Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La fatica

169748
Mosso, Angelo 45 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Ogunuo sa che anche nel cervello abbiamo un allenamento e l'esercizio ha una grande influenza per rendere più facile il lavoro intellettuale. Ad averne una prova basta rammentare ciò che Vittorio Alfieri scrisse Vita di Vittorio Alfieri, pag. 190. nella sua vita: "deliziosissimi momenti mi furono ed utilissimi quelli, in cui mi venne fatto di raccogliermi in me stesso, e di lavorare efficacemente a disrugginire il mio povero intelletto, e dischiudere nella memoria le facoltà dell' imparare; le quali oltre ogni credere mi si erano oppilate in quei quasi dieci anni continui d'incallimento."

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Richet ha dimostrato che abbiamo due meccanismi nervosi i quali indipendentemente dalla nostra volontà, regolano i movimenti respiratorî per raffreddare colla ventilazione il sangue. Il primo è fatto dai nervi sensibili che stanno nella pelle. "Se per un motivo qualunque, dice Richet, questo apparecchio periferico non funziona, la natura previdente ne ha preparato uno più centrale per la refrigerazione, che supplisce quando manca l’avviso dei nervi periferici. Questo apparecchio, che sta nei centri nervosi, è un apparecchio di precauzione che normalmente non deve funzionare, ma che può sostituire i riflessi prodotti dai nervi cutanei quando questi sono insufficienti od impediti a funzionare." Se un cane faceva per esempio 16 respirazioni al minuto, elettrizzando i centri nervosi in modo che si produca un aumento della sua temperatura, farà 340 respirazioni al minuto quando avrà, la temperatura di 42°, 8. È un alimento enorme, perchè il cane respira più di 22 volte più rapido che nello stato normale: ma quando l' animale si sarà raffreddato fino a 39°,7 farà ancora 240 respirazioni, cioè dodici volte più che nel principio. Vi è dunque una certa inerzia in questo congegno del raffreddamento per la respirazione, perchè un animale messo in un ambiente molto caldo non si mette subito a respirare con maggior frequenza, e non cessa immediatamente l'affanno quando si ristabilisce la temperatura normale.

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Una prove evidente che nel nostro corpo si producono delle sostanze velenose, l' abbiamo nelle infezioni cadaveriche. Gli animali e l'uomo appena morti, subiscono una modificazione, per cui diventano velenosi i liquidi che stanno nelle carni e nei visceri loro. Ogni anno nelle grandi scuole di medicina vi solo dei professori, o degli studenti, avvelenati dai cadaveri: perchè basta una scalfittura od un' abrasione della pelle, per lasciare che il virus cadaverico si assorba; e qualche volta produce anche la morte. Assai meglio conosciuta è la natura di altri veleni cadaverici, che furono scoperti dal professor Selmi di Bologna, ai quali egli ha dato il nome di ptomaine. Nel nostro organismo si producono continuamente delle sostanze velenose durante la vita. È stato un chimico francese, il Gautier, il quale isolò alcune di queste sostanze, che derivano delle materie albuminose delle cellule viventi e diede loro il nome di leucomaine per indicare che sono dei composti chimici provenienti dalle decomposizione dell' albumina. Sono studi recentissimi che aprirono nuovi orizzonti dello studio delle cause che producono le malattie. Si distinse molto in queste nuove ricerche il Brieger di Berlino, il quale riuscì ad isolare i veleni che si producono dai bacilli del tifo, del tetano, della difterite, ecc. Per convincersi che alcuni prodotti della vita sono velenosi, basta rammentarci la recente scoperta del Koch. La sostanza velenosa che egli adopera per iniettare ai tisici, è ricavata dalle colture artificiali del bacillo tubercolare. Questi organismi minutissimi che si annidano nel polmone, vivendo e moltiplicandosi, producono una sostanza velenosa. Per spiegare meglio il concetto dal Koch, citerò alcune parole colle quali il celebre batteriologo annunciò la sua scoperta. "lo mi imagino, senza affermarlo, che i bacilli della tubercolosi producono moltiplicandosi nei tessuti viventi, come nelle colture artificiali, alcune sostanze, le quali influiscono in modo nocivo sulle cellule e sugli elementi vivi dell'ambiente. Fra mezzo a queste sostanze se ne trova una che quando raggiunge una certa concentrazione uccide il protoplasma vivente".Deutsche med. Wochenschrift, 1891, N. 3., Nella stessa maniera che i batterii, le cellule del nostro corpo, supponiamo del cervello, eliminano, delle sostanze nocive. E quanto più intensa è la vita del cervello, altrettanto sono più copiose le deiezioni di queste cellule, che imbrattano l' ambiente in cui vivono e sporcano il sangue (se così è lecito esprimersi), che, dopo aver lavato il cervello, scorre poi in contatto dei nervi e delle cellule di altre parti del corpo.

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Non può considerarsi questo stato di incapacità a pensare, come un fenomeno della fatica, perchè prima che si presenti l'incapacità a pensare non abbiamo fatto nulla di troppo. Certo vi è in tutti una aposexia prodotta dalla fatica, perchè lo strapazzo del cervello ci rende incapaci a pensare, ma essendo eguale il risultato, il meccanismo e l'origine può essere diversa. Il professor Guye per spiegare questo fenomeno pensa che il rigonfiamento della muccosa nasale produca un disturbo nella circolazione linfatica del cervello, e che questa sia la causa di un disturbo nella nutrizione del cervello, e della incapacità a pensare. Nelle scuole dei ragazzi osservò spesso l'aposexia per malattie del naso, e vedendo dei ragazzi svogliati che non studiavano più come prima, potè egli assicurarsi che alcune volte dormivano colla bocca aperta e che la causa era del naso. Basta pochissimo per interrompere il lavoro del pensiero e levarci la ragione. Di ciò si possono dare mile prove, ma una forse meno nota a chi non è medico, è quella della così detta pazzia circolare. Sono dei matti che hanno dei lucidi intervalli con una chiarezza di mente completa: e poche ore dopo ricadono in un delirio furioso. Gli accessi maniaci possono durare più d'un giorno, delle settimane, o dei mesi, ma quello che è straordinario, e che commove chiunque siasi trovato a vederlo, è l'interruzione improvvisa dell'accesso che scompare come per un incanto. L’ ammalato cessa di gridare e di agitarsi, l' occhio suo si rasserena, egli comprende ciò che è passato e si rivolge supplichevole a chi lo assiste, pregandolo che lo sleghi. Il periodo del lucido intervallo può durare anche solo un giorno, e vi furono dei pazzi che erano savi un giorno sì e l'altro no. Vi ha di quelli che diventano matti sul serio una volta l’anno: ed altri hanno dei lucidi intervalli anche più lunghi. Il celebre filologo Gherardini in seguito ad un terribile dramma domestico, fu scosso talmente nel sistema nervoso che cadde gravemente ammalato. Il professore A. Verga, il quale pubblicò la storia di questa malattiaANDREA VERGA;Della malattia che trasse a morte il dottor Giovanni Gherardini. Milano, 1861., dice: "Si era quasi abolita la sensibilità interna ed esterna; il dottor Gherardini non sentiva nè fame nè sete, nè caldo nè freddo, nè sapore, nè odori. Stupido, stitico, insonne, abbandonato di forze, egli sembrava destinato a morire di tabe. Ma una mattina, dopo aver finalmente dormito, sente desiderio di una presa di tabacco; si risveglia, si mette al tavolino: impugna la penna e scrive le Voci e maniere di dire additate ai futuri vocabolaristi. Ma se da questa malattia l'intelletto parve sortirne avvalorato, il fisico serbò amaro ricordo. " Dopo sette anni ebbe una ricaduta col medesimo sopore profondo, perdeva l'orina, e le fecce, bisognava nutrirlo artificialmente, non deglutiva più, gli colavano le bave, e dopo un anno e mezzo che dava di sè questo spettacolo straziante, tutto d'un tratto gli si riaperse la mente e comincio a scrivere un'altra opera, la Lessigrafia e il supplemento ai vocabolari. Dopo sette anni ebbe ancora un terzo accesso, ma questa volta il dottor Gherardini aveva 77 anni, e gli mancarono le forze per una terza risurrezione.

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Tutti abbiamo provato la molestia che danno questi crampi, quando compaiono improvvisamente la notte mentre dormiamo. Di solito si producono in seguito ad una contrazione dei muscoli, ma nelle persone molto nervose succedono anche mentre le gambe stanno immobili. Toccando la gamba si riconosce quale sia il muscolo che rimane contratto, e malgrado ogni sforzo della volontà, non possiamo rilasciarlo e il dolore può durare parecchio tempo. Nelle donne isteriche la contrattura è frequente: e il medico l'osserva anche in alcune malattie del midollo spinale. Questo prova che la contrattura è un fenomeno dipendente dal sistema nervoso, ma può anche essere locale. Vi sono delle persone isteriche nelle quali basta comprimere leggermente un muscolo, perchè entri in contrattura e non possano più rilasciarlo così che si può produrre un torcicollo artificiale, strisciando leggermente o anche solo col toccare il muscolo sternoeleidomastoideo. Nell' ipnotismo si vede bene qualche volta comparire nei muscoli uno stato che venne descritto col nome di flessibilità cerea. Le dita, le braccia, i muscoli del tronco e del collo, le gambe, mantengono senza, resistenza la posizione che loro vien data, come se la persona fosse fatta di cera. Questa condizione particolare dei muscoli è pure conosciuta col nome di catalessi, e comparisce più specialmente nell' ipnotismo, tanto che alcuni autori vollero chiamarlo catalessia sperintentale. Toccando i muscoli della faccia o anche quelli degli occhi, si producono delle contratture e delle smorfie che possono durare parecchie ore. Qualche volta la contrattura diviene una malattia grave, e vi sono delle isteriche nelle quali le estremità rimangono fisse in certe posizioni senza, che si possano più rilasciare. Solo per mezzo del cloroformio si rilasciano i muscoli, ma la contrattura, appena cessa l' azione dell' anestetico, torna a riprodursi. Certe donne che hanno un braccio piegato, e che malgrado ogni sforzo della volontà non possono distenderlo, quando si svegliano lo trovano in un'altra posizione, ma sempre contratto e rigido, perchè durante il loro sonno coll'uso del cloroformio gli fu variato di posizione, ed esse di nulla si accorsero. Questa è la contrattura spastica, come la si vede qualche volta anche nel sonnambulismo e può durare pochi minuti, alcune ore, e anche dei giorni. La patologia della contrattura fu studiata specialmente da Charcot, che scrisse delle pagine da grande maestro su questo argomento, nei suoi trattati delle malattie nervose, e ci ha riprodotte colla fotografia delle immagini raccapriccianti di questi ammalati.

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Kronecker aveva già osservato nelle rane, che la contrattura si produce sempre nel principio di una serie di contrazioni, che raggiunge presto il suo massimo, come abbiamo veduto ripetersi nell'uomo, e poi scompare. Ma basta un riposo di due minuti perchè la contrattura ricompaia. Adoperando una corrente elettrica di una intensità maggiore, il fenomeno della contrattura è più forte, come si vede nella seguente esperienza (figura 16). Il dito medio della mano sinistra, sostiene 200 grammi. Irritando direttamente il muscolo con una corrente indotta, succede una prima contrazione: quando cessa lo stimolo il muscolo non si rilascia più completamente. Dopo due secondi si ripete lo stimolo, il muscolo torna a contrarsi, ma non si rilascia completamente, e così il dito medio rimane flesso, e ad ogni stimolo si contrae. Dopo 16 contrazioni cessiamo di irritarlo, e allora nel muscolo cessa la contrattura e si distende lungamente come si vede nel tracciato. RichetCH. RICHET, Physiologie des muscles et des nerfs. 1882, pag. 78. aveva già fatto delle osservazioni assai importanti sulla contrattura nei muscoli dei gamberi. Egli trovò che non presentano più questo fenomeno quando sono stati lungamente in prigionia fuori del loro ambiente naturale. Anche adoperando

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Per vedere un oggetto vicino dobbiamo modificare la forma di una lente fatta di sostanza viva che abbiamo nell'occhio, la quale per la sua conformazione rassomiglia molto alle lenti comuni. Un muscolo sta intorno al bordo di questa lente e le serve come di incastro. Questo muscolo che chiamasi muscolo ciliare, contraendosi modifica i raggi di curvature della lente, e la rende atta a farci vedere bene gli oggetti lontani o vicini. Per servirmi di un paragone materiale, dirò che guardando vicino dobbiamo modificare l' occhio, come faremmo di un canocchiale, che si deve allungare tanto più, quanto più è vicino l’oggetto che si guarda. Il muscolo ciliare deve contrarsi tutte le volte che guardiamo cose minute, come nel leggere e nello scrivere, e resta contratto fino a che rimane fissa la nostra attenzione. Vi sono delle persone in apparenza sanissime che non resistono lungamente allo sforzo che devono fare i nostri occhi per vedere un oggetto vicino. Quando cominciano a leggere o a cucire, vedono bene distinti gli oggetti che fissano, le parole od i punti, ma dopo un certo tempo la vista a loro si annebbia. Le prime volte credono che siano delle lagrime o del mucco che facciano loro velo agli occhi, e chiudono le palpebre e le fregano. Intanto si riposano un po', e subito dopo vedono novamente gli oggetti distinti come prima, ma passati alcuni minuti, se continuano ancora a lavorare o leggere, la vista torna a confondersi, e seguitando per lungo tempo gli occhi si arrossano e diventano dolenti. A questa fatica dell' occhio venne dato il nome di astenopia. È una parola presa dal greco, che vuol dire precisamente mancanza di forza dell'occhio. Il riposo ha tale influenza sulla vista, che alcuni operai, per esempio i tipografi, i sarti, i calzolai dopo il riposo della domenica, vedono benissimo per alcuni giorni, e verso la metà della settimana ricominciano i fenomeni dell'astenopia: tanto che essi debbono smettere di lavorare, e si presentano al medico lamentandosi non solo della nebbia che loro offusca la vista, ma accusando dolori che dagli occhi si estendono alla fronte ed all'occipite. Qualche volta il difetto della vista dipende da uno stato di contrazione eccessiva del muscolo ciliare; è questo il caso opposto del precedente. Vi sono delle persone molto sensibili, che per una emozione diventano miopi improvvisamente. Un avvocato del quale pubblico la storia Schmidt- Rimpler portava con sè due paia di occhiali: e quando era tranquillo si serviva delle lenti più deboli, ma egli sapeva già che nell' emozione di un discorso doveva subito prendere le lenti più forti, perchè altrimenti non poteva più leggere. Il fenomeno analogo ma in grado minore si produce in tuttiHo gia parlato di osservazioni quasi simili nel Capitolo X del mio libro sulla Paura.. Quando noi leggiamo lungamente, si produce nel muscolo ciliare uno stato di contrazione persistente simile alla contrazione che ci tiene impugnate le mani dopo una forte e lunga remata, o dopo un esercizio faticoso al trapezio. È questo un fenomeno comunissimo, e tutti coloro che leggono molto lo soffrono, qual più qual meno e i dolori che sentiamo negli occhi dopo averli affaticati molto, dipendono da questo crampo di accomodazione: così chiamasi questo stato patologico dell' occhio. Riferisco un' osservazione fatta sopra me stesso, per mostrare in quali condizioni e con quali fenomeni si produce questa fatica dell'occhio. Copio l' osservazione come la trovo scritta nei miei appunti. "Oggi ho letto quasi cinque ore di seguito. Cercavo una cosa che mi ricordava dover essere in un libro, e lessi quasi per intero un volume scorrendolo attentamente. Quando l' ebbi finito mi accorsi che ero stanco e scesi sul viale del Valentino. Provavo un bisogno forte di tener chiusi gli occhi, e guardando le case e gli alberi che stanno sulla collina di Torino vedevo un po' annebbiato. Avevo un giornale in mano e mi accorsi che invece vedevo ben nette le parole. Provai parecchie volte a ripetere il confronto, guardando le cose lontane e le vicine, e mi convinsi che avevo uno spasmo di accomodamento, e che il muscolo ciliare essendo rimasto troppo lungo tempo contratto per leggere vicino, non poteva più rilasciarsi e lasciar tornare l'occhio nella posizione di riposo, che è necessaria per vedere gli oggetti lontani. Dopo circa mezz'ora cessò questa alterazione della vista." I ragazzi nelle scuole soffrono spesso di questo crampo dell'accomodamento: Reuss esaminando la vista degli scolari nei ginnasi di Vienna lo trovò nel 25 per cento, e questa facilità alla contrazione persistente nel muscolo ciliare, tende a modificare la forma dell' occhio e produrre la miopia. I medici sono ora tutti d' accordo nel riconoscere lo sforzo dell' accomodamento per vedere gli oggetti vicini, come la causa più comune della miopia nelle scuole.

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Nel sangue abbiamo un corpo albuminoso liquido, che coagula senza bisogno di calore, appena viene fuori dai vasi sanguigni; nei tessuti dell'organismo vi sono altri corpi albuminosi egualmente liquidi che si rapprendono e divengono consistenti appena cessa la vita. La rigidità cadaverica è un fenomeno di coagulazione. Alcuni animali irrigidiscono rapidissimaniente; citerò le sardine, ad esempio. Mi ricordo che quando volevo studiare il sangne di questi animali, era quasi impossibile procurarmi delle sardine vive. Malgrado tutte le premure che si prendevano i pescatori della Stazione zoologica di Napoli, bastava tirarle fuori delle reti per metterle in un secchio d'acqua perchè subito morissero, e si facessero rigide. Volli andare io stesso sulla barca, perchè mi era venuto il dubbio che l' agitazione del vedersi prese nella rete, e i forti movimenti che facevano, potessero essere causa della loro morte. Vidi infatti che diventavano rigide in due o tre minuti. A questa rapidissima coagulazione della sostanza del tessuto muscolare, corrisponde un' alterazione rapidissima del sangue, cosìcchè non ci è modo di conservare i corpuscoli senza che essi perdano l’emoglobina o si scoloriscano. Direi che sono degli organismi fatti con cellule di un'estrema fragilità. Invece altri pesci resistono lungamente prima di divenir rigidi, e mi parve che nei pesci che hanno il saugue più resistente anche la rigidità fosse meno rapida. La coagulazione è dunque un fatto comune alle cellule dell' organismo ed è uno dei caratteri della morte. È stato il professor W Kühne che spiegò per primo il meccanismo intimo della coagulazione. Egli aveva osservato che i muscoli delle rane, tenuti al freddo irrigidiscono con grande lentezza, e che si possono congelare fino ad indurirli senza che perdano la loro eccitabilità quando si fanno disgelare. Kühne prendeva molti muscoli di rane, e nell'inverno dopo averli ripuliti bene del sangue e di ogni altro liquido albuminoso, che potessero contenere, li triturava alla temperatura di -7°, e li pestava in un mortaio. Li spremeva ad una temperatura di circa zero gradi, e li filtrava;il liquido ottenuto aveva un colore opalescente e alquanto giallo. Lasciandolo alla temperatura della stanza coagulava come il sangue. Alla sostanza coagulata Kühne diede il nome di miosina: il liquido che rimane è il siero dei muscoli. Collo stesso metodo, Halliburton estrasse dal coniglio e da altri animali a sangue caldo la miosina. Noi possiamo ritenere ora come dimostrato, che la massa principale dei corpi albuminosi e quindi anche della sostanza contrattile dei nostri muscoli è fatta di miosina. Quando osserviamo un cadavere, vediamo che il primo segno della rigidità comparisce nella mandibola. I muscoli che stringono i denti sono forse i più eccitabili. Anche nel tremito e nella febbre cominciamo a battere i denti, quando nessun altro muscolo è ancora invaso dal tremito. Nel tetano, la chiusura della bocca è pure uno del sintomi con cui esordisce questa terribile malattia. Il tempo nel quale incomincia la rigidità cadaverica, può variare da mezz'ora od un quarto d'ora, fino a ventiquattro ore. Se si tagliano i muscoli di un cadavere irrigidito, le articolazioni si trovano perfettamente mobili. Questo prova che la inflessibilità ha proprio la sua causa nei muscoli, e che non è succeduto alcun cambiamento nelle articolazioni per effetto della morte. Ho studiato col professor L. PaglianiA. Mosso e L. PAGLIANI, Critica sperimentale della attività diastolica del cuore. Torino, 1876, la rigidità, cadaverica nel cuore del cane, ed abbiamo veduto che talora essa comincia prima che il cuore abbia cessato di battere spontaneamente. È probabile che succeda lo stesso nel cuore nostro, e che quando si rallentano i suoi battiti nell'agonia, abbia già cominciato quel processo della alterazione del muscolo, che dovrà, farlo irrigidire. Per farci un'idea di questo fenomeno abbiamo fatto delle esperienze nel cane, dalle quali risultò che nelle quattro prime ore, eccetto dei movimenti fibrillari e delle piccole oscillazioni, il cuore, staccato dal corpo, rimane quasi immobile. Verso la quarta ora incomincia la vera contrazione della rigidità cadaverica, e questa in circa due ore raggiunge il suo massimo.

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Abbiamo già detto nel primo capitolo come i piccioni viaggiatori si irrigidiscano rapidissimamente, quando vengono uccisi dopo un lungo volo. Ch. Richet vide comparire la rigidità cadaverica in un minuto nei conigli, che uccideva con forti correnti elettricheCH. RICHET, Physiologie des muscles et des nerfs, pag. 365,. Gli annegati che prima di morire si dibattono fortemente nella speranza di aggrapparsi a qualche cosa che li salvi, si trovauo attaccati colle mani rigide agli oggetti, che avevano afferrati, senza che la morte abbia rilasciato i muscoli. Nell'ultimo spaventoso naufragio degli emigranti italiani presso Gibilterra (17 marzo 1891) in cui perirono trecento persone, fra i cadaveri che il mattino dopo furono trovati sulla spiaggia, vi era il cadavere di una donna con un bambino morto stretto al collo. Nè l'agonia ne le onde burrascose dell'oceano, che avevano sbattuto quei cadaveri sulla spiaggia, avevano bastato per allentare l' ultima stretta della morte, per disgiungere la madre dal suo figliolo. Le osservazioni più commoventi sulla rigidità cadaverica le raccolse il professore Rossbach sui campi di battaglia di Beaumont e Sedan, durante la campagna del 1870 ROSSBACH, Ueber eine unmittelbar mit dem Lebensende beginnende Todtenstarre,- Virchow's Archiv B, LI, Fag. 558,.Sopra una collina nelle vicinanze di Floins giaceva in terra una lunga fila di usseri fraucesi. Egli ne vide parecchi che avevano conservato nel volto l'espressione del dolore provato negli ultimi istanti della vita: avevano le ciglia corrugate, le labbra strette, e benchè i cadaveri fossero già freddati, una contrazione convulsa teneva ancora terribilmente sfigurati i muscoli della faccia. Molti stringevano la spada in pugno. Un soldato era nell'atteggiamento di caricare il facile. Alcuni li trovò morti col viso sorridente, forse coll'espressione dell'ultimo pensiero che avevano evocato nel momento della morte. Un soldato era caduto sul dorso tenendo le braccia lunghe e rivolte al cielo: da lontano si credette che non fosse morto e chiedesse aiuto; accorsero e lo trovarono irrigidito a quel modo. Una granata uccise d' un colpo tutta una comitiva di soldati, che si erano riparati in una fossa per fare tranquillamente colazione. Di uno, dice Rossbach, si poteva essere certi che raccontasse qualche storia allegra tanto era viva l'espressione di contentezza che gli rimaneva ancora nel volto benchè l'avesse ucciso una grave ferita del cranio. Un altro di questi soldati teneva colla mano la tazza presso la bocca, ma gli mancava il cranio; e della faccia mutilata non gli era rimasta che la mandibola inferiore. Essendo profonda la fossa, nella quale si erano riparati nessuno pel colpo era caduto in terra ed erano rimasti seduti, o sdraiati, in modo che guardandoli dall' alto parevano vivi, se non era di quel tale colla tazza in mano in atto di bere, al quale mancava la testa. Un caso commovente di rigidità cadaverica descritto dal Rossbach, è quello di un soldato tedesco ferito nel petto, che sentendosi morire volle vedere ancora una volta il ritratto di sua moglie o della sua amata. Egli giaceva di fianco, appoggiato su di un braccio e teneva dinanzi agli occhi, colla mano sollevata e rigida il ritratto che pareva stesse ancora contemplando nella morte.

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Per servirmi di un esempio dirò che anche per il digiuno nel primo giorno si consumano dei materiali che abbiamo nel corpo, i quali sono diversi da quelli che spremeremo per così dire dai nostri tessuti negli ultimi giorni della inanizione. Ho detto che il nostro corpo risente un danno maggiore per il lavoro che fa quando è già stanco. Una delle ragioni di questo fatto è che un muscolo avendo consumata nel lavoro normale tutta l'energia della quale poteva disporre, si trova obbligato per un soprappiù di lavoro ad intaccare per così dire, altre provvigioni di forza che teneva in riserbo; ed a far questo occorre che il sistema nervoso lo aiuti con una maggiore intensità dell'azione nervosa. Ma quantunque lo sforzo nervoso sia più cospicuo, il muscolo stanco si contrae debolmente. Quando solleviamo un peso vi sono due parti che si affaticano: l'una è centrale, puramente nervosa, cioè la parte impulsiva della volontà, l'altra è periferica, ed è il lavoro chimico che si trasforma in lavoro meccanico dentro alle fibre muscolari. Kronecker aveva già detto che il peso non stanca ma che l'eccitamento stanca. Ho voluto provare se questa legge trovata nelle rane è pure vera per l'uomo. Adattai all' ergografo una vite, V (fig. 5. capitolo IV). Girando questa vite che passa dall'altra parte del montante I fra le due sbarre d' acciaio, nelle quail si move il corsoio N, si dà al peso un punto di appoggio più vicino alla mano: e il dito medio viene esonerato dal peso nel principio della sua contrazione. Se mentre il muscolo si contrae per fare un tracciato della fatica, noi giriamo avanti la vite V dell' ergografo, possiamo far sì che il dito lavorando, prenda il peso ad altezze successivamente minori. Scaricandolo a questo modo del peso, vediamo che nel principio quando il muscolo è riposato non si accorge della differenza. Il muscolo pare dunque indifferente al peso che solleva quando è nella pienezza delle sue forze. Una volta dato l'ordine al muscolo di contrarsi, questo produce il massimo del suo raccorciamento sia che il peso debba sollevarlo per tutta la contrazione, o solo durante una parte della medesima. In questa prima parte delle mie esperienze venne confermato quanto Kronecker aveva osservato nelle rane. Quando l' energia del muscolo è diminuita per effetto della fatica, il muscolo sente un beneficio se lo si scarica, dandogli un appoggio che lo liberi da una parte del peso. Chi dopo essersi affaticato solleva con stento 50 chilogrammi, troverà che uno di più è troppo pesante. Ma se non è stanco e ne solleva 80 o 100, uno o due di più oltre il cinquantesimo passano inavvertiti. Avremo occasione di esaminare meglio questo fatto, intanto possiamo, da quanto ho detto, paragonare i movimenti alle sensazioni. Vediamo ripetersi qui ciò che tutti abbiamo provato in un concerto, dove non ci accorgiamo se nell'orchestra vi sono 35 o 40 violini. Entrando in una sala sfarzosamente illuminata, non ci accorgiamo se le candele accese solo 90 o 100, ma quando non vi sono più che due candele accese, o due violini che suonano, ci accorgiamo subito se uno cessa di suonare o l'altra di splendere. Così noi intravediamo una prima legge della fatica e delle sensazioni, che cioè l'intensita loro non è del tutto proporzionale all'intensità della causa esteriore che le provoca.

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Abbiamo cioè un fatto fisico che possiamo misurare e paragonare, ed uno psichico che sfugge alle misure ed ai raffronti. Succede del sentimento della fatica ciò che succede di tutti gli eccitamenti i quali agiscono sui nostri nervi, che cominciamo a percepirli solo nel momento che hanno raggiunto una certa intensità. La luce, come il suono, come l' odore, ha bisogno di una certa intensità prima che noi la possiamo avvertire. Oltre a ciò la sensazione dal momento che si produce in noi va sempre scemando di forza non ostante che si mantenga tale quale all'esterno la cagione che la produce. Delboeuf ha espresso bene questo principio fondamentale quando disse: "L'intensité de la sensation ne dépend pas uniquement de l'intensité de la cause excitante, mais encore de la masse de la sensibilité, ou de la force que les organes interessés possèdent à ce moment"J. DELBOEUF, Éléments des Psychophysique, pag. 41. Paris 1883.. Si direbbe quasi che al secondo colpo l'eccitazione agisca sopra un individuo che ha una sensibilità differente di prima. Due sono le condizioni fisiologiche le quali ci rendono insensibili alla fatica. La prima è l'abitudine. Così che stando in una sala dove vi sono molte persone, non ci accorgiamo dell'alterazione grave che subisce l'aria. L' altra è la diminuzione di eccitabilità, che va continuamente aumentando colla stanchezza. L'occhio che fissa una fiamma, nel principio sente lo stimolo della luce nella sua intensità completa; dopo,scema rapidamente l' eccitabilità sua; e passato questo primo periodo della stanchezza, la sensibilità che rimane va scemando più lentamente. La stanchezza degli occhi segue dunque un decorso che rassomiglia a quello dell' esaurimento nella forza del muscoli. La difficoltà consiste nel determinare le leggi che segnono questi fenomeni i quali hanno probabilmente la stessa natura sia che succedano nel cervello sia che succedano nei muscoli. Cercherò di raccogliere e di ordinare il maggior numero di osservazioni che mi fu possibile intorno a questo soggetto, e per brevità di linguaggio chiamerò col nome di legge dell' esaurimento, tutte le norme complesse, - certo incomplete nelle esplicazioni loro, - colle quali vedremo scemare l' eccitabilità e l' attitudine al moto durante la fatica. Un impiegato postale mi raccontava che al mattino egli distingue facilmente se una lettera pesa quindici grammi e mezzo, invece di quindici; ma che alla sera quando è stanco non riesce più a distinguere con sicurezza questa differenza di mezzo grammo. Ed io mi assicurai che ciò è vero. Avremo più tardi occasione di riferire altri esempi, i quali provano che la fatica nel maggior numero dei casi diminuisce la sensibilità. Basti per ora questo cenno per far comprendere che quanto a primo aspetto può sembrare una imperfezione del nostro corpo, è invece una delle sue perfezioni più maravigliose. La fatica crescendo più rapidamente del lavoro compiuto, ci salva dal danno che recherebbe all' organismo la minore sensibilità. Delboeuf ha detto: "La formule de l'épuisement nous a paru rétive a l'expérimentation"Opera citata, pag. 92Certo la formula dei rapporti della fatica, e del lavoro, è una cosa estremamente complessa per la molteplicità dei fattori che vi prendono parte, e l' intreccio quasi inestricabile delle curve diverse colle quali questi fattori variano a misura che il lavoro oltrepassa i limiti della razione normale; ma non possiamo dubitare che uno studio fatto con metodi esatti, che un esame di questo problema preso sotto i suoi molteplici aspetti conduca alla determinazione della risultante che rappresenta la legge dell' esaurimento. Questa legge però non si può disgiungere dallo studio della riparazione delle forze. Mentre il lavoro consuma l' organismo, una tendenza benefica della vita provvede a ristorare le forze. Matteucci aveva già notato che un nervo riacquista tanto più presto la sua eccitabilità quanto questa era maggiore. Vi sarebbe dunque un cerchio fatale per il debole. L' operaio che persiste al lavoro quando è già stanco, produce non solo un effetto utile e meccanico minore, ma risente un effetto nocivo ed organico maggiore. I periodi di riposo fra uno sforzo e l'altro devono essere più lunghi quando si è stanchi, perchè si ristabilisce meno rapidamente la forza, essendo per la stanchezza divenuta minore la eccitabilità del nervo e del muscolo. Lo stimolo nervoso che nel principio produce un raccorciamento del muscolo che è circa un terzo della sua lunghezza, dopo che siamo stanchi non lo produce più, e ci accorgiamo facilmente di questa difficoltà, malgrado lo sforzo nervoso maggiore, dal modo col quale strascichiamo i piedi quando siamo stanchi dopo una marcia.

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"Nella sola nostra provincia abbiamo per lo meno un cinquemila fanciulli operai, impiegati nell'estrazione dello zolfo presso delle miniere. "Io so che in una sola zolfara di questo territorio di Caltanissetta lavorano trecento fanciulli. I modi che gli intraprenditori di questi fanciulli adoperano per sollecitarli nel trasporto dello zolfo sono dapprima i più crudeli pizzicotti, tali da lasciare nelle carni delle lividezze e suggellature per molti giorni; poscia quando questi non bastano, bruciano o fanno bruciare dai loro commessi per mezzo delle lucerne accese i garetti, o i polpacci delle gambe dei poveri fanciulli, sino a produrre delle scottature ed escare sulla cute. Io sono stato chiamato parecchie volte dagli istruttori e dai pretori per riferire sulla natura e sulla causa di siffatta maniera di violenze. Io ne posso fare testimonianza. "Tuttavia questi modi di trattamento, per quanto siano brutali, non hanno conseguenze durevoli, e passano inosservati. Ciò che è veramente deplorabile, e che forma la sorte infelice di questi fanciulli delle nostre miniere, è questo: che il materiale da trasporto che s'impone sopra le loro spalle, è troppo sproporzionato alle loro forze ed età. Sotto i gravi pesi le loro ossa tenere cedono, s'incurvano e si torcono, sicchè queste povere creature rimangono deformate e storpie per tutta la vita. Gli ossi, che più deviano dalla loro direzione e forma normale, sono quelli delle spalle, le scapule, e quelli della colonna vertebrale. Per lo più una spalla rimane più bassa dell' altra, alcuni hanno la gobba avanti il petto, altri dietro sul dorso; tutti, chi più chi meno, riescono con la gabbia del torace viziata. Perlochè il male non si limita solamente all'esterna configurazione e direzione delle ossa. I visceri contenuti nella cavità del petto, in specie gli organi della respirazione e della circolazione sono compressi, spostati più o meno dal loro sito, ed impediti nella loro funzione, e nel loro sviluppo.... " Segue la deliberazione del Consiglio: "Il Consiglio trovando la precedente relazione conforme alla verità e giustizia, e cotanto reclamata dalla umanita nell'interesse della classe infelice e sagrificata dei fanciulli, i quali, prima dello sviluppo fisico naturale vengono come tanti schiavi destinati a lavorare nelle miniere e nelle fabbriche, esprime unanime avviso di potersi il progetto in parola approvare: come ancora convalida il voto espresso non è guari dal signor Prefetto in Consiglio provinciale, perchè sulla somma di lire 80,000, che si spende dalla provincia e dai comuni pel mantenimento degli esposti, sia eretto un istituto per il ricovero dei detti fanciulli, i quali ,nel sistema ora vigente in queste provincie, si trovano affatto abbandonati a se stessi dopo il settimo anno di età, e sono ordinariamente reclutati dai picconieri delle miniere per far loro sostenere fatiche superiori al naturale sviluppo." E poi vengono altre relazioni che destano ribrezzo, con la narrazione di cose alle quali la ragione ed il cuore repugnano. Leggendo questi fatti io mi domando se non dobbiamo arrossire di rimanere inerti, dinanzi allo spettacolo di così crudele schiavitù. Forse alcuni nella facile quiescenza del loro sentimentalismo, penseranno che ora c'è una legge la quale prescrive, all' articolo 3°,"che i fanciulli d'età inferiore ad 11 anni compiuti, non possono essere impiegati in lavori sotterranei notturni od insalubri, e che pei fanciulli dai 9 agli 11 anni compiuti il lavoro giornaliero non potrà eccedere le otto ore, ovvero sei ore senza riposo". La nostra legge non basta; almeno si fosse copiata quella inglese del 1878, che è assai più fisiologica della nostra. I padroni aumenteranno il peso sulle spalle dei fanciulli e faranno movere più in fretta le loro gambe, ecco tutto. Ogni picconiere continuerà a lavorare con tre o quattro ragazzi e li farà correre brutalmente nei sotterranei e su per le scale, fino all'esaurimento delle forze e sussisteranno gli stessi mali. E questi infelici ragazzi, forse finchè viviamo noi, e mentre funzionano e crescono di numero le Società di protezione degli animali, continueranno ad essere soggiogati, mutilati, evirati da un lavoro precoce. La maggior parte di questi trovatelli muore: quelli che sopravvivono e scampano diventano malvagi e feroci; il sentimento di umanità non può attecchire nella galera con sono condannati questi giovani; e saranno loro che diventeranno per la fame i carnefici di altri poveri carusi.E tale ingiustizia rimarrà invendicata e vi sono altre vittime destinate a morire sotto il peso del lavoro, tormentate, uccise dalle sevizie. Per questi innocenti la vita è peggio della schiavitù, peggio dell'ergastolo!

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Abbiamo già detto che un eccitamento dei sensi deve raggiungere una certa forza prima che sia avvertito; il punto nel quale incomincia a sentirsi uno stimolo egli lo chiamò soglia (Schwelle). "Ove sia giusto, dice Fechner, che l' anima ha una sede estesa, deve essere possibile che l'attività psicofisica invece di cadere tutto di un colpo sotto la soglia, cada ora qui ed ora là, e che l'uomo possa addormentarsi e svegliarsi parzialmente. "Tutte le volte che noi volgiamo la nostra attenzione ad un senso, è come se questo senso si svegliasse, e quando ne distogliamo l'attenzione è come se questo si addormentasse. Quando un uomo è così profondamente immerso nella meditazione, che egli non vede e non sente ciò che succede intorno a sè, la sfera dei sensi esterni dorme come nel vero sonno. E vi sono dei casi di estasi nei quali l'uomo cogli occhi aperti, rimane insensibile ad ogni eccitamento del mondo esteriore. E viceversa può addormentarsi tutta la sfera dell'attività delle rappresentazioni interne. Nella veglia il vertice dell'attività psichica cambia di luogo, e quando si solleva in un punto diminuisce l'attività psichica in un altro e scende sotto la soglia, come se il sonno parziale si approfondisse in una parte." La citazione di questo passo del Fechner spero basterà per farci comprendere che per lui, nell'attività ordinaria della mente, vi è un sonno parziale di alcune parti del cervello, mentre altre sono deste. L'attenzione e il sonno parziale Fechner li mette insieme in un medesimo capitolo. Quando uno ci parla vicino e non sentiamo e non comprendiamo nulla, è perchè quella parte del cervello dove vanno a riferirsi queste impressioni rimane addormentata. Svegliandola con una impressione più forte, si desta pure l'attenzione, e spesso possono ancora cogliersi prima che si cancellino le impressioni precedentiOpera citata, 437. La vita intellettuale dell'uomo, secondo Fechner, oscillerebbe dunque tra la veglia ed il sonno, ed anche nella veglia sarebbero delle regioni del cervello che dormirebbero. Dopo Fechner è stato Wundt il fisiologo, che colle sue ricerche intorno all'attenzione, portò maggior luce in questo campo, ma uscirei dai limiti di un libro popolare, se io volessi anche solo citare i fatti importanti che vennero scoperti nella scuola psicologica in Lipsia intorno all' attenzioneRaccomando al lettore che desidera conoscere meglio i lavori recenti fatti sull'attenzione della scuola di Lipsia, di consultare l'opera di W. WUNDT, Grundzüge der physiologischen Psychologie, dritte Auflage, 1884. Un libro popolare eccellente venne scritto da TH. RIBOT, intorno al meccanismo della attenzione. Psychologie de l'attention, Paris, 1889.. In questo capitolo mi limiterò a prendere in esame le modificazioni che succedono nell'organismo quando stiamo attenti. Il leggero stato di eccitazione che occorre al cervello, perchè esso possa lavorare meglio e trattenere più durevolmente l'imagine delle cose, è un fatto al quale prendono parte tutti gli organi del corpo. Lo studio di questi cambiamenti ha una grande importanza per il fisiologo, perchè in esso rendesi evidente il fatto fisico che accompagna l'attività psichica del cervello. Nel mio libro sulla Paura ho già dimostrato col pletismografo, e la bilancia, in che modo si sposti il sangue verso il cervello, quando si pensa a qualche cosaLa paura, cap. V, § III..

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Che oltre la respirazione, vi siano altre cause capaci di produrre dei periodi nelle funzioni dei centri nervosi, lo abbiamo veduto or ora, perchè nella stessa respirazione vi sono dei periodi quando siamo distratti. Nel sonno profondo l'attività del respiro può venir interrotta regolarmente da delle pause che durano anche mezzo minuto. Dei periodi uguali si presentano pure nella tonicità dei vasi, e nella funzione del cuore. Fino dal gennaio 1884, in un lavoro che presentai alla Accademia dei Lincei, sulla respirazione periodica, avevo detto: "Ritengo essere una condizione naturale alla, vita dei centri nervosi che quando vengono destati dal riposo, non ricadano immediatamente nello stato primitivo, ma vi ritornino con una serie di oscillazioni, in cui l'eccitabilità cresce e diminuisce gradatamente." Tutti abbiamo provato nell'addormentarci (o quando ci svegliamo e dopo riprendiamo sonno) che vi sono delle idee e delle imagini che oscillano nel campo della coscienza, le quali appaiono e scompaiono fino che ci sfuggono del tutto. Quando di notte ascoltiamo i battiti di un orologio, o il rumore di una cascata, riesce a molti di accorgersi che vi sono dei periodi nei quali si rinforza, o si indebolisce il suono. E cambiando l’orologio non cambia la durata di questi periodi, perchè la causa è nel cervello. Studiando la circolazione del sangue nel cervello dell'uomo, osservai degli aumenti e delle diminuzioni analoghe nella quantità di sangue che affluisce al cervello. Nel sonno il nostro respiro è regolare, ma basta fare un leggero rumore perchè succeda un arresto del respiro, poi una inspirazione profonda e quindi per alcuni minuti le respirazioni aumentano progressivamente in forza e poi diminuiscono, facendo una figura sul tracciato come la cuspide delle canne da organo, poi una leggera pausa, quindi un altro periodo, ed un terzo ed un quarto, dopo i quali la respirazione diventa uniforme. A questo fenomeno ho dato il nome di oscillazioni successive. L'energia dei centri nervosi, non si svincola sempre in modo continuo, ma tende a svincolarsi con dei periodi di maggiore o minore attività. Quando si turba l'equilibrio dei centri nervosi nascono delle oscillazioni che vanno gradatamente scemando, oppure diventano il principio di oscillazioni sempre più forti, come nel suonare una campana ogni trazione della corda accumula la forza che produce oscillazioni maggiori. Questo che dissi per la respirazione, serve pure per i fenomeni dell'attenzione e della fatica. Per convincersene basta fissare il sole od una candela nell'oscurità della notte, per stancare un punto della retina ed avere dopo una imagine successiva come effetto della fatica. Fissando questa imagine vediamo che essa scomparisce dopo un certo tempo e poi ricompare. E queste oscillazioni si ripetono per un tempo abbastanza lungo, fino a che scompaiono del tutto. Le medesime oscillazioni si percepiscono pure negli altri sensi. Quando si mette la fronte in contatto con una lastra fredda di vetro, per esempio dinanzi alla vetrata di una finestra, si sente che l'impressione del freddo dura per un certo tempo, dopo che è cessato il contatto col vetro. Questa sensazione non decresce uniformemente in intensità, ma si hanno delle sensazioni consecutive ora di caldo e ora di freddo; l'intensità della sensazione si rinforza quattro o cinque volte, poi cessa del tuttoBEAUNIS, Physiologie humaine, 1888. Vol. II, pag. 593.. Mi sono trattenuto a parlare alquanto estesamente di questi periodi perchè essi ci lasciano intravedere la rapidità colla quale si stancano i centri nervosi. Ritengo come molto probabile che la stanchezza in una cellula nervosa del cervello compaia dopo soli tre o quattro secondi di lavoro. L'attività, prolungata del cervello, malgrado questo esaurirsi rapidissimo dei suoi elementi, si spiega pensando che nelle circonvoluzioni cerebrali abbiamo due miliardi di cellule, e che queste possono supplirsi nei loro uffici. Già fino dal 1874 in una serie di osservazioni che ho fatto in Lipsia col dottor Schön avevo veduto che quando si copre un occhio e coll'altro, senza punto fissare, si guarda una superficie uniformemente colorata, come ad esempio il cielo, una nube od una parete imbiancata, il campo visivo si oscura e si rischiara a periodi regolari. Il campo visivo nell' oscuramento appare di un colore giallo verdognolo, talora azzurro, spesso di un colore indistinto. Questi oscuramenti hanno nelle varie persone una durata differente, e si ripetono in media da cinque a dodici volte al minutoA. Mosso, Sull'alternarsi del campo della visione. Giornale della R. Accademia di medicina di Torino, 1875. Vol. XVII, pag. 124..

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Che prevalga però l'eccitazione abbiamo troppi segni evidenti per poterlo negare. L'atteggiamento spesso di chi sta aspettando l'impressione di un suono, o di un segno, i movimenti della testa e l'espressione della faccia vi dimostrano che la natura dell'attenzione è strettamente collegata coi fenomeni motori. Vi sono delle persone molto eccitabili che soffrono di un tic convulsivo, per il quale contraggono i muscoli della fronte ed aggrottano le sopracciglia, oppure contraggono a scosse i muscoli della faccia: in esse le emozioni e l'attenzione rendono più forti e molto più frequenti le contrazioni dei muscoli. In alcuni l'eccitabilità nella sfera motoria diviene così grande che da loro molestia, tutte le volte che devono stare attenti. Ho conosciuto delle persone le quali nei momenti difficili di un'operazione chirurgica, senza aver alcuna paura, si mettevano a tremare. Negli esercizi pratici che fanno gli studenti nel mio laboratorio ho fatto spesso questa prova: mentre hanno in mano qualche strumento delicato, o stanno versando un liquido in modo che esca dal vaso un numero determinato di goccie, accade, se loro si raccomanda di stare bene attenti, che subito le mani comincino a tremare, e tutto vada alla peggio. Vi sono altri, come i fanciulli e le donne, che fanno delle smorfie quando concentrano la loro attenzione in qualche lavoro, allungano le labbra, aggrottano le sopracciglia; altri si grattano il capo, ed alcuni chiudono un occhio. Fechner descrisse uno stato speciale di tensione che noi sentiamo nella testa e particolarmente all'occipite, quando è più intenso il lavoro del pensiero. Un mio amico, che certo non aveva mai sentito parlare di questa sensazione descritta da Fechner, mi diceva che quando lavorava molto doveva smettere unicamente per questa molestia che sentiva nell'occipite, e che col riposo mentale essa scompariva sempre. Nell'attenzione abbiamo due fatti distinti: l'uno consiste nel rinforzare le rappresentanzioni interne, l'altro nell'impedire che le impressioni esterne giungano alla coscienza. Si può lavorare tra i rumori, ma certo costa più fatica per non lasciarci disturbare nel lavoro della riflessione. Tanto l'uno quanto l'altro di questi fatti fondamentali non sappiamo spiegarli. Forse è meno difficile comprendere come noi possiamo ridurre al silenzio altre impressioni più forti che agiscono sul sistema nervoso, mentre concentriamo l'attenzione su altre cose. Ma non sappiamo ancora decidere se sia questa parte che diminuisca o se non sia piuttosto la rappresentazione interna in cui si concentra l'attenzione quella che si rinforza. Certo gli organi di senso funzionano nello stesso modo tanto quando siamo distratti come quando stiamo attenti. Guardando fissamente un colore non ci sembrerà nè più chiaro nè più scuro per quanto sia grande lo sforzo della nostra attenzione. Si tratta qui di mutamenti che succedono nelle intime parti del cervello: e dobbiamo sperare che si riesca, a portar un po' di luce in questi fenomeni, che sono il fondamento della nostra vita psichica. BainBAIN, The psycho- physical process in attention. 1890, Part. II, P 154., Sully, Lange ed altri considerano l'attenzione come un fenomeno motorio e fondano questa ipotesi sulla stretta affinità che passa fra l'esercizio muscolare e quello mentale. RibotRIBOT, Psychologie de l'attention, pag. 32. si è pure occupato di questo importante problema; ed ecco come egli determina l'ufficio dei movimenti nell' attenzione. "Les mouvements de la face, du corps, des membres, et les modifications respiratoires qui accompagnent l'attention sont-ils simplement, comme on l'admet d'ordinaire, des effets, des signes? Sont-ils, an contraire, les conditions nécessaires, les éléments constitutifs, les facteurs indispensables de l'attention? Nous admettons cette seconde thèse, sans hésiter. Si l'on supprimait totalement les mouvements, on supprimerait totalement l'attention." Quando cogli occhi chiusi pensiamo ad una matita, dice LangeLANGE, op. cit., pag. 415., facciamo prima un leggero movimento cogli occhi che corrisponde alla linea retta, e sovente ci accorgiamo di un leggero cambiamento nella innervazione della mano, come se toccassimo la superficie della matita. Lange trovò che in lui, tutte le volte che pensa ad un circolo, succede sempre un movimento dell'occhio che corrisponde a questa figura; onde egli afferma senza reticenze ed esclusioni, che solo per mezzo delle contrazioni muscolari è reso possibile il pensiero. Quanto alle rappresentazioni astratte Stricker aveva già dimostrato in modo sicuro l' esistenza della parola interna. E ciascuno si accorgerà facendo attenzione a se stesso, che quando egli pensa a qualche cosa di astratto, pronuncia silenziosamente dentro a se stesso la parola che la rappresenta o che sente almeno la tendenza a pronunciarla.

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Come abbiamo dei nervi incaricati di provvedere alle secrezioni delle ghiandole, io ritengo probabile che vi siano pure nel cervello dei nervi incaricati di attizzare e rendere più attiva la vita nelle cellule di quest'organo. Se questo mio concetto fosse vero, l'attenzione sarebbe un movimento rifiesso. Come si impallidisce e si piange e si trema, come si arresta e riprende la secrezione della saliva e dei succhi, così noi facciamo subire involontariamente una trasformazione alle cellule di alcune regioni del cervello, per cui queste diventano meglio adatte per ricevere le impressioni del mondo esterno, o si preparano e si aggiustano ad un ricambio più attivo, ad una relazione più intima con altre parti di quello. Questa mia supposizione spiega perchè l'afflusso più abbondante del sangue nel cervello non è sufficiente per farlo funzionare più attivamente. Basta fiutare i vapori del nitrito di amilo per produrre una forte iperemia del cervello; ma chiunque abbia fatto questa esperienza si sarà accorto che non per questo diventa più fervido il lavoro delle idee. Anche nelle ghiandole succede un fatto identico, non basta a promuovere una secrezione che cresca l'afflusso del sangue alla ghiandola, bisogna che vi sia un eccitamento dei nervi secretori: anzi questa è la condizione fondamentale, l'iperemia è un fatto secondario. La civilà differente delle razze umane, l'attitudine maggiore o minore che hanno i vari individui di una medesima razza, al lavoro intellettuale, dipenderebbe dalla facilità e dalla intensità colla quale per mezzo di quest'azione riflessa si riesce a modificare i processi chimici della vita ed ottenere che nelle varie parti del cervello, le sue cellule lavorino più attivamente e restino più impressi nelle medesime i fenomeni del mondo esterno. II nostro cervello è tanto più forte quanto più possiamo bruciarlo e distruggerlo rapidamente, e con altrettanta rapidità, ripristinare le condizioni della sua energia. Questi supposti nervi dell'attenzione avrebbero come i nervi secretori la potenza di attizzare i processi distruggitori nelle cellule degli emisferi cerebrali, per trasformarne l'energia e produrre il pensiero. L’attenzione sarebbe, come la funzione periodica delle ghiandole, un meccanismo diretto a risparmiare l'energia degli organi, che devono funzionare solo nel giusto momento in cui il loro consumo è necessario.

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Spesso sfogliando un libro ci accorgiamo di aver letto una parola solamente, quando abbiamo già scorsa la pagina dove è scritta. Oppure nella strada passeggiando ci accorgiamo di aver visto qualche cosa in una vetrina, dopo di averla oltrepassata di alcuni passi: oppure in una conversazione ci accorgiamo, parecchi secondi dopo che fu pronunciato, d'aver udito un nome. Quando vogliamo tener fissa la nostra attenzione sopra un pensiero, la nostra mente a poco a poco tende a divagare e distrarsi; vi sono del periodi nei quali si stende una nube tra noi e il pensiero che malgrado ogni sforzo non lo possiamo più trattenere, altre immagini ed altri pensieri si affollano, e sentiamo crescere dentro noi il bisogno di riposarci. Se prendiamo colla mano un oggetto qualunque e stendiamo il braccio, succede nei nostri muscoli una serie di fenomeni che rassomigliano, fatta astrazione dalla loro diversa natura, a quanto osserviamo durante uno sforzo del cervello. Nel principio pare che la contrazione del muscoli non ci costi fatica, ma poco dopo la sentiamo crescere rapidamente, il braccio trema e poi si piega. Se il cervello è affaticato ci riesce quasi impossibile stare attenti. Galton studiò i movimenti che succedono in un uditorio numeroso, quando una lezione si prolunga tanto da affaticare gli ascoltatori. L'arte di fare scuola consiste principalmente in questo, di conoscere fino a che punto e in qual maniera uno può trattenere l'attenzione degli studenti. I maestri più abili sono quelli che non affaticano mai troppo una regione del cervello dei loro scolari, in modo che la loro attenzione volgendosi ora qua ora là, riposa e più forte può tornare all'argomento principale del discorso. Beard, che scrisse recentemente un libro sul nervosismo americano, dice che ora in America nessun conferenziere "riesce a richiamare un uditorio numeroso, se non possiede una vena di umorismo e non fa ridere gli astanti dopo averli fatti piangere; le letture degli umoristi, i quali adesso formano una classe distinta, sono più ricercate di quelle dei filosofi, degli scienziati e dei letterati celebri. Gli americani i quali sono capaci di pensiero originale nelle scienze e nelle lettere, gli americani dotti, seri e riflessivi, preferiscono la sciocchezza alla scienza per passare la serata. Questa, dice Beard, è una reazione inevitabile dell'eccessivo sforzo della nostra vita intellettuale e fisica; la gente che lavora e si affatica meno, ha meno bisogno di noi dell'abbandono, delle esagerazioni, delle sciocchezze e delle buffonate". Beard è convinto che in nessun paese come negli Stati Uniti, è comune l'esaurimento nervoso; che in nessun paese come nell'America del Nord vi sono tante varietà e tanti sintomi della debolezza nervosa. L'ilarità è come una valvola; e si comprende che l’umorismo nell'arte oratoria debba essere una delle norme per parlare ad un uditorio affaticato. Quando si assiste alle sedute del Parlamento, si vede che effetto producono alcuni oratori i quali sanno far riposare l'attenzione de' loro ascoltanti ed hanno l'arte di farla lavorare a periodi fisiologici senza stancare. La fisiologia sarà di un grande aiuto all'arte oratoria, quando sarà meglio conosciuta la psicologia dell'uomo. Per poco che uno abbia fatto attenzione si sarà accorto che dopo una passeggiata troppo lunga, o dopo un esercizio violento di ginnastica o di scherma o di canottaggio, siamo meno atti allo studio.Se qualche volta dopo un esercizio moderato ci sembra che diventi più facile il lavoro del cervello, ciò dipende dall'azione eccitante del lavoro muscolare, della quale avremo occasione di occuparci estesamente più tardi. Dove si vede meglio l'incapacità dell'attenzione per effetto della fatica muscolare è nelle ascensioni alpine. Saussurre sul Monte Bianco poteva fare appena con grande stento un piccolo lavoro intellettuale. "Lorsque je prenais de la peine, ou que je fixais mon attention pendant quelques moments de suite, il fallait me reposer et haleter pendant deux ou trois minutes." In me osservai che la grande fatica muscolare toglie ogni attitudine all'attenzione e leva la memoria. Ho fatto parecchie ascensioni. Sono stato sulla vetta del Monte Viso e due volte sul Monte Rosa, e non mi ricordo più nulla di ciò che ho visto da quelle sommità. La memoria mia e la ricordanza degli accidenti della ascensione, va come sfumando a misura che mi elevo nello spazio. Sembra che avvelenandosi il sangue coi prodotti della fatica, e consumandosi l'energia del sistema nervoso, diventino meno favorevoli le condizioni fisiche del pensiero e della memoria. E questo è per me tanto più singolare, in quanto che ho una memoria felice dei luoghi. Parecchi alpinisti che ho consultato in proposito, furono d'accordo meco nell'ammettere che l'ultima parte di un'ascensione rimane poco impressa nella memoria. L'avvocato L. Vaccarone, noto per le sue intrepide ascensioni, uno degli scrittori più autorevoli del Club alpino italiano, mi raccontava di essere obbligato a prendere degli appunti durante la marcia, perchè la séra ritornando da un'ascensione non si ricorda quasi di nulla. Il giorno dopo, cessata la stanchezza, gli ritornano alla memoria molti particolari che credeva aver dimenticati completamente. La incompatibilità che esiste tra il lavoro del cervello e quello dei muscoli, lo studio dell'azione eccitante dell'esercizio, il limite massimo fino dove questo può spingersi conservandosi utile, e il danno che ne proviene all'attività cerebrale, quando si eccede col moto, sono dei fatti che meriterebbero di esser presi in maggior considerazione, da quanti stabiliscono gli orari dei collegi e degli istituti d'istruzione. Il professor G. Gibelli mi disse che nelle escursioni botaniche gli scema la memoria appena egli comincia a stancarsi. Anche delle piante più comuni gli capitò spesso di non trovare più il nome. Riposandosi scompare rapidamente questo fenomeno della stanchezza. Delboeuf nel suo studio pregevolissimo sulla misura delle sensazioniDELBOEUF, Eléments de Psychophysique. Paris; 1883, pag. 52. rammenta che i miopi mettono gli occhiali per sentire meglio, perchè cosi diminuiscono la fatica che viene dalla visione confusa.

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Per tali esperienze abbiamo potuto persuaderci che la fatica non scompare, e che a misura che uno va stancandosi si prolungava il tempo della reazione fisiologica e bastavano pochi minuti di riposo, perchè l'attenzione rendesse uno più pronto alla risposta, quando veniva eccitato da una corrente elettrica, che lo pungeva nella mano o nel piede. Fechner aveva già rilevato che l'attenzione non dipende da ciò che i nostri sensi funzionino meglio. L'occhio, come abbiamo detto, non diventa più sensibile per effetto dell'attenzione; gli oggetti non ci sembrano più chiari, nè le immagini successive, dovute alla stanchezza, non sono più durevoli. L'attenzione, come dice Exner, agisce sulle parti del cervello dove le impressioni dei sensi sono già elaborate psichicamente fino ad un certo punto.

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Oltre l'attitudine che abbiamo di vedere e di sentire le cose esterne, noi abbiamo l'attitudine di vedere e sentire le impressioni, che gli oggetti esterni hanno lasciato dentro il nostro cervello. La coscienza, come dice WundtOpera citata, p. 230., è la somma di tutte le rappresentazioni presenti contemporaneamente ed attive.Non è un vaso misterioso e trasparente, che contenga le immagini della memoria e della immaginazione, ma sono queste immagini stesse che si ridestano continuamente, che noi chiamiamo la coscienza; è il contenuto non il contenente che ci lascia l'impressione del nostro io.

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Ciò che chiamiamo immaginazione e vivacità dello spirito, è l'attitudine che abbiamo a svegliare rapidamente tutte le sensazioni semplici e complesse, le rappresentazioni, le emozioni, e gli stati psichici che dopo aver lasciato una traccia nel cervello erano rimasti come assopiti o semispenti. Abbiamo molti fatti i quali ci dimostrano che questo riaccendimento delle immagini ha luogo nei medesimi elementi nervosi, dove agirono primieramente le impressioni esterne. Se guardiamo una persona che ha paura del solletico, nel momento che fingiamo di toccarla, noi vediamo che essa prende l'atteggiamento e sta per difendersi, come se si riproducessero in lei coll'idea tutti i fenomeni che accompagnano il solletico. Montaigne ha scritto un capitolo interessante sulla forza della immaginazioneMONTAIGNE, Essais, pag. 45. dove dice: "Nous tressuons, nous tremblons, nous paslissons, et rougissons, aux secousses de nos imaginations: et, renversez dans la plume, sentons notre corps agité à leur bransle, quelquefois jusques à en expirer: et la jeunesse bouillante s'eschauffe si avant en son harnois, toute endormie, qu'elle assouvit en songe ses amoureux desirs." Nella immaginazione gli occhi della mente si rivolgono dentro e contemplano le impressioni che gli oggetti e le emozioni passate lasciarono nella memoria. Noi diciamo che sono poeti ed artisti quelli che sanno veder meglio queste immagini. Ad alcuni questa visione interna manca quasi completamente, altri invece hanno molta attittudine a risvegliare e studiare le memorie delle cose passate. Una grande profusione di immagini, di ricordi, di idee a poco servirebbe praticamente, se non avessimo la facoltà di scegliere fra esse, accostarle e ordinarle. In che modo però si faccia questa scelta, è difficile dire. Questo è uno dei punti dove i psicologi moderni fecero poca strada. Tutti ci siamo accorti che i fenomeni della memoria alcune volte si svolgono indipendenti dalla rostra volontà, e contro la rostra volontà, così che noi restiamo del tutto passivi, ed altre siamo noi invece che risvegliamo le idee e le associamo col lavoro della mente. MünsterbergH. MüNSTERBERG, Beiträge zur experimentellen Psychologie, Heft 1, pag. 67 e 72.dice "è possibile che la riproduzione delle immagini tanto quando è passiva, come quando è attiva, sia sempre un'associazione prodotta fisicamente, e che teoricamente non siano diverse, e solo appaiono differenti perchè una volta nel processo è mescolato un complesso di sensazioni che noi chiamiamo volontà, mentre che nell'altra volta manca; questo complesso di sensazioni potrebbe però esso pure essere un’ associazione passiva prodotta fisicamente, la cui influenza non è forse differente dall'influenza delle altre associazioni". Questo problema non può risolversi direttamente. Dalle ricerche che fece il prof. Münsterberg per trovare una soluzione in via indiretta risultò "che non vi è un limite che divida i processi psicofisici da quelli semplicemente fisici: i fenomeni più complessi della scelta volontaria sono essi pure dei fenomeni riflessi; e i fenomeni psichici che li accompagnano non hanno alcuna influenza apprezzabile. Il processo camminerebbe nello stesso modo anche se non fossimo coscienti dei membri intermedi; tuttociò che sapremmo, sarebbe egualmente una sensazione passiva, ed una riproduzione di sensazioni essa pure passiva, che la nostra coscienza percepisce senza poter intervenire nella loro successione". Tutto questo è vero; ma dobbiamo confessare francamente che qui vi è ancora una grande lacuna che la psicologia moderna non sa come colmare. Chiunque faccia attenzione a ciò che succede dentro di lui quando pensa, si sarà accorto che egli non assiste solo all'apparizione di immagini nel campo della coscienza, ma che egli stesso può raggrupparle, può svegliare altre idee, allontanarne alcune, e tutte ordinarle logicamente. La facilità che abbiamo di tirar giù uno scenario , levarlo e metterne un altro al suo posto, è la cosa più difficile a spiegarsi nel congegno delle nostre funzioni cerebrali. E più meravigliosa ancora, è la potenza che abbiamo di sospendere alcune volte tutta questa rappresentazione e di ottenere una pausa che dura qualche minuto. Della spiegazione di questi cambiamenti non abbiamo fino ad ora la più piccola idea. Secondo SpencerH. SPENCER, Principes de Psychologie, Tome II, p. 310. l'atto ragionevole deriverebbe dall'atto istintivo. Egli dice: "Le diverse divisioni che noi stabiliamo tra le nostre operazioni mentali, indicano solo delle modificazioni nei particolari, che servono a distinguere dei fenomeni essenzialmente simili; sono queste modificazioni che mascherano l'unità fondamentale di composizione di tutte le nostre conoscenze." "Il pensiero rimane dovunque identico non solo nella sua forma, ma anche nel processo. Il ragionamento il più elevato quando lo si considera sotto il suo aspetto fondamentale, è identico colle forme le più basse del pensiero, e identico all'istinto ed all'azione riflessa nelle loro manifestazioni anche le più semplici. Il processo universale dell'intelligenza è l'assimilazione delle impressioni. E le differenze che si manifestano nei livelli ascendenti dell'intelligenza dipendono dalla complessità crescente delle impressioni assimilate." Noi ci crediamo padroni del nostro io e delle determinazioni nostre, perchè ignoriamo i fenomeni psichici incoscienti, che precedono e determinano il nostro pensiero. Appena sentiamo che cessa in noi la facoltà di scegliere fra le varie idee che si affacciano alla nostra mente, appena cessa di essere cosciente il processo della rappresentazione che ci conduce ad un risultato psichico; appena un'idea s'impone e dura più dell'usato e ci sentiamo a lungo impotenti e passivi contro di essa, noi siamo pazzi.

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Noi abbiamo una sola parola per esprimere la fatica. La ragione di questa differenza è facile a comprendersi. Il deserto può essere piano, ondulato, montuoso, ricoperto di sabbia o di ghiaia o di roccie, secco od acquitrinoso, brullo per intero o con dei pascoli, e in una parola possiamo congiungere l'idea del deserto cogli attributi più svariati della natura: ma la fatica è un sentimento ed un fenomeno interno, che non presenta delle note caratteristiche e dei rilievi sufficienti da esprimere le varianti della sua fisonomia. Quando uno dice, fatica, voluttà, fame, sete, ognuno comprende a cosa allude e si può anche indicare il più ed il meno con degli aggettivi, ma non possiamo paragonare la esattezza di queste espressioni, alla determinatezza, infinitamente maggiore che lascia in noi la vista del deserto. Ciò che manca quando parliamo delle sensazioni nostre interne, è il peso e la misura: sono le sfumature e le gradazioni che non possiamo esprimere, sono le piccole differenze che non sappiamo apprezzare nel loro giusto valore; e più che tutto non possiamo trasportare l' espressione di questi fenomeni fuori di noi stessi, per raffrontarli coi fenomeni che provano gli altri, senza cadere nella più grande indeterminatezza. Nella fatica dei muscoli, se il lavoro fu piccolo sentiamo un po' di pesantezza; se la stanchezza fu eccessiva, proviamo una sensazione molesta e dolorosa che dura parecchi giorni. Il bisogno di riposarci dopo un lavoro del cervello, l'abbattimento che sentiamo dopo una grande emozione e dopo un dolore intenso, e qualche cosa di più vago, e di più indecifrabile, che non sia il dolore locale prodotto dalla fatica muscolare. Una grande complicazione nasce pure da ciò, che la fatica nervosa non agisce in tutti allo stesso modo, cosicchè non si può mai essere certi quando parliamo ad un altro delle nostre sensazioni interne, che egli le senta nello stesso modo nostro. Il dolore o il piacere che provo insieme ad un altro, per una medesima causa, posso supporre che siano eguali in entrambi, ma non ho alcun dato per affermarlo. Così è della fatica intellettuale, che non dobbiamo guardare quanto lavorano gli altri, ma quanto possiamo lavorar noi senza stancarci: è come dell'acqua nella quale prendiamo un bagno che par fredda ad uno e calda ad un altro. Gli organi interni noi non li sentiaino. Capita spesso che delle persone anche istruite, ignorano la posizione dei visceri nella cavità dell'addome e del torace. Questo non deve meravigliarci, perchè fino a che non si infiammano gli organi interni, i loro nervi non raggiungono il grado di sensibilità che è necessario ad eccitare i centri nervosi. Lo stomaco, le intestina (eccetto l' ultima parte del retto), l'utero, sono affatto insensibili alla temperatura; si possono bruciare e tagliare senza che sentiamo nulla. E così è del cervello. Galeno aveva già osservato che la sostanza del cervello, può venir toccata senza che si provi dolore. Per le molte osservazioni fatte sull'uomo e sugli animali, sappiamo sicuramente che si può tagliare il cervello strato per strato, senza che l'animale senta il più piccolo dolore. La chirurgia del cervello, che prese in questi ultimi tempi un grande slancio, ha confermato che anche nell'uomo il cervello è insensibile. Possiamo tagliare il fegato, ferire i museoli, la milza, i reni, senza che sentiamo nulla. I nervi sensibili i quali eccitati producono dolore, si trovano specialmente nella pelle, e la sensibilità nostra è diretta a difenderci degli agenti del mondo esterno, a procurarci degli eccitamenti piacevoli o dolorosi che siano utili per la nostra conservazione. L' incapacità nostra a giudicare delle sensazioni interne diventa evidentissima nei casi dove la differenza si stabilisce lentamente, come succede ad esempio nella febbre. Immergendo un dito, o la mano, nell' acqua calda fra latemperatura di 33° e 37°, possiamo distinguere una differenza,di 1/5 di grado. Se invece la differenza di temperatura succede poco per volta non ci accorgiamo neppure di una differenza di un grado e mezzo, o due gradi, come capita nella febbre, dove senza adoperare il termometro non sappiamo dire con esattezza quanto sia il calore interno. Spesso diciamo d'aver freddo, mentre abbiamo invece una temperatura, interna che supera la normale. Alcune malattie infettive gravissime, che sono capaci di produrre irremissibilment la morte, hanno un periodo di incubazione che passa affatto inosservato alla vittima: come certi veleni che non hanno sapore possono introdursi furtivamente nell' organismo ed uccidere senza produrre dolore. Una delle cose che meravigliano di più nello studio di alcuni veleni è la quantità minima, quasi imponderabile, con cui alcune sostanze alterano la vita delle cellule nervose e aboliscono la coscienza e la sensibilità producendo la morte senza che uno se ne accorga. La fatica, che pure dobbiamo considerare come un avvelenamento, può alterare la costituzione del sangue e le condizioni della vita, senza che l' avvertiamo o dando appena qualche segno oscuro di esaurimento. È un fatto accidentale (se mi si permette l'espressione) che l' uomo sia pervenuto a tale grado di civiltà da studiare sè stesso, e scrutare quanto succede dentro di lui. È un lusso questo che possono darsi i popoli inciviliti, ma l'uomo primitivo, come gli animali, era destinato semplicemente a lottare per la vita; e tutta la struttura sua corrisponde a tale scopo. Onde egli giudica con sicurezza solo quel che succede fuori di lui. Questo era necessario, e questo lo raggiunsero tutti gli animali nella lotta per l'esistenza. Non dobbiamo quindi meravigliarci se i fatti psichici sono meno atti allo studio, se i fenomeni soggettivi ci sfuggono, e la parola diviene pallida ed imperfetta appena cerchiamo di esprimere e di misurare un sentimento. È un bene per noi di essere poco sensibili internamente, perchè l'organismo nostro funzionando non dà troppa molestia al sistema nervoso, tutto intento alla lotta col mondo esterno.

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Quando pensiamo al cervello dell'uomo dobbiamo rammentarci che ad un estremo della scala abbiamo i grandi cervelli dei celebri pensatori, di Cuvier, di Volta, di Petrarca, di Schiller, di Byron, che pesavano da 1860 grammi a 1600 grammi. All'altro estremo della scala abbiamo i cervelli dei microcefali come quelli descritti dal professore GiacominiC. GlACOMINI I cervelli dei microcefali. R. Accademia di medicina di Torino, 1889. Archives italiennes de Biologie. Vol. XV. 1891.che pesano solo 170 grammi fino a 966 grammi. Dante aveva un cervello inferiore alla media degli uomini: e il cervello di Gambetta pesava appena 1180 grammi, cioè era di 140 grammi inferiore alla media delle donne. Questo dimostra senza bisogno di altri commenti che oltre alle differenze materiali del peso del cervello, ve ne devono essere delle funzionali nelle cellule nervose dei varî cervelli. Le differenze anatomiche diventano trascurabili di fronte alle differenze chimiche che si riscontrano nei processi della vita, entro un numero uguale di cellule, che hanno la stessa forma e il medesimo aspetto.

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Abbiamo detto pare che essi abbiano avversione alle Alpi, perchè in realtà sul Cenisio e a Fenestrelle abbiamo delle stazioni militari di colombi viaggiatori, e dalle informazioni pubblicate dal capitano Malagoli non risulta che le perdite di essi, nei loro viaggi, siano maggiori di quelle che sogliono essere per i colombi del piano.

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La medesima distinzione che abbiamo fatta per l'appetito, dobbiamo pure fare per il sonno; cioè un lavoro moderato, che ci affatichi senza però stancarci, ci dispone al sonno: lo strapazzo del cervello invece produce l'insonnia. Dopo una giornata passata in un lavoro intenso, se alla sera ci mettiamo ancora a tavolino, ci accorgiamo che le nostre idee sono confuse, che lavoriamo con svogliatezza , che anche la memoria non ci serve bene. Un mio amico poeta, mi raccontava che non trova più le rime quando alla sera si mette a comporre, mentre è stanco. Tutti alle volte proviamo una certa difficoltà a seguitare un ragionamento; tutti sentiamo un tal quale torpore della intelligenza, un che di vago e di indefinito che ci avverte della stanchezza del cervello. Alcune difficoltà, che al mattino ci sarebbero parse risibili, alla sera non sappiamo come vincere; perdiamo ogni fiducia nella forza della nostra mente; e anche la volontà, diviene fiacca. Le lettere dello scritto o dello stampato ci ballano dinanzi agli occhi. Le palpebre ci si fanno pesanti, gli occhi ci dolgono e fra gli sbadigli cessiamo di lavorare. Fr. Galton in uno scritto assai pregevole sulla fatica mentaleFR. GALTON, Recherches sur la fatigue mentale - "Revue scientifique" 1889, I, pag. 98., raccolse delle esperienze dalle quali risulta che alcuni scolari non scrivono più con buona ortografia quando sono stanchi, e che saltano delle parole scrivendo. Nella fatica del cervello osservansi del fenomeni che hanno una certa rassomiglianza con quelli che si verificano nei muscoli dopo una lnnga marcia. Tutti abbiamo provato quell'indolenzimento delle gambe, che ci impedisce di camminare dopo che ci siamo seduti per riposarci. Così è del cervello, chè, quando siamo stanchi di un lungo lavoro, ci costa una grande fatica il riprenderlo. Un mio amico che fece un corso sulla poesia drammatica, mi raccontava che spesso dovendo lavorare fino ad ora inoltrata della notte si accorgeva di essere stanco dalla crescente difficoltà nel leggere l'inglese; e che talora dopo di aver scorso qualche pagina di un autore spagnuolo, rimaneva come inceppato e trattenuto nella lettura, se prendeva in mano un autore tedesco od inglese. Il male di capo che succede ad un intenso lavoro cerebrale, corrisponde all' indolenzimento che proviamo nei muscoli delle gambe, dopo una lunga marcia o all' irrigidimento e alla molestia che proviamo nei muscoli del braccio, dopo un primo esercizio del giuocare al pallone. Vedremo più tardi che basta un leggero edema e un piccolo disturbo nella circolazione linfatica, per produrre l'incapacita a pensare. In me la fatica degli occhi precede la fatica del cervello, e non reggo ad un lavoro intenso al tavolino che quattro o cinque giorni di seguito. Scrivendo questo libro ho avuto più volte occasione di ripetere la prova. Fino a che dura la scuola, le lezioni di ogni giorno e le occupazioni del laboratorio, colla loro varietà, fanno che non mi stanchi molto il cervello: perchè studio rarissime volte la notte. Ma se in una settimana di vacanza, io mi abbandono alla foga del lavoro per dieci o dodici ore di seguito, dopo tre o quattro giorni devo fermarmi. La sera del terzo o quarto giorno soffro di mal di capo, e mi accorgo nel camminare di una leggera incertezza di movimenti delle gambe, benchè i muscoli si contraggano spediti come al solito. L'appetito mi si conserva buono. Ho caldo alla testa e in varie parti del corpo sento come un leggero formicolio e delle vampe fugaci di caldo e freddo appena riconoscibili. Provo una leggera stanchezza ai lombi. Alla sera, coricandomi, devo aspettare mezz'ora, ed anche un'ora talvolta, prima di addormentarmi, il che per me è moltissimo, e dormo male e mi sveglio sognando. Alla mattina, alzandomi, ho gli occhi rossi e cisposi: mi sento stanco, il riposo della notte non è bastato per rimettermi bene. I muscoli in varie parti del corpo sento un po' indolenziti, la mano si affatica facilmente nello scrivere ed ho sempre una tal quale pesantezza al capo. Chiudo i libri, metto da parte i miei scartafacci, e dopo ventiquattro ore di svago sono guarito.

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Un’ esperienza che tutti abbiamo fatto è questa di guardare il sole e poi di chiudere gli occhi, oppure quando è notte di fissare la fiamma di una candela o di un cerino. Tutti ci siamo accorti che rimane una immagine nell'occhio come un cerchio, che nel principio è chiaro e scolorato nel centro, quasi giallo, ma che presto diventa rosso intorno ai bordi. "Dura però un certo tempo prima che il colore porpora, dalla parte periferica penetri al centro, ricopra l'intero cerchio e faccia scomparire completamente il punto di mezzo che rimane chiaro a lungo. Ma appena l' intero cerchio prende un colore di porpora, incomincia il bordo a diventare azzurro, e il colore azzurro fa scomparire poco per volta fino al centro il color porpora. Quando questa trasformazione è compiuta, incomincia il bordo a diventare oscuro e poco per volta la macchia scompare." Io era nell'arsenale di Torino quando si è fuso il primo cannone da cento; e ho assistito all'aprirsi dei forni per far colare il ferro nella forma. I miei occhi rimasero tanto abbagliati, che mezz'ora dopo l'impressione di quella luce vivissima io continuavo a vedere dinanzi a me ad occhi chiusi, una macchia luminosa. Göthe notò l'azione che la debolezza esercita sull'occhio, ed ecco come egli si esprime: "Chi passa dalla lace chiara del giorno in un luogo oscuro, nel primo momento non distingue nulla, e solo a poco a poco riacquistano gli occhi la loro attività: gli uomini forti riacquistano la visione distinta prima di quelli deboli. I primi in un minuto, mentre che i deboli impiegano fino ad otto minuti ". Questa osservazione di Göthe sulla durata maggiore che hanno i fenomeni della fatica sui deboli, è importantissima per lo studio che ora facciamo: nè meno importanti sono le sue ricerche sulle immagini colorate. "Come le immagini senza colore lasciano una impressione nell'occhio, così anche le immagini colorate lo fanno. Si tenga un piccolo pezzo di carta intensamente colorata, oppure un pezzo di seta dinanzi ad una superficie bianca, e lo si fissi lungamente, e poi lo si levi senza muovere l'occhio, si vedrà comparire immediatamente uno spettro di un altro colore sul fondo bianco, al posto dell'oggetto che osservavamo. Il colore giallo fascia dopo di sè un'immagine di color violetto, l'arancio dà l'azzurro, il color porpora il verde e viceversa. "Assai più spesso di ciò che noi pensiamo ci compaiono davanti questi casi nella vita comune; e chi sta attento vede questi fenomeni da per tutto; mentre che le persone non istruite credono che sia un difetto fugace dell'occhio, oppure, come se fossero i sintomi precursori di una malattia dell' occhio, se ne preoccupano seriamente. Alcuni casi importanti possono trovare qui il loro posto. "Essendo entrato, racconta il Göthe, verso sera n un albergo, venne nella stanza una bella ragazza col volto di un bianco splendente, con dei capelli neri ed un giubbetto rosso scarlatto. Io la guardai fissa nella luce crepuscolare, mentre stava dinanzi a me ad una certa distanza. Essendo andata via, dal posto dove era, mi si dipinse sulla parete bianca della camera, un volto nero, circondato da una piccola aureola chiara: e la figura interna vestita di un bel verde marino".Opera citata. pag. 19.

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Questo è vero in alcuni casi, quando abbiamo affaticato una regione limitata del cervello con un lavoro monotono. E ciò accade soltanto quando siamo forti, ma se siamo deboli non è più cosi. Ne ho fatto in questi giorni la prova. Stavo scrivendo gli ultimi capitoli di questo libro, quando mi colse l'iniluenza e dovetti stare a letto parecchi giorni colla febbre. Mi ero già alzato da una settimana e benchè non mi sentissi guarito del tutto, avevo ripigliato a scrivere: lentamente sì, ma il lavoro procedeva abbastanza bene. Quando capitò un mio amico, un professore tedesco, venuto in Italia col proposito di imparar l' italiano. Io non potevo naturalmente sconsigliarlo e invece di discorrere in tedesco come eravamo abituati, egli cominciò a parlare italiano. Sembra che non avrei dovuto stancarmi, perchè la conversazione si manteneva forzatamente nei limiti di proposizioni semplici e facili. Per parte mia dovevo stentare un po' a capirlo e correggerlo, del resto nulla. Ma quanto ho sofferto, quanto mi sono esaurito, non può iminaginarlo se non chi l'ha provato. Dopo mezz' ora, gli proposi d'uscire e così mi ritirai un momento nella mia camera per riposarmi. Io speravo che l'aria libera avrebbe giovato a distrarmi: ma fu peggio; perchè si moltiplicarono d'un tratto le occasioni per chiedermi il nome delle cose che si vedevano intorno. Se queste righe gli capiteranno sotto gli occhi spero vorra perdonarmi, perchè anch'egli è medico e comprenderà che una volta che mi ero messo in capo di fare un' esperienza su di me stesso, egli è innocence della mia caparbietà. Dopo un' ora di questa conversazione, che in altre circostanze non mi avrebbe certo affaticato, io ritornai a casa come disfatto e ho dovuto mettermi disteso su di un canapè e far chiudere le imposte; ero così stanco che mi parve di soffrire un principio di vertigine. La fatica quando è molto forte, sia che ci siamo stancati in un lavoro intellettuale od in un lavoro muscolare, produce un cambiamento nel nostro umore e diventiamo più irritabili, sembra quasi che la fatica abbia consumato ciò che vi era di più nobile in noi, quell'attitudine per la quale il cervello dell' uomo civile si distingue da quello dell'uomo primitivo e selvaggio. Non sappiamo più dominarci quando siamo stanchi, e le passioni hanno degli scoppi violenti che non possiamo più trattenere e correggere colla ragione. L'educazione che teneva compressi i moti involontari rallenta i suoi freni, e succede di noi come se discendessimo alcuni gradini più in basso nella gerarchia sociale. Ci manca la resistenza al lavoro intellettuale, e la curiosità e la forza dell' attenzione, che sono le caratteristiche più importanti dell'uomo superiore ed incivilito. Le persone che soffrono di malattie croniche del sistema nervoso, sono generalmente irascibili. Vedremo più tardi che l'isterismo è uno stato del sistema nervoso paragonabile a quello che producesi per effetto della fatica. La fisonomia espressiva, il gesto vivace, la potenza dello sguardo, e lo stato nervoso che caratterizza gli artisti, la melanconia, o l'eccessiva allegrezza, e certe abitudini e modi che possono ad alcuni sembrare strani, dipendono in loro, per grande parte, dalla diminuita resistenza del sistema nervoso, da una specie di esaurimento e di isterismo, prodotto dalla fatica continua del cervello. A questo eccitamento che si nota in alcuni, fa riscontro in altri una depressione della sensibilità. È come il cavallo stanco che non reagisce più alla frusta. Molti avranno provato uno stato simile dopo una lunga marcia. La stanchezza, passato il primo periodo della eccitazione, si trasforma poco per volta in un esaurimento che ci rende insensibili, che ci procura una emozione piacevole, e si è meravigliati di non più sentire lo sforzo del camminare, quasi andassimo innanzi per la sola forza acquistata. Nel giornale dei GoncourtJournal des Goncourt. T. 1, pag. 219. è descritto questo fenomeno: "L'excès du travail produit un hébétement tout doux, une tension de la tête qui ne lui permet pas de s'occuper de rien de désagréable, une distraction incroyable des petites piqûres de la vie, un désintéressement de l'existence réelle,une indifference des chores les plus sérieuses telle, que les lettres d'affaires très pressées, sont remisées dans un tiroir, sans les ouvrir."

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Essi credono, ad esempio che, se abbiamo disponibile una certa quantità di forza, la quale serva a far muovere i muscoli, questa potrà esaurirsi nelle marcie o nelle contrazioni muscolari, lasciando intatta quella provvigione di energia che il sistema nervoso tiene in serbo per il lavoro del cervello. E questa, provvigione d'energia possa rimanere distinta dall'accumulo di forza che serve alle funzioni genitali e via dicendo. Io non credo che il nostro organismo sia fatto a questo modo. Vi è una provvista unica di energia nel sistema nervoso; e sebbene dobbiamo ammettere delle localizzazioni, queste non sono però tali che funzionando un organo con molta attività, non ne risentano danno anche gli organi prossimi. L'esaurimento della forza è generale: e possono consumarsi tutte le provviste dell'energia, esagerando un' attività, qualunque dell' organismo. Dalle esperienze che ho fatto sulla fatica, risultò che esiste una sola fatica, la nervosa; questa è il fenomeno preponderante, e anche la fatica muscolare è nel fondo una fatica ed un esaurimento del sistema nervoso. La complicazione più grave nello studio della fatica, nasce da ciò che non in tutto l' organismo si consuma allo stesso modo. I prodotti generatisi nella fatica alcuni li sentono più ed altri li sentono meno. Studiando la forza dei muscoli prima e dopo la lezione su varii miei colleghi ho potuto convincermi della grande differenza che esiste in tale riguardo. Nel professor Aducco, per esempio, la lezione produce un eccitamento nervoso che gli dà una forza maggiore dei muscoli. Avevamo osservato questo aumento parecchie volte quando egli mi suppliva nella scuola, ma trattandosi di pubblicare un tracciato di queste esperienze, lo pregai di lasciarmi un ricordo della sua prima lezione. Quando fu nominato professore di fisiologia nell' Urniversità di Siena, egli cominciò tre giorni prima della sua prolusione a scrivere coll'ergografo la curva della fatica del dito medio della mano sinistra, sollevando tre chilogrammi col ritmo di due secondi. Questi tracciati egli faceva quattro volte al giorno, alle 9 e alle 11 ant., poi andava a far colazione e ritornava all'1 e alle 4 a fare un altro tracciato. La figura 17 rappresenta la serie delle contrazioni

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Nella fatica del far lezione abbiamo due fatti. L'uno è la fatica prodotta dagli stati psichici intellettuali,

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Certo nella nutrizione del cervello devono succedere del fenomeni complicatissimi, alcuni dei quali cominciamo oggi ad intravedere e di altri che pure esistono non abbiamo ancora la più piccola idea. Le sostanze velenose che si producono continuamente nel nostro organismo, e che si distruggono continuamente, devono essere la causa di queste variazioni. Probabilmente lo stomaco e gli intestini sono la sede più importante dei mutamenti che succedono nella disposizione dell'animo nostro. Questo concetto è tanto antico quanto è vecchia la medicina, perchè la parola stessa malinconia vuol dire bile nera in greco. Non fa bisogno di essere medici per aver conosciuto delle persone melanconiche, che sono di cattivo umore, che hanno paura e non sanno perchè. Dall' esame del loro corpo non si trova che sia lesa alcuna funzione, ma lo stato del loro animo è depresso, piangono e sono inquieti. Un mio amico, il professore Alberto Budge, rapito ora sono pochi anni alla scienza, soffriva di una grave malinconia. Mi ricordo sempre l'impressione dolorosa che provai quando essendo stato a visitarlo in Greifswald, dopo aver fatto insieme una lunga passeggiata nelle foreste sulle sponde del mar Baltico, egli volle farmi vedere ciò che gli dava maggior molestia nella vita. Mi condusse nel suo laboratorio ed aperta la porta della scuola disse: "Vede questi pochi passi che devo fare per andare alla cattedra, essi ogni giorno mi fanno venir voglia di rinunziare all' insegnamento. Quando vi sono gli studenti è come se camminassi sulla gronda di una torre. Sento una forte palpitazione e tremo. Qualche volta ho provato anche le vertigini ad entrare nella scuola e sempre vado avanti a tastoni che non distinguo nulla. Il mio assistente lo sa e l' ho pregato di starmi vicino fino a che non mi sia seduto, perchè temo di cadere". Ma lasciamo questo triste ricordo. Io credo che il professor A. Budge soffrisse in legger grado della malattia, alla quale Westphal diede il nome di agorafobia. Ma quando glielo dissi, egli mi avvertì che poteva attraversare le piazze e le strade senza provare alcuna ansietà, e che camminava solo per la città senza farsi mai accompagnare. Generalmente i professori quando si preparano a far lezione prendono degli appunti sopra di foglietto. Una parola basta loro per indicare tutta una serie di fatti. Coloro che hanno una lunga pratica dell'insegnamento fanno a meno anche di questa traccia. So di un collega che segnava delle cose strane, specie di geroglifici, delle figure che facevano scoppiare dalle risa e che capiva lui solo. Egli mi diceva: io vedo il foglietto come si vede la falsa riga, e so esattamente punto per punto, come devo regolarmi anche per l'intonazione della voce. E il mio foglietto lo rammento così bene, quantunque io l' abbia in tasca, che so quando arrivo nel parlare in fondo alla pagina e devo voltarlo nella memoria. Finalmente vengono i professori che qualche volta improvvisano la lezione su quei capitoli della scienza dove essi hanno fatto degli studi speciali. Sono le ore più deliziose nella carriera dell'insegnante queste dove uno può esporre dei concetti proprii, e abbandonarsi quasi in balìa dell' onda corrente di cose lungamente meditate. La sola incertezza che si prova è che non si sa come andrà, a finire la lezione. Ma l'uditorio capisce subito che avete abbandonato il terreno volgare dei manuali per lanciarvi nelle sfere superiori della scienza; e ve ne accorgete dal fatto che tutti gli occhi vi guardano più intenti e che la scolaresca è divenuta più immobile. Chi vi ascolta partecipa alla vostra emozione, perchè egli sente che attinge alla fonte donde scaturisce una nuova dottrina. Egli comprende che la trepidazione vostra non nasce dalla incertezza del pensiero, che anzi vi anima e vi trascina la foga delle idee, e che cercate solo la forma più esatta per rivestire i vostri concetti, per abbellire colla parola un pensiero lungamente accarezzato. Sono queste le ore che vi ringiovaniscono, in cui sentite il fuoco sacro della scuola; in cui avete la certezza che nessun trattato, nessun libro può supplirvi ed eguagliarvi nell'efficacia dell'educare. I concetti, le idee nuove espresse da voi in quel momento, dalla voce che sentite risuonare nell'aula, dischiuderanno nuovi orizzonti nelle menti dei giovani che vi ascoltano, e dureranno in alcuni di essi come un ricordo affettuoso per tutta la vita, e vi rallegra la speranza, che forse da una di quelle fronti giovanili irradierà la gloria, alla quale voi avete aspirato invano.

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È inutile che io avverta che il dottor Maggiora non aveva adoperato in nulla la mano altro che per l'esperienza della quale abbiamo dato ora il tracciato. Alle sei egli pranzò, alle sette ritornò al laboratorio per scrivere un terzo tracciato, dal quale si vede che la forza del muscoli è già alquanto cresciuta, quantunque di gran lunga inferiore alla normale. Vedendo questa diminuzione tanto considerevole della forza muscolare, in seguito ad un lavoro del cervello, il primo pensiero che viene alla mente è che la fatica qui osservata abbia un'origine centrale, che sia cioè la volontà che non può più agire con eguale forza sui muscoli, perchè la fatica dei centri psichici si è diffusa ai centri motori. L'esperienza seguente mostra che la cosa è molto più complessa.

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Esaminiamo questa seconda ipotesi, poichè della prima abbiamo già fatto un cenno nel capitolo quinto. Sappiamo che quando il cibo è insufficiente, si diventa magri. La prima cosa, che scompare è il grasso, poi si consumano anche i muscoli; ma sono specialmente gli organi interni che si atrofizzano. Nella morte per fame, la milza ed il fegato diminuiscono più della metà del loro peso normale. I muscoli hanno perduto il 30 per cento. Solo il cuore ed il cervello non deperiscono, o non diventano magri, se così posso esprimermi, nella morte per fame. Quando Chossat nel 1843 annunciò il fatto che il cervello resiste fino all' ultima ora, nello sfinimento cagionato dalla mancanza di cibo, fu una grande meraviglia per i fisiologi. Molti non potevano persuadersi che il cervello fosse così resistente, e sopravvivesse a tutti gli altri organi: ma ripetendo le esperienze del Chossat dovettero convincersi che negli animali e nell'uomo che muoiono di inanizione il cervello non diminuisce di peso. Ma se il cervello è l'organo nel quale è più attivo il ricambio della materia, come può spiegarsi che non diminuisca di peso il cervello, mentre deteriora tutto il corpo? Per comprendere la supremazia del cervello e il meccanismo col quale tutti gli organi del corpo nella inanizione si distruggano per nutrirlo, devo ricordare alcune osservazioni che il prof. Miescher di Basilea fece intorno ai salmoni. Questi pesci che vivono nell' oceano atlantico e nel mare del Nord, si avvicinano in marzo allo sbocco dei grandi fiumi, e dopo essersi trattenuti un po' per abituarsi all'acqua dolce si incamminano contro la corrente. Nel Reno il salmone giunge fino alle Alpi: ma appena entrato nell'acqua dolce non mangia più. Di circa 2000 salmoni che il prof. MiescherMIESCHER, Statistische und biologische Beiträge zur Kenntniss vom Leben des Rheinlachses. Internationale Fischerei- Ausstellung zu Berlin 1880. esaminò in Basilea durante lo spazio di quattro anni non ne trovò uno che avesse qualche cosa nello stomaco. Su ciò non vi è dubbio: che il salmone dal momento che entra nel Reno fino a quando ha deposto le uova, e le ha fecondate, non mangia. Ma il suo organismo subisce in questo frattempo una trasformazione interna profondissima. I salmoni quando arrivano dal mare sono molto grassi, hanno la carne rossa e gustosissima, la pelle bruna con delle macchie rosse, e quando ritornano al mare, dopo parecchi mesi di digiuno, sono irriconoscibili, tanto sono magri; la pelle ha un colore più chiaro e la loro carne divenuta bianca è meno gustosa, e poco stimata. Mentre i salmoni percorrono più di mille chilometri contro la corrente e giungono oltre Basilea, le ovaie nel corpo delle femmine vanno continuamente crescendo in volume. Alla, fine di luglio le ovaie pesavano solo il 4 per cento dell'intero corpo, alla fine di novembre pesano il 25 per cento. Il grasso ed i muscoli si consumarono poco a poco, e la loro sostanza dopo di essersi liquefatta passò nel sangue e andò a formare le ova: cosicchè le ovaie prendono uno sviluppo così enorme che contengono da sole la terza parte di tutte le sostanze solide del corpo. Una trasformazione analoga succede nel maschio. I testicoli rappresentano nell' inverno solo la millesima parte in peso del corpo: ma entrato il salmone nell'acqua dolce il sangue vi affluisce più copioso, ed in agosto questi organi sembrano infiammati, tanto è viva in essi la circolazione. Intanto i muscoli diminuiscono continuamente di volume e si sciolgono poco per volta, e la loro materia albuminosa serve ad alimentare il testicolo, che, come l'ovaia nella femmina, cresce e va preparandosi all'opera della riproduzione. In settembre e in ottobre i testicoli sono divenuti cinquanta volte più grossi di ciò che erano in principio, e in novembre cambiano ancora di aspetto e da una massa bigia e gelatinosa diventano bianchi e sono turgidi di un liquido che rassomiglia al latte, tutto pieno di spermatozoi. Le trasformazioni della materia viva studiate dal prof. Miescher nell'interno dei salmoni, il dislocamento dei corpi albuminosi dai muscoli verso gli organi della generazione, sono un fatto importantissimo; e della conoscenza nei più minuti particolari di questa trasformazione la fisiologia è grata alle indagini perseveranti dell'illustre fisiologo di Basilea. Il salmone che vive parecchi mesi nella corrente impetuosa del Reno digiuna non solo, ma deve pure consumare una parte della energia dei muscoli e del sistema nervoso nel lavoro continuo del nuoto. Secondo i calcoli del prof. Miescher un salmone del peso di 10 chilogrammi perde circa 7 grammi di peso ogni giorno. Malgrado questa perdita, malgrado la mancanza del cibo, vi è nell'interno del corpo una trasformazione profondissima. Il prof. Mieseher con una serie di pesate diligenti vide che i muscoli del dorso si atrofizzano a misura che crescono le ovaie; e la diminuzione dei muscoli, segue esattamente l'ingrossarsi delle ovaie. Uno dei fatti più importanti che risultò da questo studio è che dall'albumina, dal grasso e dai fosfati del muscolo può l'organismo per mezzo di operazioni chimiche speciali, produrre delle nuove combinazioni caratteristiche, e fra queste vi è la lecitina. Questa sostanza è contenuta in grande quantità non solo nelle ovaie dei pesci, ma anche nel nostro cervello. Ed è perciò che io ritengo probabile che non solo nel digiuno, ma anche nell' esaurimento del cervello, prodotto da un eccessivo lavoro, possano i muscoli cedere al cervello per mezzo del sangue una parte dei loro corpi albuminosi. I tessuti meno importanti vengono sacrificati per i primi nell'incendio che dovrà distruggere la vita, quando non si dà più alimento al nostro corpo. Fino all' ultimo momento, fino a che è possibile di salvare l' esistenza, si consumeranno tutti gli organi, eccetto il cuore ed il cervello; e anche quando il cuore sarà ridotto dalla fame agli estremi e la temperatura del sangue discesa a 30° e le contrazioni cardiache divenute più deboli e meno frequenti, esso che fu il primo a muoversi nella vita, continuerà fedele fino all' estremo nel suo officio, e raccoglierà gli ultimi residui dell'energia negli organi atrofizzati per darli al cervello. E l’ ultimo prestito, l'ultima cessione della materia viva del corpo al cervello sarà fatta coll'ultima sistole del cuore. Meraviglioso esempio di un organamento dove la supremazia dell’ intelligenza è rispettata e nutrita fino nella estrema, nella più terribile delle dissoluzioni, nella morte per fame.

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Nel principio di questo capitolo abbiamo paragonato i tracciati scritti dal prof. Aducco e dal dottor Maggiora: facciamo tale raffronto anche per la fatica intellettuale degli esami. Il 16 ottobre 1890 il prof. Aducco mi supplisce nella commissione degli esami di fisiologia, e mi fa anche il favore di eseguire un' esperienza per studiare i cambiamenti della curva della fatica. All' 1,30 pom. scrive il tracciato coll' ergografo, sollevando tre chilogrammi ogni due secondi col dito medio della mano sinistra. Egli fa. 40 contrazioni per esaurire la forza dei muscoli flessori. Il lavoro meccanico compiuto sommando l'altezza di tutte le contrazioni e moltiplicando per 3 è uguale a chilogrammetri 4.416 Alle 2 pom. cominciano gli esami di fisiologia. Si sono presentati 16 studenti in questo primo giorno e il prof. Aducco deve interrogarli tutti lui. Dopo i primi sette esami si fa una breve pausa di mezz'ora. Il prof. Aducco ritorna al Laboratorio e scrive un altro tracciato coll'ergografo. Numero delle contrazioni 56 Lavoro meccanico chilogrammetri 5.106 Si ripete dunque lo stesso fatto che abbiamo veduto per le lezioni, che cioè la fatica intellettuale aumenta la forza dei muscoli nel professor Aducco, e che vi è in lui un eccitamento centrale che compensa il danno che reca al muscolo la fatica. Ritornato all Università si ricominciano gli esami che durano fino alle sette. Dopo un lavoro intenso del cervello continuato per 5 ore e mezzo il professor Aducco scrive nuovamente il tracciato, ma questa volta comincia a diminuire la sua forza. Numero delle contrazioni 38 Lavoro in chilogrammetri 4.131 Si vede dunque che l'aumenta della forza è cosa passeggiera e che la diminuzione della forza nei muscoli si produce anche nel prof. Aducco quando il lavoro del cervello si prolunghi per un tempo abbastanza lungo. Altre esperienze fatte dal prof. Aducco sull' influenza degli esami diedero il medesimo risultato. Per brevità mi astengo dal riferire i risultati di queste esperienze, ma desidero riferire per ultima un' esperienza nella quale si vedono consociati i due effetti del lavoro intellettuale e di una emozione. Il giorno 29 ottobre 1890, alle 2 pom., il professore Aducco scrive il tracciato normale coll'ergografo sollevando 3 chilogrammi col dito medio della mano sinistra ogni due secondi: fa 38 contrazioni e il lavoro meccanico di chilogrammetri . 3.897 Cifra quasi eguale a quella trovata in un altro tracciato che aveva fatto il mattino. Gli esami cominciarono come al solito alle 2, ed essendovi solo quattro esami il lavoro intellettuale era di un'ora e venti minuti: ma disgraziatamente fra i candidati si presentò un suo amico, che il professore Aducco con suo grande dispiacere dovette rimandare. Quest' ultimo esame lo impressionò molto, e ritornato al laboratorio, rosso in volto, scrisse alle 3.30 il tracciato della fatica che consta di 47 contrazioni che rappresentano il lavoro in chilogrammetri di. 5.112 Alle 6 ritornò a scrivere il tracciato della fatica: fece 43 contrazioni e il lavoro meccanico di chilogrammetri. 4.368 Dove si vede che l'effetto eccitante della emozione non era ancora scomparso dopo tre ore. Dobbiamo ora cercare la causa per la quale aumenta la forza dei muscoli nel primo periodo della fatica intellettuale e nelle emozioni. Questa è un' altra perfezione meravigliosa del nostro organismo. A misura che si consuma l'energia del cervello e si indebolisce l'organismo aumenta l’eccitabilità del sistema nervoso. Qui appare un congegno automatico col quale la natura provvede ad una difesa più efficace dell'organismo a misura che questo si indebolisce. Vi è un aumento nell' acutezza dei sensi e nella eccitabilità del sistema nervoso quando un animale diviene meno atto a combattere per effetto del digiuno e della fatica. Ne abbiamo un esempio nel fatto che le persone meno forti e robuste sono più sensibili. Nei malati gravi la denutrizione altera i centri nervosi, e produce un' agitazione grande, delle scosse e delle convulsioni. Le vigilie, il lavoro intellettuale esagerato, destano gli accessi convulsivi nelle persone che vi sono predisposte. Alcuni sventurati che soffrono di epilessia sperano di rendere meno forti gli insulti con indebolire il sistema nervoso con qualche eccesso, e specialmente coll'amore, ma l'esperienza dimostra infallantemente che la malattia peggiora. Le convulsioni epilettiche si ripetono più spesso e più forti quanto più si esauriscono le forze del sistema nervoso. Parlerò ancora di questo nel prossimo capitolo; intanto abbiamo veduto che la differenza tra il dottor Maggiora e il prof. Aducco per il loro modo di comportarsi nella fatica intellettuale è più apparente che reale. Nel prof. Aducco il primo periodo della fatica, cioè l'eccitamento, dura a lungo, ma anche in lui compare infine la debolezza dei muscoli. Nel dottor Maggiora il periodo dell'eccitamento dura poco, e vi succede subito l'esaurimento. Nello studio dei fenomeni nervosi dobbiamo dare poca importanza alla intensità ed alla durata loro purchè la successione e l'ordine dei fenomeni e la loro concatenazione colle cause rimanga costante. Succede la stessa cosa per tutti i medicamenti. Nel mio Laboratorio ebbi a fare molte prove in proposito: ne cito una sola che vale per tutte: benchè si tratti delle cose pia elementari della medicina. Avevo bisogno di fare delle esperienze sul cuore e sul respiro durante l'azione del cloroformio. Parecchi miei amici e colleghi si prestarono con grande abnegazione ad uno studio che non era senza pericolo. Il prof. L. Pagliani mi aiutava, e siccome durante l'esperienza dovevo stare attento ai miei apparecchi, avevo bisogno di un amico come lui, che mi inspirasse la più grande fiducia per affidargli la cloroformizzazione. Un giorno capitò che uno dei nostri amici perdette la coscienza dopo poche inspirazioni, dopo aver inalato al massimo due grammi di cloroformio. Fummo sorpresi: ma sapevamo che alcune persone molto sensibili erano morte per una dose eguale ed è per questo che procedevamo sempre colla massima cautela. Nel giorno successivo il prof. Daniele Bajardi si offrì gentilmente per farsi cloroformizzare. Era il medesimo cloroformio e ne inalò circa 50 grammi senza provare alcun effetto. Gli domandammo ciò che intendeva di fare ed egli ci disse di continuare a dargliene dell'altro, che avrebbe finito per addormentarsi. Si continuò per quasi mezz'ora e finalmente perdette la coscienza e poi la sensibilità quando si erano consumati oltre cento grammi di cloroformio. Finita l'esperienza e svegliatosi, fu tanta la quantità di cloroformio che egli eliminava dai polmoni che parlando con lui si sentiva dal fiato l'odore. Ritornato a casa dopo più di un'ora, i suoi parenti si lamentarono della puzza che egli aveva portato in casa e che essi non sapevano cosa fosse.

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Nel cervello succede quanto abbiamo provato tutti nelle marce. Dopo un'ora di cammino siamo meglio avviati, le gambe si sgranchiscono e si snodano, i passi diveutano più sciolti e si produce in noi un eccitamento piacevole che ci incalza come se fossimo divenuti più leggeri e più svelti. Vi è qui una delle perfezioni più sublimi della nostra macchina la quale funzionando non si deprime e non scema la sua forza, ma diviene anzi più atta al lavoro. Le scorie e le ceneri che cadono nel focolare della vita (se è lecito servirmi di un paragone materiale) non spengono l'attività del sistema nervoso, ma anzi l'attizzano. Molti fenomeni che succedono nel sistema nervoso e specialmente quelli che non dipendono dalla volontà, i fisiologi sono ora disposti a spiegarli come se fossero di natura meccanica. Vi sono delle vie nei centri nervosi che presentano maggiore resistenza ed altre meno, e ripetendosi uno stesso ordine ed una medesima operazione nervosa, queste vie divengono più facili e più corrose alla trasmissione. Non vi è dubbio che molti fatti oscuri sono meglio intelligibili con questa dottrina meccanica.M.FOSTER, A Text Book of Physiology .1890. - Parte III, pag. 910.Quella che propongo qui per spiegare l'aumento iniziale nell’attività del cervello, per effetto dell'esercizio, è una spiegazione chimica, e la comprenderemo meglio quando avrò riferito in esteso i fenomeni simili a quelli dell'attività cerebrale, che si osservano nel movimento dei muscoli. Anche un muscolo staccato dal corpo, eccitato una prima volta, dà una debole contrazione. Supponendo costante l'eccitamento elettrico, farà in principio cinque o sei contrazioni eguali in altezza, e poi queste comincieranno ad aumentare di forza, e cresceranno continuamente le prime cinquanta o cento, fino a che diverranno tre o quattro volte più alte di ciò che fossero quando si cominciò ad irritare il muscolo. Finalmente raggiunto il massimo della sua forza, quantunque l'eccitamento elettrico che lo stimola rimanga costante, le contrazioni cominciano a diminuire e vanno decrescendo lentamente fino a che dopo centinaia di contrazioni si esaurisce completamente la forza del muscolo colla stanchezza. Succede qualche cosa di analogo anche per il lavoro del cervello, dove i prodotti chimici fomentano il lavoro e attizzano la sua attività, fino a rendere più facile il suo funzionamento.

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Anche per Raffaello la fatica in la base della fama immortale, e lo disse prima di tutti Michelangelo che certo fu giudice competente: Raffaello non ebbe quest'arte da natura ma per lungo studio.CONDIVI, Vita di Michelangelo Buonarroti, pag. 82, I pregiudizii che corrono intorno alla forza del genio sono molti, e dipendono in grande parte dall'amore che abbiamo noi del meraviglioso e dal desiderio che hanno il maggior numero degli uomini celebri di nascondere la loro fatica, per parere dappiù di quello che sono. Alcuni errori biografici sono veramente singolari, come l'esempio celebre del pomo di Newton che veduto cadere, inspirò al grande filosofo l'idea della gravitazione universale. Ora Newton, come Galileo, come Darwin, fu precisainente uno dei pensatori più infaticabili. "Non perdo mai di vista il mio soggetto, diceva lui, aspetto che i primi albori aumentando a poco a poco, diventino una piena luce raggiante ". Un solo uomo mi parve un tempo facesse eccezione a questa regola, il Göthe: per la sterminata vastità del suo ingegno, e l'altezza della sua mente. Avevo letto la sua autobiografia, le sue lettere, la vita interessantissima che ne scrisse il Lewes, e non perchè il Lewes sia un fisiologo, ma, perchè è ammesso da tutti, devo dire che anche a me parve essere la migliore. Ma per quanti studi biografici io abbia letti intorno a Göthe, mi parve sempre più che fosse un uomo cui il lavoro non dovesse aver costato fatica. Più che tutto me lo faceva credere ciò che Schiller disse di lui con queste parole: "mentre noi altri dobbiamo raccogliere e provare tutto con fatica per produrre lentamente qualche cosa di tollerabile, egli non ha bisogno che di scuotere leggermente l'albero per far cadere i suoi bellissimi frutti maturi e pesanti " Während wir Andern mühselig sammeln und prüfen müssen, um etwas Leidliches langsam hervorzubringen, darf er nur leis an dem Bäume schütteln, um sich die schönsten Früchte, reif and schwer, zufallen zu lassen. - 21 Juli 1797. Ma però ebbi più tardi a ricredermi, quando nell'opera Zur Farbenlehre del Göthe, lessi nell'ultimo volume, questa, sua confessione: "I miei contemporanei fino dal primo apparire dei miei tentativi poetici si mostrarono abbastanza benevoli verso di me, o per lo meno riconobbero che io aveva talento poetico ed inclinazione. Eppure i miei rapporti coll' arte della poesia, erano meravigliosamente strani e del tutto pratici, in quanto che io, un soggetto che mi colpisse, un modello che mi eccitasse, un processo che mi attirasse, lo portavo così lungamente nell'interno del mio sentimento, fino a che ne risultasse qualche cosa che potesse considerarsi come un mio prodotto, e dopo che per anni lo avevo formato silenziosamente; finalmente tutto d’un tratto, e quasi istintivamente come se fosse maturo, lo mettevo sulla carta ".Opera citata, tag. 277. Flaubert lavorava quattordici ore al giorno, e tutti sanno che in questo scrittore la ricerca della perfezione dello stile era divenuta una malattia. Di lui si raccontano tanti aneddoti; fra gli altri che si alzava la notte per correggere una parola; che rimaneva immobile per delle ore colle mani nei capelli, chino sopra di un aggettivo. Lo stile lo tiranneggiava, era una passione per lui l'affaticarsi cercando insaziabile la legge misteriosa di una bella frase, e finalmente questa disperazione dell'anima finì per diventargli un ostacolo insuperabile al lavoro. Nella vita del Flaubert vi sono alcuni lati originali che interessano il fisiologo. Flaubert disse penser c'est parler e nessun altro scrittore forse lo ha superato nello studio dei rapporti fra il pensiero e la parola. Egli provava il ritmo dei suoi periodi sul registro della propria voce. Una frase cattiva, diceva, è un peso al torace e si trova fuori delle condizioni della vita se non va d' accordo colla fisiologia del linguaggio, se armoniosamente non si puo recitare ad alta voce .Journal des Goncourt, pag. 277. Stricker ha fatto degli studi fisiologici intorno a questo argomento, e dimostrò che mentre pensiamo ad una parola la pronunciamo silenziosamente e che possiamo sentire i movimenti della laringe, come se parlassimo senza dar suono alle parole. Tutti abbiamo visto le mille volte nella strada, delle persone che parlano ad alta voce, e passando loro vicino si chetano , e quando abbiamo fatto pochi passi innanzi riprendono a parlare. La presenza nostra li distrasse dal loro pensiero, e poscia subito vi ritornarono involontariamente e ricominciarono a parlare. Del legame indissolubile che unisce il pensiero colla parola, offrono begli esempi le biografie dei grandi scrittori, quelli specialmente che lasciarono nelle opere loro un'impronta più evidente delle forti passioni che agitavano il loro animo. Alfieri ritornato a venti anni dall'Olanda, col cuore pieno traboccante di malinconia e di amore, sentì la necessità di applicare la sua mente a qualche forte studio. Si mise a leggere Plutarco."Le vite di quei grandi, egli dice, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato ".Vita di Vittorio Alfieri, Capitolo VII. Balzava in piedi agitatissimo e fuori di sè, e lagrime di dolore e di rabbia gli scaturivano dagli occhi. Balzac Onorato, il celebre romanziere, che ebbe una tale fecondità, da non essere paragonabile che alla maravigliosa vivacità della sua, fantasia, produsse tanti libri, che non si crederebbe essergli potuto avanzare il tempo per correggerli tutti. Pure c' è qualche cosa in lui che fa stupire più della sua facilità ed è appunto la faticosa ed improba difficoltà del suo modo di lavorare. Ecco come egli componeva i suoi libri: meditava a lungo il suo argomento, poi ne buttava giù un abbozzo informe in poche pagine. Quest' abbozzo mandava alla stamperia; di là gli rimandavano in larghi fogli le prime bozze di stampa. Egli riempiva queste bozze di aggiunte e di correzioni per tutti i versi, cosicchè tali correzioni parevano un fuoco d'artificio venuto fuori da quel primo suo getto. Si rifacevano le bozze, e già nelle seconde era scomparso tutto il testo delle prime: egli lo rimaneggiava ancora, lo modificava, lo mutava instancabilmente e profondamente. Alcuni romanzi furono tirati sulla dodicesima prova di stampa, altri toccarono la ventesima. I compositori si disperavano quando avevano che fare con un suo manoscritto; gli editori si rifiutavano di sopportare le spese delle sue giunte e correzioni.

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Fino ad ora non abbiamo in Italia una parola d'uso comune, forse perchè in Italia l' attenzione del pubblico si è rivolta meno che in altri paesi allo studio di questo problema, e forse anche perchè da noi meno si risente il danno di questo eccessivo affaticamento del cervello. A me sembra che la parola strapazzo del cervello possa, corrispondere al concetto che vogliamo esprimere. Non si tratta qui dello studio eccessivo. Questo è piuttosto la causa; noi vogliamo studiare l'effetto del maltrattamento che subisce il cervello, per un lavoro intellettuale superiore alle sue forze.

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E strano che Borelli affermando una cosa che non aveva veduto, perchè gli mancavano i microscopi che abbiamo ora, siasi tanto avvicinato alla verità. Ranvier dimostrò pochi anni fa che la guaina che protegge ciascuna fibra, ha dei nodi e degli stringimenti che formano degli spazi come nelle canne o nel sambuco; e questi spazi sono pieni di una sostanza liquida o quasi liquida che chiamasi mielina. La mielina è come un inviluppo che serve a proteggere ed isolare il filamento centrale che chiamasi cilindro dell'asse. E gli strozzamenti che ha scoperto nei nervi il Ranvier, servono ad impedire che le sostanze liquide le quali entrano a comporre il nervo producano un' alterazione del nervo stesso col loro spostamentoRANVIER,Leçons sur l'histologie du sistème nerveux. Paris, 1878, pag. 131. Tom. I.. Da ciò vediamo che col paragonare il nervo ad un ramo di sambuco Borelli ha indovinato il vero. Poscia Borelli soggiunge Opera citata, p. 58.: "Dobbiamo imaginare che le cavità spongiose delle fibre dei nervi siano sempre piene fino alla turgescenza di un succo, o spirito che proviene dal cervello. E come vediamo in un intestino pieno di acqua e chiuso alle due estremità, che se una delle sue estremità viene compressa, o leggermente percossa, subito la commossione e la percossa, si manifestano all' estremo opposto dell' intestino, in quanto che le parti fluide che stanno contigue disposte in lungo ordine l'una accanto all'altra, dando un impulso e percuotendosi l'una coll'altra, diffondono il moto fino alla parte estrema; così qualunque leggera compressione o colpo od irritazione fatta nel principio dei canalicoli delle fibre nervose che esistono nel cervello si diffonde sino ai muscoli." Per dimostrare come nell' azione del nervo sul muscolo, non vi sia un impiego grande di forza e che basta una causa minima per produrre la contrazione, egli dice che dobbiamo rammentarci che il contatto leggerissimo di una piuma nelle narici, o nell' orecchio o nella gola, può produrre delle contrazioni e delle convulsioni molto forti nei muscoli dell' organismo. Ciò che Borelli tentava di indovinare, o forse aveva veduto confusamente, ora possiamo osservare facilmente e con maggior evidenza nei muscoli degli insetti, che mettiamo viventi sotto il microscopio. Facendoli contrarre si vede partire dal punto dove il nervo tocca il muscolo un ingrossamento che percorre la fibra muscolare a guisa di un'onda, la quale si propaga verso le parti del muscolo che sono più lontane dal nervo. Sono passati due secoli, e dobbiamo confessare che in questa parte della fisiologia si è fatto poco progresso, perchè non sappiamo ancora dire con sicurezza quale sia l'intima natura del processo nervoso. Parlando del meccanismo col quale noi eseguiamo dei movimenti volontari, Borelli diceProposizione XXIV, pag. 59.: "Nella quiete profonda e nel sopore degli spiriti animali noi non possiamo comprendere l' esistenza di un atto volontario, né la passione della facoltà sensitiva, ma è necessario che nel cervello si agitino questi spiriti per una qualche mozione locale, come lo esige l'indole della loro virtù a muoversi. Noi possiamo quindi comprendere come i succhi del cervello agitati dagli spiriti, o per mezzo di una trasmissione di movimento, o per un acredine pungitiva irritino e solletichino le origini dei nervi." Se questo modo di esprimersi del Borelli per spiegare i movimenti volontarii, può sembrare oscuro, nessun fisiologo oserebbe fargliene rimprovero, perchè anche oggi non sappiamo dire nulla di più intelligibile. L'origine dei movimenti volontari è sempre stato lo scoglio maggiore della fisiologia, e disgraziatamente è un problema così importante che devono occuparsene tutti e specialmente i filosofi. Darwin parlando dei movimenti involontari, diceCH. DARWIN, The expression of the emotions, pag. 39: "è probabile che alcune azioni le quali si eseguirono prima colla coscienza, siansi per mezzo dell'abitudine e dell'associazione trasformate in movimenti riflessi e che ora siano fissati e divenuti ereditarii nel sistema nervoso. Sarebbero dunque i movimenti automatici dei movimenti che prima erano prodotti dalla volontà e dopo cessarono di esserlo". Tale è il concetto che sostiene anche Spencer, nei suoi Principii di psicologia H. SPENCER, Principes de Psychologie. Tome II, pag. 608.: ma Borelli aveva già formulato questo arduo problema quasi colle stesse parole che adoperano i filosofi moderni. "Non è impossibile, dice Borelli, che sia stata un'azione volontaria quella che ora si fa per abitudine, e noi che non avvertiamo più di averla voluta, crediamo di non volerla. Così è dei movimenti del cuore che nulla osta si compiano senza l'assenso della volontà, e malgrado che non li vogliamo. Noi vediamo del resto che molti altri movimenti delle estremità che senza dubbio cominciarono ad esegnirsi sotto l' impero della volontà, ora si fanno senza che ce ne accorgiamo, e qualche volta anche senza che lo vogliamo " Opera citata. Prop. LXXX. Tomo II, pag. 158. Di questa proposizione del Borelli dovettero occuparsi i filosofi spiritualisti e combatterla, perchè Borelli alterava il concetto ortodosso della volontà, e ne attribuiva una parte anche ai movimenti del cuore, dicendo: "il movimento del cuore si fa dunque per una facoltà, senziente ed appetente non per una ignota necessità, organica". Come si vede, si tocca qui ad uno dei più gravi problemi della filosofia. L'abate Antonio Rosmini rimproverando al Borelli di aver confuso il principio sensitivo coll' anima razionaleA. ROSMINI Psicologia. Libri dieci, pag. 192., disse che in questa, dottrina del Borelli "si può vedere l' origine del moderno sensismo".

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Molte delle conoscenze che abbiamo oggi sulla struttura dei muscoli noi dobbiamo a Stenone Myologiae specimen. Firenze, 1667. Egli infatti fece vedere che ogni muscolo riceve delle arterie e ha le sue vene e i suoi nervi: e fu lui il primo che descrisse i vasi linfatici dei muscoli. Per studiare i mutamenti che succedono nel muscolo mentre si contrae, Stenone raccomandava di mettere le dita sopra il muscolo massetere presso l'angolo della mascella, e di stringere i denti. Il muscolo si ingrossa, e si sente che diviene più duro e rugoso. Anche dopo che si tagliarono le arterie e le vene del muscolo, questo continua a contrarsi; e così egli dimostrò che la contrazione non dipende da una iniezione del sangue tra le fibre muscolari nell' atto della contrazione come allora si credeva da molti fisiologi. Stenone dimostrò che vi sono dei muscoli i quali negli animali uccisi di fresco si contraggono da sé anche quando sia staccata la testa ed esportato il cuore. Questa nuova esperienza egli l'ha ripetuta in vari animali, nel cane ad esempio vide dei pezzi della cassa toracica staccati dal corpo dove di per sè si movevano ancora le coste. Donde conchiuse, contrariamente alle osservazioni del Borelli, che il moto muscolare non dipende nè dal sangue, nè dai nervi, né dai centri nervosi. Una delle osservazioni più importanti dello Stenone e quella colla quale dimostra che anche recisi i nervi, i muscoli possono ancora moversi, se eccitati direttamente. Con questa esperienza Stenone precedeva di più di un secolo l'Haller nella dottrina della eccitabilità muscolare. Le opere di Stenone si distinguono da quelle del suoi predecessori per la critica severa ed inesorabile che egli fece delle dottrine le quali non avevano fondamento nei fatti scrupolosamente osservati. Il celebre anatomico Winslow parlando del discorso di Stenone sull'anatoinia del cervello, disse: "questo solo discorso di Stenone fu la sorgente primitiva e il modello generale di tutta la mia condotta nei lavori anatomici."

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Redi in una lettera scritta a Stenone dice: "Si ricorderà che molte e molte volte abbiamo insieme fatto vedere al Serenissimo Granduca Ferdinando, nostro Signore, l'esperienza di far morire quasi subito gli animali quadrupedi, con l' aprir loro una vena, e poscia per l'apertura, introdotto il cannellino di uno schizzatoio pieno solamente di aria, far penetrare con forza nelle vene del medesimo animale quell' aria contenuta nel medesimo schizzatoio." Il suo celebre libro sulla miologia, Stenone lo pubblicò l' anno stesso che abjurò la fede protestante per farsi cattolico, cioè nel 1667. Cinque anni dopo lo troviamo professore di anatomia a Copenhagen. Il re di Danimarca lo aveva invitato a tornare in patria, dandogli la cattedra e la libertà di stare e vivere da cattolico. Non conosciamo bene le ragioni che indussero lo Stenone ad abbandonare dopo alquanti mesi la patria e fare ritorno in Toscana. Il Redi scrivendo nel dicembre del 1674 dice che Stenone "sarebbe stato fra poche settimane in Firenze e forse avrebbe condotto seco Swammerdam che è un giovane assai virtuoso". Questo Swammerdam è il grande naturalista olandese, uno del più forti ingegni del suo secolo, la cui vita presenta un punto di rassomiglianza curioso con quella di Stenone. Swammerdam fu soggiogato da certa Antonietta Bourignon de la Porte. L'esaltazione religiosa di questa donna esercitò un' influenza fatale sulla vita di Swammerdam, il quale diventò melanconico, pieno di misticismo, e finì per non occuparsi più d'altro che di teologia. Stenone fece la medesima fine, e la donna che lo ha dominato fu una monaca di Firenze, certa Suor Maria Flavia del Nero. Ho raccolto intorno a questo dei documenti a Firenze, ma non mi sembra che sia qui il luogo di fare una ricerca storica sulla vita intima di Stenone. Certo è stata per me una cosa divertente il rintracciare la storia di questa Suor Maria Flavia del Nero, e l' influenza che esercitò sulla conversione, e sul ritorno a Firenze di Stenone. Esistono parecchie lettere di Stenone a lei: e quando ebbe passata la giovinezza, Suor Maria Flavia del Nero scrisse nella Cronaca del Convento, che la conversione di Stenone e la vita di quel santo era stata opera sua. Da una biografia contemporanea dello Stenone si ricava che "chiamato dal duca di Annover all' ufficio di vescovo, quante penitenze, quanti esercizii di pietà, ha egli fatti! Fatto voto di andare da Firenze a Loreto, da Loreto a Roma e da Roma al luogo destinatogli, a piedi, elimosinando, dispensato prima ai poveri ogni suo avere, si è di più messo in viaggio a piede scalzo, e così è giunto a Loreto, ma con iscapito della sua sanità, ove è bi- sognato curarlo".MANNI, Vita di Stenone. Pag. 268. Quanta sono mutati i tempi! Non v' ha uomo a cui ora queste sublimi pazzie non destino un sentimento amaro di commiserazione! Eppure nella biografia del Manni si fa merito a Stenone di tutte queste sofferenze patite, che lo condussero immaturamente alla tomba. Mentre egli era nella Germania del Nord, per riconquistare al cattolicismo le provincie che aveva perduto la Chiesa, sappiamo da documenti di testimoni che esso faceva una vita estenuatissima ANON, Notizie della vita e della morte di Monsignor Niccolò Stenone. Questo manoscritto trovasi nella Biblioteca Nazionale di Firenze , dove pure conservansi parecchie lettere scritte da Stenone al Magliabecchi.. Gli ultimi anni della vita di Stenone furono quelli di un martire, finchè le penitenze e le vigilie non lo condussero alla tomba. Egli morì nel fervore della sua missione l'anno 1684, in Schwerin nel Mecklenburg. Io non so se l'amor suo per l'Italia fosse rimasto sempre così grande da desiderare che qui avessero pace le sue ossa, o se l'intolleranza religiosa di quei tempi gli abbia negato il riposo che ognuno spera di trovare nella terra dove è nato. Cosimo dei Medici fece condurre con grandi onori la sua salma a Firenze e le spoglie dell'immortale fisiologo riposano in San Lorenzo sotto la cupola grandiosa della cappella medicea, vicino ai monumenti con cui Michelangelo rendeva immortali le tombe di quei principi benemeriti delle scienze e delle arti. Un giorno sono stato a visitare la tomba di Stenone nei sotterranei di San Lorenzo: per giungervi bisogna passare sulla pietra che copre le ossa di Donatello, il grande maestro del verismo nell'arte. Di fronte vi è la cripta di Cosimo padre della patria, e a destra contro un pilastro una lapide dice:

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L'orologio della torre è messo in movimento da un peso: quello che abbiamo in tasca da una molla. L'energia che si consuma nel giro delle ruote per segnare il tempo, è eguale a quella impiegata per caricare l'orologio. Nel fucile, la combinazione chimica improvvisa del carbone col nitro e lo zolfo, all' accensione della polvere, produce la detonazione e dà impulso alla palla. Nel telegrafo si consuma dello zinco e dell' acido solforico per produrre la corrente elettrica. Che cosa è che agisce nel nostro braccio, quando esso vince una resistenza e compie un lavoro? Che cosa è che si consuma nel cervello che pensa? Per rispondere più o meno bene a queste domande, dobbiamo prima conoscere la legge della conservazione della energia. Furono due medici tedeschi, Roberto Mayer e Hermann von Helmholtz, gli scopritori di questa legge, che per consenso univesale venne riconosciuta essere la più grande scoperta del secolo. La legge della conservazione dell'energia, trova il suo svolgimento più evidente e completo nel campo della meccanica matematica; ma io dovrò limitarmi ad accennare alcuni esempi presi dalla fisica elementare Chi desidera conoscere meglio come siasi svolta questa nuova filosofia della natura, legga la conferenza popolare fatta dal HELMHOLTZ nel 1862 Ueber die Erhaltung der Kraft e gli scritti di ROBERTO MAYER, Bermerkungen über die Kräfte der anbelebten Natur 1842.- Die organische Bewegung in ihrem Zusammenhang mit dem Stoffwechsel, 1845. - Die Mechanik der Wärme, 1867. Tutti sappiamo che spesso nei vagoni delle ferrovie si accendono gli assi delle ruote, se non si diminuisce l'attrito nel mozzo col grasso. Il calore non è una nuova sostanza che si aggiunga ad un corpo, ma deriva da un movimento che imprimiamo alle molecole del corpo medesimo. Vediamo ogni momento che un zolfanello si accende nel fregarlo; e le nostre mani si riscaldano fregandole fortemente l'una contro l'altra ; poi quando sono asciutte, la pelle si riscalda al punto che l'epidermide manda un odore di osso bruciato, che i toscani chiamano odore di morto. La prima macchina inventata dall'uomo secondo Reuleaux, sarebbe quella di un pezzo di legno acuminato ad una estremità, che incastrato nella cavità di un altro pezzo di legno messo in terra, si fa girare tra le due mani come un frullino tenendolo verticale, fino a che non suscita il fuoco. I fisici hanno dimostrato che "una certa quantità di calore può trasformarsi in una determinata quantità di lavoro; e questa quantità di lavoro può di nuovo trasformarsi esattamente nella stessa quantità di calore, dalla quale era stata prima prodotta." Nel rapporto meccanico sono due quantità equivalenti. La macchina a vapore che recò tanti benefizi all' uomo, ne recò uno grandissimo alla scienza, in quanto che trasformando il calore in moto, dimostrò che per generare del movimento si distrugge del calore; e che l'energia di movimento è una nuova forma nella quale può manifestarsi una determinata quantità di calore. Quando noi comprimiamo una molla a spirale, e la chiudiamo in tensione, come succede in molti giocattoli, il lavoro che parve consumato in quest' atto, si trasforma in un lavoro che venne detto potenziale. Appena scatta, la molla essa distendesi e restituisce, sotto forma di moto, lo sforzo che abbiamo fatto prima per comprimerla. Così è di una pietra, o di un macigno che a forza di argani i muratori tirano fino sul cornicione di un palazzo: a misura che il macigno sale in su, può sembrare che tutto il lavoro delle braccia si consumi: ma il lavoro che si è fatto non è perduto: esso si trova nel macigno che abbiamo allontanato dalla terra in uno stato potenziale. Se il macigno precipita al suolo da quell' altezza lo vedremo acquistare una forza viva equivalente a quella che abbiamo consumato per sollevarlo. La luce alla pari del calore dipende da un movimento delle molecole dei corpi. I fisici ammettono che vi sia una sostanza imponderabile che si chiama etere, la quale riempie lo spazio e che agisce sull'occhio per mezzo delle sue ondulazioni. E di queste onde luminose, cioè della loro lunghezza e della velocità con la quale si propagano nello spazio, si parla oramai con la medesima sicurezza con la quale ciascuno di noi discorre delle onde che ha veduto diffondersi intorno alla superficie di un lago tranquillo, quando viene agitata in un qualche punto. Per comprendere la natura del calore e della luce, basta rammentarci quanto abbiamo veduto nella fucina del fabbro. Un ferro riscaldato diviene prima bruno poi rosso, e scaldandolo ancora prenderà un color bianco splendente. Quando le molecole hanno raggiunto la massima rapidità delle loro vibrazioni, il ferro messo sull'incudine rischiarerà intorno la fucina. Poco per volta raffreddandosi diventerà scuro e bruno e si spegneranno le vibrazioni che erano capaci di agire come luce sul nostro occhio. Se avviciniamo la mano, sentiremo che è ancora rovente: esso diffonde delle ondulazioni più lente che l'occhio non vede più, ma che la mano sente come calore. Al congresso dei naturalisti in Heidelberg, il prof. Hertz di Bonn mostrò, nel 1890, che anche l'elettricità è un moto ondulatorio che segue le leggi della luce; ed aprì un nuovo orizzonte nel dominio della fisica. L' esempio più convincente per dimostrare la trasformazione dell'energia, è ancora sempre quello dei fabbri che fanno arroventare un chiodo, battendolo rapidamente con grandi colpi sull'incudine. Qualunque specie di energia può essere misurata per mezzo del lavoro che produrrebbe l'unità di massa cadendo da una certa altezza: oppure colla quantità di calore che è necessario per riscaldare da 0° ad 1° un chilogrammo di acqua. Si chiama chilogrammetro il lavoro necessario per elevare un chilogrammo ad un metro di altezza. L'equivalente meccanico del calore è di 425 chilogrammetri; cioè il calore sufficiente per elevare di un grado centigrado la temperatura di un chilogrammo d'acqua, corrisponde ad un lavoro necessario per sollevare 425 chilogrammi ad un metro di altezza e viceversa. Dopo che i fisici impararono a misurare l'energia sotto qualunque forma si presentasse, essi dimostrarono che a traverso le sue trasformazioni non si perde nulla. Gli esempi che ho riferiti, e tutti i fenomeni che si presentano nella natura, sono riuniti da una legge inesorabile che non ammette eccezioni. La molla che abbiamo tesa comprimendola, può dopo eseguire un certo lavoro, ma essa si rilascia e diviene inerte quando ha compiuto il lavoro di cui era capace. Il macigno fu sollevato fino sul cornicione della casa, e di là cadendo può eseguire un lavoro, ma quando è giunto al suolo, è esaurita la sua potenza a fare altro lavoro. Quando l'ossigeno si combina col carbonio genera del calore e della luce, ma una volta che sono combinati, e che si è disperso il calore, l'acido carbonico che ne risulta, non dà più nè lavoro, nè calore. Per produrre una corrente elettrica dobbiamo impiegare delle forze chimiche o meccaniche, oppure, come succede nell'illuminazione elettrica, possiamo servirci del calore che prima trasformiamo in energia di moto e poi in elettricità ed in luce. In tutti questi esempi noi vediamo che quando è distrutta la potenzialità di una forza della natura, per produrre un lavoro, sempre compare un' attività nuova equivalente. Non posso trattenermi dal citare qualche passo della celebre conferenza sulla conservazione della forza che il professore Helmholtz tenne a Carslruhe nell'inverno del 1862. Meditando le opere di questo sommo ingegno, che lascierà un'impronta indelebile nella storia del pensiero umano, si rimane pieni di ammirazione per la facilità e la chiarezza colla quale egli ci fa comprendere i più ardui problemi della filosofia naturale. "Quando una certa quantità di lavoro meccanico va perduta, le esperienze dimostrano in modo concorde che si guadagna un equivalente corrispondente di calore, oppure della forza chimica invece di questa, od inversamente se si è perduto del calore si guadagna una quantità equivalente di energia chimica o meccanica: e quando sembra perduta l'energia chimica si trova aver guadagnato invece del calore o del lavoro. In tutti questi cambiamenti tra le varie forze inorganiche della natura, se scompare dell'energia in una forma, essa ricomparirà immediatamente ed in quantità esattamente eguale sotto un'altra forma: cosìcchè troviamo che non è aumentata, nè diminuita l'energia, e che la medesima quantità rimane perennemente costante. "La medesima legge vale anche per i processi della natura organica, per quanto lo possono provare i fatti che conosciamo fino ad oggi. Da ciò risulta che la somma delle forze capaci di agire nella intera natura rimane eternamente ed invariabilmente la stessa, in mezzo a tutti i mutamenti che subisce la natura. Tutte le trasformazioni che noi vediamo compiersi nella natura, consistono in ciò, che l'energia cambia di forma e di luogo senza che per questo cambi la sua quantità."

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E non è possibile fare altrimenti, se pure siamo convinti che l'Universo è governato da leggi fisse ed immutabili; se vogliamo seguire il lume della ragione; se siamo persuasi che i fenomeni psichici stanno dentro i confini della scienza, se abbiamo la certezza che sono un fatto naturale, se dobbiamo considerarli infine come l' espressione dell'attività e delle trasformazioni che hanno luogo nel cervello. Non possiamo scegliere come guida una dottrina che la mente nostra è incapace di comprendere: che ad ogni sensazione ad ogni pensiero ci obbliga ad ammettere un miracolo per spiegare l'azione di una così immateriale su di una materiale e viceversa. Non possiamo nello studio della psicologia accettare una ipotesi che ci metterebbe fino dal principio in contraddizione con tutti i fatti conosciuti nella scienza e che ci condurrebbe all'assurdo. Tutti i fenomeni che succedono nella natura devono avere una causa: e la causa deve essere eguale all' effetto. Se si domanda ad un fisiologo una prova inoppugnabile che nel cervello non vi è nulla di immateriale e di incorporeo che funzioni, egli non sa darla; ma giudicando per analogia, mettendo a raffronto i fenomeni del cervello con tutti gli altri fenomeni della natura, egli si sente costretto ad ammettere che anche il cervello sia soggetto alla legge della conservazione dell'energia. La probabilità almeno è così grande che per poco non tocca la certezza. Nei suoi Saggi sull' intendimento umano, Locke LOCKE, Essai philosophique concernant l'entendement humain. Livre IV chap. XVIII. disse, ora sono più di due secoli: "Da per tutto dove abbiamo una decisione chiara ed evidente della ragione, non possiamo essere obbligati a rinunciarvi per abbracciare l'opinione contraria sotto pretesto che sia materia di fede: poichè la fede non può avere alcuna autorità contro le decisioni chiare ed espresse della ragione." Vi è un punto nel quale la scienza e la fede vanno d'accordo, ed è nel riconoscere che le cause primordiali sono impenetrabili, e che la mente dell'uomo non è fatta per comprendere l’origine della materia e dell'energia. In un'altra cosa, dobbiamo pure andare d'accordo, qualunque sia la fede e la filosofia che uno professa: ed è il metodo scientifico per studiare le leggi alle quali è soggetto un fenomeno. La fisiologia non riconosce le divisioni artificiali delle scuole e delle credenze: essa procede impassibile nella ricerca del vero, ed ha per iscopo il determinare come un fenomeno in differenti tempi si produca in modo costante, date le medesime condizioni, succeda questo nel cervello o in qualunque altro organo del corpo.

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Ma questo raffronto non è completo: giacchè il cervello riceve il sangue da quattro grandi arterie, due delle quali passano profondamente contro le vertebre del collo, e sono le arterie vertebrali: nella esperienza fatta su Bertino abbiamo compresso solo due arterie, le carotidi: fu quindi tolta solo una metà della corrente sanguigna che va al cervello, e pure bastò per abolire la coscienza.

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Essendo alta 42 metri, se avesse i nervi e il midollo spinale come abbiamo noi, si dovrebbe, toccandola ai piedi, aspettare circa quattro minuti secondi, prima che desse segno di aver sentito e cominciasse a moversi. La grande scoperta, dell'Helmholtz sulla natura dell'agente nervoso, fu il principio di una nuova epoca scientifica, anche nello studio della contrazione dei muscoli. Per fare le sue indagini Helmholtz costrusse uno strumento che scrive le contrazioni dei muscoli ed al quale perciò diede il nome di miografo. Staccava dalla gamba di una rana i muscoli che corrispondono alla polpa, e, tenuto fermo con una pinza l'osso del ginocchio, attaccava il tendine di Achille ad una leva per scrivere con essa le contrazioni del muscolo. Questa parte del miografo era composta di un piccolo quadro metallico, sostenuto da due supporti, che gira sopra di un asse orizzontale, impiantato sull'asse di rotazione del quadro. La punta di questa leva scorrendo contro un cilindro coperto di nerofumo, segnava una linea, orizzontale, e sollevavasi verticalmente nell'istante che il muscolo si raccorciava. Fu in questo modo che venne applicato per la prima volta il metodo grafico, per misurare il tempo che l'azione nervosa impiega a percorrere i nervi. Nel movimento dei muscoli dobbiamo distinguere la scossa muscolare della contrazione muscolare. La scossa muscolare è un movimento rapidissimo del muscolo, che si produce in seguito ad un solo eccitamento. Non saprei trovare fra i movimenti naturali dei muscoli un esempio di vera scossa. Il battito delle palpebre, la contrazione del cuore, il singhiozzo, tutti i movimenti che sembrano istantanei, sono causati certo da più di un solo eccitamento che venga dai centri nervosi ai muscoli. Per farsi l'idea di una scossa bisogna servirsi dell'eccitamento istantaneo di una scarica elettrica applicata sul nervo, o sul muscolo. Nella rana il movimento che ne succede dura appena tre o quattro centesimi di minuto secondo. In altri animali dura di più, anche un intero secondo. La contrazione ha sempre una durata più lunga della scossa muscolare, perchè essa è prodotta da una serie di eccitamenti. I nostri sensi e l'occhio stesso sono troppo lenti nell'afferrare e non potrebbero servirci nello studio dei fenomeni che, come la scossa dei muscoli, durano delle frazioni minime di secondo. Il metodo grafico ci dà invece un' immagine che riproduce esattamente i più minuti particolari del moto, e ci rivela tutto un mondo di fenomeni che sarebbero rimasti ignoti o confusi. Vedremo fra poco le modificazioni che la fatica produce nella contrazione dei muscoli. Wundt, il grande filosofo di Lipsia, fino dal 1858 aveva pensato di utilizzare il miografo per studiare le modificazioni che si producono nel muscolo per effetto della fatica.

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abbiamo cioè due cuscinetti A B (fig. 4); sul primo poggia il dorso della mano, e sull'altro B leggermente incavato a doccia poggia l'antibraccio. Per fissare bene questa parte del corpo mi servo di due altri cuscinetti C D, fatti in modo da stringere leggermente il polso. Ogni cuscinetto è fatto da un semicanale di ottone imbottito alla parte interna; sulla superfice esterna è saldata una spranga cilindrica di metallo che si fa passare nell' apertura di un morsetto, dove viene fissata per mezzo di una vite. Nella figura 4 si vedono due morsetti C D, che hanno in basso una scanalatura profonda 2 centimetri e larga 0,8 colla quale possono venire fissati sul bordo della piattaforma, per mezzo di una vite che sta sotto in ciascun morsetto. Nel principio (quando si deve fissare il braccio) tutti questi morsetti sono liberi. Si mette quindi la mano col dorso che poggia sul cuscino A e l'antibraccio sul cuscino B: si avvicinano i due cuscinetti CD in modo che stringano bene la mano in corrispondenza del carpo, e poi si chiudono le viti superiori ed inferiori dei loro morsetti. La mano viene fissata anteriormente con due tubi di ottone FE che hanno un lume interno che varia fra 18 e 22 millimetri, secondo la grossezza delle dita della persona sulla quale deve farsi la esperienza. Nel tubo E si introduce il dito indice, e in quello F l'anulare della mano destra. Nello spazio che rimane libero fra i morsetti EF, si muove il dito medio al quale si attacca una funicella elle fa scorrere l'apparecchio registratore. Per dare una posizione comoda al braccio che lavora, mi sono accorto che non bisogna tenerlo in supinazione, ma in leggera pronazione. La piattaforma perciò l'ho inclinata di circa 30° verso il lato interno, ed è leggermente sollevata dal gomito verso l'estremità della mano di circa due o tre centimetri. Queste due inclinazioni ci obbligano a cambiare la posizione del sostegno, secondo che si lavora col braccio destro o col sinistro: a tale scopo la piattaforma di dietro è tagliata in forma triangolare G; davanti vi sono due piedi, uno I lungo 5 centim., e l'altro H lungo 12. Questi due piedi sono riuniti da una lastra di ferro trasversale, che nella figura non si vede, perchè sta sulla superfice inferiore della piattaforma. Nel mezzo, questa lastra ha una vite di pressione, che permette di farla girare portando il piede più basso ora da un lato e ora dall' altro della piattaforma, cambiando

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