Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

191940
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 8 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Abbiamo la maglia a chicco di pepe o a carne di pollo, a cappiole, a mandorla piena, a mandorla vuota, a mezza mandorla, ecc. La maglia a chicco di pepe o a carne di pollo si ottiene col fare una maglia diritta ed una rovescia cambiandola ogni giro. Per quella a cappiole si tiene la stessa regola, ma invece d'una maglia diritta ed una rovescia se ne fanno due. La mandorla piena è formata di maglie scambiate nel modo descritto formanti la figura d'un rombo. La mandorla mezza è la metà di quella. La mandorla vuota è quella che nel mezzo ha tutte maglie diritte e ai lati le rovescie. Intrecciando queste due maglie con stretti, incavalchi e cresciuti si ottengono dei piccoli trafori, che, eseguiti a disegni , servono tanto per far calze, quanto per fare tende, tendine, coperte, copripiedi, camiciuole, ecc. Avvertenza. - Per i lavori a traforo si fanno più specie di stretti e di cresciuti. I più semplici sono già stati sopra descritti. Se avviene di dover diminuire due maglie in una volta, in questo caso se ne prende una senza lavorarla, poi si eseguisce lo stretto colle altre due e si sovrappone la prima a questa, facendo così lo stretto e l'incavalco ad un tempo. Si aumenta o si accresce il numero delle maglie o raccogliendo il filo che v'ha tra una maglia e l'altra o buttando sul ferro una o più volte il filo sì da formare altrettante maglie, che nel primo giro, per ottenere il traforo, si fanno una al diritto e l'altra al rovescio.

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E noi abbiamo occhio a tutto, dal rifornir l'acqua ne'vasi, sino a spazzolare i vestiti. Nè questi ci sembrano uffizi ignobili e bassi. Ve n'ha forse, ove si tratti della famiglia e di render servigio a que' tanto cari che ci hanno data la vita?

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Ma ricordatevi che abbiamo detto di fare il conto a lire e centesimi. L. Dunque, un fiorino e tre quarti corrisponderanno a Questa berrettina da casa è usata, e non è più di moda. Ma la trina è buona; il nastro è bello e di seta. Lavandolo non si sciupa nè scolorisce. Poniamo che la trina sia due braccia ; diamole il prezzo di una lira il braccio ; dunque G. Ecco sei berrette o cuffie da notte. Sono di tela, con la gala ricamata. II modello è semplice e grazioso. Quanto l'una? L. Io direi 25 centesimi. Le berrette sono sei, è vero? Dunque sei volte 25, dà 1 50 Vediamo questi orecchini d'oro. Io ne ho un paio precisamente eguali. Mi costarono diciotto lire. Facciamo la tara del sesto, perchè v'è poca fattura, e si può dire che è tutto intrinseco. Sicchè il sesto di 18 è 3 mi pare. G. Sicuro, 3 moltiplicato 6 dà 18. L. Dunque levando 3 da 18 rimane 15 - G. Oh ! un paio di braccialetti. L. Ma qui vi è poco oro. Tutta fattura e intrinseco quasi punto. Io non darei più di 20 lire. Ma poi questi capi di oreficeria o di bigiotteria vanno fatti esaminare anche da urn gioielliere. Io non vorrei sbagliare ne in poco nè in troppo. G. Farò come dite. Intanto prendiamo ricordo 20 L. Questa stecca da fassetta è di molla d'aciaio 50 Una sopravveste di tela d'Olanda con un bello smerlo 2 50 Una cintura di nastro di seta a onda. È usata 1 50 Questo cappellino di velluto è da disfare. Non è buono che il velluto in seta. Poniamo 6 50 G. Ma qui che è rotto? Ah no ! E la cruna d'un ago. Si vede che v'era stato infilato, e che si sarà rotto. - Queste forbici sono stupende. Tagliano veramente bene. Quanto le stimate? L. E non sono inglesi. Anche qui abbiamo artefici capaci. Eh ! se fossero più incoraggiati dallo smercio ! A comprarle nuove non basterebbero 5 lire. Poniamone 3 75 Vediamo quel vezzo di corallo. Non può valere meno di un zecchino. È molto bello. Dunque 10 G. C'è anche una stecca di corno per tirar su le scarpe. L. Poniamola insieme con questo astuccio dov'è lo stuzzica-denti, lo stuzzicaorecchie, l'infilacappi o ago di guaine, il punteruolo da ricamare e un manichetto d'avorio per le penne d'acciaio; facciamo un taccio d'ogni cosa, ponendo - 75 G. Io ho bisogno d'andar via, la roba è tutta qui. Proseguite voi le note e ponete i prezzi. Ci rivedremo più tardi. Addio. L. A rivederci da poi. - Due pettini fitti 1 Quattro carte di spilli con la capocchia di vetro 50 Un manicotto di pelo di martora molto usato 7 50 Una dozzina d'asciugamani a opera, a una lira l'uno 12 Un ventaglio con le stecche d'avorio traforate3 Vari vasetti di pomata ; diverse boccette di acque odorose e stiaccia per fare i ricciolini ai capelli 2 50 Un paio di ferri da stirare e una cucchiaia per stirare le gale 5 Due fisciù di seta. Uno lire 3 50, e l'altro lire 2 50 Una sciarpa di lana del Tibet. Usata 7 50 Undici matassine di seta. A 6 centesimi l'una 66 Sette braccia di frangia da tende. A 8 centesimi il braccio 56 Un arcolaio, sei fusi, una rocca con la sua pergamena 1 Alcune ciocche di fiori finti e una ghirlanda 14 Trentadue braccia di passamano di seta da affibiare le fascette, a 4 centesimi il braccio 1 28 Cinque paia di manichini di trina a 50 centesimi il paio 2 50 Due paia di guanti lunghi di pelle, usati 1 50 Una mantiglia di raso, usata 3 50 Un piccolo specchio e quattro spazzolini da denti 2 Una palettina d'argento da sbraciare lo scaldino 2 50 Un ombrello da acqua e due ombrellini da sole, usati 10 Una paniera da lavoro e un guancialino 1 Un vestito di seta a foulard usato 7 50 Una pelliccia usata e due paia di pantofole o sandaletti col pelo 3 Vari gomitoli e rocchetti di cotone, di lana e di seta di più colori 1 25 Una borsa di seta con la cerniera d'acciaio, usata 1 50 Quatto grembiali, due di seta e due di cotone, tutti laceri 1 25 Due veli di blonde, un pezzo di filondente, alcuni nastri di vari colori 3 35 Non v'è altro. Tiriamo la somma : L 161,09

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Noi, che al corpo applichiamo vesti contessute di lino e di canapa, non abbiamo ugualmente mestieri dei bagni, come gli antichi; tuttavia saranno molto utili anche per noi. Nello stato di sanità sono più convenienti i bagni appena tepidi. Ciò nondimeno non è certo da riporvarsi che dalla fanciullezza si avvezzasse alle mutazioni di temperatura per mezzo dei bagni; perchè in tal guisa il corpo s'indura. Non conviene mai prendere il bagno subito dopo il cibo; ne troppo a lungo in quello fermarsi. Il bagno riesce più vantaggioso se il corpo si dimeni nell'acqua, e ad un tempo la pelle venga leggiermente stropicciata. La cute è tutta sparsa di bubbarelli detti pori, pei quali si fa la traspirazione, cioè traspiriamo certi umori superflui o nocivi del nostro corpo, i quali, se dentro di esso restassero, sarebbero cagione di gravi malattie e di gravissimi accidenti: la traspirazione è perciò necessaria, e dovete guardarvi dal sopprimerla, il che v'accadrebbe se passaste repentinamente da una temperatura calda ad un'altra fredda, o rimaneste all'azione del freddo col corpo molle di sudore, il quale non è altro che una traspirazione abbondantissima. Il sudiciume impedisce ancora che la traspirazione si faccia perfettamente, ed è perciò causa di vari malesseri. Importa adunque che vi laviate sovente non tanto per pulizia che per sanità; lavatevi se siete sano piuttosto con acqua fresca che con acqua calda; non esponete subito dopo d'avervi lavato le mani od i piedi al fuoco, se non volete avere i geloni o i pedignoni. I pori non solamente fanno l'ufficio di traspirare i detti umori, ma ancora assorbiscono l'umidità, le esalazioni esterne, sicchè ciò che è nocivo alla respirazione è anche nocivo alla cute; quindi anche per questo motivo bisogna che vi guardiate distarvi dove l'aria è corrotta, poichè per questa cagione certe malattie si apiccano da un corpo all'altro, come il vaiuolo, la rosolia, la rogna, la febbre putrida, e s'insinuano nel nostro corpo vari veleni provenienti da esalazioni metalliche, o da morsicature di bestie o d'insetti. A tutto ciò ottimo preservativo è il lavarsi sovente.

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Molto più nobile delle facoltà esteriori, che abbiamo comuni cogli animali bruti, è la mente, onde siamo fatti simili agli angeli e a Dio. Per essa può l'uomo penetrare la natura vera delle cose, che lo circondano, ossia farsene un'idea, giudicare, ragionare, e risalendo dalle creature al Creatore, progredire verso Lui indefinitamente. Tanto egli ottiene collo studio, che è l'applicazione della mente alla ricerca della verità, rivelisi essa sotto forma astratta e nuda di vero, oppure rivestita di forma sensibile capace d'impressionare dolcemente il sentimento, ossia di bello. Frutto dello studio è l'acquisto di ulteriori cognizioni, vale a dire sempre crescente istruzione, e la facilità d'apprendere ed esprimere il bello, mediante l'arte. Chi non ne vede dunque l'utilità? L'arte è la forma più squisita della civiltà, la manifestazione più universale ed efficace del pensiero umano. Essa solleva lo spirito dall'aria gravosa e morta del vivere comune, lo feconda di gioie serene, di consolazioni ineffabili, ed esercita su tutti un fascino irresistibile. Ben è da compiangere chi, impedito dalla triste realtà della vita, non può levarsi e spaziare nel campo soave del bello! Quanto all'istruzione, lasciando che l'ignoranza è ad ogni momento occasione di sbagli, e sovente di colpe, niuno ignora che il sapere è aiuto potente ad operare il bene. Fu detto che volere è potere : più giusto è dire: sapere è potere; perché quasi tutto può chi ben sa. Aggiungi che la scienza è il primo passo alla sapienza, il cammino che conduce a Dio: e che le gioie del sapere non trovano riscontro su non in quelle della virtù. Però non è dubbio che sia tenuto ciascuno ad istruirsi, prima nelle cose indispensabili al retto vivere, poi in quelle che sono giovevoli, da ultimo nell'altre di semplice adornamento alla vita, giacché i limiti della nostra mente, e la vastità immensurata dello scibile non concedono di tutto sapere. Noi donne poi, nonché poterci dispensare dallo studio, siamo tenute in modo speciale a dirozzare la nostra mente col sapere, perché dobbiamo essere le maestre dei nostri figli, e specchio di gentilezza a tutti. Due cose avvertite tuttavia, figliuole, per riguardo allo studio: l'una è che esso deve andar di conserva colla modestia, nulla essendo più sconveniente d'una donna che vuol fare la saccente e sdottorare di ogni cosa in società, l'altra che il medesimo sia diretto al bene, e condito del soave aroma della religione, la quale impedisce al sapere di corrompersi. La scienza, pur troppo, non è tutta del bene: e chi si contenta di sapere, senza studiarsi di essere saggio nella sua vita, è come chi si appaga del fiore, invece del frutto. Non così certamente fece Clotilde Tambroni, in cui fu meraviglioso del pari il sapere e la virtù.

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I doveri che abbiamo verso Dio s'adempiono coll'esercizio della virtù della religione. Essa è la pia disposizione dell'animo a rendere a Dio l'omaggio che gli è dovuto. Ma quale omaggio, che sia pieno, può rendere la creatura al suo Creatore? I doveri della religione pertanto soro primi e massimi fra tutti i doveri, e indicalo la parola stessa « religione » la quale, nota Cicerone, viene da rilegare, legare doppiamente, perchè se sono sacri o santi i doveri verso gli uomini, quelli verso Dio sono sacri e santi ad un tempo, riferendosi ad un essere di infinita perfezione. Ecco alcuni documenti generali di religione : Incominciate, o figliuole, fino da' teneri anni a riguardare con profonda riverenza l'altissimo Iddio, siccome nostro principio, ed ultimo fine d'ogni nostro operare. Considerate che la sua mano onnipotente ha fatto ogni cosa in cielo ed in terra, che ci creò a sua immagine e somiglianza, e che ci agguagliò poco meno che agli angeli. A questo re dei secoli, immortale, invisibile, unico, date onore e gloria in ogni tempo, adoratelo in ispirito e verità; umiliatevi dinanzi alla maestà sua, e temete la sua giustizia. Pensate, o figliuole, che voi non potete sfuggire mai alla vista di Dio, perocchè tutto è nudo e palese a'suoi occhi.Egli vede tutto ciò che è occulto: egli penetra nel vostro cuore, pone a scrutinio i vostri pensamenti, i vostri desideri e darà la retribuzione proporzionata alle vostre opere. Qualunque cosa voi sarete per fare o in parole o in opere, fatela sempre in nome del Signore, e sia tale che non dobbiate mai per vergogna na celarla agli occhi altrui. Ricordate che il peccato non fa fortuna, e che invola sempre la gioconda pace del cuore. Non arrossite in qualsiasi tempo di mostrarvi religiose; si deve arrossire del mal operare, ma non della virtù. E religiose e devote siate nella semplicità del cuore, attendendo con amore alle opere buone che la morale prescrive e consiglia nel vostro stato. Una parola men che onesta o contraria alla decenza non esca mai dalla vostra bocca, ne permettete che altri la proferisca voi presenti. Guardatevi, fanciulle mie, dai piccoli falli, se volete evitare i gravi, giacché chi quelli trascura, facilmente incappa in questi.

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Invitate a pranzo fuori di casa, non mettetevi a tavola prima degli altri, ma aspettate, che il padrone vi collochi; non ispiegate il tovagliuolino, nè mettetevi a mangiare prima che il padrone o la persona più distinta v'abbia dato l'esempio ; non fate le smorfie; non mostrate predilezione più per una vivanda che per un'altra; lasciate sul tondino la vivanda che non volete più mangiare, che non è necessario di sforzarvi quando n'avete abbastanza ; astenetevi dal tossire, dallo sputare, dal soffiarvi il naso più che potete, e nel bisogno abbiate quei riguardi che abbiamo detto più sopra. Non soffiate sulla minestra, non fiutate le vivande, che ciò fa nausea; non mangiate con troppa fretta nè con troppa lentezza; non succhiate le ossa per trarvi il midollo, nè rosicchiatele per ispolparle, ma staccate la carne col coltello, altrimenti lasciatele; non toccate colla forchetta o col cucchiaio il piatto comune, nè rimettete nel piatto comune ciò che fu già nel vostro ; non presentate ad altri ciò che voi già gustaste, non fregatevi i denti col tovagliuolino, nè con esso asciugatevi il sudore. Quando prendete il bicchiere dove v'hanno mesciuto vino od acqua, procurate d'avere le mani pulite, onde non insudiciarlo, non prendetelo con due mani, nè votatelo in bocca come il votereste in un imbuto, ma bevete con bel garbo, guardandovi dal fare gorgoglio nella gorgia ; tergetevi col tovagliuolino la bocca prima e dopo. Non riempite troppo il bicchiere, nè lasciatelo pieno sulla tavola,onde evitare il pericolo di versarlo, chè questa sarebbe una sgarbatezza. Guardatevi, bevendo, dal tossire. Non porgete altrui il vino che voi avete già gustato, meno che la persona sia domestica. Non fate la zuppa secreta, cioè non bevete con la bocca piena di pane od altro, perchè vi mettereste nel pericolo di sbruffare in faccia ad alcuno, sopra i piatti o di fare altre sconcezze. Non bevete nè a tondini nè a piatti.

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., abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge Fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue : Art. I. La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sogno tollerati conformemente alle leggi. Art. 2. Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica. Art. 3. Il potere legislativo sarà collettivamento esercitato dal Re e da due Camere: il Senato e quella dei Deputati. Art 4. La persona del Re è sacra ed inviolabilee Art. 5. Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato; comanda tutte le forze di terra e di mare : dichiara la guerra : fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere. Art. 6. II Re nomina a tutte le cariche dello Stato, e fa i decreti e regolamenti necessari per l'esecuzione delle leggi, senza sospenderne l' osservanza, o dispensarne. Art. 7. Il Re solo sanziona le leggi e le promulga. Art. 8. Il Re può far grazia, e commutare le pene. Art. 9. Il Re convoca in ogni anno le due Camere : può prorogarne le sessioni, e disciogliere quella dei Deputati ; ma in quest'ultimo caso ne convoca un'altra nel termine di quattro mesi. Art. Io. La proposizione delle leggi apparterà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d'imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato sarà presentata prima alla Camera dei Deputati. Art. II. Il Re è maggiore all'età di diciotto anni compiti. Art. I2. Durante la minorità del Re, il principe suo più prossimo parente nell'ordine della successione al Trono sarà reggente del Regno, se ha compiuti gli anni vent'uno. Art. I3. Se, per la minorità del principe chiamato alla Reggenza, questa è devoluta ad un parente più lontano, il Reggente, che sarà entrato in esercizio, conserverà la Reggenza fino alla maggiorità del Re. Art. I4. In mancanza di parenti maschi, la Reggenza apparterrà alla Regina Madre. Art. I5. Se manca anche la Madre, le Camere, convocate fra dieci giorni dai Ministri, nomineranno il Reggente. Art. I6. Le disposizioni precedenti relative alla Reggenza sono applicabili al caso, in cui il Re maggiore si trovi nella fisica impossibilità di regnare. Però, se l'erede presuntivo del trono ha compiuti diciotto anni, egli sarà in tal caso di pien diritto il Reggente. Art. 17. La Regina Madre è tutrice del Re finchè egli abbia compiuta l'età di sette anni: da questo punto la tutela passa al Reggente. Art. I8. I diritti spettanti alla potestà civile in materia beneficiaria, o concernenti all' esecuzione delle Provvisioni d'ogni natura provenienti dall'estero, saranno esercitati dal Re. Art.I9. La dotazione della Corona è conservata durante il Regno attuale quale risulterà dalla media degli ultimi dieci anni. Il Re continuerà ad avere l'uso dei Reali palazzi, ville, e giardini e dipendenze, non che di tutti indistintamente i beni mobili spettanti alla Corona, di cui sarà fatto inventario a diligenza di un Ministro responsabile. Per l'avvenire la dotazione predetta verrà stabilita per la dotazione di ogni Regno dalla prima legislatura, dopo l'avvenimento del Re al Trono. Art. 20. Oltre i beni, che il Re attualmente possiede in proprio, formeranno il privato suo patrimonio ancora quelli, che potesse in seguito acquistare a titolo oneroso o gratuito, durante il suo Regno. Il Re può disporre del suo patrimonio privato sia per atti fra vivi, sia per testamento, senza essere tenuto alle regole delle leggi civili, che limitano la quantità disponibile. Nel rimanente il patrimonio del Re è soggetto alle leggi che reggono le altre proprietà. Art. 2I. Sarà provveduto per legge ad un assegnamento annuo pel Principe ereditario giunto alla maggiorità, od anche prima in occasione di matrimonio ; all'appannaggio dei Principi della Famiglia e del Sangue Reale nelle condizioni predette ; alle doti delle Principesse; ed al dovario delle Regine. Art. 22. Il Re, salendo al trono, presta in presenza delle Camere riunite il giuramento eli osservare lealmente il presente Statuto. Art. 23. Il Reggente, prima d'entrare in funzioni, presta il giuramento di essere fedele al Re, e di osservare lealmente lo Statuto e le Leggi dello Stato.

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