Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Donna Paola

244852
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Il maggiore salì sul terrazzino interno che dava sul cortile, fece suonare la tromba, due volte: - Soldati - disse con voce tonante - abbiamo innanzi a noi Garibaldi, alle spalle arriva Vittorio Emanuele. Facciamo il nostro dovere. Viva Francesco II! - Viva! - disse qualche voce. E lentamente si misero in tenuta di partire. Andavano fiacchi, lenti, molli, attaccandosi la giberna, visitando i fucili; e il maggior loro dolore, per quei mercenari brutali, era di non poter banchettare, di non poter mangiare i gnocchi che le povere serve facevano in cucina. Gli ufficiali andavano, venivano, gridavano; ma inutilmente. - Consolatevi, signora - disse il maggiore a donna Cariclea, entrando nel salone ora vengono i Garibaldini. Ella non osò consolarsi. Stringeva la piccolina sul petto e non parlava. II parroco non levava la testa. - Addio, signori, non ci vedremo più - disse il maggiore. - Noi andiamo alla morte. E non tremava la sua voce. Uscì, si pose alla testa dei soldati, marziale, bellissimo a cavallo, camminando serenamente alla battaglia; dietro di lui i soldati svizzeri andavano, come pecore, stretti stretti, taciturni, torvi. Nessuno osò levare la voce, nel palazzo deserto, devastato; per un'ora tutti tacquero, innanzi all'altare, subendo ancora I'incubo di quell'assedio. - Ora vengono i Garibaldini - disse, a un tratto la bambina. E vennero. Portavano la camicia rossa, ma erano coperti di polvere, con le scarpe rotte, stanchi, sfiniti; volevano bere, volevano mangiare, non ne potevano più. - Che daremo loro? - diceva don Ottaviano, disperandosi. I Garibaldini non credevano che non ci fosse nulla. Erano una quarantina, estenuati; avevano trovato la devastazione dappertutto. Dappertutto i Borbonici avevano mangiato tutto, bevuto tutto, non vi era più nulla; come potevano dunque battersi? Un ufficiale, buonissimo, parlamentava con donna Cariclea e col parroco; era inutile, non vi era nulla, nulla. Ma un clamore venne dal cortile; i Garibaldini avevano scoperto la cucina e il caldaione dei gnocchi. - Ah, Borbonici, canaglia! Avevate da mangiare e ce lo negavate! Borbonici della malora, che vi porti via il diavolo! Ma fra quelle voci irritate, furiose, una vocina sorse: - Viva Garibaldi! La piccolina, in mezzo ai Garibaldini, agitava il suo cappelluccio col pomo di seta tricolore. Mentre la baciavano, levandola su in trionfo, ella strillava sempre. La madre piangeva.

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Nel sogno

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Matilde Serao 2 occorrenze

Com'è che abbiamo dimenticato la scienza della vita? Come va che l'arte del vivere non ci è più nota? Chi ci ha tolto questa scienza e quest'arte? Chi diminuì e sperperò le nostre forze? Chi ha spezzato in noi la molla della nostra energia? Quale mano ha strappato a noi il velo che ci nascondeva la verità e ci ha resi timidi, trepidanti, quasi vili? Chi, chi ha ingrandito, innanzi a noi, la possanza della vita e ha ammiserito la nostra possanza? È la fredda ragione che tanto fece. È la voce della ragione quella che vi parla, troppo spesso e forse unicamente all'orecchio e che vi dice, gelidamente, quanto voi siate impari all'avversario, nella lunga milizia che è l'esistenza. La fredda ragione v' invita a guardare in voi stessi, a misurarvi, a pesarvi, a calcolarvi; e voi sentite tutta la penuria del vostro vigore, le inevitabili eredità di debolezza che sono nella specie, le miserie del sangue e delle fibre, le limitazioni implacabili che mette la natura e che mette Iddio, le cadute fatali della volontà innanzi agli istinti che non si domano, le strettoie dove l'uomo si agita e che la ragione, la fredda ragione, vi descrive, come la catena del galeotto che si porta sino alla morte. Parla al vostro orecchio la fredda ragione e vi mostra lo spettacolo della vita senza velo, senza aureola, nella sua nuda verità; e voi vedete che siano le vane promesse della gioventù, i fallaci giuramenti della passione, le lusinghe ingannatrici dei trionfi umani, le brevi ed egoistiche gioje dell'età virile, i tornanti amari ricordi della maturità e le tristissime decadenze della vecchiaja. Ah essa parla, parla tanto, parla troppo, la ragione, e vi mostra, sì, la via della virtù, ma ve ne dichiara anche tutte le spine pungenti, tutte le asprezze dolorose, tutte le privazioni inenarrabili e, questa via lunga, ve la fa vedere senza poesia, senz'attrazione, senza fascino, attossicante alla bocca e al cuore come l'assenzio, senza altre consolazioni, senza estremi compensi. Sì, è vero, la ragione vi assegna, rigorosamente, quello che è il vostro dovere: ma questo dovere ve lo infligge in tutta la sua austerità, in tutta la sua crudeltà, in tutta la sua amarezza; ma quello che v' impone di fare, la ragione, cioè il vostro dovere, essa ve lo mostra così brutto, così disadorno, così disgustoso, che l'uomo si copre il volto con le mani, per non vedere: e la mortale fiacchezza lo colpisce e lo atterra. Tutto il congegno sociale, così bizzarro, così stravagante, così imperfetto, ma che non si potrebbe mutare, forse, che in peggio, la ragione ve lo smonta, innanzi, nelle sue ruote, e voi ne osservate tutti i traviamenti fatali, tutte le ingiustizie necessarie, tutte le infamie inevitabili e voi provate l'orrore mortale dell'uomo dinnanzi ad una macchina mostruosa che lo deve schiacciare. Questo fa, la ragione. È il suo còmpito. Essa deve dirvi la verità; e non importa che questa verità sia il vostro dolore e la vostra morte.

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Oh, tu sei morto, Antonio Cecchi, dilettissimo amico, sulla terra di Africa dove vedesti cadere tanti altri, sognanti come te una gloria di civiltà e di redenzione: noi ti abbiamo perduto e non ci resta che abbracciare le tue ceneri fredde, quando arriveranno alla nostra marina, d'onde, anima tenera e gagliarda, tante volte ti salutammo partente. Tu sei morto, amico impareggiabile, impareggiabile cittadino, come Giuseppe Chiarini, come il nostro Licata, come Gustavo Bianchi, come Eugenio Ruspoli, come Vittorio Bòttego, morti, morti tutti, sognatori tutti, ma sognatori grandi, ma sognatori ammirabili, ma sognatori sublimi, morti sulla terra che vi ha sedotti, morti sul campo delle vostre visioni, morti in pieno sogno di eroismo. E voi siete perite, o dame del Bazar di Carità! Belle, ricche, nobili signore: gentili, leggiadre, briose signorine: monache delle case ospitaliere, il fuoco ha distrutto le vostre vite care alla fortuna, care alle vostre famiglie, care alla religione; siete morte mentre compivate un sogno di carità largo, vastissimo, tale da diffondere il bene nel cerchio più ampio e più oscuro delle tristezze umane. Più di cento donne sono morte a Parigi, facendo il bene, morte alcune senza voler fuggire, eroiche sino all'ultimo minuto della loro vita, trascinate dall'eroismo più sublime, dalla sognante passione della carità. Una di esse, mentre già le fiamme la investivano, ha abbracciato una monaca e le ha detto: Sorella mia, ora andiamo insieme in Paradiso. È vero. Deve esser vero. Dio ha fatto il Paradiso per chi muore, sognando così.

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