Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246550
Luigi Capuana 4 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
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Abbiamo percorso mezzo bosco, ci siamo smarriti, e ora non troviamo l'uscita. TARTAGLIA. To...torniamo addi...dietro ! ARLECCHINO. Se non portiamo notizie del Reuccio, il re ci farà tagliare le teste. TARTAGLIA. To...torniamo addi...dietro ! ARLECCHINO Che vedo? Non è il Reuccio colui che dorme per terra ? TARTAGLIA. È lu...lui ! ARLECCHINO. (chiamando:) Reuccio! Reuccio! TARTAGLIA. Accostiamoci... Ahi! (Porta la mano alla fronte quasi avesse urtato in un ostacolo invisibile). ARLECCHINO. Che è stato ? TARTAGLIA. Ahi ! Ahi ! Ho sba...sbattuto la te...sta ! ARLECCHINO. Dove ? Non c' è rami qui. Accostiamoci con cautela per non fargli paura (Fa qualche passo, e grida, come Tartaglia, portando la mano alla fronte:) Ahi ! Ahi ! TARTAGLIA. Che è stato ? ARLECCHINO. Ho sbattuto la testa anch'io. Qui c'è un ostacolo invisibile, qualche incanto del Mago. (Chiama:) Reuccio! Reuccio ! IL REUCCIO (destandosi:) Chi mi chiama ? ARLECCHINO. Siamo noi; ci manda il re. IL REUCCIO. (alzandosi, con gioia:) Ah, eccellenza Tartaglia! Ah, eccellenza Arlecchino! ARLECCHINO. Venite, fuggiamo mentre il mago non c'è.. IL REUCCIO. Non posso fuggire; sono circondato da un muro incantato. ARLECCHINO. Pur troppo ! Lo sanno le nostre fronti; ci siamo fatti un bernoccolo per uno. IL REUCCIO. Il mago tornerà fra poco. Intanto datemi notizia del re e della regina. ARLECCHINO. Piangono giorno e notte ; il regno tutto piange. Noi siamo stati mandati per trattare col Mago il vostro riscatto. Il re darebbe qualunque cosa, anche il sangue delle sue vene, pur di vedere liberato il suo caro figliuolo. IL REUCCIO. Ecco il mago ! Sento il rumore del suo alito. (Si sente un rumore strano, quasi di vento che scola le fronde degli alberi). ARLECCHINO (atterrito:) Mamma mia! TARTAGLIA (più atterrito di lui:) Ma...mamma mia! SCENA III. Il Mago e detti. Il Mago parla con vocione cupo cupo. IL MAGO. (fermandosi a guardarli:) Chi siete? Che fate qui ? ARLECCHINO (facendo un profondissimo inchino:) Eccellentissimo signor Mago ! TARTAGLIA. (inchinandosi:) Ecce...ecc...! IL MAGO, Sciagurati! Vi pentirete presto del vostro ardire. Chi siete? ARLECCHINO. Eccellentissimo signor Mago, siamo mandati dal re. Dice il re: Chiedete; tutto vi sarà concesso, pur che rilasciate libero il reuccio. Volete oro ? Volete gemme? Volete metà del suo regno ? IL MAGO. Non so che farmi di tutto questo. Voglio una focaccia, stacciata, impastata e infor- nata di mano della regina; non voglio altro. Appena l'avrò avuta, il reuccio sarà libero. Andate, e recatemi la risposta. Dite al re che se non l'avrò fra tre giorni, suo figlio rimarrà mio schiavo per sempre. ARLECCHINO. Prima di tre giorni saremo qui. IL MAGO. Per prova della mia potenza, portategli questo segno (Tocca con la sua verga prima Tartaglia poi Arlecchino). TARTAGLIA (parlando spedito:) Che segno? ARLECCHINO. (tartagliando:) Che se...segno?... Oh, Di...Dio, fu...fuggiamo.... se no di...divento mu...muto a dirittura!... TARTAGLIA. Ed io parlo sciolto! Grazie signor mago! (Escono). SCENA. IV. Il Mago e il Reuccio. IL MAGO. Hai spaccato la legna ? IL REUCCIO. L'ho spaccata. IL MAGO. Hai attinto l'acqua alla fontana ? IL REUCCIO. L'ho attinta. IL MAGO. Hai preparato il desinare? IL REUCCIO. L'ho preparato. IL. MAGO. Hai spazzato la casa? IL REUCCIO. Mi è mancato il tempo ; siete tornato troppo presto. IL MAGO. Ah! Sono tornato troppo presto ? Fannullone! T'insegnerò io a fare il tuo dovere. (Lo bastona). IL REUCCIO. Ah, povero a me ! (Corre ed entra in casa inseguito dal Mago che continua a bastonarlo). SCENA V. Sala del palazzo reale. Il Re, la Regina e tutta la Corte. IL RE Non tornano ancora! LA REGINA. (con stizza:) Dovevate andare voi stesso in persona! IL RE. E se il mago prendeva anche me ? LA REGINA. (sprezzante:) Che ne farebbe di voi ? Non siete buono a niente. Intanto il nostro caro figliuolo rimane schiavo... Non avete viscere di padre. IL RE (ironico:) Non siete andata neppure voi ! LA REGINA (rabbiosamente:) Io sono donna... Vorreste insomma sbarazzarvi di me? IL RE. Ecco: il torto è sempre mio ! (Si rassegna:) Nè tornano ancora! SCENA VI. Entrano precipitosamente Arlecchino e Tartaglia. ARLECCHINO. E...eccoci, Ma...maestà ! TARTAGLIA. Eccoci. IL RE. Respiro. Parlate, eccellenza Arlecchino. ARLECCHINO. Non po...posso. Ma...maestà! IL RE (severo:) Non è momento da scherzi. E poi, io non permetto che in mia presenza si canzoni un altro ministro. ARLECCHINO. Non sche...scherzo, Ma...maestà. IL RE (severo:) Finetela eccellenza Arlecchino. TARTAGLIA (parlando precipitosamente:) Maestà, permettete che parli io. La mia lingua, che il mago ha sciolta da ogni impiccio, vi sia testimone della nostra ambasciata compiuta. LA REGINA. Oh, portento ! IL RE. Stupisco! TARTAGLIA. (come sopra:) Dice il mago: Non voglio nè gemme, nè oro, nè metà di regno. Voglio una focaccia stacciata, impastata e infornata di mano della regina. LA REGINA (sdegnosamente:) Per chi mi ha presa costui ? Non sono una serva o una fornaia. IL RE. Rifiutate? LA REGINA. Rifiuto. IL RE. (accalorandosi:) Anche a costo di lasciar schiavo il reuccio? LA REGINA (accalorandosi:) Anche a costo di lasciar schiavo il reuccio ! IL RE (scoppiando:) E siete madre? LA REGINA. Sono Regina! E certi vili mestieri non li faccio. TARTAGLIA (supplicando:) Lasciatevi commuovere, Maestà! ARLECCHINO. (tartagliando:) lo ci ho... ci... ci... ho un rimedio. Ma ho ver...gogna di par...parlare così. Datemi ca...ca...ca... TARTAGLIA. (venendogli in aiuto:) Carta? ARLECCHINO. (accenna di sì:) E pe... pe... pe... pe... TARTAGLIA (Come sopra :) Penna? ARLECCHINO (accenna di sì:) E ca...ca... ca... ca... TARTAGLIA. E calamaio! Ho capito. IL RE. Si porti carta, penna e calamaio. (Una guardia eseguisce. Ad Arlecchino:) Scrivete. (Arlecchino scrive e porge lo scritto al Re che lo legge). IL Re (dopo aver letto:) Che idea luminosa! Arlecchino, vi faccio barone ! LA REGINA (sprezzante:) Che consiglia? Qualche bestialità. IL RE. Vedrete. Olà, guardie! Chiamate subito Tizzoncino. UNA GUARDIA. È qui; ha riportato il pane infornato. IL RE. Fatela entrare. SCENA VII. Tizzoncino col cesto vuoto, e detti. IL RE. Vieni, Tizzoncino. Abbiamo bisogno dell'opra tua. TIZZONCINO. Ai vostri comandi, Maestà. IL RE. Devi stacciare, impastare e infornare una focaccia con le tue proprie mani. TiZZONCINO. Sarete servito, Maestà. IL RE. Per domani. TIZZONCINO. Per domani. LA REGINA. Sempre allegra, Tizzoncino? TIZZONCINO. Sempre allegra, Maestà. LA REGINA. Ma perchè non ti lavi la faccia? TIZZONCINO. Ve l'ho già detto, Maestà: l'acqua mi sciuperebbe la pelle. IL RE. Perchè non ti pettini? TIZZONCINO. Ho i capelli fini, Maestà; il pettine me li strapperebbe. TARTAGLIA. Perchè non ti compri un paio di scarpe ? TIZZONCINO (ridendo). Co...come? Non tarta... ta...glia...te più? TARTAGLIA. No. TIZZONCINO. Allora tartaglierò io; perchè mi fa...fa... mi farebbero i ca...calli. ARLECCHINO. E pe...perchè la tu...tua ma... mamma... TIZZONCINO (ridendo forte:) O bella! Ora tartaglia questo qui! ARLECCHINO. (continuando:) Ti chia...chiama... TIZZONCINO. Spera di sole? Perchè sarò regina, se Dio Vuole! IL RE. Brava, Tizzoncino! LA REGINA. Quanto sei sciocca, Tizzoncino, se ti lusinghi così ! TIZZONCINO. Maestà si vedrà all'ultimo chi è la sciocca. Ora lasciatemi andare; ho da riportare altro pane dal forno. (Esce). LA REGINA (sprezzante, al re:) Che avete conchiuso? Credete di darla a bere al mago ? IL RE (infuriato:) Non mi fate scappare la pazienza, regina! LA REGINA. Bastonatemi; non vi resta altro da fare ! IL RE (frenandosi:) Andiamo, altrimenti mi scordo che sono re! Prepariamoci tutti pel viaggio di domani alla casa del mago. (Escono). SCENA VIII. Bosco: la casa del Mago in fondo. Il Reuccio porta un tronco d'albero su le spalle; il Mago, con la verga lo siegue. IL REUCCIO. Non posso più portare questo tronco; lasciatemi riprender fiato. IL MAGO (minacciando:) Avanti ! IL REUCCIO. Ho sete; lasciatemi bere un sorso d'acqua. IL MAGO (come sopra:) Avanti ! Berrai dopo. IL REUCCIO. Se mi vedesse in questo stato il re mio padre! IL MAGO. Il re tuo padre si è scordato di te. Oggi è il terzo giorno, e non ha ancora mandato la focaccia, stacciata, impastata e infornata di mano della regina. Se passa questa giornata, sarai mio schiavo per sempre. IL REUCCIO. Ah, padre e madre crudeli, vi siete scordati di me! (Entra in casa). IL MAGO. Io so che sono per via, Re, Regina, Tizzoncino e tutta la Corte. Essi credono d'in- gannarmi; hanno fatto stacciare, impastare e infornare la focaccia da Tizzoncino, e vogliono darmi a intendere che sia opra della regina. Ma gl'ingannati e i canzonati saranno loro. Con un mago come me, non si fa la burletta ! IL REUCCIO. (tornando fuori:) Ho portato il tronco nella legnaia. IL MAGO. Va ad attinger l'acqua alla fontana. IL REUCCIO. Ah, padre e madre crudeli, vi siete scordati di me!... (Guarda in fondo al bosco, e con giubilo esclama:) No, non è vero! Eccoli! Eccoli ! IL MAGO. Non dire una parola e sta lì, fermo, o ti faccio rimanere di sasso. (Il Reuccio resta immobile). SCENA IX. Il Re, la Regina, Tizzoncino, Tartaglia. Arlecchino, la Corte, Guardie e soldati e detti. IL RE. Potentissimo Mago, siamo venuti a presentarti la focaccia da te richiesta. IL MAGO. Chi ha stacciato la farina ? LA REGINA. L'ho stacciata io. IL MAGO. Chi l'ha impastata? LA REGINA. L'ho impastata io. IL MAGO. Chi ha infornato la focaccia? LA REGINA. L'ho infornata io. IL MAGO. Lasciatemela vedere. TIZZONCINO. (presentando la focaccia :) Eccola qui. IL MAGO. E tu chi sei? TIZZONCINO. Sono Tizzoncino. IL MAGO (facendo la voce grossa a Tizzzoncino:) Chi ha stacciato la farina? TIZZONCINO. La regina vi ha risposto : L' ho stacciata io. IL MAGO. (come sopra:) Chi l'ha impastata ? TIZZONCINO. La regina vi ha risposto: l'ho impastata io. IL MAGO. (come sopra:) Chi ha infornata la focaccia ? TIZZONCINO. La regina vi ha risposto : L' ho infornata io. IL MAGO. (accarezzandola:) Sei maliziosa; hai risposto bene ed hai detto la verità. IL RE (da sé:) Oh, Dio! Siamo scoperti. ARLECCHINo(a parte:) Sia... siamo fri...fritti! 'TARTAGLIA (a parte:) Siamo perduti! LA REGINA (a parte:) Ci siamo gettati da noi stessi in gola al lupo! IL MAGO (con voce cupa:) Tizzoncino, entra in quella casa, chiudi l'uscio e non venir fuori finchè non sarai chiamata. (Tizzoncino eseguisce). E voi altri, che volevate ingannarmi, ora capirete che vuol dire farsi beffe d'un mago. TUTTI. Ahimè! IL RE. Illustre Mago, potentissimo Mago, la colpa non è mia. (Additando Arlecchino:) È stato lui che mi ha consigliato. ARLECCHINO (tremante:) Lo sa...sa...sapevo che do...do...doveva fi...finire così! (piange:) Ah ! Ah ! Ah ! IL MAGO. Non piangere, animale! ARLECCHINO. Animalissimo, signor Ma...mago! Ma pe...perdono! Perdono. IL MAGO. E voi, regina superbiosa, madre snaturata... LA REGINA. Perdono, potentissimo Mago. Non sapevo ne stacciare, nè impastare, nè infornare! IL MAGO. Voglio essere generoso. C'è un solo rimedio per scampare dalla mia giusta vendetta. IL RE. Ditelo, ditelo potentissimo Mago. IL MAGO. Che ho chiesto ? Una focaccia stacdata, impastata e infornata di mano della regina; ebbene, fate che questa focaccia diventi tale, e il Reuccio sarà libero e sarete liberi tutti. IL RE. Subito? IL MAGO. Ora stesso, senza muoverci di qui. Il come dovete trovarlo voi. Rifletteteci bene. IL RE. Riflettiamo. TUTTI Riflettiamo! (Si mettono con una mano alla fronte in atto di riflettere). IL RE. (dopo un pezZetto, alla regina:) Avete trovato? LA REGINA. No. (A Tartaglia:) E voi ? TARTAGLIA. No. (Ad Arlecchino:) E voi? ARLECCHINO (saltando dalla gioia :) L'ho...tro... tro...vata! (Il Re, la Regina, Tartaglia, tutti gli altri si mettono a saltare dalla gioia, gridando:) L'ha trovata! IL MAGO. Sentiamo. Per far più presto, ti sciolgo la lingua. ARLECCHINO. Benissimo ! Grazie. Ecco : perchè questa focaccia diventi lì per lì stacciata, impastata e infornata di mano della regina, vi è un solo mezzo. IL RE, REGINA, TARTAGLIA (ansiosi:) Quale? ARLECCHINO. (al re:) Debbo o non debbo dirlo? IL RE. Ditelo pure. ARLECCHINO. Far diventare reginotta Tizzoncino, dandola in moglie al reuccio. TUTTI (meno il mago:) Oh ! Oh! Oh ! IL RE. Parola di re: sin da questo momento il Reuccio e Tizzoncino siano marito e moglie. IL MAGO. Datemi la focaccia. Il reuccio è libero. Io mi ritiro. Abbracciatevi. (Entra in casa). IL RE. (abbracciando il Reuccio:) Ah, figliuolo mio caro ! LA REGINA. Povero figlio mio, sposato a una fornaia! IL REUCCIO. Ma io non ho dato il consenso. Sposare quella bruttona? Quella cenciosa? Quella fuligginosa ? IL RE. Parola di re non va indietro; siete marito e moglie. IL REUCCIO. Prima morire, che sposare costei. TIZZONCINO. (di dentro, canzonandolo:) La vedremo, reuccio ! IL REUCCIO. Vieni fuori, bruttona, e ti risponderò meglio! TIZZONCINO (come sopra :) Non vi scaldate! IL REUCCIO. Vieni fuori, cenciosa, fuliginosa, piedi scalzi ! (Il Reuccio si avventa contro l'uscio per aprire). IL RE (alle guardie:) Fermatelo ! TIZZONCINO. (di dentro:) Guardami dal buco della serratura. IL REUCCIO (guarda dal buco della serratura, ed esclama :) Oh, Dio, che mai vedo ! (Resta estatico a guardare.) IL RE. Che vede? TUTTI. Che vede ? È rimasto incantato ! IL REUCCIO (guardando ancora:) Oh, che bellezza ! Oh, che cosa celeste! ARLECCHINO. È impazzito. TARTAGLIA. Pa...pare. IL REUCCIO (picchiando all'uscio :) Aprite e perdonatemi, reginotta mia ! TIZZONCINO (di dentro, facendogli il verso:) Fornaia ! Cenciosa ! IL REUCCIO (come sopra :) Aprite regina del cuor mio ! TIZZONCINO (di dentro, ridendo e facendogli il verso:) Ah ! Ah ! Bruttona ! Fuliginosa ! IL REUCCIO (picchiando più forte:) Apri, apri, Tizzoncino dell'anima mia ! (L'uscio si spalanca e comparisce Tizzoncino bella come il sole, vestita di abiti reali). TUTTI. (con gran meraviglia:) Ah ! IL RE (prendendo per le mani Tizzoncino e il Reuccio :) Figli miei, siate felici ! LA REGINA. Ora non sei più Tizzoncino ! TARTAGLIA. Spe...spera di so...le... ARLECCHINO. Lo direte domani, per ora lo dico io:. Spera di sole, spera di sole, Sarai regina, se Dio vuole E si è avverato ! Viva gli sposi ! TUTTI. Viva gli sposi ! (Cala il sipario).

.• — Non lo abbiamo nè comprato, nè sottratto, — balbettò Neo. — O dunque? Vi è piovuto dal cielo? — soggiunse la signora Elvira, che cominciava a sospettare qualche sconveniente monelleria del figliuolo. Bice, facile al pianto, aveva i lucciconi agli occhi; Neo restava lì muto, imbarazzato. Intervenne Maddalena che sapeva la cosa. Per un anno intero, Neo aveva bevuto senza zucchero affatto, e Bice con poco zucchero, il caffè e latte della colazione; e il croccante rappresentava trecento sessantacinque giorni di questo non piccolo sacrificio di gola per quella piacevole sorpresa alla mamma. La signora Elvira era commossa e gl' invitati pure. Bice e Neo si erano nascosti con le mani la faccia, quasi avessero fatto qualcosa di male. In quel momento la mamma perdonò facilmente al figlio tutte le cattiverie dell'annata. Peccato che poi egli ricominciasse peggio di prima!

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— Ma se abbiamo già desinato due ore fa! — Abbiamo già desinato?... È vero, hai ragione. Stava un momentino esitante, e zitto zitto sparecchiava. Poi, da lì a un mese, non si lasciò convincere più. Era inutile ripetergli: — Abbiamo già desinato! — egli scoteva il capo, con aria maliziosa, e continuava ad apparecchiare. Quando aveva finito, si sedeva a tavola, aspettando, battendo sull'orlo del piatto con la forchetta e col coltello, impazientendosi del ritardo: — Volete farmi morire di fame, povero vecchio? Ingrate, ingrate! Vi ho dato tutta la mia roba; mi sono spogliato per voi... ed ecco la ricompensa ! Dannate ! L' inferno vi aspetta. Urlava , piangeva. Lisa e Giovanna un po' ridevano , un po' rimanevano stupite, afflitte di vederlo piangere; poi, a furie di carezze e di buone maniere, riuscivano a farlo levare da tavola, a deviarlo da quella fissazione; suggerendogli: — È mezzanotte; andate a letto. Il sole vicino al tramonto inondava la camera dove lo conducevano, ma egli non se n'avvedeva; e mentre Lisa chiudeva gli scuretti della finestra, egli dava mano a spogliarsi, e intanto domandava: — E il santo rosario? — L'abbiamo recitato or ora. — Si, si, è vero; non bisogna scordarsene mai, altrimenti la Madonna non ci aiuta. Andate a letto anche voi. È mezzanotte. Ma questo stratagemma giovò per poco. Una notte Lisa e Giovanna furono svegliate da forti picchi all'uscio. — Dormiglione, su, levatevi! È mezzogiorno. E d'allora in poi, a ogni mezzanotte era mezzogiorno per lui. Lisa si alzava, apriva la finestra : — Non vedete che è buio? — È annuvolato. C'è l'ecclissi... Si rammentava dell'ecclissi di anni addietro, e affermava che il sole sarebbe ricomparso subito. Insomma ci voleva una pazienza da santi; e Lisa e Giovanna erano proprio due sante, che gli volevano bene, e lo adoravano, e lo compativano, povero vecchio. Lisa qualche volta leticava col marito che non aveva carità, com' ella gli rimproverava: — Forse sa quel che fa, poverino ? Ora, di tanto in tanto, egli perdeva anche la conoscenza delle persone. — Chi siete? Che fate qui? Chi cercate? — Sono Lisa; non mi conoscete ? — Lo so, lo so; ma costei, chi è costei? — Giovanna. A quei nomi rimaneva turbato. I ricordi delle figliuole morte e la figura delle due donne che si vedeva davanti lo imbrogliavano, lo rendevano dubbioso ; e voltava le spalle, crollando la testa, ricominciando da capo dopo un momento : — Chi siete? Che fate qui? Il padrone sono io. La roba è mia. E si metteva a discorrere, divagando : — Avevo due figliuole.... Quella strega le mandava a chiedere l'elemosina.... E sono morte, povere creature, morte di tifo!.. Ve ne ricordate? Io ho fatto testamento; ho lasciato ogni cosa a loro... Erano orfanelle, abbandonate da tutti..... Il Signore se l'è prese.... Sia fatta la volontà di Dio! Come vi chiamate? Lisa? Giovanna? Si chiamavano così anche le mie creature. Se volete stare con me e servirmi ora che sono vecchio, faccio testamento e lascio ogni cosa a voi... Il padrone sono io. Ma qui non ci voglio più stare; voglio andarmene a casa mia. Prendete le chiavi; andiamo, andiamo ! E bisognava secondarlo, perchè non s'arrabbiasse e non urlasse. Lisa fingeva di mettersi lo scialle — e spesso bastava buttarsi addosso una salvietta, un asciugamani — e gli dava braccio per le scale. Scendevano giù, in istalla o in cantina, e risalivano : — Eccoci in casa nostra! — Ah, come si sta bene qui ! Colà non mi ci potevo vedere !...In casa altrui uno non può fare a modo proprio. Si erano abituate a queste stranezze; spesso le prevenivano, le secondavano sempre, visto che era il miglior mezzo per non farle prolungare; e anche ci si divertivano, quando il povero vecchio si sfogava a parlare del passato lontano, molto lontano, che gli veniva alla mente con lucidità e precisione meravigliosa. Si divertivano quasi, anche quando se la prendeva con loro, con quelle ingrate che lo facevano morire di fame, che non potevano più vederselo dinanzi, perché il padrone era lui e loro volevano tutta la roba per sè... — Ma le gastigherò io! So io come gastigarle! — Come? — Straccerò il testamento, le lascierò nude in mezzo a una via! — Fate bene, — gli diceva Lisa ridendo. — Dovreste lasciare la roba a noialtre. — A voialtre? Che c'entrate voialtre? La roba mia è delle mie figlie, delle orfanelle che ho cresciute, nutrendole con la carne del mio cuore, col sangue delle mie vene! Che c'entrate voialtre? Esse soltanto mi vogliono bene ; e pregheranno per l'anima mia quando sarò morto; che c'entrate voialtre? ***

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Abbiamo mangiato la ricotta! Lo confessarono tutti e quattro insieme. Ma nessuno gli credeva, vedendoli contorcere anche dai dolori di pancia; pensavano che il pecoraio non poteva poi avergliene data tanta, da produrre quello sconquasso. Il pecoraio passava tra quei contadini un po' per medico, un po' per fattucchiere; perciò gli diedero la voce dall'alto: — Venite su, presto; venite! Lasciate le pecore. — Lui solo poteva consigliare, lì per lì, qualche rimedio per quei poveri bambini. Arrivò trafelato; e appena li vide, si dié un colpo alla fronte: — Madonna ! Erano loro che mi rubavano la ricotta ! Per accertarsi che il ladro fosse stato uno dei contadini della fattoria, come gli era venuto il sospetto, quella mattina egli aveva messo nel latte certi succhi di erbe a lui note, che non facevano molto male, ma davano dolori di pancia e producevano vomiti. — Non è niente, — disse. — Un po' d'acqua bollita, con due stille di limone. E il poveretto, angustiandosi che il vomitivo fosse proprio toccato ai ragazzi, non finiva di ripetere, meravigliato, e mezzo incredulo : — Erano loro che mi rubavano la ricotta ! ***

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