Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La sorte

247867
Federico De Roberto 2 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
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Gli abbiamo trovato il tuo ritratto sul cuore. - Il mio ritratto? ... Guarda, guarda com'è serio!.. E gli dette uno spintone. - Ferma con le mani. Parlo sul serio, il tuo ritratto, nelle Campane, e c'è anche una copia del libretto, col tuo nome scritto sopra. - Voi davvero?.. Giesù, Giesù!.. E com'è stato?.. - Si è scannato, con un rasoio. - È morto? - chiese con grandi occhi spalancati. L'ispettore trinciò una piccola croce, col dito. - Il ritratto glie lo avevi dato tu? - Io? Siete pazzo! Chi lo conosceva!. - Allora, come? - Io che so! L'avrà comprato dal fotografo. - E.... non l'hai mai visto? - Dalli! V'ho detto che non lo conosco - Un giovanotto, coi baffetti castagni... occhi neri... alto... - Aspetta, aspetta... Con la lente?.. Mo' ricordo; qualche volta l'incontravo, dopo la recita, abbasso al portone. - E... non t'ha avvicinato mai? - Quante volte v'ho da dì... - L'incontrasti anche iersera? - Mi pare... - Poi aggiunse, curiosamente: - Chi ve l'ha detto?... L' ispettore la guardò, ammiccando: - Con chi eri? Teresella gli dette un altro spintone. - Ih com'è curioso!... S'intese una carrozza arrestarsi sotto l'Albergo; l'ispettore andò a guardare dalla finestra. - Lasciami andar via; portano la cassa. - Giesù, Giesù! Poi, mentre quegli stava per uscire sul corridoio, Teresella gli corse dietro. - Cavaliè... sentite... avessi mai da passà qualche seccatura?... L'ispettore le accarezzò il mento, paternamente. - Non aver paura. E salì nella stanza del morto. Dietro, il becchino portava la cassa: tre tavole inchiodate e una mobile. - Pretore, ci siamo? - Avanti. - Picciotti, a noi. Preso dalle spalle e dai piedi, il cadavere fu deposto nella cassa. L'abito aperto faceva ingombro; lo affagottarono alla meglio. Il tempo diventava sempre più scuro; alla luce triste, giallastra, filtrante tra i nuvoloni color creta, la faccia del morto pareva di cera. A un tratto s'intese, fuori il corridoio, un confuso rimescolio, voci sorde, indistinte; poi dei passi affrettati che si avvicinavano, striIli di bambino e un gridar rauco: - Assassino!... lasciatemi, sangue di Dio!... Assassino, assassino!... - Saverio!... per carità, Saverio!... Il padrone, terribile nella faccia accesa, gli occhi iniettati di sangue, i capelli rossicci sconvolti, si precipitò nella camera, come una furia. - Assassino!... dov'è l'assassino?... - E corse addosso alla cassa. Le guardie furono a tempo ad afferrarlo. Contorcendosi, tentando di svincolarsi, con la bava alla bocca, egli gridava parole mozze. - Il cuore debbo mangiargli... a cotesto infame!.. Mi ha rovinato!.. I'Albergo è rovinato!... - E nella rabbia dell'impotenza, gonfiò le gote e lanciò uno sputo che andò a stamparsi sulla fronte del morto. - Carogna, tieni! L'ispettore, facendo fischiare più forte l'aria fra i denti, gli si fece incontro, gli posò una mano sulla spalla, e disse, guardandolo fermo: - Principale, che facciamo? Restarono un momento così, gli occhi negli occhi. Il pretore guardava, impassibile, stropicciandosi le dita. Poi il padrone, fremente, con le labbra strette e le mascelle contratte, si lasciò portar via, barcollando. - Su, facciamo presto. Il becchino s'inginocchiò, inchiodò la cassa, leggermente; le guardie la presero da capo e piedi e gliela misero sulle spalle. Pel corridoio angusto, giù per la scaletta dalla volta bassa, il carico andava sbattendo di qua e di là. - Adagio!... attento alla porta!... più basso! - avvertivano don Ciccio e donna Vincenza. Sul marciapiede, la folla indietreggiò. La guardia aperse lo sportello del carrozzone, e come la cassa vi sdrucciolò, lo richiuse, sbattendolo. - Al deposito - disse al becchino, consegnandogli l'ufficio del pretore. Come il carrozzone fu partito, donna Vincenza, nel risalire, vide qualcosa di bianco per terra. - La lettera del passeggiere! - «Municipio di Messina» - lesse il pretore, interrompendo la redazione del verbale - «Oggetto: concorso fra gl'insegnanti elementari. Le si partecipa, in risposta alla sua del 20 corrente mese che, ai termini dell'avviso 8 ottobre, quando la patente di grado superiore è conseguita prima del 1878, occorre espressamente, per essere ammessi al concorso, il certificato speciale di abilitazione allo insegnamento della ginnastica. Tale essendo il suo caso, la commissione non può passare all'esame dei titoli già presentati se la Signoria Vostra non le farà pervenire il certificato di cui sopra.» FINE.

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- Abbiamo un po' girato il mondo, caro te! - Quando venne Umberto, bisognava vedere!.. E la parata alla Villa!.. - E la festa di Piedigrotta! - E la festa di San Gennaro! - Niente, quella di San Gennaro non m'è piaciuta niente! Santo Vacirca e Antonio Manfuso passavano a rassegna uno dopo l'altro i ricordi di Napoli, si correggevano se uno sbagliava e interrompevano il discorso con esclamazioni continue. Alfio Balsamo li stava a sentire, a bocca aperta, in silenzio, temendo di farli ridere ancora con le sue domande. - La Villa di Napoli! Ci entra tutto Sant'Alfio, e a piantarci cavoli uno si farebbe ricco!... - E la processione delle carrozze!.. - E i magazzini e i bizzarri, dove c'è tutto il ben di Dio, e bisognerebbe soltanto aver denari per cavarsi tutti i gusti!.. - E le birrerie con le ragazze, per servire gli avventori... Alfio Balsamo aveva una domanda sulla punta della lingua, ma Antonio Manfuso disse a un tratto: - Andiamo all'osteria. Dallo zio Menico, dove c'era molta gente a bere e a fumare, quello chiamò: - Un litro, del nostro. E tracannando il bicchiere ricolmo, esclamava: - Ma a Napoli vino come questo non ce n'è! - Tu non bevi? chiese Vacirca ad Alfio Balsamo. - Mi dà alla testa - rispose questi, con soggezione. - Andiamo, non fare il ragazzo! E Alfio vuotò il suo bicchiere. Il discorso di Napoli ricominciava; ognuno dei congedati raccontava quello che aveva visto e che gli era capitato, le usanze dei paesi, i compagni incontrati o lasciati per via. Il reggimento di Manfuso aveva passato un anno a Brescia; Santo Vacirca aveva girato di qua e di là, in distaccamento. Alfio non aveva nulla da dire, e come il vino gli montava al cervello, dette un pugno sul tavolo, esclamando: - Sangue del mondo! Avrei voluto fare il soldato anch'io. Santo Vacirca, che accendeva un zolfanello strofinandolo sotto l'anca, rispose: - Eh, lascia stare; a reggimento non è tutto rose e fiori. - Si, come se a zappare un cristiano non lasciasse l'anima! Ogni mestiere ha i suoi guai! - disse Manfuso, alzandosi. - E chi ti par che dorme e si riposa, quello porta la croce più gravosa! Fuori la musica era finita e cominciava ad annottare. La gente guardava curiosamente i congedati, e Alfio Balsamo si dava una cert'aria, in quella compagnia, studiando i gesti degli amici, ammirando la loro sveltezza; ma, in fondo, un po' umiliato della sua ignoranza, del suo finto berretto di bersagliere. Non sapeva far altro che interrogare. - A che ora suonava la ritirata? - Secondo le stagioni. - E che facevate fuori? - Si andava assieme, a spasso, di qua e di là... - E poi?.. - chiese a un tratto Alfio Balsamo, fermandosi. Santo Vacirca e Antonio Manfuso si guardarono, ridendo. - Già. Come c'era gente in piazza, tutti e tre si allontanarono per la strada del Lavinaro, dove non si vedeva nessuno. Alfio Balsamo stava a sentire, senza perdere una sillaba, interrompendo a ogni tratto: «E dove?.. E come?.. Davvero?..» - Tante regine, ti dico, che non puoi averne un'idea.... E quelli abbassavano ancora la voce, e Alfio spalancava ancor più gli occhi. A un tratto, al chiassuolo di San Rocco, s'intese un rumor di passi. - Chi è che viene? - Tò - s'interruppe Vacirca - quella lì non è Anna Laferra? - Con Vincenzo Sutro, guarda! - disse Manfuso - E quel povero Salvatore che abbiamo lasciato a Napoli disperato per lei! Alfio Balsamo non disse niente; ma come se la vide passare dinanzi, dritta e superba, con la faccia pallida e i capelli scomposti, esclamò, in una risata: - Va', puttana!

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