fa in modo che sia servita per la prima a tavola, le cede il passo sulla soglia dell' uscio, la difende sempre contro tutto a contro tutti, anche se, in cuor suo, giudichi che abbia torto. La moglie poi mantiene nei suoi rapporti col marito quella gentilezza affettuosa, che essa aveva nei primi tempi, e che non deve scemare con gli anni, ma divenire ogni giorno più palese e più profonda; se il marito ha qualche difetto, cerca di nasconderlo agli occhi dei figliuoli, e, in qualunque occasione, non prende mai la parte di questi ultimi contro di lui. La concordia fra il padre e la madre è il fondamento della famiglia: senza di essa, tutto va in rovina. Essa è così necessaria che, anche quando per somma sventura non esista in una famiglia, occorre usare ogni arte per simularla. So di molte famiglie nelle quali esistevano dissapori profondi e insanabili, e che pure sono andate avanti per anni e anni, in una apparente concordia, che ingannava anche gli amici più intimi. Condizione veramente dolorosa e davvero non augurabile ai nostri lettori e alle nostre lettrici. Ma sappiamo noi quel che ci riserba l'avvenire? La buona educazione, lo spirito di sacrifizio, una mutua sopportazione, il senso del dovere e della dignità basteranno a mantenere in voi quella concordia così necessaria ad una vita di famiglia decorosa e tranquilla; ma se essa venisse a mancare, meglio, per il bene dei vostri figliuoli, una pace fittizia che una discordia palese.

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Saper vivere. Norme di buona creanza

248309
Matilde Serao 2 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Non solo i bimbi sono felici di aver de' doni, ma tutti, più o meno, abbiamo un delicato piacere nel ricevere, un delicatissimo piacere nel dare. È vero, che i bimbi hanno studiato, si son condotti bene tutto l'anno, hanno sopportato, con pazienza, le loro piccole indisposizioni, hanno prese le medicine, hanno rinunziato, senza mormorare, a ficcarsi le dita nel naso; ed è anche vero che il bambino Gesù viene per essi, e che il Capo d'Anno è, sopratutto per essi, una data gioconda, perchè i loro anni sono pochi; ma, Dio mio, anche i grandi, durante l'anno, si sono seccati, ed hanno sofferto, hanno ingoiato pillole amare, hanno usato un'interminabile pazienza nei disgusti dell'esistenza, e un certo premio anche lo meritano. Il bimbo Gesù viene pure pei grandi, ed è apportatore di consolazione, di amore e di benessere; e se il Capo d'Anno è una data un po' triste, pei grandi, perchè non rallegrarla, con qualche dono gentile? Il valore, poco importa, ma l'uso delle strenne da Natale a Capo d'Anno, dovrebbe diventare più popolare, più largo fra noi: procurare una gioia, anche fugace, alle persone, che noi amiamo, non è, infine, fare un dono anche a noi stessi? Sorridere di un sorriso, quale cosa ineffabile!

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È da tempo che nelle cronache mondane di Francia, noi vediamo, spesso, spessissimo, una zia, una cugina, una cognata o magari semplicemente un'amica, fare da testimone, in chiesa, alla sua parente, alla sua amica: e abbiamo notato ciò in matrimonii non semplicemente del ceto borghese, ma piuttosto in quello aristocratico. Pare, adunque, che possa avere un carattere di eleganza, questo uso moderno o, forse, rinnovato dall'antico? Pare! Fatta qualche indagine, abbiamo appreso che la Chiesa ammette, ha sempre ammesso, che una signora, parente o amica o semplice conoscente, possa fare da testimone, al rito religioso, a una giovane sposa: e che se non si è profittato prima, o non si profitta molto, ancora, di questo permesso, è, talvolta per completa ignoranza di tale facoltà o per non mutare nulla all'uso di aver testimoni uomini. Altre indagini, ci hanno certificato partecipante alle nozze religiose, la madrina, nientemeno, della sposa, che, in questo modo, viene a prendere il posto del padrino o compare di anello: questo noi abbiamo notato in molti matrimonii dell'Alta Italia, specialmente a Milano. E, diciamolo, questa sostituzione molto chic. Giacchè questo affare dei quattro testimoni alle nozze civili la legge si contenterebbe di due, ma, allora il conto non tornerebbe - e di quattro testimoni alla Chiesa, otto uomini, da dover cercare, da dover trovare, con grandi difficoltà, con grandi contrasti e con grandi noie, è, sempre, più o meno, il portato di una banale vanità, o, peggio, di una segreta avidità. Si vogliono dei nomi eminenti, impressionanti: e debbono essere otto, più il compare di anello, nove. Si desiderano nove doni, uno più bello dell'altro.... E così, vi sono personaggi in vista, personaggi doviziosi, che sono testimoni, sempre, che debbono gittare il loro tempo e il loro denaro, così, fatalmente, data la loro condizione. Non insistiamo! Il testimone-donna, vale tanto meglio, sentimentalmente, poichè si tratta, quasi sempre, di una persona a cui si è molto affezionati, da cui si avuto delle pruove lunghe di affetto: il testimone-donna vale tanto meglio, perchè il suo dono sarà meno ricco, ma più carino, più gentile, più utile: il testimone-donna si sentirà più legato alla novella coppia e vigilerà, come può, sulla sua felicità, il testimone-donna rappresenta qualche cosa di più intimo, di più affettuoso. Esso ci piace. Esso ha un grande avvenire, nelle nozze future.

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