Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179186
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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La Bettina quanto aveva era nostro, seguitava essa, ci aiutava, ci vuol un bene a tutti.... è giusto che non la dimentichiamo nemmeno lei, ma quello lì non che aiutarci,ci avrebbe spogliato di questi pochi cenci che abbiamo attorno! È malato, nessuno l'accudisce? Dio è giusto, viva nel deserto che s' è fatto intorno a sè. Che ne seguì? Bettina dopo poco fu pienamente ristabilita in salute; Raffa, a cui nulla potevano giovare le prescrizioni del medico, perchè per non spendere non n'eseguiva alcuna, poco appresso morì. Nessuno lo pianse, nessuno ebbe una parola di compassione per lui. I denari, gli osservava Enrichetto per spingerlo a servirsene, non sono beni, ma solo rappresentanti de' beni, sono non il fine, ma il mezzo e lo stromento per soddisfare a' nostri bisogni; ma era un dir a sordo. I nipoti colla più schietta allegria, ne fecero i funerali, e l'oro con tanti stenti accumulato, in breve sfumò. È il caso di riferire il detto del Vangelo: male parta male dilabuntur; che si può tradurre nel volgare proverbio:La farina del diavolo va tutta in crusca, od anche in quest'altro: Quel che vien di ruffa raffa, se ne va di buffa in baffa.

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Abbiamo sentito ripetere da quei che sanno, che il guadagno, che i padroni fanno sul nostro lavoro, a buona giustizia dovrebbe essere spartito fra noi operai... — Già, i padroni dovrebbero star paghi di procurare a voi lavoro senza punto di lucro per sè; loro deve bastar la gloria! — Ma lei non bada che se si spartissero le ricchezze non vi sarebbero più padroni. — E allora come fondar laboratorii, come comprar macchine senza capitale?... — Il capitale è il nostro lavoro. — Sentite qui: voi, da quel che intendo, vi siete lasciati imbeccherare da qualche cervello balzano, che ha studiato il diritto commerciale e le dottrine sociali alla carlona per confondere le teste che non han studiato. Ora, sapete voi che cos'è il capitale? È il risparmio sul guadagno del proprio lavoro, e non il lavoro, come voi dite. Ora ascoltatemi bene, il vostro padrone, ad esempio, come venne ricco? Trent'anni fa, me lo disse egli stesso più volte, era semplice operaio, come voi adesso; ma lavorando con buona volontà e non sciupando il danaro, come tanti che conosco io, nelle taverne a ubbriacarsi, fece qualche risparmio, e in questo modo incominciò a raccozzare un po' di capitale, che investì nella fabbrica. Appresso il padrone suo, per premiare e l'intelligenza e lo zelo suo nell' adempiere al proprio dovere, lo fece direttore della fabbrica. Quando poi quegli volle ritirarsi dall'industria, il vostro principale aveva già tanto di capitale, che acquistò egli la fabbrica. Dunque vedete, che se ora egli è ricco è una ricchezza procacciata col santo sudore, della sua fronte. E adesso voi vorreste senza fatica di sorta andar a dividere con lui i suoi risparmi? Ditemi se la è giustizia! — Lei ha ragione, risposero un po' confusi i due lavoranti; ma chi nasce ricco senza punto aver faticato? — Costui, interruppe Enrichetto, eredita il risparmio de' guadagni del lavoro di suo padre e de' suoi maggiori. — E questa cosa par giusta a lei? Passi che uno goda i suoi guadagni, ma chi non ebbe altro merito che di nascere, pare... — Ah, ora siete proprio fuor di cervello, scappò fuori con impazienza il dottore. E per chi lavora il padre se non per la famiglia, per lasciar un po' d'agiatezza a' suoi figliuoli? Voi avete figli tutt'e due; e se ora col lavoro poteste far risparmio d'una trentina di mille lire, vorreste voi risparmiarle per i figliuoli degli altri? I figli nostri sono una continuazione di noi, sono noi, sangue nostro. I due operai si guardarono in faccia e si dissero: pare che il dottore dica bene. Ma poi stati lì ancora un poco pensosi, scossero finalmente il capo e proruppero: ora che lo sciopero è incominciato si debbe tirar innanzi. E fuggirono di lì senza dar tempo ad Enrichetto, che stava per offrirsi conciliatore tra gli scioperanti e il padrone; onde non potè che stringersi nelle spalle e profferir tra i denti:

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Galateo morale

196837
Giacinto Gallenga 16 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
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. - Abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri. Penetriamoci di quella verità e saremo più giusti gli uni verso gli altri e comprenderemo che tutto quanto s'ha a fare tra gli uomini è uno scambio di buoni sentimenti e di buoni procedimenti». Chi dubita della buona fede di un negoziante, cui non piacciono i suoi modi, padrone! nessuno lo obbliga a stringere con lui degli affari; ma entrato che sarà nella sua bottega, nel suo banco, è dover suo il rispettarlo. Il negoziante poi deve studiarsi di non mostrar né dispetto, né sprezzo, né impazienza verso coloro che si mostrano difficili nelle compere o danno a vedere di non conoscere, colle loro ridicole osservazioni, coi loro sproporzionati ribassi il pregio delle sue mercanzie. Colla brutta usanza, che dura tuttora in alcuni fondachi, delle domande esagerate di prezzo per addivenire poi, con coloro che non si lasciano accalappiare, e a furia di ciancie e di menzogne che disonorano, alla metà, al terzo della somma richiesta, non è da far caso se i compratori, quando ignorano con chi han da fare, oppongono un'esagerazione opposta con certe offerte con cui ti sembrano voter strapazzare la mercanzia. I negozianti onesti e civili devono sopportare in santa pace il fio dell'altrui indiscrezione. E nemmeno il negoziante dee rispondere duramente a commessi e fattorini, né svergognarli in presenza degli avventori, né a questi raccontare le mancanze de' suoi dipendenti: tanto meno dee permettersi verso di questi dei titoli ingiuriosi, dimenticando con il proprio decoro, quello del negozio e la giusta suscettibilità di coloro cui esso umilia e il rispetto dovuto al pubblico che è costretto ad udirlo.

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La puntualità, è uno dei modi con cui dimostriamo il nostro rispetto personale verso coloro coi quali abbiamo affari da trattare. L'uomo inesatto porta con sé dappertutto il disordine e turba la pace e la serenità del prossimo. Chi ha da fare con esso lui dovrà una volta o l'altra essere in gran pensiero e irritarsi. Egli giungerà sempre tardi e non è regolare che nella sua irregolarità. Il suo tardar sempre è un sistema: egli arriva ad un appuntamento trascorsa l'ora fissata; alla stazione della ferrovia quando è partito il convoglio, alla posta dopo partito il corriere. Per tal modo gli affari sono in ritardo e tutti suoi corrispondenti lo maledicono». E la Ellis nel suo eccellente volume l'Educazione del cuore fa pure la seguente opportuna riflessione: «Dicono per il solito arrivando costoro che hanno il vezzo di non trovarsi mai in tempo ai convegni, non vi ho fatto aspettare, in fin dei conti, che un cinque minuti! - Ebbene, cinque minuti son poca cosa, è vero; ma se coloro che erano obbligati ad aspettarvi erano cinque, il tempo perduto sommerà col vostro a trenta. Tempo prezioso che hai rubato; fallo tanto più serio inquantoché il tempo non si può in veruno modo né riacquistare, né restituire».

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E noi ne abbiamo di questi operai istrutti, civili, morigerati che onorano la patria e sotto il principal fondamento della sua prosperità e grandezza. Alla presenza di tali operai vuolsi ascrivere in gran parte quell'ordine mirabile, quell'attività prodigiosa che regna in alcuni opifizi i quali poco hanno da invidiare a quelli delle più civili e progredite nazioni. Talvolta, senza esagerazione, il deperimento di una fabbrica è dovuto alla mancanza dei modi civili nel personale degli operai: giacché tale mancanza è cagione che i medesimi vengano tra loro e coi loro padroni a scortesie, a ingiurie, a contese; indi le frequenti mutazioni degli operai, gli scioperi, le vendette contro i principali, lo scredito dello stabilimento, la rovina dell'industria, lo sbilancio, il fallimento. I padroni devono assolutamente bandire dalle officine gli operai incivili, arroganti, indisciplinati, giacché i medesimi sono eziandio sovente pigri e disonesti; essendoché l'ignoranza assoluta dei principii di civiltà si debba essenzialmente all'infingardaggine, alla comunanza cogli ubbriaconi, coi giuocatori; e le bettole e le bische non sono i luoghi da apprendervi la gentilezza, la cortesia, come non sono scuole di onestà e di buon costume.

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abbiamo fatto, in sostanza, quello che hanno fatto gli altri!». E molti di quegli sciagurati erano stati fino allora operai laboriosi ed onesti. A quel punto li condusse il fare come faceano gli altri!

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Abbiamo spesso veduto l'assenza di questa virtù neutralizzare in gran parte i risultati che l'industria, l'integrità e l'onestà di carattere lasciarono sperare. E accade pur troppo sovente che l'uomo di affari vive esclusivamente a se stesso e non tiene conto il più sovente de' suoi simili, se non in quanto contribuiscono a'suoi fini. Togliete un foglio del libro-mastro di uomini siffatti, ed avrete tutta la loro vita».

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Della reverenza che dimostrarono gli illustri uomini dell'antichità pei loro maestri abbiamo sublimi esempi in un Alcibiade, in un Alessandro Macedone, in un Scipione Africano. Dei due primi ho già parlato. L'ultimo, cioè Publio Cornelio Scipione Emiliano, detto poi Africano minore, aveva ad istitutore ed amico lo storico Polibio che lo accompagnò in tutte le sue spedizioni. Racconta questo scrittore che Scipione nient'altro maggiormente desiderava in mezzo alle glorie dei suoi innumerevoli trionfi, che di poter esser libero un giorno da tutti i suoi impegni per attendere unicamente, sotto la condotta del suo diletto maestro, a formarsi lo spirito ed il cuore; rispettava Polibio come suo padre ed era da quest'ultimo amato come un figliuolo. L'ignobile concetto in cui si tiene da alcuni, non saprei se più ignoranti o corrotti uomini, uno dei titoli più onorevoli e rispettabili di cui possa un uomo gloriarsi, dipende da quel generoso ed alto modo di ragionare che adoperano coloro i quali misurano unicamente dignità e l'importanza di una professione dal lucro che ne deriva a chi la esercita. A una tale stregua è certissimo che qualunque più rinomato professore o maestro starà al disotto di un mediocre uomo d'affari: e chi volesse, stando solo al guadagno che ricavano dalle loro rispettive occupazioni, stabilire un rapporto fra l'insegnante e colui che bazzica alla borsa o tiene un ufficio di prestiti, sarebbe costretto a dare a quest'ultimi la prevalenza di molti gradi sul primo. Ma bisognerebbe poi anche, per essere esatto nell'apprezzamento del loro valore, mettere in conto altri elementi, e calcolare per esempio, a qual punto verrebbe a trovarsi la civiltà, la moralità, e il ben'essere di un paese, quando, abolita, per una ipotesi, ogni maniera di morale e civile insegnamento, non soprastassero più alle intelligenze ed alle coscienze dei cittadini fuorché i borsaiuoli e gli speculatori.

Pagina 230

Noi abbiamo sempre in bocca, quando parliamo di libertà, di progresso, d'industria, d'indipendenza, il popolo inglese; facciamo anche di ricordarlo, questo popolo, allorché si tratta del rispetto verso le leggi, verso i giudici. «Ciò che forma il carattere essenziale della nazione inglese, scrive lo Smiles, è una sana attività di libertà individuale e insieme un'obbedienza collettiva all'autorità stabilita: l'energica libertà d'azione delle persone in un colla sottomissione uniforme di tutto al codice nazionale del dovere».

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Il medico, abbiamo detto, deve essere paziente; e non offendersi in conseguenza di qualche osservazione, di qualche dubbio che gli muove l'infermo sulla virtù di qualche rimedio ordinatogli, sul metodo di cura adottato; l'infermo ei lo deve in certo modo considerare come un fanciullo a cui non s'imputa a colpa il discostarsi talvolta dalle più strette regole della delicatezza, trovandosi egli sotto il dominio del male, che sempre dal più al meno ha la facoltà d'indebolire il cervello e togliere all'uomo quell'energia di ragionamento, quella pienezza di criterio, di sentimenti che è necessaria per tenersi negli stretti limiti delle convenienze. È malato e vuol essere compatito, suol dire la gente di cuore d'un tale che infermo si lasci andare a qualche mancanza verso coloro che lo circondano; il medico non deve sdegnare di sottoscrivere ei pure a questo santo precetto di tolleranza. Ma l'essere paziente non vuol dire tuttavia pel medico che egli debba sacrificare il proprio decoro in modo da sottostare, senza alterarsi, alle ingiuriose imputazioni lanciategli dagli sciocchi e dai maligni; che egli debba tollerare villane ed insolenti osservazioni; soffrire d'esser messo a paro cogli empirici e cogli armeggioni d'ogni fatta che usurpano il campo della medicina, permettere che lo si tratti come un servitore, un prezzolato a cui si compensano con salari e con mancie le durezze, le ingiustizie, le scortesie a cui vengono sottoposte da un padrone disonesto ed incivile. Più che inurbano è a dirsi spietato quel medico che non ha pell'ammalato quei pietosi riguardi cho si devono agli infelici, spiattellandogli freddamente la gravità, i pericoli della malattia; giacché può bastare la commozione, il terrore prodotto da simili confessioni per rovinare un ammalato. Il medico oculato sa tener conto di ogni particolare circostanza di famiglia, come del grado di sensibilità e di coraggio dello infermo; ma anche in quei casi in cui egli reputa necessario palesare all'infermo od alla famiglia i suoi fondati timori, egli deve farlo non a guisa di un giudice impassibile che legge al reo la sua condanna, ma sì a modo di un padre, di un amico che all'amico, al figlio venga costretto a palesare il pericolo da cui egli è minacciato.

Pagina 274

«A giudicare, così il Manno citato, quanto poco valgono alcune di tali leghe, non abbiamo che a considerare il silenzio che regna oggidì attorno al nome di parecchi letterati ed artisti dei quali alcuni anni fa si parlava con tanto applauso». Ed infatti è fortunatamente vero che i buoni libri, i buoni quadri e in generale ogni opera buona in se stessa si fa largo da sé; che il mig]iore e il più possente mecenate è il pubblico che legge ed osserva e giudica sul vero merito senza badare a raccomandazioni di sorta; ed è vero parimente che le opere la cui nomea è unicamente dovuta all'amicizia delle consorterie, alla protezione dei grandi non ha più lunga esistenza dei funghi che sorgono dalle flemme del terreno; e che la stampa dei medesimi è a tutto detrimento della carte che li riceve e a tutto beneficio delle tarme roditrici.

Pagina 324

In Italia abbiamo molti o pochi giornali? e fra questi predominano i buoni o i cattivi? La questione è di difficile scioglimento, troppe essendo le passioni, troppi gli interessi che si collegano all'esistenza di un giornale, di qualunque colore esso sia; e, prima di dare il nostro voto converrà studiare il giornalismo negli esempi che abbiamo sotto gli occhi.

Pagina 335

Né v'ha chi possa mettere in dubbio i risultati enormi di questo insegnamento a vapore; giacché i frutti che rispondono del vigor della pianta non li abbiamo tutto di sott'occhio nella squisita educazione, nel rispetto alle convenienze, nella riforma giornaliera dei costumi, nel progressivo miglioramento morale insomma che siamo obbligati a riconoscere in quelle classi del popolo a cui sono alimento esclusivo alla mente ed al cuore queste quotidiane letture.

Pagina 337

Ma quando vedo giornali che si dicono indipendenti, democratici, farsi organi e promotori di invidie, di astii fra una parte e un'altra della nazione; quando li vedo con maligne insinuazioni mettere in odio e in sospetto un paese all'altro, Milano contro Torino, Torino contro Firenze, Napoli contro tutti; quando veggo farsi guerra a un ministro perché nato ai piedi del Vesuvio o delle Alpi, o a un ministero perchè composto in maggioranza di Toscani o di Lombardi; quando li odo parlare di privilegi concessi a questi o a quelli, di servizi resi piuttosto dagli uni che dagli altri; e pesarsi sulle bilancie di un gretto municipalismo i sacrifizi e le perdite, e dare un prezzo a lire e centesimi al patriottismo e all'abnegazione di una regione o di un'altra d'Italia, assegnare, per così dire, un valore in obbligazioni al sangue versato, ai dolori sofferti per formar questa patria, che pur dicono di amar tanto, io direi a costoro: o voi, che non vergognate di fare i conti alla vostra madre del ciò che vi costa; di ricacciarle nel seno quello strale che tanto abbiamo faticato a levarle, quello delle nostre fraterne discordie; come avete coraggio di vituperare quel giornalismo religioso che voi accurate di spargere il ridicolo sulla fratellanza degli Italiani? Dite: se non è vero che tutti i giornali dei preti presi insieme non fanno la metà del male che fa un solo di voi con questi scellerati attacchi alla concordia, senza della quale l'indipendenza della patria sono una vana parola? io per me dico sinceramente che giornali di questa fatta, senza della quale l'unità, l'indipendenza della patria sono una vana parola, li tengo in conto di traditori e nemici d'Italia; giacché il veleno, sia esso tinto in rosso, in giallo o in nero è sempre veleno; e tanto è da biasimarsi chi scrive in odio di tutti gli Italiani, quanto chi eccita, scrivendo, gli Italiani ad odiarsi fra loro. Il delitto è sempre lo stesso: il fratricidio.

Pagina 352

Abbiamo esempi di ciò fra gli stessi schiavi. Narra Plutarco che nelle prescrizioni ordinate da Mario e da Cinna, i servi di Cornuto, patrizio romano di dolci costumi coi suoi dipendenti, celarono il loro padrone in casa ed avendo poscia con un capestro al collo sospeso in alto uno di quei tanti che erano stati assassinati da quella specie di comitato voluzionario, e postogli in dito un anello d'oro, il mostrarono ai satelliti di Mario che cercavano a morte Cornuto, e quindi in bella forma assettato avendolo come se stato fosse il loro padrone medesimo, lo seppellirono, né ci fu chi se ne accorgesse; e in questa guisa Cornuto dai suoi servi occultato riescì a salvarsi e si trasferì nelle Gallie.

Pagina 406

Noi abbiamo in Italia a centinaia gli istituti ove si esercita la carità a favore dei poveri, a centinaia gli ospedali, i ricoveri, gli ospizi. Eppure in nessun luogo come nel nostro paese si trovano tanti miserabili sparsi per le strade delle città e vaganti in cerca di danaro e di pane. La beneficenza cittadina, per quanto grande, non può mai bastare a soddisfare i bisogni fittizi di coloro che scelgono a professione quella comodissima del non far nulla. E sarà così finché non si arriverà ad ispirare alle classi povere quella dignità personale che esse mostrano di non sentire. Nei paesi della Svizzera, della Germania, dell'Olanda voi non arriverete, viaggiando dei mesi intieri, ad incontrare la quantità di mendici che vi assalgono, in un giorno, nelle contrade di questo bel giardino d'Europa o in quelle della Spagna nostra vicina. Là tutti lavorano, perché sanno che il povero, diventato tale per propria colpa, è sfuggito e disprezzato da tutti, e che difficilmente può trovare chi si assuma il carico della sua manutenzione; e il Governo, rafforzato da questo sentimento universale, può senza difficoltà impedire l'accattonaggio; che se alcuno, da immeritata disgrazia è ridotto a povertà, non ha d'uopo di stendere la mano, perché una carità illuminata va a cercarlo nel suo tugurio e lo impedisce di avvilirsi o di disperarsi. I cittadini vi sono solidari, per così dire, del mutuo decoro, e si riputerebbe disonorato quel paese in cui un certo numero di accattoni esercitasse, col nonsenso degli abitanti, la sua industria vergognosa.

Pagina 418

abbiamo ballato questa mazurka. Oh che piacere! pareva che la mamma le avesse fatto la lezione; parole, sguardi, tutto in misura di decenza, un vero fantoccio, parola d'onore! Domando io se un povero diavolo che non ha alcun delitto sulla coscienza, dev'essere condannato a un simile divertimento! condannato a correre il rischio di addormentarsi proprio lì in mezzo al ballo! L'è finita: non mi ci colgono più; ci ho miglior gusto a fumare questo infamissimo trabucos. (Sfido io! era un pessimo sigaro di Lucca!). — Eppure, Giulio, non mi par cosa gran che gentile quel lasciare lì in asso tutte quelle povere fanciulle! — Lascia correre, peuh! salteranno fra loro se ne hanno voglia; intanto io vado a sorbirmi un ponce. — E così fra le ciancie, i sigari e i bicchierini, quei vecchi quadrilustri non si vergognavano di mostrarsi incivili! Povere anime! È triste a quell'età l'essere, o il non aver rossore di parere, frusti di sentimento e di corpo! Blasés pur troppo! ma quel che è peggio, quello che non è soltanto una finta mostra di stanchezza, si è che questo decadimento precoce, questa consunzione precipitata, come è precipitata la combustione nell'organismo di un etico, va più in là della scorza esteriore e si estende qualche volta all'intelligenza, all'anima! Oh migliore le cento volte la condizione del selvaggio che mena le sue ridde feroci fra le salme dei nemici vinti dal suo coraggio, che non quella di una gioventù rosa da ingloriose fatiche, che vegeta molle ed inerte, che tradisce col suo aspetto desolato le morti molto più orribili della sue attività, della sua semplicità, del suo cuore!

Pagina 456

Qui da noi abbiamo un esercito di guardiani e di cantonieri in città e in campagna, e ciò nullameno nel bilancio passivo dei comuni e dei privati si ha mai sempre a stanziare una somma considerevole per la rinnovazione delle pianticelle, degli arbusti, dei fiori tagliati e strappati e in ogni peggior modo danneggiati dai coltelli e dai bastoni; per le riparazioni alle cancellate, alle banche sciupate a bella posta per solo spirito di distruzione. Queste spese continue di nuove provviste e di restauri cadono sulle spalle di coloro che non prendono veruna parte a questo lavoro di demolizione e costituiscono una specie di tributo posto dagli ostrogoti sulle borse dei concittadini. Altri, barbari per eccellenza, si giovano delle tenebre e della solitudine per deturpare le pareti, le porte delle case, le imposte, le insegne dei negozi, e peggio i bronzi e i marmi dei monumenti con ogni genere di sconcie iscrizioni, con guasti d'ogni maniera, danneggiando così impunemente, senza verun utile di loro stessi, le proprietà sacrosante dei cittadini, vituperando i ricordi delle patrie glorie. L'opera di costoro è più vile che non sia quella delle altre categorie di malandrini che attentano alla borsa e alla vita per amor di guadagno o spirito di vendetta, e non coll'unico fine di fare altrui danno e dispetto. Tutte queste operazioni sono generalmente dovute a quei ragazzi abbandonati, genie per così dire di nessuno, non privi sempre d'ingegno e di carattere, che potrebbero, ben coltivati, farne degli onesti, e dei galantuomini, e vengono invece adoperati a questi nefandi scherni, che non sono fuorché il preludio dei furti, dei delitti della loro ignobile carriera.

Pagina 91

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