Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Galateo

181572
Brunella Gasperini 10 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Purché non ci siano vecchie zie impressionabili intorno o inquilini insonni al piano di sotto, non abbiamo obiezioni; ci auguriamo soltanto che i nati-per-danzare, anche se scatenati al massimo, badino a dove mettono i piedi, i gomiti e le membra principali, onde non seminare intorno a sé panico e strage. Poi ci sono quelli che considerano il ballo un mezzo d'avvicinamento, spesso molto stretto, tra due persone di sesso diverso. Non vi risultava? Certi giovani e meno giovani signori, che magari non sentono il tempo, odiano la musica e detestano l'esercizio fisico, vanno a ballare solo per aver l'occasione di stringere pubblicamente in più o meno languidi amplessi graziose e arrendevoli fanciulle. È un punto di vista come un altro. Se al tempo dei lancieri sarebbe stato inconcepibile, oggi è normale che in ogni posto, pubblico o privato, in cui si balla, ci siano qua e là le coppie cosiddette del mattone, pressoché ferme, appiccicate insieme, incuranti della musica e del ritmo, immerse come sono in tutt'altre personali faccende. Anche in questo caso siamo disposti alla tolleranza, sempre che la cosa non sfiori gli atti osceni in luogo pubblico, nel qual caso inviteremo queste coppie a fare altrove quello che fanno. Diavolo, luoghi e occasioni più propizi non mancano davvero, oggigiorno. La terza categoria è quella degli esibizionisti: quelli che ritenendosi, a torto o a ragione, bravissimi, non ballano solo per divertirsi ma per farsi ammirare. Anche questi li tolleriamo, ma a stento. Gli esibizionisti, in tutti i campi, sono irritanti; nel campo del ballo, solitamente sono anche piuttosto ridicoli: consci come sono del proprio virtuosismo, hanno di solito facce serissime, concentrate, o alteramente distaccate, del tutto in contrasto con le loro parti infero-posteriori che appaiono invece, sempre a loro insaputa, estremamente ilari e comunicative. Va bene, siete bravi, siete bravissimi: ma cosa volete, la medaglia? Le sale da ballo. Non parliamo dei night, luoghi di uno squallore infinito, che una persona normale non frequenta se non per curiosità o per sbaglio. Parliamo delle sale da ballo di minor tristezza e minori pretese, dancing o balere serali o diurne, che ancora esistono e sono ancora, specie di domenica, parecchio frequentate. Non benissimo, magari: ma non stiamo facendo un discorso d'élite. Dunque. Gli uomini possono andare in un dancing anche da soli. Le donne, secondo il galateo, no. Si sa che il galateo non è femminista. Ma neanche le sale da ballo lo sono. Né lo sono, in genere, gli uomini che le frequentano. Una donna, oggi, può andare sola in un mucchio di posti, ma in un dancing no, avrebbe l'aria di essere a caccia di uomini (come generalmente è). E gli uomini nei dancing non sono forse a caccia di donne? Eh, ma gli uomini... Siamo sempre lì: lasciamo perdere, o uscirò come un razzo dal seminato. Se comunque una donna va in un dancing sola o in compagnia di altre donne, si mette un po' nella condizione della merce in vetrina, che chiunque può scegliere. È quindi tenuta, entro certi limiti, a ballare con chiunque la inviti. Chiaro che se uno le risulta proprio odioso, repellente, maleodorante o altro, può rifiutarlo, ma per quel ballo sarà opportuno che rifiuti gli altri inviti, anche se provenienti da giovanotti a lungo agognati. Se accettasse di ballare con uno subito dopo aver rifiutato un altro, questo altro potrebbe anche offendersi e, chissà mai, fare una scena: nei dancing può capitare questo e altro. Contegno. Oggi il tipo che invita la dama con un inchino a quarantacinque gradi, dicendo: «Mi concede questo ballo?» o «Posso avere il piacere, eccetera», praticamente non esiste più, se si eccettua qualche raro esemplare oltre la sessantina. Ci sembra comunque sensato che il cosiddetto cavaliere faccia il suo invito con un piccolo accenno di inchino, con un mezzo sorriso, con un facoltativo «Permette?», e non con un colpo sulla spalla, un gesto rotatorio dell'indice, una stretta imperiosa del braccio accompagnata da uno sguardo stile apache («vieni, sei mia»); e neanche è gradito un invito a distanza a base di cenni che possono creare confusioni e disguidi, per cui si vedono tre o quattro dame che si puntano un indice interrogativo sul petto (io?) e il cavaliere a distanza che scuote impaziente la testa (no, no, quell'altra). Faccia lo sforzo di traversare la sala e fare il suo invito da vicino; dopo tutto, visto che è lì per ballare, i piedi dovrebbe essere in grado di muoverli senza difficoltà eccessive. Ballando, il partner non scrolli la sua partner come un albero da frutta, non la avviluppi, non le si appiccichi contro la sua volontà. Una ragazza, sia pure in una balera, non è un nespolo e non è una preda. Quando si vede trattata come tale, la ragazza non consenziente (se è consenziente, affar suo) ha diritto di reagire, moderando le esuberanze del partner con progressivo irrigidimento, lavoro di gomiti, «per piacere stia in là», e poi, se non serve, piantandolo tranquillamente («mi scusi») in mezzo alla pista e rifiutando glacialmente ogni suo eventuale ulteriore invito: «Sono impegnata, mi scusi». Scusarsi, scusarsi sempre: la fauna delle balere, l'abbiamo detto, è imprevedibile. I ballerini d'ambo i sessi, sia in locali pubblici sia in case di amici, abbiano poi la compiacenza di: - non fumare ballando; - non masticare gomma; - non sgranocchiare caramelle, cra cra cra, nell'orecchio del partner; - non mangiare aglio, almeno quel giorno; - fare uso abbondante di dental spray e deodoranti, grazie.

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Se invece vediamo che rallenta e tende la mano, mentre siamo noi che abbiamo fretta, non mostriamoci gelidi o bruschi: fermiamoci un attimo, stringiamogli la mano, spieghiamogli che siamo in ritardo, e con un «ci vediamo» o un «ti telefono» tagliamo la corda. Mai comunque due o più persone dovrebbero fermarsi a lungo a chiacchierare in mezzo al marciapiedi, magari su un angolo strategico. Il meno che possa capitare sono spintoni e anatemi. Mi sembra normale.

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Abbiamo passato, con quel cane, momenti molto imbarazzanti, perché non tutti gli automobilisti amano i cani (specie se così grossi) e non tutti hanno senso umoristico. Noi sì: e ci costava una notevole fatica, dopo aver tirato giù il cane per la collottola, sgridarlo severamente senza ridere. Credo che lui sapesse che dentro di noi ridevamo, perché non imparò mai la lezione. Lo chiamavamo «cane da viaggio». È morto da anni, e speriamo che nel paradiso dei cani gli abbiano assegnato un'automobile. Non lasciate mai il cane nella macchina chiusa al sole: poiché non suda, starà malissimo, avrà crisi di asfissia, e al vostro ritorno potreste trovarlo morto o in agonia. Ricordatevene: prima di lasciarlo, aprite i finestrini di pochi millimetri, gli basterà per respirare. Il gatto. Passeggero molto più difficile del cane, raramente si abitua all'automobile. Se lo lasciate libero nell'abitacolo, balza follemente di qua e di là in cerca di scampo, miagolando cavernosamente, graffiando sedili e gambe, ed è capace di continuare così per tutto il viaggio. Se lo si mette al guinzaglio si spaventa ancora di più, sbava, si aggroviglia, si strozza, ulula, fa impazzire tutti. Se avete questo tipo di gatto (largamente il più diffuso) è meglio metterlo in un cestino o nelle apposite scatole bucate, dove beninteso miagolerà orribilmente per tutto il tempo, ma almeno starà fermo e non metterà in pericolo la sopravvivenza vostra e sua; dentro il cestino (che deve avere chiusure solidissime, essendo il gatto uno scassinatore provetto) mettete un tappetino di cerata e di plastica, perché il gatto rinchiuso spesso vomita l'anima sua: forse per paura, forse per vendetta.

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Noi non abbiamo una così funesta visione del tempo libero. Certo è che un viaggio di piacere, una vacanza dovrebbero essere un'evasione, non una diversa prigionia; un riposo, non un diverso assillo; un cambiamento di abitudini e di pensieri, non una ripetizione campagnola o marina o esotica del tran-tran e delle nevrosi feriali. Cerchiamo dunque di liberarci il più possibile dai condizionamenti e partiamo con un po' di sano ottimismo. Ma non con esagerate aspettative: non cerchiamo nelle vacanze la realizzazione dei sogni perduti o la risoluzione dei nostri problemi esistenziali. Le vacanze non sono il nirvana. Ma possono essere, se le prendiamo con lo spirito giusto, una piacevole parentesi in cui sostare per poco, e accontentarsi.

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A costo di passare per sconsiderata, devo dire che durante le vacanze noi di famiglia abbiamo spesso dato passaggi a questi variopinti ragazzi con lo zaino e il pollice alzato, maschi o femmine, con o senza bandierina nazionale infilata nello zaino, con o senza chitarre, barbe e capelli fluenti; ci siamo sempre divertiti (spiegandoci in miscugli orripilanti di lingue), abbiamo imparato da loro cose che non sapevamo, e loro da noi; alcuni, a distanza di anni, vengono ancora a trovarci in Italia. Nessuno ci ha mai rapinati, contagiati, drogati, o è stato villano con noi. Qualcuno dirà che siamo dei fortunati incoscienti. Può essere. E infatti siamo i primi a dire che, se non si ha simpatia per gli autostoppisti, o se ne ha paura, è molto meglio lasciarli a terra: anche perché, una volta che si ha un ospite a bordo, bisogna trattarlo con cordialità e fiducia, non con nervosismo o sospetto. Se per qualsiasi motivo un autostoppista non vi ispira fiducia, tirate dritto senza rimorsi: se è arrivato fin lì, se la caverà anche senza di voi. È largamente nel vostro diritto non accogliere sconosciuti nella vostra auto, neanche durante le vacanze: però è inutile che vi giustifichiate dicendo che tutti gli autostoppisti sono pezzenti, tossicomani, delinquenti. Tra quelli che abbiamo raccolto noi ricordiamo, per esempio, un professore universitario (americano), un missionario (francese) e un architetto (svedese) molto ricco, che viaggiava in autostop non già perché fosse tirchio, ma perché voleva fare esperienze nuove e dirette: viaggiando da ricchi, diceva, non si conoscono veramente né i paesi, né la gente, né i loro usi genuini: i grandi aerei e i grandi alberghi sono uguali in tutto il mondo.

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Sotto certe tende, in certe roulotte di campeggiatori novellini, oggi si vedono mobili d'antiquariato, tendine di pregio, servizi igienici extralusso; cinque anni fa abbiamo visto comparire le prime lavatrici, l'anno scorso sono comparse le prime lavastoviglie. Questo, a parer nostro, è un insulto al campeggio: è un degenerarne lo spirito inserendovi le nostre schiavitù, i nostri esibizionismi, le nostre nevrosi di poveri supercivilizzati. Per contrasto, ci sono poi quei campeggiatori che fraintendono il concetto di ritorno alla natura, e credono che il fatto di essere in campeggio li autorizzi a comportarsi in modo selvaggio, senza discrezione, senza proprietà. La vita del camping è senza dubbio più libera, ma proprio per questo esige maggior rispetto reciproco. Qui meno che altrove si tollerano sporcizie, rumori molesti, infrazioni alla pace, alla libertà e alla privacy altrui. Tra campeggiatori di classe è vivissimo lo spirito di solidarietà, ognuno è pronto a dare una mano al vicino, la fiducia è istintiva; tutti sono amici, ma nessuno è invadente: mai. - Rispettate i turni di servizio comuni, e usateli propriamente. Non siate ridicolmente pudibondi (state tutto il giorno in bikini e vi vergognate a mostrarvi in pigiama?) e neanche sciattamente impudichi. - Non strappate fiori, frutta, piante; non calpestate l'erba alta. Non buttate mozziconi accesi nei boschi, incoscienti! Rispettate la natura: già abbastanza minacciata e devastata dall'inquinamento senza che vi ci mettiate anche voi coi vostri vandalismi. - Se accendete fuochi, badate alla direzione del vento; non lasciate braci fumanti: versateci sopra un po' d'acqua, e se non basta ricopritele di terra, come ogni boy scout può insegnarvi. - E quando levate le tende, rimettete tutto come prima. Non lasciate tracce di nessun genere; chi arriva dopo di voi non deve trovarne. Solo sull'Everest o al Polo è consuetudine lasciare una bandiera.

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Se nonostante la proliferazione delle riviste e degli inserti di arredamento non abbiamo ancora occhio, gusto, idee di cui fidarci, chiediamo pure, se ne abbiamo i mezzi, il parere e il contributo dell'architetto. Ma mettiamoci dentro anche un po' di noi stessi, della nostra fantasia, delle nostre esigenze pratiche oltre che estetiche, del nostro modo di vedere e sentire la casa come casa e non come vetrina d'esposizione o come altare delle nevrosi domestiche.

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Abbiamo una vita sola, dopotutto. Amare il proprio lavoro è una bella cosa, amare solo il lavoro è da squilibrati. Chi fa del lavoro l'unica ragione di vita, a scapito di ogni altro interesse, stimolo, curiosità, sentimento, è destinato a diventare un nevrotico coi fiocchi, professionalmente arrivato (forse) ma umanamente fallito: generalmente un marito fantasma, un padre mediocre, un uomo che cavalca la tigre e non può più scenderne perché non vuole, perché scendere vorrebbe dire vivere, e lui non è più capace di vivere. Solo di lavorare. Dopo questa apocalittica premessa, passiamo a meno gravi argomenti.

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Anche se siamo importantissimi e occupatissimi, non siamo autorizzati a far aspettare in linea per più di due minuti (son già molti) una persona che abbiamo fatto chiamare noi. Fosse pure un «inferiore». E non valgono le giustificazioni tipo: «Scusa, sai, ma sono preso fino al collo». Se è così, aspettate a chiamare la gente quando avete il collo libero.

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Mi dispiace, qui non abbiamo leoni, solo un gatto siamese: se le può servire...»). Siate precisi e sensati: «No, signora, questo è il numero 2715958. Prego.» Ricordatevi che i contatti infuriano, e che domani potreste essere voi a cercare Leone in casa Gatti.

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Le buone usanze

195742
Gina Sobrero 3 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Gli uomini si permettono in questo senso molta più libertà; abbiano però riguardo alla vernice che adoperano per la loro calzatura: alle volte è assai poco profumata ed essi debbono sapere che inferiori forse a loro in molte cose, noi donne abbiamo però il senso dell'odorato assai più sviluppato. Per casa è raffinato tenere scarpe speciali; chi non ha la vettura non può trovar piacevole di tenere indosso oggetti che hanno raccolto la polvere della strada, e calpestato i detriti della vita cittadina. Le inglesi, che nella strada vediamo così mostruosamente calzate, in casa portano minuscole scarpette dette slippers, che le fanno parere graziose ed eleganti. Le pantofole sono incompatibili fuori dalla stanza da letto; nè un uomo, nè una donna fine si fanno vedere, nemmeno dalla famiglia, in questa troppo comoda calzatura. Le galoches, o scarpe di gomma per ripararsi dall'umido, sono tollerate, ma niente di più; si lasciano in anticamera e si rimettono all'uscita: sarebbe sconveniente fare con esse una visita.

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Purtroppo, lungi dal nostro bel paese non possiamo mai scrivere in italiano; noi che siamo stati, e che, certo, saremo sempre i primi marinai del mondo, non abbiamo saputo imporre, allo straniero, la nostra lingua: ed un indirizzo italiano corre rischio di non essere capito o male interpretato, fuori della patria nostra. Ma veramente, a questo proposito vi sarebbe molto da discutere, e, una semplice verità è pur questa: che astenendoci noi, in paese straniero, dallo scrivere e dal parlare il nostro dolce idioma, non ne facilitiamo certo la diffusione. E qui mi sia permesso modestamente di mandare una schietta parola di lode a quella Società Dante Alighieri che promuove la diffusione, o, almeno, cerca di mantener viva, la nostra lingua ovunque, in terra straniera, sono a migliaia e migliaia i nostri connazionali.

Pagina 160

Tutti abbiamo sentito dire della tale o tal'altra persona, magari anche sconosciuta: è così cortese! ha un saluto così cordiale! Gli è che non tutti posseggono quest'arte, che i napoletani immaginosi dicono privilegio degli angeli. I militari hanno leggi disciplinari per questo atto, nè io so che tale disciplina indichi loro una forma speciale per salutare un inferiore e un'altra per i superiori; purtroppo alcuni fanno distinzioni, ma sono i meno educati. È certo che un ufficiale distinto nei modi e fino nell'anima risponde al saluto tanto di un compagno quanto di un allievo, o di un inferiore colla stessa dignità e buona grazia colla quale saluta il colonnello, il generale, e magari il ministro della guerra. Nel mondo borghese dove esistere la stessa legge. - Chi salutando non riceve risposta, non se ne offenda; una vista debole, un po' di distrazione abituale o momentanea, una preoccupazione insolita possono far commettere una svista, e mostra poco spirito chi se ne adombra. Un uomo che, per errore, ha salutato parecchie volte una signora, anche se si ravvede, continua a salutarla; alla prima occasione si fa presentare e chiede scusa dell'equivoco; ma avrebbe torto se smettesse ad un tratto la involontaria cortesia. La signora deve a sua volta rispondere e senza mostrarsi affatto offesa. Bisogna gradire e corrispondere cortesemente anche al saluto di chi ci è inferiore per condizione; è prova di educazione e di bontà d'animo, e più di tutto è un dovere. È ineducato chi per istrada mostra di non riconoscere una persona, o perchè questa sia malvestita, o perchè egli stesso si trovi in compagnia di tale da cui creda innalzati il proprio merito e la propria importanza; costui mostra semplicemente di non pregiare abbastanza la sua individualità. La stretta di mano non va data con soverchia prodigalità. I nostri moderni principii di eguaglianza hanno però resa questa forma di saluto molto popolare, e i nostri sovrani ne dànno l'esempio, tanto che Sua Maestà il Re non sdegna di stringere colla sua mano regale la destra bruna e callosa di un operaio. Però ciò che è lodevole atto di cortesia nei sovrani può essere assai sconveniente in una signora, sicchè essa farà bene ad essere prudente prima di stendere la mano, specialmente ad un uomo. Sono ugualmente ineducati quelli che col pretesto della stretta all'inglese vi rompono le dita, e gli altri che posano nella vostra una mano inerte, glaciale. Non ci vuole soverchio calore nè indifferenza; sia nella stretta di mano una espressione di franchezza, di cordialità, che faccia giudicar bene del nostro carattere. L'uso di abbracciarsi in istrada è molto sconveniente; le espansioni di affetto debbono essere riserbate nell'intimità; ma qui piuttosto che di educazione è questione di carattere, sicchè non saprei condannare due amici, due amiche, che rivedendosi dopo vario tempo si gettano affettuosamente le braccia al collo dovunque si trovino. Gli uomini non hanno gran che questa abitudine; le donne fanno bone a non manifestarla troppo. Accade purtroppo, non di rado e per ragioni varie, di essere costretti a troncare le nostre relazioni con amici e parenti; ciò si faccia senza strepiti, senza scandali; è sconveniente di parlare a terze persone dell'accaduto, dicendo male di quelli che abbiamo dovuto eliminare dal circolo delle nostre relazioni. Incontrando questi individui in società, in visita, si fa un lieve cenno di saluto, tanto da non mettere nell'imbarazzo i presenti. Incontrando per via le stesse persone è scortese di volgere la faccia o mostrare un'espressione di noia. Le rotture tra uomini sono sempre più gravi, e finiscono talora col codice cavalleresco. Perciò è meglio essere molto cauti prima di stringere amicizia; è questa la parola più sfruttata di tutto il vocabolario, ma sono così rari i veri amici! Coi vicini di casa, in città e in campagna, bisogna usare i massimi riguardi; non disturbarli con rumori di nessun genere, non usurparne i diritti, non annoiarli. I regolamenti di tutti i Municipi stabiliscono le ore in cui è lecito battere i tappeti; è dunque un dovere farlo a tempo debito. Chi suona uno strumento, qualunque esso sia, abbia pietà delle orecchie dei vicini, e non faccia i suoi esercizii in ore troppo mattutine, o troppo tardi la sera. Non si ha affatto l'obbligo di far relazioni cogli inquilini della stessa casa, ma, fatta che si abbia, non li si annoino con visite troppo frequenti, con continue richieste d'imprestiti, lavori od altro. Ognuno ama la propria libertà e vi sono ore e giorni in cui è possibile che anche la migliore amica ci riesca importuna. Se un inquilino muore, si manda l'annunzio a tutti gli abitanti della stessa casa, i quali sono obbligati ad intervenire al funerale, ed a mandare il proprio biglietto di condoglianza, anche se non v'è relazione tra le famiglie. Se si dà un ballo o, per una ragione qualunque, si fa chiasso la notte, si chiede scusa ai vicini del disturbo arrecato. Oramai fumano tutti; e se l'abitudine è in sè poco elegante, si può aggraziarla con un poco di educazione. Bisogna badare, fumando, di non gettare il fumo in faccia ai vicini. Un uomo non fuma se non è autorizzato dalla signora che è presente; non si getta la cenere in terra col rischio di bruciare tappeti o strascichi di vestito. Se la sigaretta ed il sigaro sono già poco eleganti, la pipa è insopportabile, e un uomo che ha il difetto di servirsene, lo fa solo nella propria camera e mai in pubblico, a meno che ne sia autorizzato. Non si saluta una signora, un superiore, nè si parla loro, col sigaro in bocca; entrando in un luogo pubblico, o in una casa privata, si getta il sigaro, anche se appena incominciato: non è pulito, nè elegante metterlo in tasca spento o lasciarlo in anticamera. L'uso delle sigarette per le signore è una delle questioni più discusse oggi: è un male che le signore fumino? Io non credo: se hanno un marito, un padre cui non piace tale abitudine, se ne astengano per compiacenza; ma in caso diverso non parmi esse vengano meno all'educazione nè commettano cosa che debba celarsi come una colpa. Non dovranno però mai fumare in un caffè, o nella via; nè eccedere nel darsi a questo capriccio: e sempre apportarvi la grazia eletta che è la caratteristica della donna.

Pagina 194

Eva Regina

203104
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 37 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Beata, beata solitudine, dove l'arte e l'amore brillano, dove le romite passeggiate lasciano le anime espandersi e fondersi, dove nessuno interrompe le lunghe, le soavi intimità, dove insieme si leggono i libri buoni e belli e nessuna corrente malsana, nessuna tentazione perfida turba e disgrega e separa; dove nessun pettegolezzo maligno, nessun esempio pericoloso, avvelenano la nostra pace, dove s' accolgono solo i veri, i fedeli amici che vengono come a un pellegrinaggio e partono con la visione della vera felicità che noi abbiamo lor data — nel cuore...

Pagina 127

È un onesto padre di famiglia, un buon impiegato, un placido campagnolo, un decoroso capitano dell'esercito, un deputato, un professore d'Università : non l' abbiamo più incontrato, e se lo incontrassimo il nostro volto non muterebbe di colore e il nostro cuore non avrebbe un battito di più, poichè non è più nulla per la nostra vita sentimentale, egli che fu tutto. Il giovinetto pallido è morto, e come a un caro estinto noi pensiamo a lui di quando in quando, raramente, ma con una tenerezza dolce che avvolge noi e lui ad un tempo, le nostre morte primavere, coi profumi di allora... Sono rare le donne che sposano il loro primo amore, appunto perchè è un sentimento che non ha radici nella verità. La vita con le sue esigenze è ben diversa dal sogno. Ma non è male che il primo amore rimanga quello che è, nel ricordo, senza trasportarsi in una concreta realtà: che rimanga in fondo all'anima come la memoria di un sogno troppo bello perchè potesse durare. « Il primo amore — dice ancora Matilde Serao facendone la psicologia con la sua profonda conoscenza del cuore umano —: il primo amore è fresco, ingenuo, candido : è il vago balbettio di un fanciullo che comincia a parlare; è un'alba tremolante di raggi, è un'incipienza deliziosa. Gioie piccine, ma in quei momenti ti soffocano con la loro esuberanza. Le impressioni sono profonde ed intanto conservano la delicatezza; il profumo è sottile, ma capace d'inebriarti; senti l' anima crescere, svolgersi, aprirsi come un fiore, e ti senti soddisfatto, e ti senti in possesso di un tesoro, pensando di poter essere per te solo, per lei sola, felice o infelicissimo. » Alla nostra anima del presente quelle sensazioni non basterebbero più, o la medesima creatura, giudicata con altri criteri, veduta sotto altra luce, non saprebbe più suscitarle in noi. Meglio dunque non sposare il primo uomo che abbiamo vagheggiato, per non correre il rischio di accorgersi troppo tardi che non era lui che amavamo ma il nostro sogno.

Pagina 17

Ora è per determinazioni da prendere, e non di rado, come abbiamo notato, per l' educazione dei fanciulli. E la mensa, il salotto da lavoro, si cambiano spesso in campi di battaglia dove s' incrociano ire, minaccie, offese : dove qualche volta volano stoviglie, suppellettili e busse. I bambini assistono spesso a queste scene disgustose, perchè gli adulti non si fanno riguardo di altercare in loro presenza non riflettendo all' esempio che dànno e alle conseguenze che ne possono derivare: ed ogni buon proposito d'educazione — se anche c' è — diviene nullo, travolto così dal conflitto delle anime che ne porta alla superficie i più torbidi elementi. Il rispetto per la famiglia dilegua e spesso anche quello per la vecchiaia : l' autorità paterna e materna si rimpicciolisce : il concetto che il bambino deve serbare d' una superiorità d' esperienza, di una somma maggiore di valore dell' età matura in confronto alla sua vacilla e scompare. Appena in età di discutere, farà valere le sue ragioni, buone e cattive, con l' arroganza, con la prepotenza, magari con la rivolta; e perchè non dovrebbe farlo, visto che in casa sua tutti fanno così?...

Pagina 186

Abbiamo esempio di molte persone coltissime, che appresero quanto sanno solamente leggendo. Poi la lettura è utile perché abitua il pensiero a concentrarsi, a meditare; insegna a star soli, e prepara alla vita uno dei suoi migliori e più sicuri conforti. Coltiviamo nei bimbi amore ai libri, riguardiamoli come aiuti preziosi alla formazione del loro carattere e all' allargarsi della loro intelligenza. La produzione letteraria per l' infanzia è ora così ricca e così buona che nessuna mamma può trovarsi imbarazzata nella scelta, e, se mai, può sempre chieder consiglio alla maestra. Collodi, Ida Baccini, Yambo, De Amicis, Capuana, Evelyn, Amilcare Lauria e molte e molte altre penne valenti diedero alla letteratura infantile un contributo vasto e vario : quindi la mamma potrà anche cambiare spesso il genere affinchè il bambino non sviluppi troppo esclusivamente un carattere intellettuale a detrimento degli altri, come accadrebbe se leggesse solamente racconti fantastici o barzellette leggere, narrazioni morali, o viaggi d' avventure. È bene che anche nella lettura il piccolo uomo veda riflessa la vita come è, coi suoi pericoli e con le sue vittorie, con le sue tristezze e con le sue feste; altrimenti se ne farà un concetto falso che soffrirà poi a modificare. Per invogliare il bambino a leggere sono ottimi i libri con le illustrazioni : ed è buono, anche, il metodo di fargli qualche lettura facile ad alta voce. Niente di meglio dei giornalini pei fanciulli, che offrono una lettura varia e complessa, amena ed istruttiva insieme.

Pagina 193

Quando un bambino è vicino a noi, abbiamo sempre autorità e doveri verso di esso, nè possiamo essere esonerati da una responsabilità più o meno seria, anche se diciamo di non volerne alcuna. Facciamo che i nostri fanciulli adempiano a tutti i loro obblighi di cortesia e d' ospitalità coi piccoli amici, ma non si permetta poi da parte di questi la prepotenza e l' abuso. Se non abbiamo bimbi nostri, teniamo quelli degli altri come creature nate da noi - vigiliamo sui loro bisogni, occupiamoci del loro morale, dirigiamo la loro educazione. Questo deve fare qualunque donna di senno e di cuore.

Pagina 201

Non dite che esagero : tutte ne abbiamo conosciute di queste madri colpevoli che profanano la loro missione! Tutte abbiamo provato santi impulsi di sdegno assistendo a scene d' infanzia torturata dalla malvagità, dal vizio, dalla squilibrio morale. E abbiamo udito talvolta con strazio profondo, con vergogna indicibile del nostro sesso, i piccoli martiri stessi ergersi a giudici, narrare storie di vergogna, esprimere propositi truci per quando il loro fisico ne permettesse il compimento, augurarsi la morte per sfuggire all' ingiustizia, alla crudeltà! Oh stringiamoci ai nostri bambini e preghiamo! Preghiamo Dio che non conceda la fecondità a certi seni: che non s' oda più chiamare col sacro nome di madre chi non meriterebbe nemmeno di far parte dell' umanità!

Pagina 209

Ma viceversa non abbiamo o non ricordo, esempi speciali di felicità e di costanza nell'altro caso, nel caso del marito vecchio e della moglie giovane. Questo indurrebbe a credere che grande elemento di buona riuscita risiede nell' esperienza della donna, nella sua forza di volontà, nella coscienza della sua individualità e nel pieno sviluppo delle sue energie mentali e sentimentali, evoluzione che avviene solamente con l' età, quando non sia stata preparata (e si dovrebbe !) con un' educazione speciale.

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E la prima umiliazione è fatta subire dalla coscienza innanzi a cui non si può fingere come davanti agli occhi altrui. « Quante volte — scrive Amiel — siamo ipocriti restando simili a noi medesimi in apparenza e per gli altri, mentre abbiamo la coscienza di essere diventati diversi dentro di noi! » E quando la donna non più fedele ai suoi maggiori doveri si trova con quelle verso cui si dirigevano le sue critiche, le sue pungenti ironie, i suoi alteri disdegni e alle quali si sente in cuor suo livellata, china la fronte pensierosa e dolente. Indi, le sue mutate abitudini, la modificazione del suo modo di vestire, quella maggior licenza di modi nel parlare che, involontariamente, ha preso deviando dal retto cammino, permettono agli altri d'usare con lei maniere e linguaggio più liberi da cui si sente intimamente offesa, senza sentirsi poi il diritto di adontarsene palesemente. Intanto il suo amore clandestino ch' essa credeva un segreto profondo non lo è più per nessuno — tranne forse che per l'ingenuo marito. I convegni, il suo contegno in pubblico, le sue imprudenze, la poca discrezione di qualche amica, l' astuzia dei servi l'hanno tradita. Ella incontra sguardi che la fanno vibrare d' ira o avvampare di vergogna : coglie doppi sensi di frasi che le sono più amari d' un veleno mortale ; è costretta a sorridere a scherzi grossolani per cui frusterebbe volentieri in viso l'audace sconveniente autore. Il suo amante stesso va dimenticando i riguardi che a lei pareva d'essere in diritto d' esigere sempre, e certi suoi scetticismi, certe sue impazienze, certe sue brutalità significano l'assenza di quella stima che solo comanda il rispetto. Tormentata da queste punture che si ripetono quotidianamente e finiscono con esasperarla fino all'insofferenza estrema, la sventurata si sente trascinata a gridare : « Rispettatemi insomma! Io non sono di quelle! » Ma se una di quelle potesse udirla, forse le risponderebbe : « Eppure tu sei peggio di. me, che non ebbi una madre che m'educasse al bene; che non ho un marito e dei figliuoli per soccorso e difesa. Tu avevi una salvezza nelle tempeste della vita, io non l' avevo. Ora anneghiamo tutte due, ma chi più stolta e più imperdonabile, tu od io? »

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Ascoltiamo la sapienza antica che ci ammonisce per mezzo del proverbio: «Chi più spende meno spende. » Se acquistiamo un abito di qualità inferiore, dopo un anno dovremo farne un altro : e la doppia spesa del vestito nuovo e della seconda confezione supererà certo il risparmio che abbiamo fatto nella prima compera. Se pagheremo troppo poco i nostri domestici, troveremo solamente gente inesperta che deteriorerà la nostra roba, romperà e guasterà irrimediabilmente e ci costringerà a ricorrere all' aiuto delle lavoranti a giornata e dei servizi straordinarii ; quindi spenderemo di più e avremo molti inconvenienti. Se comperiamo certi generi al minuto, li avremo di qualità scadente, e infine ci troveremo danneggiati anche nel peso. E di questi esempi se ne potrebbero dimostrare a sazietà. Altro cattivo sistema è quello delle note a lunga scadenza coi fornitori. Essi sono gente d' affari e calcolano tutto: quindi per quel tempo che il loro denaro resta infruttuoso, segnano un prezzo più alto di quello che ci farebbero se pagassimo a pronti contanti. E noi, non dovendo subito metter mano al portamonete per togliere le cinque, le dieci lire, ci provvediamo di cose delle quali avremmo potuto anche fare a meno. Così il conto ingrossa, e quando siamo per liquidarlo, se ne va una bella sommetta che spesso un poco ci dissesta. Chi potrebbe chiuder l' anno senza note da saldare, si troverebbe ricco, se pure non gli rimanessero che poche lire nel borsellino. Sarà dunque ottimo sistema quello di pagare acquistando, o a fattura appena finita, e se per qualche circostanza ci si trovasse costretti a saldare dopo qualche tempo, si procuri che il termine sia il più breve. Meglio un conto alla settimana, al mese, che un conto totale a fine di stagione o d' anno.

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Questa... « L'amore non è che il persistente, tenace, forte, prepotente ricordo d'una persona... » Tutte noi abbiamo provato la verità di tale affermazione. Un ricordo che non ci lascia mai, che attira a tradimento il nostro pensiero nelle ore dell'occupazione e ci fa essere disattente, svogliate, lontane mille miglia da quello si fa o si dice intorno a noi : lontane da quello che noi stesse facciamo o diciamo, così che lo svolgere il filo delle idee, se la nostra occupazione è mentale, o il seguire il pensiero d'un autore, ci costa un continuo ed eroico sforzo di volontà : e se l'occupazione è materiale ci fa commettere errori e distrazioni di cui ci sentiamo umiliate. E nelle ore del riposo questo ricordo grandeggia così, che ci invade tutta l'anima, la sommerge in una dolcezza che paralizza ogni altro moto dell' intelletto, che offusca ogni altro sentimento, che ci avvolge, ci rapisce, ci diminuisce, ci cancella, ci travolge a segno che ci sentiamo tentate di domandare pietà...

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Delicata compositrice essa pure di versi, abbiamo tra gli altri questo appassionato sonetto che trascrivo nella traduzione d'Enrico Nencioni.

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La dottoressa Maria Montessori vinse per concorso il posto di assistente alla Clinica ostetrica all'Università di Roma, che tenne per due anni; ed ora abbiamo all' Ospedale della maternità in Napoli la dottoressa Emilia Concornotti, e nell' Ospedale di Imola la dottoressa Giuseppina Cattani. Anche alcune delle esercenti private vanno aumentando la loro clientela. La prima donna laureata in Italia, venne laureata in medicina e chirurgia, nell'Istituto di Studi Superiori in Firenze nell'anno 1877, e fu la signorina Ernestina Paper.

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E noi che ne abbiamo vedute ancora qualcuna di quelle camicie, di quelle sottane, nel corredo delle nostre mamme, non sappiamo capacitarci come si sia potuto iniziare e condurre a termine queste imprese di pazienza, degne di leggenda. Le macchine da cucire hanno affrancato l'operaia di biancheria dalla sproporzione fra l'enorme impiego di tempo e il risultato della sua opera, non però dalla pazienza, dalla minuzia, dalla cura che la sua opera abbisogna. Ma ora coll' aiuto della macchina e il progresso delle industrie, le cucitrici creano quei vaporosi capolavori composti dalle sapienti combinazioni della batista, del merletto, dei ricami d' ogni genere, dei nastri, che fanno somigliare l'intimo abbigliamento di una donna elegante all' onda di candida spuma da cui uscì Venere dea. Pare che una giovanile testa muliebre china su un paziente lavoro, sia sommamente suggestiva, giacchè quasi tutti i poeti le hanno dedicato qualche rima. Fra i più moderni ed eminenti, rammento il Pascoli che ne La cucitrice ci dà l'immagine della pia sorella che lavora d'ago, nel tramonto

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Che merito abbiamo noi se il destino ci fece nascere in una famiglia che curò tutte le nostre buone tendenze e procurò di estirpare le cattive ? Se fossimo nate in tane luride come quelle vagabonde notturne dagli occhi luccicanti e dipinti nel viso imbellettato, se la nostra adolescenza fosse stata inasprita dalla miseria, dai cattivi trattamenti, contaminata dal cattivo esempio e dal vizio, avremmo avuto noi la forza ch' esse non ebbero di conservarci buone e pure ? E le nostre debolezze, i nostri errori non sono meno scusabili dei loro, anche se meno gravi, noi che abbiamo un ideale di elevazione, noi che i patimenti della miseria non costringe, noi che avemmo intorno nobili esempi, confortanti parole, noi che nella, coscienza non abbiamo offuscato il senso del dovere ? Abbassiamo l' orgoglio! Forse una di quella creature, al nostro posto, sarebbe riuscita meglio di noi...

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Abbiamo la « Pensione Benefica per giovani lavoratrici » fondata, pure a Milano, da quell'elettissima educatrice che fu Felicita Morandi, un' istituzione che consiste nell'offrire l' ospitalità famigliare alle fanciulle che non hanno famiglia o l'hanno lontana e desiderano apprendere una professione. E in molte città esistono Circoli per la tutela del popolo, per Ricreatori festivi, Biblioteche popolari, Scuole gratuite, Patronati d'assistenza di ogni genere. E questa nobile attività che per la prima ha fatto uscire la donna dalle tranquille pareti della sua dimora non sarà mai encomiata e incoraggiata abbastanza, anche fra le signorine che hanno forse più tempo a loro disposizione. Vorrei anzi che in ogni città d'Italia le signorine si stringessero in sodalizio e sotto l'egida di qualche nome gentile cooperassero in qualche modo a migliorare le condizioni delle classi indigenti, o per mezzo di Biblioteche popolari o di qualche piccola Agenzia di collocamento per le giovinette povere, di un Comitato di soccorso per i bambini malati: secondo il bisogno della città in cui risiedono e la sua importanza.

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Forse eccessi di tal genere non si ripetono fuori delle regioni meno evolute d' Italia : ma in ogni luogo abbiamo però donne, e fra esse signore della piccola borghesia, che chiedono insistentemente questa o quella grazia a un dato Santo e non ottenutala ne abbandonano il culto, disgustate come di un medico che non avesse conseguita una guarigione. Altre esigono a tutta forza miracoli, e per averli si espongono a disagi di pellegrinaggi, interrompono cure, peggiorando le loro condizioni fisiche, se si tratta di salute, giacchè è assurdo violare le leggi naturali, dal Creatore stesso decretate, per poi pretendere il sovrumano. Anche certe devozioni composte di formule ripetute centinaia di volte : certe immaginette o certe medaglie a cui si attribuiscono virtù particolari e piccine, certe penitenze di digiuni e di privazioni, compiute magari a scapito della salute, sono tanto lontane dalla religione vera quanto il paganesimo dal cristianesimo.

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Più tardi abbiamo un'altra grande mistica nella signora di Chantal, fondatrice dell' ordine della Visitazione : e nel secolo XVII Madame Guyon incarnò, osserva sempre il Malvezzi, lo spirito del misticismo sentimentale. Le sante dell' Ordine di S. Francesco furono tutte mistiche ferventi, basta scorrere la loro vita nelle cronache sacre per convincersene. Ai nostri giorni qualche mistica si trova ancora nei conventi, ma la fama dei suoi scritti e delle sue virtù non si diffonde, forse perchè non trova l'eco nello spirito dei tempi, dominati dallo scetticismo gaudente. Fra le scrittrici cattoliche si riscontra qualche sincera ispirazione, qualche slancio lirico determinato dal misticismo, ma non credo oltrepassi, di molto almeno, i limiti dell' arte per entrare nella pratica della vita.

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Non abbiamo che il sentimento d'una grande ingiustizia, non sentiamo che il nostro dolore, e la preghiera che non può più essere un inno o una supplica ardente, muore sulle nostre labbra.... Ebbene, in queste ore di buio, di annientamento, bisogna imporsi una coscienza vigile, una volontà indomabile. « Preghiamo, diceva il Manzoni, che il nostro capo possa sempre inchinarsi quando la mano di Dio sta per passarvi sopra. » Se abbiamo errato, accogliamo la dura prova come un' espiazione: se non abbiamo nulla a rimproverarci, sforziamo i nostri occhi mortali a vedere in essa più d' una causa comune di sofferenza, qualche cosa di prestabilito, d' utile per il bene del nostro spirito, per il nostro progresso morale. E se avremo la coscienza di sentirci puri, anche fra il martirio una pace arcana, malinconica ma benefica, non tarderà a scendere leggera e non sperata sui tumulti del cuore, sull' acerbità del dolore. Noi dobbiamo imparare inoltre a soffrire in silenzio senza far portare agli altri il peso della nostra croce: dobbiamo sorridere alle gioie degli altri senza funestarli coi fantasmi dei nostri disinganni, dei nostri rimpianti: dobbiamo valerci della nostra esperienza del dolore senza perdere la fede nell'esistenza della bontà e della giustizia, e consolarci consolando....

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Ma ha una buona posizione sociale, un aspetto simpatico, ottime qualità morali; abbiamo grande stima di lui, gli abbandoniamo volontieri il nostro destino. Se non sarà l' amore ardente, sarà l' affezione sicura e dolce, che molte volte val più dell'amore. La consuetudine di vedersi, la conoscenza più intima creano poi dei vincoli, spesso danno delle rivelazioni che svegliano in fondo all' anima il divino fanciullo dormente : l' amore. Ed allora è per tutta la vita: non si temono più inganni, nè sorprese, nè delusioni. Spesse volte queste rivelazioni sono il premio di una obbedienza, di un segreto olocausto, di una determinazione coraggiosa o solamente della pietà. Conviene essere sincere però, come sempre. Con un uomo che si sposa per convenienza non si dovrà fare nè prima nè poi la commedia dell'amore. S'egli si accorgesse della finzione ne soffrirebbe più che vedendo il nostro tepido ma sincero affetto. In un matrimonio combinato, deve dominare la serietà, la semplicità : gli sposi devono sentirsi sopratutto amici. Solamente così potranno avere anch'essi ore d'una felicità serena e fondare il loro avvenire su basi incrollabili.

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Noi tutti abbiamo veduto qualche creatura di carattere vivace e gaio ed espansivo, divenire dopo uno di questi colpi crudeli, cupa, taciturna, languida e triste : oppure un' indole serena e calma divenire ad un tratto irritabile ed inquieta ; ed anche qualche persona riflessiva, ordinata, sobria, mutarsi dopo la morte di alcuno che le era supremamente caro, in sventata, sregolata, talvolta fino alla dissolutezza. Chi infatti in uno di cotesti disastri dell' anima non ha sentito la tentazione di stordirsi, non importa in qual maniera : di rinnegare tutti i propri ideali più cari : di demolire tutto un passato di virtù, d'abnegazione, di pazienza, quasi per opporre crudeltà a crudeltà ? per un impulso di reazione forte e selvaggia contro il forte e selvaggio dolore ? Momento pericoloso e supremo che ha deciso di molti destini, che ne precipitò molti, giù, nelle tenebre. Il suicidio, la follia, il delitto, il primo passo verso l' abbrutimento, lo slancio nei vortici micidiali dell'ebbrezza, non sono che la conseguenza di uno di questi momenti, se l' anima non è temprata a superarli. Ma noi dovremo lottare contro questo elemento torbido venuto a galla dopo lo sconvolgimento della tempesta, eliminarlo dal nostro cuore perchè resti tutto purificato dal rigido lavacro e si rinvigorisca. « L' avversità è nostra madre — diceva Montesquieu — mentre la prosperità non è che nostra matrigna » e diceva questo appunto per farci riflettere che il nostro carattere ha bisogno della severità della sventura la quale gli toglie le tendenze pigre e molli, la troppa facilità ad affliggersi ed a disanimarsi per le piccole cose, gli dimostra la vanità delle frivolezze, l' utilità e la bellezza di qualche nobile ed alta missione. Ravviva un carattere freddo, tempera un' indole ardente, e richiama gli spiriti alla fede riavvicinandoli a Dio. Una donna colta e gentile, Emma Boghen Conigliani scriveva : « Dall' azione la forza, dall' amore la vita, dal dolore la virtù.

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Abbiamo veduto come anche il dolore più sacro, più austero, più acerbo, non possa sottrarsi a certe regole fisse, a certe manifestazioni comuni, a certi doveri di cortesia e di gratitudine. Ma la pietà e la gentilezza altrui deve però cercare di rendere più leggero che sia possibile quest' obbligo, e rispettare il triste raccoglimento di chi piange e soffre. Recandoci a visitare una signora colpita da grave sventura, faremo in modo che la visita, per l'ora, per il nostro abbigliamento, per l'intonazione dei nostri discorsi non abbia nessun carattere di etichetta. Meglio prevenire prima con un biglietto per informarci se la dolente è in grado di ricevere chicchessia e se la nostra visita non le arrecherà troppo dolore. Se si farà scusare di non poterci ricevere, non le serberemo rancore e alla prima occasione le dimostreremo il nostro sentimento fedele. Dal giorno luttuoso le proferiremo i nostri servigi ma dovremo lasciarle ogni iniziativa d' invito. Se verrà nella nostra casa, le faremo un' accoglienza intima e affettuosa, e se si troveranno da noi altre persone, la riceveremo sola in un' altra stanza, giustificandoci coi primi visitatori. La maestà del dolore ha tutti i diritti di privilegio senza che alcuno possa offendersene. Ci ricorderemo di lei quando compie il mese dalla morte, e nell' anniversario, con un piccolo ricordo pio, se ci è legata d' amicizia : un libro religioso o di severi insegnamenti morali, un' immagine sacra, un rosario, una medaglietta, dei fiori da recare al cimitero,accompagnati da qualche parola d' affetto e di conforto, sono dimostrazioni che è bello e pietoso dare a chi ha bisogno d' esser consolato.

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Accanto alle anime superficiali che non sanno soffrire o si consolano troppo presto, abbiamo le anime profonde e fedeli che dopo essersi nutrite a lungo ed esclusivamente del loro dolore finiscono per affezionarsi a lui e non vogliono più essere consolate. Anche di queste donne, noi conoscemmo, che consacrarono tutta la loro vita al culto d' una memoria e alla religione di una tomba ; che si segregarono dalla società e vissero nel mondo come in un chiostro, cieche oramai a tutta la bellezza, sorde ad ogni lusinga : suggellate le labbra per sempre al sorriso, al canto. In generale gli uomini non credono all' esistenza della fedeltà postuma, infatti questi casi non sono frequenti, ma non si possono negare, e si impongono al rispetto del peggior scetticismo. Il mondo tratta simili anime di esaltate e un po' le deride, un po' le compiange; eppure noi non possiamo sapere le estasi segrete di quel dolore perenne come una limpida vena di monte, che purifica senza tregua, che mantiene sempre fresco il ricordo di colui che si piange, lo attira quasi ancora nella vita. Per queste anime privilegiate, i morti non sono perduti, sono solamente gli assenti : e il culto che si tributa loro è intimo, è dolce e continuo, libero da ogni tinta lugubre. I ritratti sono vicini a chi ebbe tanto caro il volto che rappresentano : nel sonno, nella veglia, fra i fiori, come un tempietto di Dei tutelari, per vivere sempre sotto le loro pupille aperte alla Verità infinita. Non riguardi, non false sensibilità impediscono di ricordarli nei discorsi, di mescolarli ancora alla vita che fu loro dolce. Mi fu narrato di una signora che aveva perduto il marito nel fior degli anni, un marito assai amato e che l'adorava. Ebbene, essa non cedette alla morte crudele che la parte materiale del suo prediletto, ma volle continuare a vivere con lo spirito di lui. Nulla fu mutato nè nella camera nuziale, nè nelle altre stanze: a mensa veniva sempre apparecchiato il suo posto; il soprabito e il cappello rimasero appesi nell'anticamera; la biancheria nel cassettone, gli abiti nell'armadio. Nello studio, tutto fu religiosamente conservato intatto: libri, cartelle, penne, perfino il cestino con la carta inutile spiegazzata dalle sue dita. I gioielli e i piccoli oggetti che gli erano appartenuti rimasero nel posto dove soleva deporli: il suo orologio veniva diligentemente caricato ogni sera. Nemmeno i suoi oggetti di toilette vennero riposti: se l'Assente fosse tornato da un giorno all' altro avrebbe trovato tutto preparato ad aspettarlo, e nel cuore della sua donna la stessa fedeltà. Questa suprema delicatezza, quest'alta idealità, sono commoventi, per me, più di qualunque tragica dimostrazione di dolore inconsolabile.

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Anche il rimpianto si è rivestito di una dolcezza quieta e poetica, come una rovina s' ammanta di museo e d' edera: Buoni e profondi conforti ci scortano nella vita che abbiamo rifatta tutta pazientemente, filo per filo, imitando il ragno quando ricompone la sua tela che la violenza dell' uragano ha lacerato e disperso. Non si è felici — oh no — ma si è in pace perchè nulla si teme più nè si spera dall' avvenire. E così abbiamo la convinzione di dover proseguire fino alla morte. Ma l'imprevisto attende a uno svolto della via. Il cuore che avevamo creduto immerso in un eterno letargo, dà qualche segno di vita, si scuote, palpita ancora di quel palpito affrettato, il palpito antico, ben noto.... È l'incontro di una persona, è una lettera, è una parola, è uno sguardo a cui il cuore non rimane più insensibile. E inconsciamente, nostro malgrado, quasi, proviamo in tutto l'essere il misterioso, profondo, agitatore, divino moto della resurrezione; lo stesso che dopo il sonno invernale serpeggia con le linfe della terra nelle radici segrete delle piante che parevano morte, che si credevano morte. Passa un alito di primavera sul volto e nell'anima, purificato dal gelido battesimo del dolore, e un timido desiderio sboccia finalmente, come una gaia corolla destinata a dar frutto. E la maggior sensibilità che la sventura ci ha dato, ci fa sentire con più raffinatezza il risveglio dei sensi e del sentimento. Si ricominciano ad amare le cose che nella severità del dolore avevamo escluso : la musica tenera, i versi appassionati, le letture amene, i colori lieti, i profumi; e lo specchio, più abilmente interrogato, rivela nuovi fascini di cui eravamo possessori senza saperlo.

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Eppure non ci siamo avvicina ti a quegli sconosciuti, non abbiamo voluto avvertirli nemmeno con uno sguardo che suscitavano la nostra compassione, che anche noi sappiamo che cosa sia soffrire così. E quel nostro contegno rigido e indifferente, da persone civili, ma egoiste, somiglia al contegno di quell'inglese che veduto da un ponte un individuo che stava per annegare e invitato a prestare aiuto per il salvataggio, placidamente guardò attraverso le lenti il naufrago e rispose « Non lo conosco ; non mi è stato presentato » ! Una parola buona, una piccola premura, un incoraggiamento, una discreta domanda, non impegnano a nulla e possono avere un' efficace virtù consolatrice : possono anche, in certi casi, essere il capo del filo d' una speranza perduta, nuovamente riconquistata, e con esso la salvezza. Ad ogni modo sarà sempre indizio di delicatezza di cuore per gli altri, e per noi stesse un rimorso di meno e una dolce soddisfazione di coscienza in più.

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E tutto questo per procurarci la pace che abbiamo perduta, la pace intima, più cara e necessaria della stessa vita. Ma la pace dobbiamo possederla in noi prima di tutto, diversamente sarà inutile e pericoloso perseguirla fuori. Se avremo questo bene supremo, il destino potrà percuoterci in tutti i modi, potrà privarci di tutto, potrà straziarci con le più ingegnose e moltiplicate torture, ma il talismano è nel nostro cuore ed usciremo vittoriosi da tutte le prove. E questa pace magica, invincibile, segreta, come ottenerla ? È facile e difficilissimo.... Col poter dire a noi stessi ogni giorno questa frase: Gli altri mi hanno fatto piangere: io non ho costato una lagrima ad alcuno.

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Ma noi che usiamo cibi più fini e complicati, abbiamo un motivo di più per impedire che qualche cattiva digestione ci sciupi la dentatura, e quindi ci conviene pulire e disinfettare la bocca costantemente. Inoltre i denti sono uno dei fattori principali della salute : i denti forti e sani atti a masticare perfettamente il cibo alleviano la fatica allo stomaco che digerisce bene e l'organismo assimila; i denti malati e malfermi non triturano gli alimenti, che tante volte restano nel ventricolo procurando le indigestioni e le malattie. Gli acidi sono dannosissimi ai denti ed anche i dolciumi. Lo zucchero a contatto dello smalto forma un precipitato che annerisce i denti e li logora. È dunque necessario appena mangiato qualche cosa di dolce, sciacquarsi la bocca. Danneggiano i denti i cibi o le bevande troppo caldi o troppo freddi, ed anche gli spazzolini troppo duri. Nel nettare i denti bisogna aver cura di agitare il setolino dal basso in alto e non orizzontalmente, per riguardo alle gengive. Per il mal dei denti bisogna assolutamente ricorrere al dentista. Del resto ogni calmante, finchè la causa, ch'è la carie, perdura, non avrà che una azione incerta e limitata. Giova per un poco una fusione tepida di papavero, qualche granello di cocaina, l'applicazione del ghiaccio o tenere in bocca acqua freschissima finchè lo spasimo s' atrofizzi.

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Noi tutte abbiamo conosciuta qualche persona che per aver troppo trascurato qualche incomodo, qualche anormalità del suo corpo chiese il soccorso della scienza quando, pur troppo, ogni soccorso era vano. Non si sarà mai, dunque, abbastanza cauti e pronti, quando si tratta della salute, ch' è il supremo dei beni della vita, la cui conservazione è un dovere. E non solo quando si tratta di noi, bisogna essere solleciti, ma anche quando si tratta degli altri. Non bisogna pensare subito che sia affare di sensitività eccessiva, di esagerazione, di insofferenza, di falsità; e, nei bambini, di malessere passeggero o di capriccio. Pensiamo piuttosto quale sarebbe il nostro rimorso se quei mali di cui l'adulto o il bimbo si lagna, quel malessere che dimostrano, dovessero essere i prodromi d' un' infermità grave, dovessero mutarsi, per la nostra imprevidenza, in lutto per noi ! Attente dunque ai sintomi, agli araldi di malaugurio.

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Eppure non abbiamo potuto dimenticarla, mentre abbiamo dimenticato tante altre persone che prendevamo più sul serio di lei. Il ricordo tenace è il vantaggio maggiore della personalità. Una donna che si veste come tutte le altre, che si pettini come tutte le altre, che abbia idee comuni, parole convenzionali, che prenda tutto dalla moda del giorno e dalla sua ricchezza, se anche è bella ed elegante ha molte probabilità di non rimanere in modo speciale nella memoria : mentre una signora che sappia farsi una eleganza personale, che manifesti preferenze per un colore, per una foggia, per uno stile d' arte, per un profumo; che esprima idee consone al suo carattere, apprezzamenti che risultino frutto d'un' esperienza, d'un pensiero, d'una volontà individuale; che abbia per l'amore, per l'amicizia, parole non dette da alcuna, ma zampillanti dal suo vivo cuore come un getto d'acqua naturale che contiene in sè le proprietà del suolo da cui sgorga ; questa donna che si riconoscerà fra mille, la cui casa avrà un carattere particolare, si profilerà nella nostra memoria nettamente, anche se non è bella, nè ricca, nè mondana. Si è affrancata dalla grande massa oscura ed emerge per la forza delle sue linee in rilievo: è una stella che splende di luce propria fra gli altri pianeti che ricevono luce dallo splendore altrui.

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Quante volte guardandoci allo specchio abbiamo osservato che il nostro viso era meglio o peggio del solito ! Era una consolazione ciò che ci abbelliva, era una tristezza quello che ci imbruttiva. Non c'è volto per quanto disavvenente che la gioia non trasformi col suo raggio divino, che la speranza non ringiovanisca, che la calma non ricomponga in armonia. Una creatura vissuta sempre nella tristezza e che un giorno, finalmente, abbia la sua parte di sole, si rinnova anche nell' aspetto fisico. È un fenomeno che ci avviene non di rado d'osservare : ed è così che molte donne già al tramonto hanno una nuova primavera; che molte donne ancora nel mattino della vita furono precipitate nella notte dalla decadenza da qualche immenso dolore. Vi sono donne soggette ad una maggior variabilità d'apparenza : e questo accade sopratutto alle nature nervose, impressionabili, irritabili. Altre sono più belle vedute tra le pareti della casa che all'aria aperta. Altre più belle di sera che di giorno. Talvolta il colore di un paralume sapientemente scelto, la trasparenza d' una veletta, il riflesso delle tende, la foggia d' una pettinatura, il taglio d'una veste giungono a correggere i difetti di un viso o d'una figura. Molte signore per modificarsi giungono sino ad infliggersi dei veri tormenti di fascette rigide, di scarpe piccine, di pettinature complicate. Ma c'è un vecchio proverbio che dice: « Chi bella vuol comparire, qualche dolor l'ha da patire ». A Parigi e a Londra sono state istituite di recente delle case di cura « estetica ». Col massaggio, con l'elettricità, con incisioni sotto-cutanee si pretende di correggere la natura. E si assicura che gli effetti sono soddisfacenti e che le clienti vi accorrono.

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Anche al ventaglio abbiamo appreso un linguaggio : un linguaggio psicologico, amoroso, convenzionale come quello dei fiori, dei colori, dei francobolli... Una lingua di non molte parole, certo, ma così espressive che possono ben tener vece di un lungo discorso. Attente dunque. Il ventaglio tutto aperto e fermo contro il petto significa : « Perchè non vi decidete? il mio cuore è libero ». Il ventaglio agitato lentamente vuol dire : «Vi voglio bene ». Agitato con forzar «Vi amo con passione ». Chiuderlo rapidamente con un colpo solo indica : « Inutile seccarmi, il mio cuore è impegnato ». Chiuso lentamente, stecca per stecca, denota: « Chissà? Sperate.... » Chiuso, contro le labbra significa : « Non posso amarvi ». Passato da una mano all'altra : « Vi aspetto domani». Tutto aperto sulla bocca: « Siate prudente ». Chiuso e abbandonato sulle ginocchia o sul parapetto del palco dice: « Il mio cuore è morto, non vi amo più.... »

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Vi è una specie di triste sollievo a persuadere e a persuaderci che la nostra volontà non poteva salvarci, che abbiamo dovuto soggiacere ad una forza superiore ed irresistibile contro cui si spuntarono tutte le nostre armi di difesa. Quando Eva commise il primo fallo nell'Eden, tentò di difendersi accusando il serpente come cattivo consigliere. Ma essa poteva bene non ascoltarlo, non mettere in pratica il maligno suggerimento. Il discernimento del bene e del male ci è stato infuso dalla nascita, e nulla inceppa il nostro libero arbitrio di seguire la via retta o la tortuosa via. Le circostanze possono essere più o meno fatali, le seduzioni più o meno tentatrici, ma se dagli anni della adolescenza avremo esercitato la volontà ad obbedirci, avremo nutrito il nostro spirito d'alti pensieri e di nobili proponimenti, passeremo incolumi fra le prove che le vita può riserbàrci. Una donna elevatissima, Maria Pezzé Pascolato scrisse : « La forza di volontà, l' energia, sono i maggiori beni di questo mondo; l' arte di comandare a noi stessi è principio e fine d'ogni saviezza. La nostra vita è nelle nostre mani. » Se potessimo ben persuaderci di questa verità molti mali ci sarebbero risparmiati ; tutti quelli, almeno, che si riferiscono alla nostra vita morale, e all'occorrenza non incolperemmo altri delle disavventure, delle perdite, delle sconfitte che la nostra debolezza, la nostra irriflessione sole poterono procurarci.

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Tutti noi abbiamo da porgere esempi di qualche persona nervosa e malaticcia, che ricuperò forza e serenità con una vita di lavoro. Ma non è facile, purtroppo, nelle contingenze vagliare i vantaggi dai danni, e ben disse il Balbo quando osservò che solo gli animi grandi possono vedere il pro e il contro : solo i retti tener conto dell'uno e dell'altro in ogni cosa.

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Dice bene il vecchio poeta : Tutti abbiamo bisogno di tutti : e ogni uomo può nuocere ad un altro uomo. Pure può anche essergli giovevole e non solo con l' opera, ma col semplice esempio. L'esempio vivo, pratico, che quasi sempre è più efficace della parola, giacchè noi dimenticheremo il discorso più eloquente, l' esortazione più ingegnosa, ma non sapremo dimenticare un fatto, una condotta, una regola di vita che abbiamo avuto sott'occhi e che ci abbia impressionati come una lezione, come un modello da imitare. E in questo, quante volte gli umili possono essere di specchio ai favoriti dalla sorte ; i poveri ai ricchi ! Quale esempio di pazienza ci dà quella misera inferma, a cui l'indigenza non può dare nessuno di quei conforti che accettiamo senza calcolarli dalla nostra posizione agiata e che pure mitigano le sofferenze fisiche e morali. Non stazioni climatiche per la poverella, non sanatorî di lusso, non cibi delicati e cure tenere e assidue. In casa le privazioni, e fuori di casa un letto d'ospedale ; eppure essa è paziente e grata a chi la soccorre, e confida in Dio. E quest'altra, cui la morte e l' emigrazione fecero la dimora deserta e costrinsero a ramingare per le case degli altri, offrendo i propri servigi, spesso non equamente ricompensati e che si mantenne onesta, volonterosa, mansueta, e seppe rassegnarsi al suo triste destino. E quell'altra, che lavora eroicamente per provvedere ai suoi bimbi o ai suoi vecchi, da mattina a sera, in una fabbrica, in un laboratorio, senza mai chiedere o sperare nulla per sè, contenta quando ha il necessario, diligente e amante del lavoro, sprezzante la fatica, incapace dell' ozio, e che solo chiede al Signore la salute per continuare così. Sono belli e proficui esempi per chi è insofferente delle proprie sventure e si ritiene l' essere più infelice del mondo, mentre guardandosi intorno si vede che il dolore e l' infelicità formano una scala infinita, di cui non si scorge l' ultimo gradino. Spesso l' entità d' un danno dipende dal modo col quale vi facciamo fronte o tentiamo di ripararlo. Quindi più che la somma dei mali, avvezziamoci ad enumerare i rimedi e i conforti che possiamo opporre. Maria Pezzé Pascolato, scrive : « Uomo o donna, nessuno di noi può, il più delle volte, scongiurare gli avvenimenti della vita o alterarne le vicende ; ma il punto di vista dal quale consideriamo questi avvenimenti, queste vicende, il modo in cui li sopportiamo, sono scelti da noi della vita non possiamo mutare il corso, ma è in nostra facoltà l'accettarla serenamente o no ; è in nostra facoltà il modo di prenderla, che può illuminarne ogni gioia, mitigarne ogni dolore. »

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Noi non ne abbiamo colpa alcuna. La nostra responsabilità individuale cessa al limite delle nostre facoltà. Il poeta inglese Roberto Browning lasciò scritto : « All'ultimo non ci verrà domandato che cosa abbiamo fatto, ma che cosa ci siamo sforzati di fare. » Ed è proprio vero. Se ognuna di noi senza guardare lontano si contentasse di compiere scrupolosamente il proprio dovere, di fare tutto il bene che può nella sfera ove la natura e il suo destino l'hanno messa a vivere, basterebbe, e non dovrebbe rammaricarsi di non aver potuto compiere opere d' importanza maggiore. Vi sono delle donne non convinte di questa verità e che si sentono spinte dall' inquietudine a tentare alti voli, ad esercitare la loro attività dove non è necessaria, solamente perchè il campo d' azione è più vasto e visibile e la loro vanità più soddisfatta. Sono queste le mamme che lasciano in abbandono i figli propri per dedicarsi con ardore a qualche beneficenza : le mogli che trascurano la loro casa e lo sposo, per correre a sgonnellare ad ogni congresso e far pompa d'idee umanitarie : le signorine candidate alla gloria che per aver pubblicato un libro di versi si credono emancipate da ogni dovere figliale, da ogni occupazione domestica, e non sognano che la celebrità : Sono spostate morali più dannose che utili, mentre se rimanessero nella loro cerchia potrebbero realmente beneficare. — Dice ancora la nostra buona consigliera, Maria Pezzé Pascolato: « Non soltanto servono alla vita coloro i quali compiono un atto luminoso di eroismo o un' opera di palese utilità generale. Ma ben anco tutti gli umili — ignoti talvolta persino a sè stessi — che si piegano senza lamento e senza viltà al còmpito quotidiano ch' è loro toccato in sorte ; tutti i piccoli che in ogni giorno, in ogni ora della oscura esistenza fanno del loro meglio semplicemente e coraggiosamente. »

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Ma sopprimere il senso della vita per una oziosa contemplazione sarebbe una specie di suicidio morale per noi che abbiamo ideali e fede così diverse da quelle dei popoli dell'Oriente. L'oblìo di sè non sarà permesso ed encomiabile e proficuo se non ci porterà a vivere per qualche cosa o per qualcuno. Dimenticheremo di soffrire o d'aver sofferto per adoperarci tutte ad alleviare i mali del prossimo, a confortarne i dolori : ci faremo insensibili ai lamenti della nostra anima ferita dalla crudeltà del destino o dalle ingiustizie, per non impietosirci che ai casi dolorosi e alle ingiustizie altrui. Bandiamo le vane fantasticherie, i lunghi rimpianti che a nulla giovano se non a sfibrarci, per sostituirli con l' azione, energica, pronta, assidua, a benefizio di chi ne abbisogna. Ed ogni volta che un pensiero, un ricordo, un rammarico, un senso ribelle, sorgerà dall'intimo nostro lo combatteremo, lo debelleremo come un pericoloso nemico, come un ostacolo alla libera esplicazione delle nostre facoltà migliori — lo recideremo come un vincolo che ci trattenga dal volo. Darsi, darsi con l'anima tutta, ad una missione di bene, grande o piccina, morale o materiale ; fatta di luce di pensiero o d' azioni benefiche, ecco il divino rimedio, ecco il farmaco onnipossente contro le più acerbe sciagure, contro i danni più irreparabili. Sentite con che armoniosi versi un poeta del passato, G. B. Guarini, esalta questo altruismo generoso :

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La nostra personalità è completa, giacchè abbiamo rinvenuto l' altra metà di noi stessi senza di cui l'anima nostra languiva di nostalgia e di tristezza. Ci sentiamo più forti, ci sentiamo più buone. L'avere a fianco un altro essere — un essere caro a cui siamo care — al quale possiamo confidar tutto in tutte le ore della giornata ; che tutto comprende, che divide ogni nostra sensazione, ogni nostro sentimento, ogni nostro atto: che ci rimanda riflesso come in uno specchio ogni vibrazione dell' anima, ogni azione della vita: quel non sentire più, mai più, il gelo della solitudine ; quel continuo ricambio d' esistenze, quella continua divisione di tutto, quel continuo avvertire il vincolo che ci lega, dà al cuore femminile assetato di dedizione, avido d' essere sorretto, coltivato, riscaldato, un' energia, una sicurezza vittoriosa. Lo sposo è ancora amante, ha ancora nella vita coniugale, iniziata appena, quei riguardi, quelle delicatezze che le donne apprezzano tanto e che ben pochi mariti serbano, passata la luna di miele : le sue occupazioni, gli amici, non lo hanno ancora ripreso : egli è tutto alla sua compagna, le dedica tuttavia ogni ora, ogni pensiero, ed essa nell'intima esultanza pensa che sarà sempre così, sempre ! Il n'y a qu' un seul petit mot qui donne de la valeur à l'éxistence — scrisse Carmen Sylva - c'est le mot pour. L'homme dit : Pour quoi ? la femme dit : Pour qui ? — Ebbene, in questo periodo di vita, la risposta è. naturale, semplice, trionfante : Per lui, per lui ! E gli prepara gentili sorprese, e gli sacrifica con gioia la sua volontà, i suoi gusti : gli chiede consiglio su ogni cosa, si uniforma in tutto e per tutto alle sue consuetudini, per armonizzare sempre maggiormente con lui, per fondersi a lui, per fare delle loro due vite una vita sola, piena, luminosa, magnifica, ardente. Ma quanti sposi fanno maturare questi magni propositi ? Quanti ricordano almeno l'inizio fiorito del sentiero che percorsero nel primo tratto così indissolubilmente congiunti? Dice bene Alfonso Karr : « Il difficile, nel matrimonio, è quando non si è che amanti di non dimenticare che si potrà diventare amici, e, più tardi, quando si è amici, di ricordarsi che si è stati amanti. »

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ROSE AVVIZZITE Ma non tutti i matrimoni hanno così un periodo di luminosa, di trionfale ascesa, giacchè l' abbiamo veduto, non tutti i matrimoni si compiono per inclinazione. Molte volte la sposa non è che una rassegnata o una sacrificata. Però siccome il matrimonio è un gioco d'azzardo, accade talvolta che la carta creduta cattiva, dà i risultati migliori e porta fortuna. La navicella che salpa meno carica è quella che più facilmente entra in porto. E allora non vi sono tramonti, non vi sono delusioni. Non piange sulla morte delle rose, colei che non le vide fiorire. Vi sono pertanto dei casi crudeli, dei casi in cui le rose ebbero proprio la vita d' una rosa e durarono l'éspace d'un matin. Poveri sogni di fanciulla bruscamente dissipati! Povere illusioni d' amore barbaramente lacerate, disperse ai venti ! All' indomani delle nozze la giovine sposa piange lagrime amare di vergogna e d' ira : piange il suo destino irrimediabilmente fissato che già le pare insopportabile. E nella sua mente esaltata sorgono pensieri di suicidio, di vendetta, e il divorzio già le sembra una liberazione. Che cosa fu? Talvolta una imprudenza di qualche amica o del marito stesso o il caso che le rivelarono ciò di cui non avrebbe mai sospettato: talvolta l' intimità coniugale che le riserbava terribili e odiose scoperte : e la trivialità dell'uomo fra le pareti domestiche mentre fuori sembrava un damerino, e inganni sulla posizione sociale di lui, sulla verità del suo amore, sulla qualità della sua indole, sul genere della loro vita comune... Momenti davvero terribili nella vita d'una donna, momenti gravi di prova che però s'ella ha nobiltà di carattere e di sentimenti, deve saper superare con eroismo. Eviti più che può gli sfoghi di disperazione che abbattono e scemano le forze, eviti le recriminazioni prolisse che non servono a nulla. Accetti con dignità il suo destino, e speri, sopratutto speri dal tempo, che se molte cose logora molte ne accomoda. Pensi che la felicità vera non è di questo mondo, e che la poesia delle anime gemelle non è che leggenda! Scrive un critico tedesco, l'Ehrhardt, in uno studio sul teatro d' Ibsen, maestro nel ritrarre le tragedie spirituali: « Chi può sperar di trovare il proprio simile sulla terra? Non è la nostra vanità che ci porta a credere che poche persone sono capaci di comprenderci, che pochissime ci equivalgono? Oppure noi siamo preda d' un'illusione contraria. L' amore è cieco; trasfigura agli occhi nostri la persona verso la quale ci trascina, e noi vediamo in lei tutte le perfezioni. L'amore passa, le illusioni dorate svaniscono. Allora essendoci liberamente dati, abbiamo il diritto di riprenderci ? Noi abbiamo fatto un giuramento, ne siamo noi sciolti se l'amore ci ha ingannati ? » Tanto più che nella maggior parte dei casi queste grandi disillusioni improvvise che piombano a tradimento e avvizziscono tutti i fiori della speranza e della gioia sono state preparate da noi medesime per imprevidenza, per voluta cecità, per ostinazione, per debolezza. È difficile che difetti gravi, incompatibili, ruinosi per la serenità della vita coniugale, non si rivelino anche attraverso all'amore più vivo e profondo. Ah ! quante volte abbiamo chiuso gli occhi per non vedere ! Quante volte non abbiamo dato ascolto a un severo consiglio di chi aveva diritto a consigliarci ! Quante volte abbiamo fatto troppo a fidanza sul potere delle nostre qualità, avvalorandole vanitosamente ! Il castigo è crudele, è, forse, superiore alla colpa, ma è sempre castigo, cioè conseguenza, cioè giustizia...

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