Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbiamo

Numero di risultati: 8 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Galateo ad uso dei giovietti

184017
Matteo Gatta 8 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Nelle visite di etichetta a persone colle quali non abbiamo legami di famigliarità o d' amicizia, il cappello si tiene sempre in mano. Più avanti poi vedremo i cam biamenti che la moda introduce in queste forme esteriori di civiltà. Seduto o in piedi, ricórdati, o giovinetto, la compostezza naturale e scevra di affettazione; e però non dimenare le gambe nè agitarti inquieto sulla tua sedia, come fanno le persone impazienti o annoiate. E simili raccomandazioni io indirizzo con ispeciale premura a voi, mie buone fanciulle ; giacchè la modestia del contegno, che vuol essere immedesimata in voi, è argomento presso i più per giudicare non solo della educazione, ma anche dell' indole vostra. Una piccola libertà, che passa inosservata e come una leggerezza, una storditaggine in un fanciullo, a voi non sarebbe così facilmente perdonata. Una moda, venuta, or fa qualche anno, non saprei da qual parte, ma che potrebbe ritenersi il portato d'un popolo selvaggio o semibarbaro, permetteva, anzi ingiungeva agli uomini, come segno caratteristico, di buon genere, di prostendersi, in barba ad ogni riguardo, sur una ottomana, sur una poltrona a sdraio, mettendo una gamba a cavalcione dell' altra e un piede in mano; e tutto ciò in conversazione e al cospetto delle signore. Ma codesti mostruosi aborti della moda d' oltr' alpe o d'oltremare non vogliono essere imitati, nè ponno avere lunga vita. Nelle discussioni di letteratura, di politica, di belle arti o intorno a qualsiasi argomento, l' uomo educato, e specialmente il giovine, pur sostenendo la sua opinione, rispetta sempre l' altrui e si guarda bene dal farla segno di ridicolo o di strapazzo. Lo stesso dicasi delle credenze e delle questioni religiose. Anche i pregiudizi (e in società, ve n'ha tanti!) non vogliono essere presi e combattuti di fronte, ma conviene, con modi persuasivi e opportune ragioni, mostrarne l'assurdità. Porgete sempre attenzione ai discorsi che si tengono, e state in guardia per non commettere certi atti che si ravvisano pur troppo nelle persone incivili; rosicchiarsi le unghie coi denti; cacciar le dita su per le narici e nelle orecchie; porre ogni tratto le mani sulla testa per grattarsi o per acconciarsi i capelli; cantarellare o zufolare tra i denti; suonare il tamburino colle dita, e così via, chè la filza di codeste indecenze e villaníe è interminabile. Similmente fa male chi in una conversazione trae di tasca una lettera e si pone a scorrerla, come fosse in casa propria. E assai peggio farebbe colui che si studiasse di ritirare dal fuoco una carta gittatavi, per riunirne i brandelli anneriti e vedere che cosa contenga. Questa idea mi suggerisce un avvertimento per voi di molta importanza. Dato il caso che vedeste una lettera o semiaperta, un conto, uno scritto qualunque sul camino o sopra un deschetto, guardatevi bene non solo dal leggerlo, ma nemmeno dallo sbirciarlo con un'occhiata di traverso: sarebbe una curiosità indegna e inescusabile. E in generale vi facciano orrore gli svergognati che corrono qua e là, e frugano, e tastano, e fiutano, e origliano per iscovare gli altrui segreti, le peripezie domestiche, e farne soggetto di aneddoti e di maldicenza nelle conversazioni, nei caffè, in tutti i convegni. E non riflettono quei tristi insensati come la loro inqualificabile indiscretezza possa tornar rovinosa agli interessi, alla quiete, al decoro delle famiglie ! Non imitate coloro che intrattengono sempre la brigata di sè medesimi, non parlano che delle proprie cose, di quello che hanno fatto, di quel che vogliono fare. È una sciocca presunzione il credere che tutti debbano pigliarsi un grande interesse delle nostre faccende. Se taluno vi offre qualche cosa, ricevetela con grazia, con un sorriso, inchinandovi gentilmente: e nello stesso modo comportatevi se siete voi ad offerire alcun che ad altra persona. Ove poi abbiate a porgere un cucchiaio, un coltello, un compasso, badate a presentarli dalla parte del manico. Quando alcuno vi fa un regalo, non vi frulli pel capo il ghiribizzo di criticarlo, sopratutto dinanzi al donatore, ma esternate la soddisfazione e la gratitudine vostra. Sarebbe parimenti un'inciviltà lodare il regalo che voi fate ad altro ; il pregio di un dono dipende in gran parte dalla delicatezza con cui si fa. E giacchè siamo in tale argomento, non credo allontanarmene troppo, entrando nel campo della carità e ammonendovi che questa vuol essere accompagnata da modi benigni e dolci ; che al vecchio infermiccio, stendente la mano all' elemosina, non avete a gittare il vostro soldo, come un frusto al cane. E a proposito di ciò, richiamate alla memoria i versi del Manzoni che racchiudono il più efficace ammaestramento: Cui fu donato in copia Doni con volto amico, Con quel tacer pudico Che accetto il don ti fa. Giovinetti, astenetevi dallo schiccherare sentenze, pronunciare giudizi, dare consigli; e tanto più che annoiano anche gli uomini maturi quando vogliono in ogni cosa atteggiarsi a dottori e a maestri, e si oppongono e quistionano, per la smania di riprendere e correggere gli altrui difetti. E lasciamo stare che talvolta costoro si affaticano a purgare l' altrui campo mentre il loro è irto di pruni e di ortiche. Parimenti nè d'altrui nè delle altrui cose non si dee dir male. Chè se, colpa la nostra natura, le orecchie in quel punto si prestano volontieri, alla fine ognuno fugge la compagnia de'maldicenti, facendo ragione che quello che dicono d'altri a noi, diranno di noi ad altri. Non costringere alcuno ad arrossire co'tuoi scherni; e le beffe e le burle innocenti che si propongono di ricreare la brigata sien fatte con delicatezza e con garbo. Anche di motteggi e bisticci sii parco, e bada, o giovinetto, che non offendano alcuno e non arieggino le triviali buffonerie del cerretano e del saltimbanco. Se non ne hai di belli e di nuovi, meglio è tacerti. Nè farai risa sciocche e sguaiate, nè dei tuoi medesimi motti voglio che tu rida, chè sarebbe un lodarti da te stesso. Egli tocca di ridere a chi ode e non a chi parla; altrimenti può accadergli di esser lui solo a ridere ; il che è ben umiliante per l'amor proprio di chi credette dire una spiritosa facezia, e ricorda il caso di colui che in teatro, sgangherando la bocca, urla un gran « bravo » al quale nessuno fa eco. Piace molto il favellare disteso e continuato che rappresenta i modi, le usanze, gli atti, i costumi di coloro dei quali si parla, sicchè sembra non di udir raccontare, ma di veder fare le cose narrate. A riuscire in ciò bisogna avere quella storia o novella bene raccolta nella mente e la parola pronta, sicchè tu non abbia a incespicare, a indugiarti, nè ti convenga tratto tratto dire: « Come si chiama colui ? - Aiutatemi a dirlo.... » o simili cose che nuociono e all'interesse e al calore del racconto. Ometti le circostanze inutili, usa parole chiare e appropriate se vuoi essere inteso e non frainteso, e fuggi i vocaboli meno che onesti per loro significato o pel suono. Tieni a mente i nomi delle persone e non scilinguare e balbutire lungo tempo per rinvenire una parola; e mentre sbadigli, non continuare il discorso. In generale, cui manca lingua spedita e buona voce non dev' essere troppo voglioso di cinguettare. Non istà bene alzar la voce a guisa di banditore, ma neanche si dee parlare così piano che chi ascolta non oda. Ragionando in crocchio o in conversazione, astienti dalla pompa dell' arringare: nè con ciò voglio dire che tu ti avvezzi a favellare come il pescivendolo e la lavandaia. Alcuni hanno il brutto vezzo di soffiar le gote e prostendersi sconvenevolmente, mandando fuori un suono inarticolato che ricorda il raglio dell' asino quando si voltola per terra. Altri invece, favellando, dimenano il capo, torcono la bocca, sputano in viso a coloro coi quali ragionano, e muovon le mani come se ti volessero cacciar via le mosche. Abbiamo già toccato altrove della noia che recano i parlatori eterni, quei malcreati che non vorrebbero mai concedere agli altri di avviare un discorso e di continuarlo, e tirano avanti imperterriti come nave col vento in poppa, mentre il più delle volte colla loro fastidiosa loquacità non sanno che abborracciare vecchie e insipide cicalate. Altro gravissimo incomodo di una conversazione è il favellare, o, dirò meglio, il gridare di molti insieme. Si assordano le persone, non s' intende nulla, o si afferrano malamente le idee. Quando non c' è verso di ottenere che i battoloni e gli interruttori lascino agio ai più discreti di aprir bocca, meglio è tacersi fino a che i loro polmoni non abbian più fiato. È bene astenersi anche dall'allegrezza troppo rumorosa: e se ne guardino le donne, più ancora che gli uomini; giacchè se riesce amabile il loro dolce sorriso, lo sghignazzare sguaiato sganghera sconciamente la bocca e deforma anche il volto più bello e più aggraziato. Gli estremi sono sempre viziosi; è sentenza che non fallisce: e quindi spiacciono in società quei sornioni che non dicono mai una parola; perchè, oltre al commettere la mancanza di frodare del loro contributo la conversazione, la quale è come un desinare, una merenda, dove ciascuno paga il suo scotto, danno materia al sospetto ch' essi, con occhi di lince e non certo benevole intenzioni, stieno spiando ogni parola, ogni atto, la più lieve scappatella per farne soggetto d' ingiuste o troppo severe critiche. E le più volte il sospetto è fondato. Infatti un celebre matematico francese che aveva codesta cattiva abitudine di ascoltare e guardare, senza aprire mai bocca, interrogato del perchè rimanesse così muto, rispose: « Sto osservando la vanità degli uomini per ferirla all' occasione. » - Tante grazie! Se non avete altro movente per condurvi in società, potete restare a casa vostra. » Anche l' irritabilità e la ruvidezza sono due brutte magagne che guastano facilmente la festività dei sociali convegni. L' uomo irritabile s' inalbera per un nonnulla; vede un'offesa nella più piccola negligenza, forse in un titolo involontariamente dimenticato; quindi cipiglio, contegno freddo, ira mal celata, e l' allegria della conversazione sparisce. Il ruvido poi non fa buon viso a nessuno, e volontieri dice di no ad ogni cosa; non sa grado nè di onore nè di cortesie che gli si facciano; ricusa ogni proferta; non si piace nè dei motti nè delle piacevolezze.... Quanti difetti! quante pecche! quante occasioni di sdrucciolare in atti d' inciviltà e di mala creanza! Figliuoli e figliuole mie, badate di camminare, come si dice, con piede di piombo: tesoreggiate de' miei suggerimenti, richiamate spesso alla memoria gli esempi coi quali ho creduto bene di avvalorarli, se desiderate essere posti nel novero delle persone costumate e gentili. Ed ora mi piace soggiungere qualche parola sul contegno della padrona di casa; e però questa conclusione è dedicata alla parte femminile del mio buon uditorio. La padrona di casa è l' anima, il brio, la guida della conversazione, la quale, senza una donna di garbo, non mi sembra nemmeno possibile. Se ella ha le doti necessarie per adempiere al proprio ufficio, la vedete piena di affabilità e di grazia rispondere ai saluti, alle domande di tutti e, direi quasi, moltiplicarsi. Non vi sfugge uno sguardo che essa nol vegga; non formate un desiderio che non l' indovini ; non proferite parola che non ascolti; non v'ha persona ch' ella dimentichi. Se scorge rannicchiato in un angolo un giovine che per timidezza sta muto, essa gli volge con sorriso di confidenza una domanda, e così gli fa rompere il ghiaccio e lo incoraggia a prendere parte ai ragionamenti degli altri. Se avvedesi che il discorso di alcuno comincia ad annoiar la brigata, gli scambia destramente il soggetto. Il vostro avversario vi stringe e v' incalza con tali argomenti che siete lì lì per soccombere ? ed ella, per risparmiarvi l' umiliazione della sconfitta, corre in vostro aiuto con una celia che muta faccia alle cose. Vi sfuggì di bocca una parola che alcuno potrebbe pigliare in sinistro senso? ed eccola farsi innanzi a spiegare dirittamente la vostra intenzione. Cadeste per inavvertenza in uno sbaglio che può riuscirvi di danno? la sua presenza di spirito vi cava ben tosto d' imbarazzo. Voi non ardite aprire una lettera urgente che vi è ricapitata in conversazione ? Ella ne chiede per voi agli astanti il permesso. Volete uscire, e non osate ? Ella vi rimprovera la soverchia delicatezza che vorrebbe indurvi a trascurare i vostri affari per riguardo a lei e agli amici. Insomma, senza pretendere di dominare sulla conversazione, sa dirigerla in modo che vi regnano sempre il buon accordo, la cortesia, la gaiezza, l'amenità. Ella si guarda bene dal mostrare predilezioni o preferenze: ma se voi avete fatta una bella azione che la vostra modestia non vi consente di rivelare, la gentile signora, che la conosce con isquisita delicatezza, in piena conversazione rende il meritato omaggio di lode al vostro cuor generoso....! Ed eccovi abbozzato con rapidi tocchi il tipo di una brava ed amabile padrona di casa.

Pagina 106

Noi cittadini del regno d' Italia, grazie a Dio, non abbiamo di questi pericoli e di queste paure.

Pagina 140

Già qualche cosa abbiamo detto o accennato di volo in vari punti su questo argomento: ora avremo a discorrerne più particolarmente e più a lungo. Lascio stare le eccentricità dell' americana Bloomer, la quale or fa qualche anno, proponeva che le donne avessero a vestire alla foggia degli uomini ; e quelle non meno strane, uscite egualmente, parmi, da un cervello femminile del nuovo mondo, che anche la donna potesse aspirare al còmpito della nazionale rappresentanza; ed altre molte e consimili idee che tenderebbero a svisare il carattere e la missione della donna su questa terra. Non è ufficio nostro il ripetere ch' essa vuol essere anzitutto buona figlia, buona sposa, buona madre ; e l' osservare che anche certe splendide eccezioni, le quali ne mostrano l' intelligenza muliebre stampare orme potenti nella palestra degli studi elevati ed austeri, non sono sempre nè le più invidiabili nè le più fruttuose. Ma, pur restando nei limiti del nostro tema, vogliamo toccare di quelle consuetudini e usanze che non si confanno alla gentilezza femminile, e che in onta agli sforzi e agli esempi di qualche bizzarra e capricciosa testolina o fecero mala prova fin dal loro primo arrivo d'oltr'alpe, o caddero ben presto in abbandono. Oggigiorno io credo che in Italia sieno ben poche le donne che hanno l' abitudine di fumare, ma or fa qualche anno la brutta moda era molto diffusa. L' alito di una donna contaminato dall' acre odor del tabacco ! si può immaginare di peggio? Nè ad alcuno verrà in capo, io spero, di citarmi l'esempio dell'Oriente, dove il fumare è uno tra i più graditi passatempi del sesso femminile. Astrazion fatta dalla qualità squisita del tabacco e dagli effluvii che giungono alla bocca purificati dai tortuosi giri e dall' acqua contenuta nel flessibile narghilio, la pipa dei ricchi, vorremo noi, figli della civiltà e del progresso, tôrre a modello i paesi semibarbari, dove l' uomo cerca con avida voluttà il torbido letargo dell' oppio ed il delirio snervante dell' hatschiche? La nostra donna, chiamata a sublimi ufficii, vorrà imitare la donna d' Oriente, che è tenuta in conto di una cosa, di una merce che si compra e si vende, condannata a passare neghittosamente la vita nell' ignobile ozio e nel servaggio dell' harem? E giacchè siamo nell' argomento, mi rivolgo anche a voi, o giovinetti, e vi raccomando di non rovinare la vostra salute coll' uso e, peggio, coll' abuso del fumare; nè fate che si possano mai applicare a voi quei mordaci versi del Giusti: « Il labbro adolescente Che pipa eternamente. » Alla presenza e in compagnia di persone di riguardo o signore non tenete in bocca il sigaro, e nemmeno conducendo al passeggio una donna, sia pure una sorella; e badate che i buffi di fumo non vadano in faccia ad alcuno. Che dirò poi di quelle donne e di quegli uomini che in fresca età hanno l' abitudine di tirar tabacco? La è una mostruosità, uno scandalo, un invecchiare volontariamente prima del tempo. E non sono molto disposto a far buona la scusa che il tabacco sia come un rimedio o preservativo per certi incomodi, e che risvegli la mente di chi si è dato agli studi. Eh via! questo è un crearsi inutili e fittizii bisogni. E poi, ditemi di grazia, quei venerandi barbassori dell' antichità che ci tramandarono opere preziose avevano forse la tabacchiera sul loro scrittoio? - Torniamo a bomba. Quelli che stoltamente sognarono una completa trasformazione nelle costumanze muliebri non istavano paghi al fumare, ma pretendevano che anche la donna avesse a trincare allegramente e senza misura, esercitarsi al tiro della pistola, prendere lezioni di scherma, andare a caccia, guidare cavalli, e va dicendo. In quanto al bere, noi abbiamo già risposto alla sconcia idea laddove toccammo del modo di contenersi a tavola. Riguardo al bersaglio e alla scherma, noi domandiamo a chi ha dramma di buon senso (e può bastare anche il senso comune) se fa bella figura una donna colla pistola appuntata e col fioretto in mano, per giuocar d' assalti, di parate, di finte. E aggiungiamo: a qual pro sciupare il tempo in questi esercizii ? Forse che verranno di moda i duelli anche tra le donne, mentre si vorrebbe trovar maniera di sbandirli tra gli uomini? Lo stesso diciamo della caccia: non piace vedere quest' essere delicato e gentile con uno schioppo in spalla, il carniere ad armacollo, forse un coltellaccio al fianco, impantanarsi fino al ginocchio in paludi e risaie, per far preda di selvaggina, di daini, di cervi, di cinghiali. Sapete quando sta bene il moschetto in pugno alla donna? Quando lo maneggia per la salute della patria, come le Greche della guerra d'indipendenza, come le eroine di Saragozza e di Varsavia. Disdicevole alla donna per mero diletto, la carabina la eleva ai nostri occhi quando essa la tratta per generoso slancio di patriotismo. La caccia antica del falco, oh quella era ben altra cosa! e le signore vi brillavano a meraviglia in mezzo a quel tramestio di cavalli, di scudieri, di mute, di falchi spiccantisi a rapido volo pei campi sereni del cielo; ed io trovo naturalissimo che voi, mie buone fanciulle, andiate in solluchero e in estasi al leggere le pittoresche descrizioni di quelle caccie nel Marco Visconti, in Gualterio Scott e in altri libri. Anche in punto al guidare i cavalli di un cocchio, confessiamo che non garba troppo la vista di quella dama che assume l'ufficio di Automedonte. È vero che le Inglesi, tanto decantate per compostezza e decoro, si prendono questo spasso. Ma anzitutto lo fanno con quei cavallini di Scozia, detti pony, che attaccano a leggiere carrozzette, in modo che il piccolo equipaggio ha quasi l'aria d'un balocco fanciullesco ; poi crediamo che siffatto divertimento sia circoscritto alla campagna e fors' anche ai limiti dei privati poderi. Ma la donna figura assai bene a cavallo colla maestà dell' ampia gonna ondeggiante, col cappello o col tôcco piumato, ferma in sella, frenando con aria sicura e disinvolta il generoso animale.. E non sappiamo comprendere per quale ragione, mentre i parchi di Londra riboccano di centinaia d'eleganti cavalcatrici, in Italia sia un caso straordinario il vederne una o due, e assai di rado.

Pagina 143

Eppure, tolto il parlare toscano, il romagnuolo e in parte il veneto e il napoletano, noi abbiamo una tal selva di dialetti strani, diversi, eterocliti, da disgradarne quella di Dante. Con questo non voglio gittarli tutti nel fango, chè anzi dal più al meno ciascuno ha i suoi pregi. E a quelli poi privilegiati che, oltre ad essere straricchi, sotto la penna di valente scrittore possedono il segreto del riso e del pianto conviene far di cappello. Ma la nostra è un'altra quistione: si tratta d'intendersi. Dio mi guardi dal voler salire in bigoncia a far da maestro e a dettare la legge: vediamo invece che cosa può farsi in proposito. Gridare a tutta gola: « Italiani, non parlate che la nostra bella lingua materna, » è molto facile ; ma dal detto al fatto ci corre. I dialetti sono abbarbicati alle terre e alle popolazioni. Dunque, restando nei limiti del possibile, accontentiamoci per ora che ogni italiano intenda e sappia parlare al bisogno la propria lingua, e le scuole, l'esercizio, l'accomunarsi degli interessi e delle relazioni tra le varie parti d' Italia devono condurre indubitatamente a codesto risultato. Vi sono molti, e non appartenenti alle classi meno educate, i quali non sanno o non vogliono usare che il loro vernacolo anche in puliti convegni e alla presenza di persone d'altre città, che è gran ventura se capiscono una su dieci delle loro parole. Chi non vede lo sconcio grossolano di siffatta abitudine coll' Italia unita, con Firenze, custode e maestra della lingua di Dante per capitale ? Altri, e in gran numero, uomini o donne del così detto bel mondo, si piacciono d'ingemmare il loro discorso con una gragnuola perenne di vocaboli francesi e inglesi ; e se ne tengono come fossero eleganti parlatori. Qui bisogna distinguere come fanno gli scolastici. O trattasi di una invenzione recente, di una nuova macchina, d'una scoperta di storia naturale, e allora ci è forza indicarla col nome di battesimo che ricevette dalle acque della Senna o del Tamigi: o trattasi di cosa che ha in Italia il nome corrispondente, e allora a quale scopo usare la parola forestiera a preferenza della nostra? Io non vi farò osservazioni da pedante, ma vi metto in guardia contro una moda la quale coll'andare del tempo non può che imbastardire la nostra lingua, specialmente perchè il lungo uso fa si che una voce straniera dal parlare trafori nello scritto; e in verità si veggono certe lettere e si leggono certi stampati, originali o tradotti, siffattamente infarciti di forestierume che muovon la bile. Avvezzatevi adunque coll' esercizio, coi buoni libri a parlare e a scrivere speditamente la nostra lingua, ma la schietta, la vera, non quella di falsa lega che è privilegio degli ignoranti e consiste nell' usare parole del dialetto appiccicandovi in fine una desinenza italiana. Oggi è grande la smania di scrivere nei giornali. Vi hanno taluni che, appena lasciati i banchi delle scuole, non si peritano a entrare in una redazione qualsiasi e, con una inqualificabile sicurezza e meglio diremmo temerità, si pongono a sentenziare di politica, di letteratura di belle arti, di tutto. Un valentuomo ha detto: « Il giovane che troppo presto si slancia nella carriera del giornalismo è rovinato. » E perchè ? Perchè, fatta la rara eccezione di qualche forte e distinto ingegno, non avrà più nè tempo nè volontà d'occuparsi d'altro e resterà sempre in una cerchia secondaria con limitato corredo di cognizioni. Dunque, dato il caso che alcuno di voi, miei cari giovinetti, sentisse codesta inclinazione, abbia un po' di pazienza ; aspetti, ci pensi bene e intenda al maturo compimento dei suoi studi. Che se poi ha fermo di cimentarsi nell'arduo e spinoso arringo, vi entri colla persuasione di accingersi a un nobile ufficio e non dimentichi mai che le leggi del galateo si vogliono osservare anche nelle quistioni più ardenti e nella più franca libertà di linguaggio. Vuoi nelle discussioni di politica e delle scienze che le sono compagne, vuoi nell'argomento delle lettere, delle arti della grammatica, della musica, lo scrittore ha il diritto, anzi il dovere di rendere omaggio alla verità. Ma la stessa verità può essere o no offensiva secondo la forma di cui si veste. Le contumelie non sono ragioni, e anche il ridicolo, che è pur condimento così gustoso d'uno scritto, non è spesse volte che l'unica arma rimasta a chi ha spuntate tutte le altre. Non loderai chi non lo merita: anzi è debito del critico onesto e coscienzioso avvertire schiettamente l'autore novizio che si è posto sopra falsa via. Giudicherai con imparzialità gli artisti di teatro, d'ogni categoria, notandone i pregi e i difetti; ma non imiterai la goffa e scortese inurbanità di quel critico che, rendendo canto di una compagnia drammatica, uscì a dire: « Tolta la prima attrice, le donne ponno andar tutte all'ospitale degli invalidi; » nè di quell'altro che a proposito di un dilettante di musica il quale aveva prestato gentilmente l'opera sua in un'accademia di beneficenza, ebbe a scrivere: « Il signor tale ha stonato dalla prima all'ultima nota. » L'acerbezza dell'ironia poi non è lecita che con certi autorelli e artisti presuntuosi e incorreggibili che, lungi dal far loro pro dei consigli benevoli della critica, vere vesciche piene di vento, ostentano a suo riguardo la più fredda indifferenza o il più superbo disprezzo. L' uomo o la donna che sa di musica sia compiacente e s' arrenda subito al desiderio generale della brigata, ricreandola col canto o col suono. Ma se la persona pregata se ne scusa con qualche giusto motivo, sarebbe inciviltà l' insistere oltre misura. Vi sono due parole, convenienza e delicatezza, le quali abbracciano un gran numero di tratti urbani, di gentili uffici, e si potrebbero dire il compimento del galateo. Io ve ne metto innanzi un brevissimo saggio. Voi, poniamo, date una festa da ballo. La convenienza ci prescrive di rendere avvertiti i casigliani ai quali i suoni notturni ponno recare disturbo. Ma la delicatezza vi dice d'invitare la famiglia a cui ballerete sul capo. - Un amico ebbe una promozione, un distintivo onorifico? Il cuore vi spinge a fargliene le vostre sincere congratulazioni. Con un conoscente sarà la convenienza che vi suggerirà quest' atto di cortesia. - Un giornale ha parlato con lode di un vostro lavoro? Bisogna ringraziarne l'autore dell' articolo o, se non era segnato, il redattore del foglio. - Se vi è noto che un amico versi in gravi angustie economiche, e a voi sovrabbondano i beni di fortuna, fate di toglierlo spontaneamente e in modo delicato dalle sue strettezze, risparmiandogli la pena di domandare; e così sarà doppio il valore del servizio che gli rendete. - Il vostro cuor generoso vi muove a soccorrere un operaio e più ancora un artista in bisogno? Dategli una commissione, e la vostra beneficenza non sarà una elemosina, ma il compenso della fatica, il pagamento di un' opera. Un' ultima parola, prima di congedarmi da voi, cari giovinetti e care giovinette che mi avete accompagnato sin qui con tanto buon volere. Non pochi di voi apparterranno al ceto patrizio: ma ponetevi bene in mente che sono passati i tempi dei privilegi di casta, e che oggigiorno la vera nobiltà è posta nell' educazione, nel carattere, nell' ingegno, nella sapiente filantropia, nell' accordo della mente, del cuore e delle opere verso il bene, in quell' efficace amore di patria che pospone il proprio interesse al vantaggio dei più. Non insuperbite adunque di ricchezze e di titoli ereditati, che non vi danno diritto a nessun vanto; e però badate di non assumere una cert' aria di superiorità coi vostri compagni meno favoriti dalla fortuna, e non guardate dall' alto al basso la gente del popolo come fosse formata d' altra carne e d' altro sangue, ma trattate sempre anche i vostri inferiori di condizione con affabilità, con dolcezza, con modestia. Sapete quel che insegna il Vangelo. Di tal guisa crescerete cari a tutti, delizia e ornamento delle vostre famiglie, e coll' andare degli anni concorrerete voi pure, nei diversi uffici che sono assegnati all'uomo e alla donna, alla grandezza di questa nostra Italia, di cui avete salutato fanciulli il prodigioso risorgimento. FINE.

Pagina 150

Noi abbiamo già posto come principio fondamentale delle dottrine del galateo che l'uomo deve astenersi di tutto quanto può tornare spiacevole altrui. Ed ora scenderemo ai minuti particolari, onde conoscere quali atti possono riuscire molesti ai sensi, all'intelletto, all'immaginazione. Prendendo le mosse dai sensi, badate, o giovinetti, di non imitare quei malcreati, che come i cani collo zampino, si pongono a frugare colle dita nelle orecchie, ed a succhiellare il naso; poi guardano la sozzurra che ne traggono fuori, offendendo l'occhio e rivoltando lo stomaco dei presenti. Quest' ultimo difetto, che si ravvisa pur troppo non solo nei fanciulli e negli individui delle classi meno educate, ma eziandio in certi giovani adulti ed uomini maturi che la pretendono a civili e puliti, reca spesse volte con sè il proprio castigo, perchè, astrazion fatta dalla turpe sconcezza d'un naso deforme, produce malattie di vario genere e non sempre di facile e sicura guarigione. Se alcuno di voi ha così brutta pecca, faccia di liberarsene al più presto, perchè col tempo diventa un' abitudine assai malagevole a sradicarsi, e voi commetterete l' atto villano al cospetto degli altri e a vostra insaputa. Immaginate le osservazioni che vi faranno dietro le spalle. Nè meno riprovevoli sono gli atti di rodersi le unghie, mordersi la pelle, grattarsi il capo, mettersi le dita in bocca a mo' di stuzzicadenti, per cavarne minuzzoli di cibo; e l'altro di guardare nel moccicchino dopo soffiato il naso, come se dovessero esser discesi dal cerebro, dirò col Della Casa, perle o rubini. Così pure è d'uopo astenersi anche in casa propria, dal lordare di farfalloni il pavimento, le pareti, le supellettili, per non mancare alle leggi della pulitezza e non eccitare con quegli imbratti una spiacevole sensazione in chi si reca da noi. Nè basta il non fare all'altrui presenza cose laide e stomachevoli, ma non dobbiamo tamtampoco nominarle riguardo all'intelletto che ne ha schifo, nè con qualche atto importuno ridurle all'immaginazione altrui. E per ciò non si conviene a costumate persone mettersi in palese le mani in qualsivoglia parte del corpo, nè apparecchiarsi alle necessità naturali, nè, dopo, vestirsi o lavarsi in presenza degli altri, perchè non si affacci all'altrui fantasia l' idea di qualche bruttura. Similmente dobbiamo guardarci da quanto può recare molestia all'odorato: quindi impedire con ogni diligenza che dal nostro corpo non emani alcun odore cattivo, come interviene, specialmente nella stagione estiva, a coloro che, non si curando abbastanza della nettezza dei piedi sudati, mandano fuori un tal puzzo da ammorbare una casa. Anche il profumo troppo acuto d' un fiore o d' una essenza odorosa torna di grave incomodo, specialmente in un piccolo stanzino o in un salotto molto affollato; e non è raro il caso che qualche signora di delicati nervi sia côlta da svenimento o deliquio. Meglio adunque, come dicemmo altrove, nessun odore. Cavarsi le scarpe a fine di riscaldare i piedi intirizziti o bagnati è unicamente permesso in casa propria. Sciorinare il moccicchino dinanzi al fuoco od alla stufa per asciugarlo è sporcizia indegna d'ogni persona educata. Così pure non è dicevol costume, quando ad alcuno vien veduta per via qualche cosa stomachevole il rivolgersi ai compagni e loro mostrarla. E molto meno il porgere a fiutare alcuna cosa puzzolente, come alcuni sogliono fare con grandissima istanza, pure accostandola al naso e dicendo: « Sentite come questo pute; » anzi dovrebbero dire: « Non lo fiutate perchè pute. » Atti di questa natura offendono insieme due sensi, la vista e l'olfato. Siccome poi anche l'alito delle persone che non l' hanno abitualmente corrotto può per qualche peculiare circostanza riescire spiacente all'odorato, non hassi mai da accostare di troppo il volto a quelli coi quali parliamo. Rispetto all'usanza del fumare, tanto e troppo generalmente diffusa, avremo occasione di toccare in altro luogo. Intanto abbiate per fermo essere grave inciviltà l'accendere pipa o sigaro in una vettura, in un vagone, in una sala comune, senza prima domandarne il permesso almeno alle signore. All' udito, invece, riesce molesto e fastidioso il dirugginare i denti, lo zufolare, lo stropicciare pietre aspre, il fregar ferro, il graffiar vetri, cose queste ultime che destano il ribrezzo d' una lima stridente. Nessuno ha l' obbligo d'essere un canarino: ma chi sgraziatamente ha voce discorde e stonata e non ombra di abilità musicale senta compassione degli altri e non si faccia «Lacerator di ben costrutti orecchi.» Valga l'osservazione anche per quelli che nei caffè, nei convegni gridano a squarciagola con gran disturbo di chi ragiona tranquillamente e di chi è intento alla lettura dei giornali. Vi sono taluni che, tossendo o sternutando o purgandosi il naso, fanno uno strepito che assorda ; e altri che, non usando in ciò alcuna diligenza, spruzzano il viso ai circostanti. Non è mestieri che io raccomandi ai miei ascoltatori e alle mie ascoltatrici di guardarsi da questi atti in urbani. Al senso del gusto o al palato si può recar molestia, tanto per allegar qualche esempio, col goffo e grossolano scherzo di mettere alcun che di sgradevole, poniamo, in una bevanda, per poi sghignazzare sguaiatamente a spese di colui che resta colla bocca attossicata; e, in altro modo col voler costringere una persona, sia pur amico, ad assaggiare vino ammuffato, inacetito e peggio, o vivanda immangiabile per ostico sapore o nauseante condimento. Moltissimi sono gli atti inurbani che offendono il tatto. Lasciando stare gli usi plebei dei facchini e dei monelli da piazza di fare materia di scherzo e di giuoco le ceffate, i pugni, i calci, l'afferrarsi pei capegli, il pigliarsi a sassate, con gran consolazione dei presenti e dei passanti, vi hanno anche nelle classi più educate certuni che per riuscire seccanti e incivili valgono tant'oro. Ti picchiano sulle spalle per ricordarti una cosa; ti prendono pei bottoni dell'abito onde tu non abbia a sfuggire dalle loro ugne; passeggiando s' appoggiano di peso al tuo braccio e gli danno strappate da lasciartelo indolenzito; in compagnia credono porgere bel saggio di spirito con un buffetto sul naso a questo, col dare il gambetto a quello, coll'accostare alla mano del vicino la estremità del sigaro acceso..... Non dirò nulla di que' scioperati (e non basta qualificarli con tale epiteto) che d' improvviso levano di sotto via lo scranno a chi sta per sedere, con manifesto pericolo di vederlo stramazzare supino al suolo. Codeste non sono burle, sono attentati alla salute e alla vita delle persone, e i loro autori vorrebbero essere esclusi da ogni onesta brigata. Nelle occasioni di grande concorso poi, quando, in mezzo alla folla costretta all' immobilità, tra migliaia di persone stivate non cadrebbe un granellino di miglio, fa propriamente dispetto la villania di coloro che, armeggiando di mani, di gomiti, di petto, di gambe, vogliono a forza cacciarsi innanzi agli altri per veder meglio e smentire l'antico proverbio. « Chi tardi arriva male alloggia,» credendo rimediare agli urti violenti, alle ammaccature delle vostre spalle, de' vostri piedi, di tutto il corpo, con una scusa biasciata in italiano od in francese. E trovasi anche tale che, sbadigliando, urla o ragghia come un asino; e tale che con la bocca aperta vuol pur dire e seguitare il suo ragionamento, e manda fuori quella voce o piuttosto quel rumore che fa il muto quando si sforza di favellare: le quali sconcie maniere si voglion fuggire come sgradevoli alla vista e all' udito. E dato pure che lo sbadiglio non venga accompagnato nè dal raglio asinesco nè dal mugolo di cui sopra, il giovinetto costumato farà molto bene ad astenersene per varii motivi. Anzitutto perchè non sembri gli venga a noia la brigata e gli rincrescano i discorsi e i modi delle persone che la compongono; poi perchè, quando uno sbadiglia, quasi tutti gli altri, come vi sarà occorso di notare più volte, sentono il bisogno di fare lo stesso e quindi il primo è come la causa indiretta di questo sonnacchioso e generale contagio dello sbadiglio. Il suggerimento vale pei maschi, come per le femmine: ma con voi, buone fanciulle, mi corre anche qui, come in molti punti, l'obbligo di rincarar sulla dose per la ragione che certe cose spiacenti e meritevoli di censura nell'uomo, lo sono in grado superlativo nella donna. Non è egli vero che il vostro sesso è qualificato coll'epiteto di gentile? Ebbene, dee mostrarsene degno. Mi mancherebbe forse prima il tempo che la materia se io volessi enumerarvi ad uno ad uno gli atti che offendono i sensi; ma, dopo il saggio che vi ho posto sotto gli occhi, dopo i varii e speciali esempi che ho recato, sono persuaso che avrete una norma bastante per discernere quanto la civiltà permette da quanto riprova e condanna su questo proposito. Quindi io non vi toccherò nè di rutti nè di altre peggiori indecenze che, solo a intenderle accennare, destano un senso di schifo e di ribrezzo; mi arresterò invece su certe abitudini più comuni, su certe azioni che peccano d' inciviltà e qualche volta anche di egoismo, e che vediamo commesse con troppa frequenza più per sbadataggine che per maligna intenzione. Noi le porremo sotto una sola rubrica denominandole

Pagina 42

Abbiamo in Italia città in cui si usa quasi esclusivamente il tu; ne abbiamo altre che preferiscono il voi qual giusto mezzo tra la soverchia confidenza del tu e il troppo cerimonioso lei; ve n'ha parecchie invece dove è dominante quest' ultimo; e finalmente in alcune vediamo adoperati, quantunque in diversa misura, due dei suddetti pronomi ed anche tutti e tre. In certe cose l' uso può tutto: ai Milanesi, per esempio, non par vero che si possa chiamare il padre e la madre con quel gretto voi, che per essi non esprime nè affetto, nè riverenza, e non si adopera che cogli inferiori di ultimo grado o in tuono di rimprovero. A Brescia, a Bergamo, e chi sa in quant'altre città? è sconosciuto il lei, raro il tu, usitatissimo il voi. Concludiamo adunque col ripetere quanto abbiam detto: non si può fissare una regola generale in questo argomento, e non importa; il figliale rispetto non cangia natura nè vien meno perchè si usi il primo piuttosto che il secondo o il terzo dei modi sopra indicati. È quistione di consuetudine e di orecchio, non di galateo nè di cuore. Ai genitori tengono dietro i congiunti, i maestri e tutti coloro a cui dobbiamo riconoscenza ; la quale vuol manifestarsi non solo coi sentimenti, ma eziandio, colle gentili maniere che insegna la buona creanza. Guardati bene adunque, o giovinetto, da un contegno ruvido o freddo con chi ti spezza o ti ha spezzato il pane della mente: bada di non attestargli il tuo rispetto col toccare appena il cappello, alla soldatesca, senza neppur il riguardo di cedergli la mano diritta. E gli stessi avvertimenti rivolgo a voi, fanciulle. Guai se per una amorevole ammonizione l' Emilia facesse le spallucce, inchiodasse il mento alla fontanella della gola e tenesse il broncio alla maestra che l'ha dolcemente ripigliata pel suo meglio ! - Ad alcuni sarà parsa un'enormità che io ponessi la balia e il vecchio servitore tra le persone meritevoli di rispetto. E che? il padroncino deve trattare le persone di servizio come fossero superiori ? questo è invertire le parti, è un assurdo. Andiamo adagio: le mie parole vanno interpretate con discrezione e con giusto criterio. Non si vuol dire che il fanciullo, l'adolescente, debba far di cappello o inchinarsi agli individui sopra nominati, sibbene mostrare, anche cogli atti esteriori, la sua gratitudine alla donna che fece per lui quante la madre non volle o non potè fare, all'uomo che gli diede tante prove di affettuosa sollecitudine. Che brutto spettacolo sarebbe mai quello di un petulante ragazzo, di una bisbetica giovinetta, che abbandonandosi a incomposti moti di collera, facessero oltraggio ai bianchi capelli di codeste persone, le mortificassero con acerbi rimproveri, con basse contumelie! In generale usate rispetto ai vecchi quando anche non vi stringa nessun obbligo verso di loro ; fatelo per riguardo all'età, all'esperienza, ai prudenti consigli che ponno darvi; e badate bene di non metterne in canzone certe idee, forse un po' antiquate e non più in consonanza coi costumi del giorno. Esponete francamente le vostre opinioni, ma non mostrate disprezzo per quelle da loro enunciate. Il giovinetto che adempie scrupolosamente a questo dovere di civiltà insieme e di morale fa augurar bene della sua educazione e del suo avvenire. Vogliamo noi affermare con ciò che tutti i vecchi sieno meritevoli di stima e di rispetto? No; pur troppo ve n'ha alcuno che disonora sè stesso con falsi principii e con biasimevole condotta ; ma noi tocchiamo della regola, non delle eccezioni. Se vi trasportate col pensiero ai tempi della vita patriarcale, voi vedete che il capo della famiglia, della tribù, era il più vecchio. Lo stesso dicasi di tanti popoli selvaggi, antichi e moderni. E, a meglio raffermare le vostre idee su questo proposito, vi narrerò un esempio tolto dalla storia greca che fa proprio al nostro caso. La repubblica di Sparta, di cui era stato legislatore Licurgo, insieme con molte strane, rozze e semi-barbare leggi, ne aveva una lodevolissima, sancita e radicata da virtuosa consuetudine, ed era quella che imponeva rispetto e venerazione ai vecchi. La repubblica d'Atene, che per coltura teneva il primato su tutte le altre città della Grecia ed andava superba e gloriosa del nome d'un gran legislatore, Solone, aveva istituzioni civili e politiche assai migliori, ma nessuna legge che prescrivesse come un sacro dovere al cittadino il rispetto ai vecchi. Ora avvenne che, mentre in questa ultima città si dava un solenne spettacolo, un vecchio giunse troppo tardi, e siccome tutti gli scanni erano occupati dalla folla, per quanto cercasse di qua e di là, non gli riuscì di trovare un cantuccio ove sedersi. I giovani ateniesi non si curarono punto del disagio del povero vecchio, anzi fu detto da alcuno che godevano del suo imbarazzo e si divertivano a rimandarselo l'un l'altro. Ma gli ambasciatori di Sparta, i quali, formalmente invitati allo spettacolo, avevano un posto più elevato e distinto, accortisi dell'irriverente contegno della gioventù ateniese, fecero cenno al vecchio di avvicinarsi, si restrinsero un poco e il vollero seduto in mezzo a loro.

Pagina 60

Come in tutto, abbiamo anche in tal proposito qualche rara eccezione: vi sono alcune donne che, pur passata l'età dei quaranta, non si peritano a declinare la cifra dei propri anni e usano festeggiare il loro dì natalizio. E voi, mie brave fanciulle quando sarete giunte a quel tempo, farete assai bene ad imitare codesti esempi, che non esito a chiamar di coraggio e, per poco non dissi, di muliebre eroismo. L'amor proprio si risente con maggiore o minore vivacità, secondo il carattere degli individui, se negate ad un uomo o mettete in dubbio le qualità inerenti e necessarie alla professione o all'arte sua. Se voi mostrate di trovar falso il metodo di educazione seguito da un istitutore, voi fate grande offesa al suo amor proprio, stantechè il vostro giudizio gli toglie quel merito a cui s'appoggia la reputazione che gode, gli niega quell'attitudine e quel criterio che sono il fondamento della sua professione di educatore. Ditegli che sa poco di astronomia e punto di calcolo infinitesimale, ed esso non vi baderà più che tanto. Il contadino che intende da voi come egli non conosca niente affatto le ragioni dei fenomeni fisici non dà segno di offendersi, ma resterà mortificato e scontento se gli farete rimprovero d'ignoranza in materia di agricoltura. Volete vedere una crestaia montar sulle furie? Affermate che i suoi cappellini mancano di buon gusto e di grazia. Uno stipettaio, un armaiuolo farsi rossi di collera e di risentimento? Ponetevi a sostenere che le suppellettili e le armi di Francia e d'Inghilterra sono più perfette delle nostrali. Lo stesso ragionamento fate per tutte le professioni, per tutte le arti, per tutti i mestieri; giacchè ciascuno si crede e pretende d'essere creduto abbastanza esperto nell'arte o nella professione che esercita. Anche l'età entra in codesto soggetto. Il vecchio a cui si fa accusa di non aver pratica nè degli uomini nè della vita, che si vede arrogantemente redarguito e contradetto da un giovine imberbe in cose che egli dee conoscere e realmente conosce meglio di lui, grazie all'esperienza che è il frutto degli anni, sentesi giustamente ferito nell'amor proprio ed ha la ragione di rimbeccare e di ridurre al silenzio il presuntuoso e malcapitato saputello. Tra le più gravi offese all'amor proprio notiamo quella di volgere la faccia altrove per non corrispondere al saluto di una persona male in arnese, e l'altra di propalare il segreto di un sussidio ricevuto da quell'indigenza che ha bisogno di nascondere i suoi cenci sotto le apparenze d' una miglior condizione. Vi sono atti inurbani che insieme coll'amor proprio offendono anche l'onore, cioè quanto l'uomo ha di più prezioso; ma questi appartengono a un ordine di idee e di fatti che non sono del nostro libro. Ve n'ha altri la cui convenevolezza o sconvenevolezza dipende dalla diversa qualità delle persone. Un uomo maturo potrà dare il ganascino al giovinetto che conosce fin dall'infanzia, ma questi non dovrà mai permettersi altrettanto coi più vecchi di lui. Non parrà disdicevole che un principe, in segno di benevolenza, ponga la mano sulla spalla d'un veterano, e che questi alla sua volta usi lo stesso atto confidente col giovine coscritto. Il figliuolo mancherebbe al rispetto che deve a' suoi genitori, pigliandosi con essi la libertà di uno scherzo che è lecitissimo coi fratelli e cogli uguali. Per la ragione adunque enunciata in principio e spiegata dagli esempi, questi atti si dicono relativamente inurbani, stantechè assumono diverso carattere dalle diverse circostanze che gli accompagnano. Dicemmo altrove che il galateo è maestro di bella creanza per tutti i momenti della giornata, per tutte le occasioni in cui l'uomo si può trovare. Vediamo adunque partitamente come ilgiovinetto debba contenersi a mensa, in conversazione, a teatro e così via. Cominciamo dalla prima.

Pagina 71

E v'hanno altri che non si accontentano di ciò, ma usano del tovagliuolo per quell'indecente ufficio di tergere il sudore del quale abbiamo toccato più sopra, e se ne servono come di pezzuola pel naso e di spazzola per le scarpe polverose e per nettare il bocciolo del sigaro. Vedete che sporcizie! Eppure ne avrei molte ancora da mettervi innanzi, e potrei dirvi come alcuni puliscono le unghie in pubblico collo stecco e commettono altri atti villani e ributtanti a chiunque abbia dramma di educazione. Ma usciamo da questo fango, e il saggio recato basti a persuadervi che della società non hassi a imitare che il buono e l'onesto. Io vi ho ragionato a lungo sul modo di contenersi a mensa, specialmente in casa altrui, e su questo punto il mio cómpito sarebbe finito. Tuttavia, per le ragioni più volte allegate, non credo fuor di proposito dir quattro parole anche intorno ai doveri di quei che convitano; e sarà, come tante altre, una lezioncina da tenere in serbo per l'avvenire. Anzitutto sarebbe mancare ad ogni principio di pulitezza e di convenienza raccogliere alla stessa tavola persone che si veggono di mal occhio, che sono in aspra lite, oppure divise da freschi rancori o da vecchi dissidii. Ciò non è da farsi che nell'idea di suggellare una riconciliazione già preparata, e in questo caso il pensiero meriterebbe le lodi di tutti gli animi onesti e gentili. Nè il riunire al medesimo desco uomini di opinioni politiche diametralmente opposte è senza pericolo: stantechè nelle quistioni che valgono su tali argomenti anche le persone più gravi e più educate si lasciano talvolta trasportare fuori dai confini della calma e dignitosa discussione. Non è conveniente far aspettare troppo tempo i commensali già raccolti per la ragione che ne manchi alcuno. L'incivile in ritardo non dev'essere causa d'incomodo altrui. Voglionsi però eccettuare due casi: l'uno, quando si aspettano forestieri pei quali è dato il pranzo; l' altro, quando un convitato ragguardevole abbia fatto sapere alla padrona il grave motivo del suo involontario ritardo, e questa ne presenti le scuse alla compagnia. Però non è mai lecito oltrepassare i limiti della convenienza e della discrezione, e chi è sorpreso da subito impedimento può con bel garbo scusarsi del suo non intervenire al convitto, senza recar noia e disagio a nessuno. Sarebbe stranezza peccare di parsimonia, ma non potrebbe piacere neanche una sontuosità esagerata a paragone del censo di chi invita. Sfoggiare un lusso principesco con una rendita non corrispondente gli è un mettersi in ridicolo, fare il passo, come suona il motto popolare, più lungo della gamba. Spiacciono poi sommamente certi padroni strani, bizzarri, meticolosi, che non trovano mai nulla fatto a loro modo, e non rifinano di lagnarsi del cuoco, di sgridare fanti e fantesche al cospetto altrui e a mensa, che è luogo di allegria. Tu chiami gli amici a letizia, e invece li rattristi: poichè come gli agrumi che altri mangia alla tua presenza a te pure allegano i denti, così il vedere che altri si adira, turba anche noi. Il padrone dev'essere il primo a mostrarsi di buon umore, a diffonderlo come corrente elettrica nei convitati; e la padrona dee spandere intorno il tesoro delle sue grazie e del suo spirito. Colle sole persone molto famigliari e domestiche, o con inferiori visibilmente troppo timidi può correre il costume di stuzzicarli a mangiare, quando però si faccia con discrezione; chè altrimenti sarebbe una cortesia ben incomoda quella di costringere un galantuomo a rimpinzarsi di cibi contro sua voglia e a buscarsi una buona indigestione. Siffatta insistenza notasi principalmente nella campagna, in quei banchetti per nozze, per messe nuove, per sagre, nei quali la moltiplicità e la quantità enorme delle imbandigioni ricordano i pranzi degli eroi omerici e renderebbero necessarii i loro stomachi di ferro. Per chiusa di questa lunga lezione, volgo una parola speciale a voi, mie buone fanciulle: prestatemi dunque orecchio. Delle tante rac comandazioni, dei tanti suggerimenti, che avete udito testè dalla mia bocca, io sono persuaso che una parte sia quasi superflua per voi giacchè l'istinto della decenza e del pudore che si sviluppa così precocemente nell'animo vostro è come una salvaguardia che vi rattiene dal commettere non pochi atti contrarii alla buona e bella creanza nei quali cadono facilmente i maschi. Ma, per converso e quasi a bilanciar le partite, certe mancanze che con più larga indulgenza si perdonano a questi, non si vogliono vedere nelle fanciulle, e sono con assai maggiore severità giudicate. Qual'è la causa di tale diversità di pesi e di misure ? È forse una ingiustizia del sesso forte contro il più debole? Nemmeno per celia. La ragione è questa: che siccome il sesso gentile ha diritto ad ogni delicato riguardo, così ha pure l' obbligo di serbar sempre il sentimento d'ogni delicatezza e di non fare il minimo atto che anche impercettibilmente offenda la dignità femminile. Eccovene un esempio: dopo un pranzo, spiace il vedere un giovinetto che, avendo ascoltato più i consigli della gola che quelli della moderazione, si sente aggravato il ventricolo, non dice parola, o pallido e sofferente si lascia cadere sur una seggiola, se pur non gli avviene di peggio...; ma quanto non dispiace di più una fanciulla che si trovi in simile stato! Lo lascio dire a voi stesse, mie care. Un ragazzo che in un dì di festa e d'allegria si mostri un tantino brillo potrà venire scusato pel caso eccezionale, per non essere abituato a vini generosi, e spandere anche il buon umore nella brigata. Ma d'una fanciulla io non vorrei che in nessuna circostanza si possa dire: « Ha bevuto un po' troppo, il vino le ha fatto male. » Anzi il mio consiglio sarebbe di non bere che acqua pura o vino corretto. Dunque, mie buone ascoltatrici, imprimete nella memoria quegli insegnamenti che fanno per voi come pei maschi, e tenete conto di queste ultime osservazioni che in modo particolare vi riguardano.

Pagina 76

Cerca

Modifica ricerca