Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188122
Pietro Touhar 15 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Spero che riuscirà utile alle Lettrici alle quali è destinato; e soddisfarà in parte al bisogno grandissimo che abbiamo di buoni libri che servano di utile lettura alle fanciulle.

La gelosia Fra questi consigli abbiamo avuto principalmente in mira di raccondare alle fanciulle che si premuniscano contro il grave e pericoloso difetto della gelosia. Una buona fanciulla non deve, non può mai provare rincrescimento nel sentire il maggior bene delle altre; ed ogni dubbio che in tal caso ella all'affacciasse, ed ogni sua osservazione che tendesse a criticare od a biasimare la persona lodata, farebbe nascere in chiunque l'ascoltasse cattiva opinione di lei. Invece tutti la stimeranno e le vorranno bene se sarà pronta a riconoscere il merito degli altri e a goderne, se non si arrischierà a giudicare le sue compagne, se si asterrà sempre dal dirne male. Non abbia timore di passare per poco accorta se si mostra benigna e generosa; la maldicenza, ancorchè per mala sorte possa talora apparire divertevole, non richiede talento, nè è stata mai presa per indizio di spirito; mentre invece è necessaria molta squisitezza di senno per saper lodare delicatamente e opportunamente. È poi biasimevole sempre in una fanciulla il voler mettere a sindacato Mettere a sindacato, esaminaro minutamente. le azioni delle altre e volerle giudicare con rigore, con quella così detta mordacità che mal si sopporta anco nei vecchi. Pur ve ne sono talune che se ne tengono, Che se ne tengono, che se ne compiacciono. quasichè fosse indizio d'accortezza di spirito, e non s'accorgono che è il vero modo di farsi temere e non mai amare nè stimare. Saranno forse ascoltate da chi vuole sottrarsi ai loro sarcasmi, Sarcasmi, beffe gravi e maligne. ed anche adulate da chi ha la debolezza di temerle, ma in nessuno sveglieranno sentimenti affettuosi e rispettosi; ed ogni loro censura, ancorchè potesse in parte esser giusta, sarà presa per effetto di gelosia, d'invidia, di livore segreto che si sfoga in quel modo. È molto meschino il merito di saper coglier con facilità il ridicolo delle persone in mezzo alle quali viviamo di consueto; e da questa assuefazione siamo involontariamente condotti a beffarci delle cose più serie, a vilipendere, senza rifiessione e senza rincrescimento, quelle buone qualità, quelle virtù che dovrebbero invece svegliare ammirazione e ispirare rispetto in un cuore ben fatto. Col tempo questa pessima, assuefazione va crescendo per gradi, e addiviene finalmente una vera tirannia; allora nulla rimane illeso dal veleno viperino della lingua maledica, nè parenti nè amici possono sottrarsene; l'affetto, la carità, la giustizia, la urbanità, si arretrano crudelmente offese; e l'abbandono, la solitudine, il disprezzo, l'odio sono il frutto che la lingua indiscreta, pungente, maledica raccoglie. Un tempo fai testimonio di un fatto che luminosamente conferma questa osservazione. Una virtuosa fanciulla lasciò il collegio dove era stata educata, e tutte le sue compagne se ne mostrarono afflitte fino alle lacrime. Una sola che aveva il difetto d'essere canzonatrice e maldicente, seppe mettere in ridicolo quella commozione e far risaltare alcuni difetti di colei che dalle altre veniva tanto lodata. Paco dopo toccò alla canzonatrice ad andarsene: parve quello un giorno di festa pel collegio. Non vi fu mai nè più serenità, nè più giubbilo in tutte le alunne. D' allera in poi divennero anche più rare le loro mancanze.

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Talora, è vero, possiamo trovarci alquanto impacciate, come allorchè, per esempio, abbiamo avuto invito ad andare in una casa dove non siamo state ancora introdotte, o quando si tratta di dover accettare un invito fatto all'improvviso. E in tali casi le sole congiunture attuali possono suggerire il meglio che far si possa. Per non andare ad un invito già accettato occorrerebbero ragioni di maggior rilievo, e sarebbe necessario farle conoscere per non essere tassate di grande sconvenienza. Varie cose che abbiamo detto o diremo non sembrano a proposito per le fanciulle, poichè infatti esse non ricevono inviti se non in compagnia dei loro genitori, ai quali appartiene l'accettarli o no; ma giova che elle conoscano per tempo le usanze sociali per sapervisi uniformare di poi. Posta essendo l'ora dell'invito, conviene andarvi qualche minuto prima; qualche minuto soltanto, poichè anticipando molto vi sarebbe il rischio d'impacciare i padroni di casa che in tali congiunture sogliono essere in faccende; ed allora vi trovereste fuor di luogo anche voi. All'opposto badate di non indugiare, chè ogni convitato si infastidirebbe a ragione della vostra inesattezza; ovvero se gli altri fossero andati a tavola senza aspettarvi, il vostro arrivo scomoderebbe tutti costringendoli a darsi pensiero di voi. Riuniti che siano i convitati, o giunta l'ora del pranzo un servitore annunzia in tavola: e subito il padrone di casa fa strada agli altri verso la sala del banchetto dando di braccio alla signora più ragguardevole per età o per condizione; così il più distinto fra gli uomini conduce seco la padrona di casa, e gli altri fanno lo stesso con le signore invitate. Un giovine commetterebbe atto di malacreanza, se per usar gentilezza alla signora che gli è toccata a compagna, facesse premura per passare innanzi alle persone che sono da più di lui. Talora il padrone di casa distribuisce anticipatamente le prime coppie, ed avverte gli uomini del posto che devono prendere alla sua destra od alla sua sinistra. Ciò è necessario nei conviti più numerosi. Pochi usano ora di scrivere il nome dei commensali in un biglietto che ponevasi sopra le respettive coperte. Per lo più quando i convitati sono giunti presso la tavola, gli uomini salutano le signore a cui hanno dato braccio, e aspettano in piedi che il padrone o la padrona di casa assegnino a ciascuno il suo posto. E per ciò fare essi medesimi pongonsi l'uno in faccia dell'altro a mezzo la tavola, e chiamano accanto a sè, incominciando dalla destra, le persone da dover preferire; di poi additano gli altri posti in guisa da soddisfare il desiderio o l'amor proprio di tutti, e da rendere in conversazione più svariata e più generale che sia possibile. Nelle case ove il cerimoniale è osservato a rigore, uno o più servi sono specialmente destinati al servizio della tavola: presentano la minestra, scalcano o tagliano le vivande, e le offrono in giro ai commensali che francamente devono subito accettare o ricusare. Altrimenti la padrona di casa scodella da sè la minestra ai suoi vicini da diritta e da manta, e la fa poi trasmettere agli altri i quali spesso, per cortesia, la offrono ai susseguenti. In tempo di tavola ciascuno gode di molta libertà; è lecito bevere o no, accettare o rifiutare vivande; nondimeno convien cedere alla minima insistenza dei padroni di casa; ma questi dal canto loro devono essere discreti nel modo di fare accettare ai commensali ciò che sembra loro dover essere più gradito. Molte altre avvertenze saranno opportune per le giovanette: alcune derivano dall'uso stabilito; altre dalla civiltà propriamente detta. Il tovagliuolo deve essere steso sui ginocchi, non appuntato al petto con lo spillo. Non conviene soffiare sulla minestra, che va presa senza servirsi di forchetta, e sfuggendo qualunque strepito delle labbra. Non usa tagliuzzare il pane, ma sì spezzarlo e tenerlo con la punta delle dita. Il bicchiere non deve mai essere empito tanto da correre il rischio di versarlo sulla tovaglia; e dopo aver bevuto bisogna asciugarsi la bocca. Non occorre dire che sarìa grande sconcezza il mangiare avidamente e bever fuor di misura; che sta male il mettersi a succiare gli ossi e le lische ed il gettarle sotto la tavola invece di lasciarle stare nel piatto. Alcune vivande possono essere prese con le dita, come gli asparagi, le radici, le frutta, le paste, gli ossicini dell' uccellame; ma tutte le altre in generale devono essere tagliate col coltello e poste in bocca con la forchetta; quanto al pesce ed ai legumi basta fare uso della forchetta, e del cucchiaio quanto ai piatti dolci fatti con latte ed altri liquidi. Non conviene mangiare le frutta senza averle partite e sbucciate, e sarebbe sconcezza volere schiacciare i noccioli coi denti. Se abbiamo bisogno di pane dobbiamo chiederlo al servo, ec. Quando sono posti in giro i piatti della biscotteria potete assaggiare di questo e di quello dopo averne offerto ai vicini, ma non conviene, senza averne avuto espresso invito dal padrone di casa, tirare a sè il piatto già rimesso al suo posto sopra la tavola. Talora sul finire del panto vengono distribuite ai comensali le ciotolette di vetro colorite contenenti acqua tiepida per risciacquare la bocca e lavare la punta delle dita: od ove non sia seguito quest'uso, è lecito, massime alle signore, mescere alquanto d'acqua nel bicchiere, tuffarvi le dita, ed asciugarsele di poi con la salvietta. Non sono più di moda nè i brindisi, nè i canti o simili tripudi; ma se vi trovaste in case dove piacesse serbar ricordanza di questo schietto giubbilare dei nostri antenati, la convenienza vorrebbe che vi uniformaste al desiderio degli altri. Nello stesso modo che i padroni di casa fanno cenno di andare a tavola, così tocca a loro a far quello di lasciare la mensa. La padrona di casa è la prima ad alzarsi, e tutti la seguono immediatamente; gli uomini tornano ad offrire il loro braccio alle signore per riaccompagnarle nel salotto; ma il padrone di casa, che venendo aveva preceduto tutti gli altri, ora esce l'ultimo. Ci vorrebbe un motivo gravissimo, un caso importante e imprevisto, perchè un commensale si facesse lecito di lasciare la tavola prima della fine del pranzo. Per lo più il caffè vien dato a tavola; alcuni usano di farlo portare in giro nel salotto. Le signore incominciano ad astenersene; e già molti uomini imitano il loro esempio. Chi non ha ancora adottato questo perfezionamento, avverta di non versare il caffè nel piattino, per farlo freddare, perchè non è cosa che stia bene. Convien trattenersi a conversazione coi padroni di casa, almeno fino ad un'ora dopo il pranzo; e potendo, è anche meglio starvi tutta la serata. Nel corso dei successivi otto giorni è necessario far la visita, così detta di digestione, come atto di ringraziamento ai padroni di casa pel piacere che col loro invito hanno avuto intenzione di procurare ai commensali. Dobbiamo: Rispondere con parole di ringraziamento ad un invito che ci venga fatto; addurre giuste ragioni se siamo costretti a ricusare; accellare o ricusare senza esitazione un invito fatto verbalmente; essere precisi circa l'ora statuita; uniformarci alle usanze delle case in cui ci troviamo; trattenerci in conversazione almeno un'ora dopo essere usciti da tavola; far visita entro gli otto giorni dopo il pranzo alla famiglia da cui abbiamo ricevuto l'invito. Non dobbiamo: Mancare ad un invito accettato, subitochè non ci siano stati ostacoli insuperabili; nè trascurare quelle molte e minute convenienze che l'usanza e l'educazione prescrivono.

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Abbiamo quindi creduto utile esporre alcuni di quei precetti di civiltà che giova seguire a chi non vuole esser tacciato di zotico in mezzo a simili riunioni. Le riunioni serali possono essere classate così: riunioni di semplice conversare e di giuoco; riunioni letterarie; riunioni musicali. Quanto alle prime non vi è nulla di particolare; e basterà far riscontro del capitolo sul Contegno in conversazione, e leggere quello che qui aggiungeremo intorno al giuoco, per avere bastanti nozioni sui modi di comportarsi. Le seconde sono rare, massime in provincia, e per lo più non riescono molto divertevoli, o non sono adattate alle giovani; ma ritrovandovisi, anche una fanciulla deve sapervi stare come si conviene, e far conoscere che se non ha pregi letterari, possiede bensì tutte le qualità della buona educazione. Chi legge qualche componimento, mostra, è vero, di sottoporlo al giudizio imparziale degli uditori, ma nutre anco la speranza di raccoglierne i suffragi. Spesso rivolge un occhio indagatore sulle faccie delle persone che gli stanno attorno, col timore di scorgervi indizio di noia, o con la speranza di tener sempre viva la loro attenzione. Procurate dunque di non distrarvi; non rivolgete la parola a chi vi sta accanto, non fate gesti che possano parere indizi d'impazienza, non tossite, non vi abbandonate insomma ad alcun atto che possa smentire quella premura che aver dovete per la buona accoglienza della lettura che vi vien fatta. Potete peraltro addimostrare la vostra approvazione, se vi sembra opportuno, ma coi debiti riguardi; chè se vi faceste a interrompere troppo spesso il lettore, potrebbe parere che andaste cercando una distrazione nella prodigalità degli applausi. Fareste eziandio cattivo servigio al lettore, se il vostro plaudire lo interrompesse in mezzo a un periodo di maggiore effetto e sul quale fondato avesse le sue più lusinghiere speranze. Non importerà avvertire quanto starebbe male che alcuni si ponessero a far crocchio da sè prima che una lettura sia giunta al suo termine. Le serate musicali presentano pressochè i medesimi inconvenienti, e richiedono le stesse cautele e non meno benevola attenzione. Vi avverrà talora di dover udire un pezzo di musica stentato, eseguito senza grazia, senza armonia; le vostre orecchie non devono mostrarsi infastidite dalle stonature; nè dovete far mostra di volervi astenere dai consueti elogi che peraltro nulla significano. Anche la civiltà ha certi obblighi talora gravosi, ai quali ciascuno, senza bisogno di mostrarsi servile o piaggiatore, deve per benignità e gentilezza d'animo sottoporsi. Il vestiario, per chi vuole debitamente fare onore alla comitiva, è cosa da farne conto; e soprattutto le donne devono saperlo adattare alla circostanza, e perfino alla forma dell'invito. Fuggano sempre ogni sorta di esagerazioni, ma non affettino trascuranza o dispregio delle più ragionevoli consuetudini. Se la grazia è necessaria per sapere assistere ad una riunione festiva, la modestia è ornamento ben più d'ogni altro pregevole. Non saranno mai troppe le cautele delle fanciulle in questo punto, e massime al loro primo comparire nella società. Sfuggano eziandio la estrema vivezza dei modi, l'arditezza degli sguardi, le risa smoderate, i sorrisi maliziosi, tutto ciò insomma che richiamar potrebbe attenzione sopra di loro. Siano disinvolte con naturalezza e con grazia; modeste senza affettazione di eccessiva ritrosia, ingenue, dignitose, prudenti; e si ricordino che spesso dal loro contegno, nei primi passi che faranno in mezzo alla società, può dipendere la futura riputazione in questa parte della umana convivenza. Dobbiamo: Porgere attenzione alla lettura di un componimento a cui abbiamo consentito di assistere; applaudire con opportunità e moderazione; mostrarci benevoli verso chiunque si cimenta nelle ricreazioni musicali: osservare le usanze relative al vestiario da conversazione; essere cautelate in ogni incontro. Non dobbiamo: Assentarci o tirarci in disparte prima che sia posto fine ad una lettura nelle riunioni letterarie; interrompere una lettura o pezzo di musica con applausi fuor di luogo.

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Queste avvertenze possono parere superflue per le fanciulle che mai o di rado si troveranno nel caso di cedere alla funesta passione del giuoco; ma siccome ad alcune pur potrebbe avvenire di correre un tempo questo rischio, così abbiamo voluto premunirle; tanto più che anche dai giuochi puerili e leciti alle fanciulle, e nei quali conviene usare proporzionatamente parlando le stesse cautele, nascer potrebbe una passione pericolosa e capace di guastare il miglior carattere. Il giuoco in conclusione, o è da proscrivere addirittura, o è da considerare qual semplice passatempo ricreativo; e perciò non bisogna mai farne una grave occupazione. Dobbiamo: Astenerci dal giuoco di somma rilevante, e quindi essere indifferenti sì alla perdita che alla vincita; accogliere la decisione delle persone disinteressate in caso di disparere; astenerci da qualunque giuoco ove non ci riesca di sopportare impassibilmente la perdita; far sì che il giuoco sia una ricreazione, non un'occupazione. Non dobbiamo: Ridurre il giuoco a speculazione; giubbilare per la vincita o rattristarci per la perdita; farci lecita la benchè minima soverchieria nel giuoco; notare con tono di rimprovero gli sbagli del compagno; lasciare il giuoco innanzi il tempo quando siamo in vincita; mostrarci astiose della buona ventura dell'avversario.

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L' amicizia Poca fatica, per lo più, richiedesi ad acquistare e conservare le virtù delle quali abbiamo brevemente discorso, purchè ci assuefacciamo ad esercitare fino dall'età più tenere; ma d'altra parte, una leggera dimenticanza dei propri doveri basta per farle perdere e allontanare per sempre. La scelta dunque d'un'amica è cosa di molta importanza per le fanciulle, poichè da questa scelta può spesso dipendere il tenore di tutta la vita. A volere che l'intimo affetto dell'amicizia sia profittevole, deve essere animato e sorretto da virtuosi sentimenti e da completa propensione verso il bene in tutto e per tutto. Una vera amica deve, col suo esempio, ispirare tutte le virtù che sono capaci di condurre alla felicità. Non abbiamo voluto, nè potevamo far qui un trattato di morale; ma soltanto porgere alcuni avvertimenti opportuni a servire d'introduzione a quanto diremo intorno ai doveri delle fanciulle; e porremo fine con una riflessione a cui annettiamo molta importanza. Non basta saper viver bene pel mondo; bisogna anche saper vivere per morire, poichè la vita altro non è che il sentiero della morte. Spesso questo sentiero è pieno d'inciampi e di pericoli; in mezzo a giardini e prati smaltati di fiori si occultano orribili precipizi; tocca a noi ad andar cauti per saperli scoprire e schivare; la temeraria presunzione d'esser capaci a varcarli potrebbe essere cagione di farci soccombere. Quando saremo presso al termine del viaggio Presso al fine della vita. non vi è speranza di tornare indietro. Non è già nostra mente Non è nostra intenzione. di obbligare la gioventù ad avere sempre davanti a sè l'immagine della morte; ma se talora questo pensiero le si presenta, vogliamo esortarla a non spaventarsene, a non respingerlo con terrore, deve anzi accoglierla con serenità e fortezza d'animo, considerarlo qual sentimento sublime, qual ricordo benefico perchè sappia essere sempre pronta a lasciare con intrepida tranquillità la vita breve e tempestosa di questa terra. Per lo più, infatti, la morte sopraggiunge a tutti quando meno l'aspettano; la giovinezza non è usbergo Usbergo, difesa. sicuro contro di essa; ed è savio e prudente colui che sa regolarsi sempre in modo da poter dire a Dio, con fiducia nella divina misericordia:

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Ciò che fin qui abbiamo detto appartiene alla morale; entreremo ora in alcuni particolari che spettano alla pulitezza, dei quali va tenuto conto anche nella propria casa, per timore di non prendere assuefazioni cattive. La pulitezza vuole che ci si lavino le mani sì prima che dopo ogni pasto. Devesi accuratamente distendere il tovagliuolo sulle ginocchia per prevenire il caso di macchiarsi. Bisogna stare a tavola con compostezza, senza sdraiarsi sulla sedia, nè tenerla alzata di dietro, nè piegarsi per parte, nè appoggiare i gomiti sulla tavola. È necessario saper adoperare con destrezza la posata nel modo che dai più è usato; non conviene empir troppo il cucchiaio; e sono da fuggire accuratamente quei diversi strepiti che taluni fanno con la bocca o nel vuotare il cucchiaio, o nel masticare le altre vivande, o nel bevere. Non vi empite il piatto nè ponete in bocca soverchio cibo per non passage da ingorde. Non buttate mai nulla in terra; che ciò che non è da mangiare va messo accuratamente da parte sull'orlo del piatto. Se avete sete non fate colmo il bicchiere; bevete con pausa dopo aver finito il boccone, ed asciugatevi poi le labbra con la salvietta. Molte altre avvertenze potrebbero essere aggiunte, ma siccome si riferiscono piuttosto ai riguardi verso la società che alla pulitezza propriamente detta, così le serberemo pel capitolo Sui pranzi d'invito. Vogliamo ricordare per altro essere utilissimo l'assuefarsi a mangiare con scrupolosa pulitezza anche nella propria casa, o quando pur fossimo sole; perchè se queste buone creanze non addivengono in noi abito giornaliero, ci troveremo poi impicciate in compagnia degli altri, e sempre soggette alla paura di far male e d'essere tenute per zotiche. Dobbiamo: Assuefarsi presto alla temperanza; mangiare alle date ore; lavarci avanti e dopo ogni pasto; stare a tavola compostamente; badare alla pulitezza; non buttar nulla in terra; bevere con pausa; nettarsi le labbra dopo aver bevuto. Non dobbiamo: Mangiare tra pasto e pasto; posare i gomiti sulla mensa; adoperare la forchetta fuor di luogo; baloccarci col coltello; fare strepito mangiando; prendere più bocconi alla volta, far colmo il bicchiere.

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Infatti l'estremo d'una moda, lo abbiamo già detto, è usato solo da chi più pecca di vanità, e da chi vuole parere da più di quello che è. Nondimeno, poichè una moda incomoda, ancorchè non sia spinta all'eccesso, ha pur sempre in sè qualche poco d'inconveniente, cosi le persone giudiziose non si fanno scrupolo di usare quelle cautele che tali inconvenienti possono attenuare. Quando dunque le nostre signore a cagione dei vestiti a strascico, parevano convertite in spazzine delle strade, niuno, se non che gli stolti, osava appuntare di goffaggine o di spilorceria quelle che all'occorrenza lo tenevano con una mano alquanto sollevato perchè s'insudiciasse meno che fosse possibile. Anzi a tutti era gradita la loro cortese attenzione, che nei tempi asciutti liberava i passeggieri dall'aver negli occhi ed in gola la polvere che lo strascico avrebbe alzato in gran copia. In ogni caso adunque una donna usar deve di tutte le necessarie cautele affinchè sulle sue vesti, sulle calze, sulle scarpe non appariscano tracce di negligenza, le quali potrebbero farla accusare di sbadataggine, e, quel che è peggio, di sudiceria. Se per istrada vi abbattete in un vecchio, o in una persona di vostra conoscenza e meritevole di singolare rispetto, fatele posto, cedendole il passo sul marciapiede o rasente le case. E questo il riguardo che un uomo usar deve sempre verso le donne. Se a caso la strada fosse ingombrata da che che sia, e non vi rimanesse che un angusto sentiero, non vi ponete a spingere indiscretamente con le mani o coi gomiti chi v'è accosto, quasichè aveste, timore di non poter passare o pretendeste di esser le prime: chè anzi trovandovi faccia a faccia con persone che vi sembrino da più di voi, tiratevi garbatamente da parte per lasciar libero il passo. Nelle vie sgombre ed ampie, è naturale usare maggiore attenzione di non urtarsi coi passeggieri, poichè se questo avvenisse potreste esser tenute in conto di male educate o almeno di storditelle; quando piove è necessario saper tenere con destrezza e sveltezza l'ombrello per non incrociarlo nè percuoterlo con quello degli altri, e conviene all'occorrenza saperlo alzare o abbassare prontamente. Potreste per avventura incontrarvi in una donna di vostra conoscenza, che senza avere ombrello, si trovasse colta da un rovescio d'acqua; ed allora la garbatezza vuole che le offriate posto sotto il vostro, e che anche la conduciate fino al luogo al quale s'incammina; ma se qualche faccenda di premura v'impedisse di compiere questo dovere, bisognerebbe almeno che procuraste di metterla al coperto, dimostrandole il vostro dispiacere di non poterla accompagnare più oltre. Non vi sarà al certo bisogno di far noto quanto stia male squadrare le persone che ci passano d'accanto, ed è chiaro che sarebbero esposte a severo giudizio quelle fanciulle che si voltassero l'una verso dell'altra con atti che facessero credere in esse l'intenzione d'occuparsi di esse sottoponendole a favorevole o sfavorevole esame. Quando incontrerete per via una donna di vostra conoscenza, basterà che la salutiate con dimostrazione di quell' affetto o di quel rispetto che si merita: ma se per cortesia vi è duopo fermarvi con lei, non intavolate lungo discorso benchè d'altronde non tocchi a voi ad esser la prima a prender commiato. Ad una donna, e più ad una giovanetta è vietato fermarsi a discorrere con un uomo, a meno che non sia di stretta conoscenza e d'età avanzata. I giovani bene educati non salutano le fanciulle, o se pur lo facciano, esse usar debbono la maggior possibile ritenutezza nel restituire il saluto. Il non restituire il saluto a chiunque cel faccia è scortesia; e quando siete con altre persone, avete obbligo di far cenno di saluto anche voi a coloro che la vostra compagnia riverisce. La politezza e la garbatezza sono il più comune indizio di buona educazione. Se vi occorresse di dover richiedere qualche servigio, come l'indicazione d'una strada o altro simile, fatelo più garbatamente che potete con chi si sia, e non trascurate di ringraziare dopo averlo ottenuto; chè in ogni caso i modi altieri e sprezzanti, in simili congiunture, vi farebbero credere imbevuta di quei pregiudizi che sono affatto contrari a civiltà. Nel capitolo intorno al Contegno troverete parecchie altre osservazioni importanti sul modo di diportarvi per istrada. Dobbiamo: Cedere il miglior posto alle persone autorevoli che incontriamo per via; scansare d'essere d'impaccio con ombrelli, ombrellini od altro a chi passa vicino a noi; offrire ricovero sotto il nostro ombrello in tempo di pioggia a una donna di nostra conoscenza che non lo avesse; restituire il saluto; ringraziare chi fa qualche servigio ancorchè di poco rilievo. Non dobbiamo : Camminare sbadatamente a rischio d'alzar polvere o di infangarci; dare spinte a chi passa; nè guardar fisse le persone, nè far mostra di parlare o di beffarci di chi si sia.

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Se abbiamo intenzione d'invitar qualcuno a venire a casa nostra la prima volta, o ad un banchetto, o ad una conversazione, o ad una festa qualunque, conviene fargli visita prima di mandargli l'invito; e questa visita deve essere restituita in breve tempo. Contuttociò non sarà necessario avvertire che in niun caso le donne sono obbligate a far visita agli uomini. Le visite d'obbligo che devono esser fatte dentro gli otto giorni, sono destinate a ringraziare per qualche servigio ricevuto, o vengono fatte dopo un desinare, dopo una festa, dopo qualsivoglia riunione a cui siamo state invitate; ed anche queste vogliono essere corte, e opererebbe contro la civiltà chi le trascurasse. Visite di circostanza sono quelle del capo d'anno, o in occasione di matrimoni, di battesimi, di lutti; e queste per lo più vengono regolate secondo il maggiore o minor grado di conoscenza, d'intimià, di familiarità che passa tra noi e le persone a cui le facciamo. La visita è sempre un'attenzione; laonde chi la riceve deve mostrarne gradimento e riconoscenza; e facendo all'opposto darebbe prova di inciviltà. Conviene poi scegliere per esse il tempo opportuno, scansando, cioè, quello comunemente assegnato ai pasti ed alle consuete faccende, e non mai prima d'un'ora dopo mezzogiorno. Se, ad onta di queste cautele, vi par di giungere in mal punto, o perchè la persona da visitare sia per uscire, o debba occuparsi d'affari, o vada a mensa, vi accomiaterete più presto che sia possibile, e non cederete alle istanze, ancorchè ripetute, che per gentilezza vi saranno fatte per indurvi a trattenervi di più. Andando a far visita è necessario portar vesti adattate, purchè non si tratti di visite amichevoli, nelle quali il fare sfoggio di acconciatura sarebbe cosa ridicola e pressochè offensiva. Nell'anticamera convien lasciare tutto ciò che ci fa ingombro, come controscarpe, mantello, ec.; poi aspettare che il servo abbia annunziato il nostro arrivo; e se il servo non vi fosse, va battuto leggermente all'uscio prima di aprirlo. La qual cautela deve essere usata anche verso le persone a cui siamo legate da molta amicizia. Quando siamo in case di confidenza possiamo levarci il cappeIlo, se ci piace; ma, ove non passi grande familiarità fra noi e la persona visitata, è meglio aspettare che ce ne sia fatto cortese invito. Abbiamo già osservato che una visita di complimento deve essere di breve durata. Se la persona a cui fate visita non tien vivo il colloquio, approfittatevi del silenzio per prenderne commiato. Al sopraggiungere d'un'altra visita potete allontanarvi senz'altro con quella disinvoltura che non interrompe le accoglienze fatte alla nuova persona. Se al vostro arrivo trovate altri che già siano a colloquio, non istarà bene che prendiate subito parte nel loro conversare; rispondete concisamente alle domande che vi saranno fatte, e cogliete il destro d'abbreviare la visita. Chè se vi vien fatta premura di rimanere, cedete, e tornate ad assidervi. Ma sebbene queste premure siano da considerare quale riprova del gradimento della vostra compagnia, non ne abusate, e in breve allontanatevi. Uscendo salutate la padrona di casa, e fate poi un saluto collettivo alle altre persone. Prima di dar fine a questo capitolo, parliamo alcun poco dei biglietti da visita, dei quali per solito vien fatto un abuso che le persone bene educate non possono approvare. Furono da principio istituiti per far sapere ai conoscenti che avevamo fatto proposito di vederli, se non ne fossimo stati impediti o per la loro assenza da casa o per cagione di affari che loro impedivano di ricever visite; ed ora, specialmente in certe occorrenze, come per esempio, pel capo d'anno, sono divenuti una specie di ricordo senza importanza e senza significato, talchè molti che presumono di stare in sul convenevole Che presumono di stare in sul convenevole, che presumono praticare con ogni cura le cerimonie e i complimenti. e la vera cortesia non conoscono, commettono perfino la ridicolezza o la inciviltà di mandarli per mano dei loro servitori. Allora il rimandare il proprio biglietto è risposta bastante a quella specie di visite; e il portarlo in persona sarebbe attenzione superflua. Nelle visite alle amiche non ha che fare la carta, poichè con esse non teniamo conteggio di dare ed avere; e se non le troviamo in casa basterà informarci delle loro nuove e lasciare i nostri saluti. In sul cominciare di questa usanza furono adoperate le carte da giuoco, non più servibili, e tagliate in tre o quattro pezzetti, sui quali ii visitatore scriveva da sè il proprio nome. Ora chi vuol seguirla, e non esser creduto indietro un secolo, deve valersi di biglietti espressamente incisi o stampati o litografati; e quanto più semplici saranno, tanto più daranno indizio di buon gusto. Spesso i biglietti ricamati, profumati, ornati di titoli, d'emblemi di nobiltà, ec., si assomigliano ai cartelli dei ciarlatani. Dobbiamo: Fare anticipatamente una visita alla persona che abbiamo intenzione d'invitare a casa nostra per la prima volta; far le visite d'obbligo nello spazio d'otto giorni; mostrare cortese gradimento delle visite che ci vengono fatte; usar vestiario convenience quando andiamo a far visita; abbreviare la visita quando la conversazione si va illanguidendo; fare, partendo, un saluto distinto alla padrona di casa. Non dobbiamo: Far di seguito due visite di cerimonia innanzi che la prima sia stata restituita; usare importunità o indiscretezza nelle visite; assumere modi troppo familiari con le persone che appena conosciamo; intrometterci in una conversazione incominciata, senza essere richieste; fare abuso dei biglietti da visita; nè servircene nelle visite d'amicizia.

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Nella conversazione non basta dir buone e belle cose; bisogna anche saperle porgere con garbo, il che non può riuscire se non abbiamo cura della buona pronunzia, se non sappiamo dare alla voce quelle diverse inflessioni che la fanno essere convenientemente armoniosa. Il parlare correttamente importa moltissimo; parole mal connesse, modi fuor di luogo, espressioni triviali, incontro di suoni aspri, proposizioni non bene compiute, esagerazioni strane, e via discorrendo, molto deturpano e fanno sgradevole il conversare; e spesso generano a prima giunta svantaggioso concetto intorno all'educazione d'una persona per lo innanzi non conosciuta. Conviene pensare anche al gesto, che si può dire, dà corpo al discorso; ma è necessario saperlo bene adattare al genere di conversazione, e impedire che passi i limiti segnati dalle regole del contegno decente. Sarebbe sconvenienza o cattivo gusto lasciarsi andare ad un gesto esagerato in una conversazione tranquilla, fare atti carezzevoli e sdolcinati in colloquio d'argomento grave, usar modi misteriosi per raccontare un fatto della massima semplicità, facendo sempre, come suol dirsi, cascar le cose dall'alto. Il gesto deve star sempre all'unisono del discorso, All'unisono del discorso, in armonia col discorso. essendone l'accompagnamento necessario; e diverrebbe ridicolo se si addimostrasse discorde. Tutti quei gesti che derivano da familiarità, da imbarazzo o da soverchia timidezza sono contrari alla buena creanza; e badate di non imitar mai coloro, i quali non sanno discorrer senza brancicare Brancicare, palpeggiare. qualche parte delle vesti del loro interlocutore, senza muoversi ogni poco sopra la sedia, senza guardarsi i guanti o gingillarsi colla catena dell'orologio, con la cocca del fazzoletto, Cocca del fazzoletto, angolo, estremità del fazzoletto. coi nastri del cappello e simili. D'altro lato astenersi da ogni gesto è parimente cosa mal fatta ; e chi, parlando, rimane immobile, sembra una statua e toglie al colloquio gran parte di quel colorito che gli dà vita. Tutte le precedenti osservazioni hanno attinenza con la parte materiale della conversazione; ora diremo qualche cosa anche intorno alla parte morale. La parte morale della conversazione è tutta compresa nei nostri doveri verso Dio ed il prossimo. Voi sarete sempre ascoltate con piacere finchè sappiate riuscir gradite a tutti, vale a dire, se sfuggirete di offendere i sentimenti più cari e più squisiti di chi vi ascolta. Sappiatevi adattare all'età, alle cognizioni, allo stato delle persone con le quali dovete conversare. Abbiamo già detto, parlando del contegno in fatto dei doveri di religione, quali cautele usar si debbano nel colloquio allorchè si tratta di Dio o di cose sacre; la dignità del cristiano non comporta quelle meschine leggerezze che affettano indifferenza; e qualsivoglia barzelletta contro la religione ed i più castigati costumi, ancorchè occultata sotto il velo dell'allegoria, non può mai essere innocente, massime nella bocca di una donna. Se ora consideriamo le convenienze sociali, avvertiremo: non doversi discorrere di morte dinanzi ad un vecchio, nè di quei godimenti dei quali più non si cura; misurar bene tutte le parole che proferiamo in compagnia dei fanciulli, poichè l'infanzia è curiosa, ed ha immaginazione accensibilissima; Accensibilissima, dispostissima ad accendersi. doversi usare molta riservatezza con le donne, essendochè esse medesime ne hanno d'uopo; badar bene di non far con esse grande sfoggio di cognizioni elevate per desiderio di dar risalto al proprio spirito; poichè sarìa lo stesso che annoiarle, ed incorrere nella taccia di pedanteria senza aver mai raggiunto il fine che ci eravamo erroneamente proposto. Le giovanette, dal canto loro, si asterranno dall'intromettersi nelle conversazioni scientifiche, imperocchè mostrerebbero con ciò una pretensione che le farebbe addivenire ridicole. Non istà bene parlare d'astronomia ad un pittore, nè di chimica ad un maestro di musica, il che sarebbe mancanza d'accortezza. Il segreto per acquistarsi appo la società buona riputazione d'ingegno svegliato, consiste nel saper far risaltare quello degli altri, non già nel voler dare spicco al proprio; e finalmente astenetevi sempre dal far cadere il disprezzo sopra certe debolezze, della umanità o sopra certe disgrazie che sogliono cagionare una macchia indelebile, massime in fascia a quelle persone delle quali non conoscete bene la vita passata; imperocchè le vostre osservazioni critiche potrebbero aver subito la loro applicazione, e trovereste in esse quella subita freddezza che potrebbe dipendere dall'averle involontariamente offese. Quanto dobbiamo essere severi in ogni luogo e con chi si sia contro il vizio, e severi verso noi stessi ancorchè si tratti soltanto di leggiere debolezze, altrettanto conviene andar cauti ed usare indulgenza verso degli altri. Lo splendore e l'amor del vero deve sempre essere anima e governo dei nostri discorsi; deve bastare che una fanciulla parli, perchè ciascuno riconosca subito la sincerità delle sue parole. Fuggite dunque scrupolosamente il malvezzo di coloro che non sanno affermare alcuna delle cose che dicono senza invocare in testimonianza la propria coscienza, la verità, qualche persona, e che giungono perfino a proferire giuramento. Anche il travisare i fatti, per qualsivoglia motivo, è artifizio di menzogna, contrario non solo alla buona educazione, ma anche alla morale. Se la menzogna è detestabile, perchè madre della calunnia, e deve essere a più potere fuggita, che cosa diremo della calunnia stessa, che è tra le colpe più inique? Il male che supponiamo sul conto del prossimo riesce nocivo nell'animo altrui, come se veramente sussistesse. Con la calunnia possiamo fare alle persone assai maggior danno che ucciderle, poichè togliamo loro la riputazione, che è più preziosa di tutto, fin della vita. Eppure quanti vi sono che, per segreta e maligna gelosia ed invidia, ed anche per solo prurito di tener viva la conversazione, non si fanno scrupolo di dar pascolo alla maldicenza e di offuscare con le menzognere e maliziose supposizioni la riputazione intatta di un assente! Costoro faranno mostra d'ingegno mordace e satirico, di una qualità che a tutti è facile l'acquistare, ma che niuna savia persona desidera, e che giungono a farsi anco temibili per chi è d'animo debole o codardo. Guai se vi venisse fatto d'imitare questi frecciatori di professione! se vi lasciaste sedurre dai loro apparenti trionfi nelle conversazioni! La gente ride, così siamo fatti, si diletta della loro malignità, ma nell'intimo del cuore ciascuno li disprezza; e le persone oneste ne hanno ribrezzo, come l'innocente mano del fanciullino che tocca la gelida e velenosa vipera nascosta tra i fiori. Costoro fannosi complici o volontari o involontari della ruina delle persone e delle famiglie, e sono più scellerati dell'assassino e del sicario che nelle tenebre vi toglie insidiosamente la vita. La calunnia tiene subito dietro alla maldicenza, la quale spesso serve d'alimento alla conversazione quando gl'interlocutori non sanno di quale altra cosa discorrere. La maldicenza è dunque riprensibile quanto la mordacità satirica, perchè è egualmente od anche più dannosa, e rivela animo abietto e invidioso, è contraria alla carità cristiana, ed i maldicenti ed i calunniatori sono egualmente odiati e temuti; mentre si attira stima e benevolenza chi si mostra sempre pronto a difendere il prossimo contro le aggressioni dell'invidia o della malvagità. In un solo caso voi potete arrogarvi di rilevare i difetti dei vostri simili; quando, cioè, siate in obbligo, per dovere del vostro stato, di farne loro conveniente riprensione affinchè possano correggersi. Non è a credere pertanto che ogni specie di facezia debba essere sbandita affatto dal conversare; chè anzi il parlatore faceto può riuscire piacevole e gradito, purchè non esca dai limiti e non abbia in mira di denigrare la riputazione di chi si sia. Immensa è la differenza che passa tra le facezie oneste e spiritose e la maldicenza. Spesso le facezie dette a tempo ravvivano il dialogo e ispirano festività e gaiezza nella comitiva; purchè l'arguto e brioso parlatore sappia egualmente tacere a tempo, se non vuol divenire noioso, nè offendere la convenienza. È cosa difficilissima richiamare gradevolmente l'attenzione di tutti senza offendere l'amor proprio di chi si voglia, senza oltrepassare i limiti dell'onesto; per non ingannarsi mai ci vuole molto ingegno, molta presenza di spirito, grande squisitezza di tatto, intera conoscenza di tutte le persone che ascoltano. Dopo la scelta degli argomenti per la conversazione, è da considerare il modo di sostenerla. Una donna bene educata sfugge di parlare di sè, delle sue ricchezze, delle cose di valore che possiede, dei doni che la natura le ha largito; e sarebbe eccesso di biasimevole amor proprio addurre sempre sè stessa ad esempio per confermare un fatto annunziato da lei o da altri. La smania di far mostra d'ingegno e di cognizioni raggiunge di rado il suo fine; ciascuno è naturalmente disposto a negar fiducia a chi si crede in obbligo di spacciare le proprie lodi e di propagare la notizia dei propri meriti. A tutti piace la modestia nel conversare; e facilmente ci persuadiamo che appunto coloro che non ne fanno pompa posseggono le migliori qualità, i più lodevoli pregi. Sfuggite eziandio il fare delle persone entranti e rumorose, pronte sempre a prender parte in ogni colloquio ed a frastornarlo con le loro riflessioni fuor di luogo. Si danno aria di persone d'importanza con le loro fastidiose avvertenze, e trovano per lo più il verso di recarvi dispiacere troncando o facendo deviare un colloquio che vi premeva. Tengono dietro a questi importuni i ciarloni instancabili, vere macchine a vapore per le parole, pronti sempre a interrogare e a rispondere nello stesso tempo a tutti e su tutto. Nulla sfugge alla loro loquacità; affrontano con temeraria fiducia qualunque argomento; tutto fanno, tutto vedono, tutto sanno, e non parrebbe lor vero di mettersi ad insegnare l'aritmetica a un matematico e il disegno a un pittore. Sappiate d'altro lato sfuggire il difetto contrario. Il silenzio continuo, sistematico, potrebbe farvi passare per stolide o per superbiose. Quando siete interrogate non sempre basta rispondere con monosillabi; conviene saper dare alcun garbo alla risposta, ed accompagnarla con quelle spiegazioni che possano meglio soddisfare il desiderio di chi interroga. Se taluno sembrasse rivolgersi a voi per chiedere la vostra testimonianza, non indugiate a compiacerlo potendo, od a scusarvi se non potete; in una parola, siate parte attiva della conversazione a cui assistete; parlate a proposito, parlate parcamente, parlate correttamente. Non sempre chi parla fa la parte più difficile; è necessario anche sapere ascoltare; alcune persone fanno molto male questa parte, in specie quando si mostrano ogni poco impazienti di riprendere elleno stesse la parola. Giova ripeterlo, la vera arte del conversare consiste più nel dar campo di mostrarsi allo spirito degli altri, che nel voler fare sfoggio del proprio. Chi esce contento di sè dal colloquio tenuto con voi è certamente contento anche di voi; e così, con vantaggio scambievole, avrete bene osservato i doveri della conversazione. Chi è più inesperto della società si trova esposto a commettere maggior numero d'inavvertenze, e perciò è necessario conoscerle più minutamente per sapersene liberare. Non dovete dunque interrompere di continuo il vostro interlocutore con segni affermativi che non siano necessari, nè con atti di approvazione o della testa o della mano, che potrebbero piuttosto frastornarlo che sostenerlo nel discorso. E poi un gesto ripetuto e uniforme vi farebbe parere una macchina automatica, Automatica, che opera senza alcun potere della volontà. e sarebbe cosa ridicola e contraria alla buona creanza. Non conviene tampoco guardarlo con occhi fissi ed immobili, nè lasciarli divagare qua e là sugli oggetti circostanti; nè tenere la bocca aperta con segno d'attenzione puerile; e sarebbe lo stesso che voler passare per ineducata se compariste distratta e sopra pensiero, se i vostri sguardi si volgessero di continuo sull'orologio, o se non vi riuscisse di nascondere o di reprimere lo sbadiglio. Quand'uno ci parla convien mostrargli tutta intera la nostra attenzione; l'interromperlo fuor di proposito sarebbe sgarbatezza; se non che l'interruzione è lecita quando si tratta di una semplice esclamazione o di un gesto, o quando vi sia da prendere la propria difesa o quella di una persona assente e ingiustamente accusata. Quando avvenisse che un caso inatteso interrompesse ad un tratto l'interlocutore, sarà ben fatto che poi sappiate cogliere il destro d'invitarlo a proseguire, e spesso basterà per ciò una parola, un motto della mano, un sorriso benevolo. Dobbiamo inoltre saper sopportare pazientemente tutte le conseguenze della conversazione; imperocchè, per esempio, vi alienereste l'animo di colui che ha preso a narrarvi un aneddoto, se gli toglieste il piacere di finire il suo racconto per la smania di addimostrare prontezza a percepirne la chiusa, ed egli potrebbe anche farvi pentire d'aver mancato a questo atto di convenienza mostrandovi che la vostra perspicacia non ha dato nel segno. Avviene spesso che in un colloquio alquanto animato, due persone incominciano a parlare nello stesso tempo; allora ambedue nello stesso tempo si trattengono. Dopo breve incertezza e dopo qualche reciproca scusa, quella di maggior considerazione prosegue il discorso incominciato, ma procura di andar per le brevi, affinchè l'altra abbia subito campo di dire ciò che bramava. Talvolta riesce gravoso il dover ascoltare pazientemente sino all'ultimo un narratore prolisso quando si va ingolfando in lunghe digressioni, che non hanno nulla che fare col suo argomento, o quando addiviene oscuro in certe parti del suo favellare; ma è pur necessario che abbiate la compiacenza di mantenergli la vostra attenzione; imperocchè potreste offenderlo, se, nel primo caso, lo invitaste ad abbreviare il racconto, mostrandogli poca cortesia, e se, nell'altro caso, gli faceste conoscere di non averlo capito. Ma quando si tratta di un'amica intima, vi sarà lecito d'invitarla, con modi inoffensivi, ad essere più concisa ed a spiegarsi più chiaramente. Nel conversare l'uditore si ritrova talvolta a qualche difficile cimento; quando, per esempio, ode narrare un fatto che egli sa essere evidentemente falso. Allora non sarà necessario allegar subito incredulità; ma può bastargli di far conoscere con qualche riflessione accorta e garbata, ch'egli è ben lungi dall'essere convinto; e se tuttavia l'interlocutore insistesse, un leggiero sorriso e il silenzio basteranno a persuadere che non vogliamo lasciarci ingannare da una menzogna o da una facezia di cattivo conio. In conclusione poi il conversare, nel seno della società, richiede tante altre avvertenze che qui non possono essere annoverate, e delle quali daremo spiegazione in un capitolo speciale intitolato: Delle usanze nel conversare. Dobbiamo: Studiarci in conversazione di usar lingua pura e pronunzia corretta; sfuggire qualunque moto disordinato; accompagnare il discorso con gesto conveniente e bene adattato all'argomento; badare parlando che non siano offesi i sentimenti nè le opinioni di chi ascolta; usare molta cautela nel conversare con persone sconosciute; essere sempre pronte a difendere il prossimo; assuefarci ad ascoltare con attenzione garbata; trattenerci se altri prende a parlare nello stesso tempo di noi. Non dobbiamo: Parlare a stento per far sempre troppo studiata scelta di parole; ridere prima di narrare un fatto per quanto possa parerci bizzarro; abbondonarci a gesto esagerato o contrario al tema del discorso; trattare di cose estranee alle persone alle quali parliamo; affermare tutte le nostre parole con opportune testimonianze; assuefarci alla maldicenza, nè far sfoggio di spirito con la mordacità della satira; parlare di noi stesse e vantare i pregi che possediamo; interrompere un colloquio già incominciato; prendere parte in una conversazione di cui non conosciamo bene l'argomento; interrompere ad ogni parola il nostro interlocutore con segni d'approvazione o di disapprovazione; mostrarci distratte quando dobbiamo ascoltare; togliere al narratore la soddisfazione di raccontare un fatto che già conosciamo; mostrar di credere un fatto che sappiamo evidentemente essere falso.

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Abbiamo forse detto abbastanza per far capire quanto importi rammentarsi di questi consigli; e porremo fine a questo capitolo ripetendo, che se la curiosità può talvolta essere scusabile, l'indiscretezza è imperdonabile sempre. Dobbiamo: Scrupolosamente rispettare il segreto delle lettere, considerandole qual deposito inviolabile ancorchè siano dissigillate; usar discretezza quando ci venga dato a leggere e ad esaminare qualche cosa, ritenendolo sol quanto basti all'uopo; non essere d'impedimento a chi si sia, rispetto alle sue abitudini; ritirarci o assentarci al sopraggiungere di improvvise faccende. Non dobbiamo: Tentar di conoscere un segreto; svelarlo a chi si sia quando ci è stato confidato; Non sarà necessario avvertire che questo precetto non ha luogo ove si tratti dei doveri de' figliuoli verso i genitori, imperocchè nè ai fanciulli sogliono confidarsi segreti, e nulla aver possono i figliuoli da tener celato ai genitori. soddisfare la propria curiosità in faccia a persona estranee, aprendo una lettera od un involto senza chiederne loro licenza; toccare alcun che senza il permesso della padrona di casa; intromettersi fra le persone che fanno crocchio da sè; ove non siamo chiamate da una di esse, ec.

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I doveri che abbiamo verso l'umanità sofferente e sventurata sono sacri; e niuno che abbia sentimenti elevati può dimenticarli nè trascurare le attenzioni con cui l'educazione ne accompagna l'osservanza. Sonovi ancora delle persone poste in tal condizione da farci credere a primo aspetto di poter avventurare con esse qualche innocente facezia che non giunga ad offenderle; ma in ciò è troppo facile ingannarci: o bisogna andar molto caute, o, quel che è meglio, non farci mai lecito di usarle o di riderne se altri se ne faccia lecito, poichè la più leggiera puntura può divenire grave ferita, sebbene tale non apparisca. Abbiate dunque benevolo e caritatevole rispetto per ogni specie d'infermità; e badate che per cagion vostra non addivengano più manifeste in coloro che le sopportano. Se, per esempio, vi trovate in compagnia d'una persona affetta di sordità, non occorre che vi poniate ad urlare nelle sue orecchie, e basterà alzar la voce e scolpir bene le parole in modo da farvi intendere, senza darle a conoscere la cura che vi ponete, senza lasciarvi scappare le risa per gli equivoci a cui può andar soggetta a cagione del suo incomodo e facendola anzi con accortezza ritornar subito sull'argomento del quale trattate. Riguardo a chi ha la sventura della cecità, mostratevi non meno attente, e non vi venga mai fatto di vantare i benefizi della luce con chi non ne può godere; e se si tratta soltanto di una persona di vista debole, usate ogni precauzione per non farle provare la differenza che passa tra la sua e la vostra; talchè se dovesse esaminare con voi alcun che, fate di accostarglielo quanto occorre, ma senza affettazione, e non mostrate rammarico, impazienza, maraviglia, se per la debolezza del suo organo della vista ella non può scorgere le parti più minute, le raffinatezze del lavoro, o che so io. Qui non occorrerà certamente ricordare quanta rozzezza, sconvenienza, inumanità vi sarebbe a fare oggetto di beffe le imperfezioni che la natura o le malattie talvolta lasciano sulle persone. Se avete personale svelto, gambe buone, se potete fare uso delle vostre braccia, tanto meglio per voi; godete come si conviene di questi benefizi; ma non ne menate vanto con coloro che hanno il corpo contraffatto, che zoppicano, che sono monchi. Diremo eziandio qualche cosa intorno ai doveri che la civiltà prescrive in fatto di malattia; e questi è tanto più necessario osservare, in quanto che la persona che soffre è viepiù sensibile alla dimenticanza dei riguardi e alla mancanza delle attenzioni che ha diritto di aspettarsi da chi le fa visita o compagnia. Quando una persona di vostra conoscenza si ammala, dovete subito, potendo, andar da voi ad informarvi del suo stato, affinchè abbia manifesta prova della vostra premura per lei. Se si tratta di leggiero incomodo, potranno bastare due o tre visite a convenienti intervalli; ma se il male divenisse più grave, le vostre premure cresceranno, e manderete spesso, anco due volte il giorno, a chieder notizie del malato. Di quando in quando gli farete dimandare se la vostra presenza potesse essergli gradita o utile, e quando vi faccia sapere che avrebbe caro di vedervi, non indugiate un istante, affinchè non abbia a dubitare che le vostre offerte fossero poco sincere e mal celassero un'indifferenza che gli riuscirebbe dolorosa. Queste specie di visite, che possono appartenere alla categoria dei doveri, vogliono molte cautele. Quando entrate nella camera d'una persona giacente sul letto del dolore, dovete camminare senza strepito e parlare sommessamente. Il vostro aspetto, benchè naturalmente esprima il pensiero che vi date per la persona che soffre, non deve per altro addimostrare tanta apprensione da indurla a credersi in molto pericolo. Se è molto tempo che non l'avete veduta, sappiate liberarvi dall'improvvisa e dispiacente sorpresa che in voi cagionar potrebbe l'alterazione dei suoi lineamenti; sappiate scegliere e moderare quelle parole di conforto che giudicherete doverle dirigere; e badate soprattutto di non obbligarla a darvi qualche risposta che possa riuscirle faticosa o rincrescente. Poi rivolgete la parola ai parenti ed alle persone che la custodiscono, ed ogni vostro ragionamento avrà per oggetto di attestare alla malata la premura e la speranza che avete della sua guarigione. Tali visite per lo più devono esser corte; ma potrebbero addivenire più lunghe, qualora la malata, manifestando il piacere che ha di vedervi, facesse anche ben conoscere il desiderio di godere più a lungo della vostra compagnia. Quando la convalescenza è incominciata, non sono più necessarie le stesse precauzioni, e la vostra parte diviene meno difficile. Allora nel presentarvi alla persona visitata, le mostrerete tutta la vostra contentezza, vi congratulerete con lei del suo miglioramento, userete maggiore festività nel colloquio, le parlerete con compiacenza dei progetti che va formando pel tempo in cui avrà recuperata appieno la sua salute, procurerete di farle conoscere la speranza che questo tempo sia per essere vicino, farete insomma di tutto per invigorire le sue speranze, e talora potrà anche giovarle di sentir lusingare le sue illusioni; imperocchè la serenità dell'animo suol essere efficacissima a corroborare la sanità del corpo. Tutte queste cure minute che, a dir vero, in certe circostanze riescono difficili, sono tuttavia necessarie per mantenere l'accordo nella società. Ed è bene rammentarci sempre che se la cortesia e la garbatezza sono giovevoli verso chi è in auge e chi gode di buona salute, addivengono dovere non solo di civiltà ma anche d'umanità verso chi è caduto in disgrazia o verso chi soffre. Dobbiamo: Badar bene di non offendere l'amor proprio e la sensibilità delle persone colpite da qualche sventura, e rispettare qualsivoglia infermità; cercar notizia premurosamente dello stato delle amiche malate; visitarle quando lo bramano; usar molte cautele in questa specie di visite. Non dobbiamo: Allontanarci dalle amiche allorchè siano divenute infelici; nè peccare d'incuria verso di loro quando sono malate.

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Non abbiamo già intenzione di metter qui a confronto la generosità con l'avarizia, di rilevare i pregi di quella biasimando i difetti di questa; ma crediamo doverne toccare sol quanto basti per le loro attinenze coi doveri della civiltà. In molte congiunture la generosità ben intesa ha che fare con la buona educazione. Se vi trovate in una comitiva dove qualche persona autorevole vi proponga di prender parte ad un atto di beneficenza, non potrete negare la vostra cooperazione; il rifiuto sarebbe mortificante per chi ha fatto l'invito, e vi esporreste a generare in altri un cattivo giudizio del vostro carattere. Ogni volta che vi è stato fatto un piacere, è necessario che ne sappiate mostrare riconoscenza con tanta maggiore generosità quanto più disinteressato fu il servigio resovi. Se vi trovate in obbligo di offrire qualche regalo, bisogna che sia sempre proporzionato ai vostri averi, al vostro stato, di modo che non abbia a venirvi biasimo nè di vergognosa spilorceria, nè di prodigalità folle. La generosità poi non consiste sempre nella prontezza a donare e nella larghezza a ricompensare; ma questo elevato sentimento si manifesta spesso in modo più nobile e più degno di stima, quando, per esempio, c'induce a frenare lo sdegno, a reprimere la collera, a scacciare la tentazione della, vendetta, a moderare gli stimoli dell'amor proprio. Daremo prova di vera generosità se ci asteniamo dall'usare, quanto a un nemico, le armi ch'ei rivolge contro sè stesso; se ci curiamo di far trionfare la nostra ragione in faccia di taluno che sia evidentemente al di sotto di noi; se non ci adoperiamo a far risaltare il torto e gli errori di chi ci offre con ciò una vittoria troppo facile; infine se abbiamo il coraggio d'immolare la nostra vanità all'amor proprio degli altri. Come la generosità, in giusti limiti contenuta, è una virtù necessaria ad una donna bene educata, così l'avarizia è un difetto essenziale che a poco per volta trascina alla durezza di cuore, all'insensibilità, all'egoismo, All'egoismo, ad un vizioso amor proprio che spinge l'uomo a non amare che sè e il suo utile. e fa sempre addivenire spregevole agli occhi di tutti chi ha la sventura d'esserne infetto. L'avarizia si svela in tutto e per tutto, nel contegno delle vesti, nel conversare, fin negli sguardi; e porta seco una macchia indelebile che contamina tutte le più semplici azioni. Questa funesta passione non ha limiti, non può esser sottomessa ad alcun freno; e purchè le riesca di trovare sfogo, è capace di conculcare tutte le regole della urbanità, nello stesso tempo che spesso offende anche quelle della giustizia. Chi è sventuratamente preso da questa malattia dell'animo ha il cuore chiuso affatto a qualsivoglia elevato sentimento che valga a farlo essere utile a' suoi simili; la carità non lo commuove, e nel suo segreto rimpiange la meschina elemosina che per vana ostentazione avrà pubblicamente lasciato cadere nella mano del povero; ei volentieri riceve, e mai dà; lascerebbe morire un amico se per salvarlo dovesse aprire il suo scrigno; e divenuto perfino crudele con sè stesso, giunge a isolarsi dal genere umano, perchè l'interno patema Patema, affezione dell'animo, passione interna. che sempre lo tormenta gli fa continuamente temere d'incontrar le occasioni di spendere. La persona abbrutita da sordida avarizia è sempre pronta a biasimare le spese le più innocenti, e dimentica, senza vergognarsene, quelle che dovrebbe giudicare inevitabili. Trascura volentieri di pagare un debituolo contratto al giuoco, e non penserà alle mance consuete pei servitori; si studierà di rimettere ad altra occasione, col secondo fine di diminuirne il valore, la mercede di un servigio fatto a sua richiesta; infine ad ogni poco diventa colpevole di mille bassezze che niuno saprebbe compatire. In sua casa poi l'avaro non ha ritegno. Una spesa insolita, ancorchè necessaria, basterà a svegliare il suo cattivo umore anche in faccia alle persone, quali si siano, che l'hanno cagionata. Se qualche cosa di poco o di niun valore vien rotta o sciupata dalla sbadataggine d'un convitato o d'un amico venuto a far visita, susciterà subito i più sconvenienti rammarici, o farà conoscere almeno sulla faccia l'interno inconsolabile rincrescimento. Se un servitore, per far presto una cosa, butta in terra un oggetto fragile, la collera dell'avaro scoppia nell'atto; e i rimproveri che svelano tutta la sordidezza della sua passione addivengono propriamente gravosi a chi si trova a meschine avventure. Quando l'avarizia è giunta a questo segno prende tutti i mali abiti della cattiva educazione. Se mai vi sentiste inclinate a questo bruttissimo vizio, nemico ostinato dei più gentili ed elevati sentimenti, fate di tutto per correggervene; procurate di dominare per tempo la natura e di struggere i primi germi d'una passione che, invece di andar a cessare col procedere dell'età, acquista anzi ogni dì nuove forze. In conclusione, adunque, non dimenticate mai che la savia economia è una dote necessaria e lodevole, mentre l'avarizia è un vizio detestabile. Dobbiamo: Mostrare generosità quando si tratta di un'opera di carità o di beneficenza; mostrare riconoscenza qual si conviene pei servigi ricevuti; proporzionare al proprio stato i donativi che crediamo di dover fare; metter freno per generosità d'animo alle proprie passioni. Non dobbiamo: Abbandonarci a quella sordida avarizia che distrugge i più elevati sentimenti dell'animo; trascurare gli obblighi ai quali siamo astrette; dimostrare cattivo umore in faccia alle persone di fuori per cagione di qualche involontario danno arrecato da esse o dai sottoposti a qualche cosa che ci appartiene.

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Non dobbiamo: Fare alcuna promessa quando non abbiamo intenzione di mantenerla; menar vanto d'aver reso un servigio; essere indiscrete nel chiedere ad imprestito; offrire un regalo come ricompensa d'un servigio ricevuto; mostrar l'intenzione di fare il regalo innanzi di mandarla ad effetto, perche vi è il pericolo di togliergli il pregio; vantarne il valore; studiarci di rinnovarne la ricordanza.

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Un cattivo libro offende anzitutto la delicatezza dei sentimenti quando è opposto alla religione e ai buoni costumi; e se non abbiamo la forza di gettarlo via con disprezzo, incomincia a dilettare e spesso a corrompere un cuore che sarebbe fatto per serbarsi costantemente illibato. Quanto maggiore è l'artifizio con cui le massime perniciose sono occultate, tanto più grave è il pericolo. Ma le fanciulle educate da madri o da maestre prudenti non hanno da temere simil disgrazia; saranno docili e sommesse, ed ogni loro azione sarà guidata dai consigli dell'esperienza.

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Il giovinetto campagnuolo I - Morale e igiene

215268
Garelli, Felice 2 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Io pregherò il signor Curato che vada alla città, e mi ottenga un posto all'ospedale dei cronici; tu darai in affitto le poche terre che abbiamo e, se occorre, ne venderai una parte; così camperai alla meglio fino a che Giorgino ti possa aiutare...» A queste parole, Giorgino piangendo si gettò al collo del babbo, e con voce rotta dai singhiozzi gli disse: «No, padre mio, voi non andrete all'ospedale: là vi morreste di dolore... voi resterete sempre sempre con noi... Nulla mancherà mai nè a voi, nè alla buona mamma: Dio, che vede la nostra sciagura, ci aiuterà. Io sono già forte abbastanza per applicarmi ai lavori della campagna, e prenderò il vostro posto... Per le grosse fatiche del maneggiare l'aratro, del falciare e del mietere, fino a che non potrò da me, ci daranno una mano i vicini che sono buona gente, e ci vogliono bene: il resto lo sbrigherò io, e mi basteranno i vostri consigli, e l'aiuto della mamma...» Questo disse, e più altre cose, tutte degne del suo bel cuore, tanto che il babbo si acquietò. Il bravo Giorgino tenne la promessa: tutto quel che disse, l'ha fatto, e lo fa. Egli non aveva allora che quattordici anni: ma l'amor filiale gli dette una forza, un senno, e una costanza da uomo; ed ora che ne ha sedici, già lavora il campo, falcia l'erba, miete il frumento, pota le viti come un vecchio del mestiere. E bisogna vederlo con che animo sta sul lavoro dal mattino alla sera: non c'è caso che si fermi a guardar le mosche in aria. Egli pensa che le sue fatiche fanno vivere senza privazioni il povero babbo, e lavora con coraggio, con gioia. Infatti nulla manca al benessere di quella famiglia: il babbo ha quasi dimenticata la sua disgrazia e i suoi dolori; la mamma non teme più per l'avvenire. E Giorgino? Giorgino si sente felice: e lo è davvero, perchè la sua pietà filiale è benedetta da Dio.

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Ebbene, gli stessi doveri abbiamo tutti verso la patria. Essa è la nostra madre comune; noi dobbiamo quindi amarla, onorarla, obbedirla, e con le opere farci degni di lei. Niuno può essere buon cittadino, se prima non è buon figliuolo. La patria si vergogna dei cattivi cittadini; come la famiglia piange pei figlioli che riescono male. Dunque tuo primo dovere è quello di essere onesto, e virtuoso. Un paese s'arricchisce, e prospera, se tutti lavorano; al contrario va in rovina, se è pieno di oziosi. Così la patria divien ricca e forte, se tutti i cittadini adoperano utilmente l'ingegno, e le forze. Son tanti i modi di giovare alla prosperità della patria. C'è posto per tutti; e ognuno deve occupare onoratamente quello che gli è assegnato. Il tuo posto, o giovinetto, è larghissimo. L'Italia ha nell'agricoltura la sua maggiore ricchezza. Perciò, tu imparando a ben coltivare la terra, migliorerai la tua condizione, e farai la fortuna della patria. Questa diverrà la più ricca nazione del mondo, come già ne è la più bella. La patria ha bisogno d'uomini in armi che la difendano dagli stranieri e dai nemici delle sue libertà; sceglie quindi, senza distinzione di nascita, i giovani più robusti per farne soldati. Quando sia il tuo turno, corri volonteroso alla chiamata, paga il tuo debito alla patria. Il disertore è un vigliacco, un infame; egli rinnega la patria, si rifiuta a servirla sotto le sue bandiere; è un traditore, e il disprezzo di tutti lo segue in capo al mondo. Per quanto sia doloroso il distacco da' tuoi cari, va dove il dovere, e l'onore, ti chiama. La famiglia, la madre ti saluterà con lacrime di gioia, se ritornerai al suo seno con la medaglia dei valorosi sul petto. Al tuo ritorno non parrai più quello. La vita militare con le sue fatiche, la disciplina, la devozione al dovere, la comunanza di gente d'ogni paese, ti restituisce alla famiglia migliore di prima, più robusto, più istruito, più educato. La patria è personificata nell'augusto Re Umberto che ci governa. Egli ha combattuto sui campi Lombardi, a fianco dell'immortale suo padre Vittorio Emanuele, per la indipendenza d'Italia; egli ha consacrato la sua vita al bene della patria; egli, Galantuomo come il padre suo, rispetta e fa rispettare le leggi fondamentali dello Stato. Merita quindi tutto l'ossequio, e l'affetto degli Italiani. Obbediamo dunque alle sue leggi, difendiamo il suo trono dai nemici, ricordiamo sempre che la bandiera del Re è quella della patria.

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