Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Una peccatrice

249780
Giovanni Verga 8 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
  • UNICT
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Parecchie settimane dopo, in Napoli, ad una delle serate che dava il barone di Monterosso, noi ritroviamo Narcisa, accompagnata dal marito e dal giovanotto ufficiale di cavalleria negli Usseri, che abbiamo incontrato con lei a Catania. Il sottotenente, che apparteneva ad una delle più nobili famiglie del Napoletano, l'avea presentata ad una signora di mezza età, la quale recava con tutta disinvoltura gli occhiali sul naso, appartenente anch'essa alla più alta società, e che col suo ingegno si è fatto un nome che comincia ad esser celebre anche fuori d'Italia. Le due donne, l'una circondata e adulata pel potere dei suoi vezzi, l'altra pel prestigio del suo nome, sedevano l'una presso all'altra su di un canapè, accerchiate da uno stuolo di cortigiani. Il barone di Monterosso venne a complimentare la signora contessa R***, e a dire anche due parole d'occasione a Narcisa. - Avrò la fortuna, signora contessa, - disse, parlando alla donna matura, - di presentarle stasera un uomo, che, ancora giovanissimo, si è aperta diggià la più brillante carriera nella letteratura drammatica. - L'autore di Gilberto forse? - domandò la signora. - Lo conosce? - No; ne ho udito semplicemente parlare; è un dramma che ha incontrato moltissimo, a quel che pare; e di cui i giornali si sono disputati i meriti con quell'accanimento che dà sempre della rinomanza all'autore. È napoletano? - È siciliano; si chiama Pietro Brusio. - Brusio?... Non ho mai udito questo nome..... - Fra otto giorni questo nome sarà pronunziato come quello di Giacometti e di Gherardi del Testa. - È una celebrità in erba dunque? - Sì, signora contessa: una celebrità che nasce, ma in mezzo ad una splendida aurora. Il suo dramma è stato replicato quattro volte a richiesta, e domani fu desiderato per la quinta: l'impresario glielo ha pagato come non si sogliono pagare quasi mai le produzioni letterarie in Italia, e l'ha impegnato a scrivere pei Fiorentini con un appuntamento che lo farà vivere da signore. - Domani andrò ai Fiorentini, - disse la dama, - stasera mi presenti il suo protetto; lo pregherò di passare da me le sere cui ricevo. Il barone s'inchinò allontanandosi per dar retta ad altri invitati. Narcisa ballò come una silfide e confessò al suo cavaliere di mai essersi divertita come in quella sera. Verso mezzanotte il barone si avvicinò di nuovo al divano ove sedevano Narcisa e la contessa, accompagnato da un giovane alto e bruno, di cui l'espressione fredda, altiera e quasi severa era appena temperata dal contegno grazioso che gl'imponeva l'atto che andava a compiere. - Mi permetta, signora contessa R***, - disse il barone con il garbo di un uomo di società, - che abbia l'onore di presentarle il signor Pietro Brusio, il giovane autore di cui le feci parola. Pietro s'inchinò in silenzio, mentre la dama originale l'esaminava con tutta flemma, attraverso gli occhiali, dal capo alle piante e gli faceva i complimenti d'uso. Anche Narcisa esaminava il nuovo arrivato con una curiosità che andò a finire nella maggior sorpresa. Ella stentò a riconoscere il giovane incognito che a Catania incontrava ad ogni passo, divorando degli occhi il suo sguardo, e che passava le notti sul marciapiede dirimpetto alla sua casa, in quel giovane che le stava dinanzi colla fronte nobile, quantunque solcata dalle febbrili emozioni della creazione, e dai delirii sublimi del pensiero; coi lineamenti sbattuti dalle fatiche del lavoro, dalle lotte ardenti dell'idea, che aveva sentito immensa, colla forma, che spesso non sentiva abbastanza. Egli avea l'occhio brillante della confidenza che dà la giovinezza e l'avvenire, quando si affaccia ridente; il suo vestito irreprensibile sviluppava la forte e maschia eleganza del corpo; si presentava con tutta la grazia di un abituato alle più aristocratiche riunioni. Ciò che più di ogni cosa servì a farglielo riconoscere, meglio che l'altiero portamento della fronte, ch'egli non avea saputo rendere grazioso in quel momento come il sorriso a cui aveva forzato il suo labbro sdegnoso nel presentarsi alla contessa R***, fu questo: La contessa gli parlava con la famigliarità che dà la parentela del genio, e gli stringeva la mano. Il cerchio degli ammiratori di lei gli si affollava d'attorno, e lo guardava con occhio invidioso. Tutt'a un tratto ella lo vide diventar pallido come un cadavere, e dirizzarsi sulla persona con un movimento macchinale che non seppe padroneggiare; e ciò fu quando il barone (che era rimasto al suo fianco frapponendosi tra di lui e Narcisa) si allontanò. Pietro aveva veduto la contessa di Prato, alla quale il sottotenente dirigeva un complimento ch'ella non ascoltava. Brusio rimase un momento immobile, senza poter parlare, cogli occhi, che si erano fatti di una sorprendente lucidità, fissi su quelli di lei, mentre una leggiera convulsione faceva tremare sul suo labbro superiore i baffi castagni. La signora R***, che gli parlava in quel momento, fu sorpresa di non avere risposta, e lo guardò con curiosità. Pietro staccò quasi con isforzo gli occhi da quelli di Narcisa, che lo fissavano col loro sguardo limpido e chiaro, per volgerli all'ufficiale che anch'esso lo guardava sorpreso, arricciandosi le basette. Egli fu freddo, distratto, impacciato tutto il tempo che rimase a discorrere colla donna celebre. Quando questa gli parlava dello splendido avvenire che la riuscita della sua produzione l'autorizzava ad aspettarsi, rispose tristamente: - Forse, signora contessa, giammai in tutta la mia vita potrò compiere un lavoro come quello che scrissi in otto giorni, e al quale il publico ha avuto la bontà di fare buon viso. - È sola modestia che le fa dir ciò? - No, signora; forse è presentimento. - Bisognerebbe, in tal caso, non ammettere questo dramma come parto del suo ingegno, ma piuttosto... - Del cuore? - interruppe il giovane: - sì, signora! - Ella ha ragione: in un momento di passione si possono oprar miracoli che parrebbero impossibili a tentarsi un minuto dopo. Pel bene del suo avvenire voglio augurarmi che tale non sia il suo Gilberto. - Chi lo sa?... E lo sguardo del giovane, che s'inchinava per allontanarsi, incontrò quello di Narcisa fisso su di lui con un'espressione che dimostrava più della semplice curiosità. Si ordinavano le coppie per un valtzer; e l'ufficiale venne a presentare il suo braccio a Narcisa, che vi abbandonò il suo corpo flessibile, splendida di tutta la sua strana bellezza; coi capelli, intrecciati di perle; cadenti sulle spalle bianchissime e vellutate; col bel seno anelante sotto il velo ed il merletto che lo copriva; col suo sorriso indefinibile sulle labbra, e gli occhi che, senza esser brillanti, avevano un'onda di voluttà nei loro raggi. Ella si avanzò lentamente, mollemente, come immedesimandosi al corpo dell'uomo a cui si accompagnava, con un inimitabile movimento del suo collo da cigno, quasi le perle e i fiori che s'intrecciavano ai suoi capelli, e il volume di questi fossero troppo pesanti per quella piccola testa; presentendo nello sguardo sorridente e scintillante tutto quel torrente d'impetuose voluttà che il valtzer, questo ballo degli innamorati, dovea darle; come appoggiando tutti i delicati tesori del suo corpo al braccio del suo cavaliere per trarne quella foga d'esaltazione che la musica, l'eccitamento, il contatto del corpo dell'uomo elegante doveano darle. Nulla varrà a riprodurre, ad accennare soltanto, l'impressione voluttuosamente affascinante di quel corpo leggiero da silfide, che librava, direi, le ali coll'espressione del suo sguardo, per abbandonarsi a tutto il trasporto di quel ballo. Le coppie cominciarono a girare; la musica eseguiva il Bacio di Arditi. Dopo il primo giro, quando la contessa si fermò, anelante, come cullandosi al braccio del suo splendido cavaliere, sfiorandogli un'ultima volta il viso cui suoi capelli; colle guance accese, il petto anelante, gli occhi umidi di languore e di piacere, incontrò un altro sguardo, umido ancor esso di una indicibile espressione d'angoscia e quasi di cruccio, che brillava su di una fronte alquanto calva e pallida di una spaventosa pallidezza. Ella fissò un lungo sguardo su quello che si fissava su di lei. - Vogliamo ricominciare? - le susurrò all'orecchio l'ufficiale passandole il braccio - attorno alla vita da bajadera. - È inutile... mi sento stanca... Non ballo più... Ella cercò cogli occhi un'altra volta quello sguardo supplichevole e nello stesso tempo minaccioso: era scomparso - Oh! questo Bacio! questo Bacio!... avrò da sentirlo dappertutto... - mormorava Pietro delirante scendendo le scale. - Domani ai Fiorentini si darà un dramma che ha fatto furore, a quanto si dice; avrete la compiacenza di accompagnarmivici? - domandò Narcisa al marito. Questi s'inchinò in silenzio. L'indomani infatti, alle 9 e mezzo, la contessa, che non si ricordava di essere entrata in teatro a tal ora, era in un palchetto di seconda fila sul proscenio: Il sipario non era ancora alzato e la sala era affollatissima. La contessa recava in mano un magnifico mazzo di viole bianche che posò sul parapetto insieme all'occhialetto. Il dramma fu recitato in mezzo ad una di quelle ovazioni che sembrano strappate agli spettatori quando l'autore ha saputo scuotere tutte le corde dei cuori colla sua mano potente: era una di quelle opere spontanee, tutte di un sol getto, che sono belle perchè sono vere, che sono inimitabili perchè sono semplici e comuni. Narcisa rivide quel giovanetto che passava le notti sotto i suoi veroni; lo rivide nel protagonista di quel dramma, con tutti i suoi fremiti d'amore e i suoi disinganni disperati; ella sentì che quel dramma parlava di lei, era scritto per lei, in tutte quelle sfumature di rimembranze che l'accennavano ad ogni passo... L'ufficiale, che avea battuto le mani quando l'aristocrazia aveva applaudito, osservò con sorpresa che ella rimaneva indifferente alle sue sollecitudini, tutta assorta in quel Gilberto che ad ogni parola destava in lei una reminiscenza e le svelava quale amore quasi sopranaturale avea saputo destare. Nel mezzo della scena che l'avea commossa dippiù, ella, coll'ispirazione improvvisa e adorabile della donna leggiera e capricciosa, s'era tolto dal dito un magnifico anello di brillanti e l'avea legato al nastro del mazzetto. Alla fine del second'atto l'autore, chiamato fragorosamente dal publico, venne sulla scena. Egli non ebbe che uno sguardo, in mezzo al turbine di quegli applausi frenetici, in mezzo all'agitazione di quella folla che si levava gridando il suo nome, in mezzo all'inebbriamento di quell'ovazione quasi delirante: uno sguardo che andò a posarsi su di un palchetto di proscenio al second'ordine. Egli vi vide la contessa... verso della quale si chinava sorridendo il biondo giovanotto dalla brillante divisa di ufficiale degli usseri. Pietro dimenticò quegli applausi, quelle corone che gli cadevano ai piedi, quei fiori che lo coprivano come in un nembo, quelle acclamazioni al suo nome; egli non badò più neanche ad un mazzo di viole bianche che gli era caduto ai piedi dal palchetto di Narcisa e che avea raccolto, per fuggire come un delirante, come un uomo che teme d'impazzire, poichè tutti questi applausi non potevano dargli quello sguardo ch'era venuto a cercare sino a Napoli, che avea voluto comprare a prezzo delle ispirazioni del suo genio, e che avea visto rivolto sul giovane sottotenente. La folla chiamò invano replicate volte l'autore. - Che ne dite del dramma? - domandò la contessa all'ufficiale, dopo l'ultimo atto, approfittando del tempo in cui il conte era uscito per fare ordinare la carrozza dal jokey che aspettava sul corridoio. - Molto bello, in verità; e anche assai applaudito. - E dell'autore? - Che volete che ne dica?... ch'è un autore come tutti gli altri; - soggiunse colui con il supremo disprezzo degli uomini di spada. - Eppure quest'uomo è celebre! - aggiunse la contessa avvolgendosi nella sua vespertina di cachemire bianco. - Sarà anche questo. - Sento che amerei quest'uomo come una pazza! - esclamò Narcisa punta dal freddo motteggio del suo vagheggino, colla viva schiettezza del suo carattere mobile ed impetuoso. - Confessate almeno che questa franchezza è odiosa!... - rispose ridendo il sottotenente, poichè non sapeva se dovesse prendere la cosa sul serio, sebbene l'espressione affatto nuova della contessa gli desse molto a pensare. - Ha però sempre il merito della franchezza! - replicò con tutta flemma Narcisa: - quest'uomo io l'amo... poichè la sua celebrità è opera mia!... opera di cui posso andare superba! ... Partite per la guerra, signore, a farvi uccidere per me o a ritornare generale d'armata, e allora... ma allora soltanto... forse... io vi amerò come sento che amo in questo momento quell'uomo! - Signora! - esclamò l'ufficiale coi denti stretti, facendosi pallido. - Non mi accompagnate sino alla mia carrozza? - disse senza scomporsi Narcisa, dandogli la busta dell'occhialetto da recarle nel momento che suo marito rientrava nel palchetto. Brusio era ritornato a sua casa agitatissimo, e passò la notte senza dormire. Ella! Narcisa! avea assistito al suo trionfo, avea palpitato dei suoi sentimenti, gli avea gettato quel mazzetto che avea fatto appassire a furia di baci!... Ma ella non era sola!... quel giovane, quel soldato, sì giovane, sì bello, sì splendido! che le parlava sì da presso... che le sorrideva in quel modo!... Tutt'a un tratto i suoi diti incontrarono l'anello che era legato al mazzo; un dubbio atroce lo fece impallidire: quei fiori, che la donna adorata avea lasciato cadere su di lui, invece di essere l'espressione della simpatia non dimostrava piuttosto uno di quei volgari applausi, uno di quegli splendidi regali con cui si paga l'abilità di un istrione?... Quest'idea lo martellò a lungo; e l'indomani, ancora sotto questa impressione, scrisse il seguente biglietto a Narcisa - sarcasmo pungente ed amaro velato dalla forma più delicata:

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lo sapevamo; giacchè abbiamo accettato per voi... Quando c'entra quel demonio di contessa... - La contessa? - Eh, via!... forse che domani andate a cacciarvi una palla in corpo quasi colle pistole appoggiate sullo stomaco per quel povero mazzo che c'entra quanto un pretesto?!... Il conte è irritatissimo per l'assiduità che spiegaste nel far la corte a sua moglie, per cui la seguitaste da Catania a Napoli; e si è servito di questo pretesto per sfidarvi onde evitare il rumore. - Vi assicuro che non ho ancora l'onore di essere conosciuto personalmente da quella signora... - Il conte però sembra che vi conosca molto bene... A domani! A mezzanotte Brusio rientrando trovò una lettera che il cameriere gli disse aver recato due ore avanti una giovane assai elegante, che erasi annunciata per la cameriera della contessa di Prato. Egli aprì con febbrile impazienza la lettera profumata, della quale il bellissimo carattere inglese era tracciato con mano incerta e vi lesse:

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Pietro Brusio, l'uno dei due (ricorriamo al pseudonimo per questo come per quasi tutti i nostri personaggi, viventi ancora la maggior parte e molto conosciuti) è, come abbiamo accennato, un giovanotto alto; di circa 25 anni; alquanto magro, ciò che non impedisce che abbia delle belle forme, le quali sarebbero più eleganti, se avesse il segreto, come l'hanno molti, di saperle fare spiccare; ha i capelli assai radi, di un castagno molto più chiaro di quello dei suoi pizzi e dei baffi; pelle bruna; occhi piccoli e vivissimi; labbra alquanto grosse e sensuali; narici larghe e dilatantisi sempre più alla minima aspirazione del suo carattere impetuoso; piedi e mani piccolissime in rapporto alla sua statura. Nell'assieme figura energica e maschia, che può avere anche i suoi riflessi di bellezza, messa sul suo piedistallo, nella sua giusta luce, al suo posto insomma. È un giovane quale se ne incontrano molti in Sicilia: sangue arabo in vene andaluse: orgoglioso come un Cyd egli non dissimula menomamente le sue pretensioni di superiorità, che nulla sembra autorizzare nel suo esteriore. Vivo ed impetuoso come tutti i meridionali, egli scenderebbe sino alla lotta di piazza pel minimo sguardo un pò dubbio che s'incrociasse col suo. Natura generosa del resto, elevata, con molte aspirazioni al superiore, troppo nobile forse per trovarsi in contatto colla società del giorno senza risentirne gli urti, egli passa colla maggior facilità dall'estrema confidenza nella sua stella, nel suo avvenire (poichè egli avea dato due o tre drammi al teatro di Siracusa, dei quali si era parlato il giorno dopo soltanto, o non si era parlato affatto) allo scoraggiamento massimo, alla disillusione più completa di tutti quei sogni rosati, che pur riempiono un gran vuoto, rispondono ad un gran bisogno in quell'età in cui il cuore e l'immaginazione vivono anch'essi la loro vita. Il compagno che gli passeggiava allato è molto più piccolo; biondo, piuttosto grasso; uno di quei caratteri che non servono sovente ad altro che a far spiccare una individualità superiore a cui si accompagnano, di cui sentono e subiscono l'influenza come un satellite. Raimondo, il biondo, ha però il merito di essere come il compimento del carattere infiammabile, sovente del soverchio, del suo amico. Egli non ha la superiorità d'ingegno di lui, ma molta maturità di giudizio, ciò che lo fa ragionare calmo ed assennato, ed impedisce a Pietro di commettere mille pazzie, poichè Raimondo ha la voce dolce ed insinuante ed il carattere conciliativo; sembra infine che l'ardente carattere dell'amico suo subisca a sua volta l'influenza della pacata indole di lui. Entrambi appartengono a due buone famiglie di Siracusa. Raimondo è già laureato in medicina da quasi un anno, e Pietro studia legge per studiare qualche cosa che non gli rendesse soltanto strette di mano dei comici, che per altro si misuravano dal numero dei rinfreschi offerti e mai rifiutati, e qualche applauso, assai freddo, della platea, che avea il valore di un biglietto gratis. Abbiamo insistito, forse di soverchio, su questi dettagli fisici e morali, d'uso per alcuni, per noi resi indispensabili dalla necessità, che abbiamo peculiare, di far sentire, diremmo, i caratteri che presentiamo prima di agitarli nelle scene di un racconto intimo. Scopriamo sin dal principio il meccanismo, per non attirarci la taccia, poscia, di aver fatto agire delle marionette, da chi non ne vedesse il filo motore ch'è il cuore. Cinque giorni dopo, all'ora solita, noi incontriamo i due amici, che passeggiano, colla stessa sbadataggine, sotto gli alberi de Rinazzo; l'uno, il biondo, chiacchierando quasi sempre solo; il suo compagno col capo basso e le mani dietro le reni. - Mio caro, - diceva il biondo, guardando l'amico negli occhi in aria di malizia, - risponderai almeno questa volta a quella piccina? - Io? - rispose bruscamente Pietro, come destandosi di soprassalto, - e perchè fare? - Bella risposta! che pure non avrebbe avuto l'opportunità, di venir fuori oggi, se tu l'avessi data a te stesso il giorno, o piuttosto la sera, che ti venne in mente di accalappiare colle tue commedie quella poveretta. - Credo che tu abbi ragione in quanto alla risposta; e che tu dica una bestialità, ciò che fai spessissimo, in quanto a quello che mi vai cantando di accalappiamenti e di poverette... - Pietro... - Lasciami tranquillo, ti dico!... Ci credi sul serio dunque che a quest'ora Maddalena, la piccina, come la chiami, pianga e si disperi perchè non le scrivo più, perchè la sera, onde aspettarla sotto il verone, non rischio più di farmi gettare delle immondezze sul capo da qualche serva maligna, che finga di non vedermi, e perchè non do più lo spettacolo ai vicini, che si mettono ad origliare dietro le imposte, di quelle freddure che si ricantano sempre sullo stesso tuono: buona sera; come stai? mi ami sempre? non quanto me... ecc. ecc. poichè le varianti sono pochissime!! ln fede mia che ne ho abbastanza di tali amori da quindici anni!!.. se mi avesse permesso di salire un momento sulle scale... pazienza!... - Sì, Pazienza per altri otto giorni! la sarebbe finita come tutte le altre... Eppure ti assicuro che se tu l'avessi veduta piangere come io l'ho veduta; se ella ti avesse abbracciato i ginocchi come li ha abbracciati a me, per indurti ad andarla a vedere, a scriverle almeno... se tu avessi udito le parole ch'ella mi diceva!... - Parola d'onore! - esclamò sghignazzando Pietro, - che tu ne sei innamorato cotto. Va, Raimondo, amico mio, tu farai il tuo cammino, coi tuoi ventidue anni, i tuoi capelli biondi, e il tuo volto fresco e roseo. Il biondo prese quegli scherzi come li prendeva sempre, dalla parte che lasciano ad un uomo di spirito, ch'è quella di riderne pel primo, e riprese: - Se così fosse, confessa che mi saresti molto obbligato di averti sbarazzato di una noia, senza i ritornelli soliti di traditore, Iddio è giusto, ecc. Pietro ne rise esso pure, e strinse con effusione la mano del suo amico. - Sentimi, caro Raimondo; - diss'egli alquanto gravemente; - io non son di quelli che dicono: fo così perchè così fanno gli altri. Mi sento troppo superiore a questi altri per seguirne l'esempio. A diciott'anni è permesso credere ancora all'amore, alla fedeltà, alla donna tipo, eroina, come impastocchiano gli sfaccendati nei romanzi... A ventiquattro (è desolante quello che dico, ma non è men vero) si è scettico come lo scetticismo, quando cento volte si sono ascoltate le più appassionate proteste, fatte colle lagrime agli occhi, dalla donna che ha in saccoccia la lettera del rivale. - É curiosa! - interruppe Raimondo. - Che cosa? - Come ti hanno guastato i romanzi di Sue; tu, accannito avversario dell'esagerazione della scuola francese, e che ora mi copii sì bravamente l'Uomo stufo a ventun'anni, lo Scipione del Martino il Trovatello... - Non copio io! - disse Pietro quasi con asprezza; - ti dico soltanto quello che penso. Ti dico anche che darei qualche cosa del mio avvenire per possedere ancora le illusioni sì care de' miei diciassette anni... Tu conosci la mia vita, Raimondo!... Ti ricordi di una giovanetta che amai alla follia... Che fece quella giovanetta per la quale avevo pianto... ne ho vergogna anche a pensarci... pianto dinanzi a te... come un fanciullo... come un vile?! ... Ella m'ingannò per un mercante; poi; poi per un nobile, per un uomo ammogliato... E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poichè temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poichè s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi... Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita... Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora... e le espressioni appassionate di lei, che egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore... In seguito amai una fanciulla... pura siccome un angiolo: come direbbe il il signor Darmont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti... Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei... Scesi persino alle puerilità del collegiale... passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa... Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso... E dopo questo, dopo innumerevoli esempi, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più averi fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto o giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolare di primo anno? - Ti rispondo colle tue parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione. - Può essere anche questo; - rispose sorridendo il giovane; - del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio. Infine vuoi una parabola per convincerti? - Fuori la parabola! - Ecco! - e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero. Acceso il foglietto, cominciò accenderne tranquillamente il sigaro. Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali. - Hai veduto? - gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro. - Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia. - È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura piú di cenere di carta, o biglietto amoroso... o sigaro regalia. Spero di farmi nome almeno coi proverbi... giacchè non l'ho potuto con opere di maggior lena... Ma guarda laggiù, imbecille!... - Che c'è? - Cospetto!... la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa! - È vero. - Che donna... Perdio!... - Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando... - Non ho parlato di maraviglie. Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il suo pardessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pince-nez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole. Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide, o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava. - Hai udito che bella voce! - esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; - all'accento mi parve torinese... lo adoro tutto il Piemonte in questo momento... - Eppure veduta dappresso non è bella... - È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti. Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce cha sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suo magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poichè rubato a Dio, della sua beltà... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poichè non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e di incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poichè sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena... - To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?... - lo! - rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, - sei pazzo! - Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero. Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

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. - Noi abbiamo torti reciproci, - aggiunse Narcisa col suo sorriso ammaliatore; - siamo franchi in tal caso dall'una parte e dall'altra per poterceli perdonare scambievolmente... - Reciproci torti? - interruppe Pietro come trasognato. - I miei saranno più gravi; - rispose Narcisa, - ma ho la buona fede di confessarli e la risoluzione di espiarli... E voi? - Io non me ne trovo che uno!... ma sì grande... che io non oso rammentarlo senza arrossire in faccia a voi... - Confessatelo allora; forse vi verrà perdonato. - Contessa!... - È molto grave adunque perchè non abbiate il coraggio di questa confessione? - Le vostre parole me lo danno; io ho commesso l'indegnità d'insultarvi rimandandovi il mazzo e l'anello, e poco fa anche il biglietto... - Avete avuto torto nell'ultimo caso, non l'avevate nel primo... - Perchè? - Perchè nel primo caso quello che a voi pare colpa, mi provava piuttosto... - Narcisa!... - Che voi... - Che io vi amo come un pazzo!... come un uomo che non è più conscio di quello che fa, poichè voi gli avete tolto la mente e la ragione, Narcisa!... Così dicendo Pietro divorava coi baci quelle mani che si teneva fra le sue. - Ora che la vostra confessione è fatta, - diss'ella, non rispondendo direttamente, - veniamo alla mia. Pietro si accosciò sul tappeto ai piedi della contessa, tenendo sempre le sue mani. - Vi scrissi di aver conosciuto a Catania un giovanetto generoso sino al sacrifizio, nobile sino all'eroismo... Perdonatemi, non m'interrompete. Allora non sapevo chi fosse, non conoscevo che un giovane come se ne veggono tanti, inferiore fors'anche a quei giovani eleganti che mi facevano la corte. Anch'esso mi faceva la corte alla sua maniera, come la fanno i provinciali e gli adolescenti... Guardai qualche voltai costui che incontravo sempre sui miei passi in istrada, sulla porta del Teatro, uscendo e rientrando in casa... Qualche volta, quando paragonavo il suo stato a quello di coloro che mi amavano come lui ma che potevano dirmelo o almeno provarmelo, aspirare almeno ad un mio sorriso, ad una mia parola... mentre costui doveva sacrificarsi giorni e notti intiere per vedermi scendere da carrozza o per passarmi d'accanto al ritorno di un ballo ebbi un momento di curiosità, ed anche di riconoscenza sì lontana da sfumare nella compassione, per questo giovane che mi amava in tal modo, e mi amava senza speranza... Poi, non ci pensai più... - Poco tempo fa lo rividi in una festa: - riprese la contessa: - era l'uomo in voga; l'alta società avea per lui le più squisite cortesie, le donne più belle e più nobili gli sorridevano... Un vero trionfo! lo ammirai quella fronte larga e pallida, e mi sembrò di scorgervi qualche cosa di nobile che non vi avevo prima notato; mi parve di leggere un mondo intiero nei suoi occhi, sebbene alquanto malinconici. Lo sguardo ch'egli mi volse mi fece pensare al giovanetto sconosciuto... e provai una viva commozione a quel pensiero: C'era trionfo ed orgoglio soltanto in quel punto. Oh! io sono schietta, signore, per farmi credere quello che ho da dire in seguito. Quest'uomo avea fatto un miracolo pel mio amore - un miracolo di genio... lo l'ho veduto in quell'opera, come egli non ha veduto che me creandola, prendermi la mano, sorridendo del suo triste sorriso, e farmi passare in rassegna il suo cuore coi suoi palpiti, le sue speranze e le sue lagrime... e trasportarmi ai giorni delle vaghe aspirazioni e dei sogni ineffabili. Poi mi ha fatto piangere del suo pianto disperato a quelli spasimanti di passione... e si è arrestato anelante, spossato, colle braccia stese, nel punto in cui sentiva sfuggirsi questo fantasma a cui incatenava la sua esistenza... Oh, in quel momento, signore... s'io avessi veduto dinanzi a me quest'uomo, come l'ho veduto nel suo sogno, nel suo dramma... gli avrei stese le braccia ad incontrare le sue... - Narcisa!... - mormorò soffocato Brusio, sollevandosi sino ad inginocchiarsi. - Qualche volta, quando penso a quest'amore sì ardente e sì immenso che non avrei saputo immaginare, se non l'avessi ispirato, io che ho sorriso e folleggiato fra le ancor più folli proteste di mille galanti, io stordita da quest'incenso d'adulazioni e di corteggio che gli uomini più eleganti, più ricchi e nobili si affollano a bruciarmi ai piedi... io ho un movimento d'incerto terrore;... mi pare che debba essere terribile, divorante questa passione quando è giunta a tal grado;... mi pare ch'essa debba assorbire la vita in un bacio di fuoco.. ma in un bacio di tale ebbrezza da sembrare troppo piccolo compenso la vita, e troppo corti i giorni per avvelenarsene... - Narcisa!!... - ripetè Pietro colle lagrime agli occhi, prendendole le mani con violenza, mentre avea ascoltato sin allora cogli occhi spalancati e fissi, come pazzo di felicità, e coi gomiti appoggiati sulle ginocchia di lei. La fata si curvò mollemente verso di lui, e gli posò le braccia sullo spalle... poi lo sollevò lentamente, con quell'abbandono inimitabile e seducente che le era particolare; e guardandolo sempre col suo sorriso da sirena gli susurrò, quasi sulle labbra, colla sua voce più bella e più carezzevole: - Son venuta a vedere il tuo gabinetto da studio... Pietro... Quel soffio passò come un vento ghiacciato sul sudore che inondava la fronte di lui, che, impotente a più contenersi, la sollevò, prendendola fra le braccia, come un caro fanciullo, e la divorò dei baci, singhiozzando in un sublime delirio: - Tu sei il mio Dio! ed io non avrò mai forza per amarti come vorrei!!!... La portiera ricadde ondeggiante dietro di loro. Pochi giorni dopo, verso il tramonto, due giovani che s'avvincevano colle braccia allacciate, come le rampicanti che coprivano i fusti dei grandi alberi del giardino pensile, appoggiati alla ringhiera di pietra della terrazza, guardavano il sole che tramontava dietro quel mare azzurro che si stendeva immenso ai loro piedi ed ove si specchiavano Ischia e Procida. Narcisa teneva appoggiata la testa sulla spalla di Pietro, e di quando in quando si aggrappava al collo di lui colle sue candide braccia per passare i suoi labbri sulla fronte e gli occhi di lui con mille baci muti della sua bocca tremante che ne formavano un solo. - Che vita!... mio Dio! che vita!!... - mormorava ella soltanto qualche volta. - Eppure, mio dolce angioletto, quando io bacio questa tua fronte, e mi premo fra le labbra questi capelli, e ti chiudo gli occhi colle mie mani, e mi sento fremere fra le braccia questo tuo corpo da fata... io non credo, no... malgrado che io chiuda gli occhi, malgrado che io torturi disperatamente il mio cervello, per crederlo, che ciò che io provo di sì immenso, di sì convulso, di sì spasimante nella voluttà del piacere, nel delirio del godimento, mi viene da te;... che tutto ciò non è uno splendido sogno della mia fantasia, come ti sognai nel mio dramma... e ti sognai delirante, stringendomi la testa infuocata fra le mani, premendomi il cuore che sembrava scoppiarmi, seduto sul marciapiede di faccia ai tuoi veroni!... No... io non posso credere che quella donna che incontravo al passeggio, al braccio di un altr'uomo, fra l'ammirazione di quanti la vedevano, facendo palpitare il mio cuore col fruscio del suo strascico sulle vie;... che quella donna che vidi al Teatro; che mi passò da presso senza guardarmi; che seguii come un fanciullo, come un cane;... che non mi stancai a vedere dalla strada, per due mesi intieri, sotto la sua casa, ascoltando il minimo rumore che mi venisse da lei, che mi accennasse la sua presenza facendomi trasalire;... che quella donna che proferì quelle parole... quella notte... dal verone;... che mi torturò il cuore colle note strillanti del suo valtzer, quando mi parve che il mio cuore fosse rotto;... che quella donna ch'io non osavo avvicinare per non rompere il cerchio luminoso che la circondava d'aureola, per non rapirle un atomo di quella atmosfera profumata della quale si circondava, che faceva il suo prestigio;... che quella donna che adorai infine come un pazzo, spaventandomi di adorarla in tal modo, è mia!... mi ama!... mi è fra le braccia!!... che io posso chiamarla ogni giorno, ad ogni ora, ad ogni minuto;... che io ad ogni ora, ad ogni minuto posso udire quella voce che proferì: quell'uomo è pazzo: che mi dice che m'ama!... che io posso ad ogni ora, ad ogni minuto vivere la sua vita e suggergliela coi baci dalle labbra... Oh, no! Narcisa... per credere a ciò bisogna che noi ritorniamo a Catania, che noi abitiamo quella stessa casa, che io guardai con più venerazione della casa di Dio; che io respiri l'aria istessa di quelle camere; che mi metta a quel verone, con te, al posto che occupavi seduta sulla poltrona; e che io ti legga, seduto accanto alle tue ginocchia, come quell'uomo... Bisogna che mi metta con te, di notte, a quell'ora, a quel verone; e che tu ripeta quelle parole infami che io annegherei sulle tue labbra coi miei baci; bisogna che le tue mani ripetano su quel pianoforte le note di quel valtzer che m'inseguirono spietatamente quando fuggivo delirante come se fuggissi il cuore che sanguinava dirotto; bisogna che io mi segga su quel marciapiede, colla fronte fra le mani, come allora; e che io ascolti lo stormire di quegli alberi, il suono di quell'orologio, il murmure lontano di quel mare, il fruscio della tua veste;... e che io vegga il lume che rischiara la tua camera;... e che la tua voce sopratutto, la tua voce inebbriante, mi ripeta ad ogni ora, ad ogni minuto, che quello non è un sogno, che io non son pazzo;... e che i tuoi labbri, posandosi sulla mia fronte, mi scaccino questo turbine affannoso che mi sconvolge la mente, che mi fa dubitare della mia felicità... - Andiamo a Catania! - mormorò Narcisa, dandogli un lungo bacio e bagnandogli la fronte di due lagrime di voluttà.

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- interruppe egli, stringendomi le mani, quasi avesse voluto infondermi forza per ascoltare quello che avea a dirmi, e raddolcire quanto vi poteva essere di amaro; non si può sempre vivere di questa vita che noi abbiamo fatto, che è la mia più dolce memoria, senza avere delle ricchezze, che io non posseggo, e neanche tu, e le possedessi, io non potrei accettarle da te; bisogna che io mi faccia una posizione, che risponda alle aspettative che si son potute basare sul mio primo lavoro, che è bello del tuo riflesso soltanto. Per ciò fare bisogna piegarsi un poco a tutte quelle convenienze che la società esige rigorosamente. Io ho dimenticato tutto per te, sei intieri mesi: gli amici, il mio avvenire, gli impegni assunti; anche una madre che adoravo, la più buona, la più santa fra le madri, che aveva pur diritto all'amore del figlio suo, e che sei intieri mesi non ha avuto una parola da lui, non l'ha abbracciato una volta... Oh, credimi, Narcisa... è colla più viva commozione, colla più profonda riconoscenza anche, che io rammento questi sei mesi d'amore... Ma perchè quest'amore istesso duri con tutti i suoi incanti bisogna che esso sia assaporato lentamente: in fondo all'ebbrezza che stordisce si trova presto la disillusione che uccide l'amore... ed io voglio amarti sempre, mia Narcisa! «Soffocai i miei gemiti col fazzoletto, e rimasi muta, pietrificata dinanzi a lui che mi stringeva ancora le mani, e mi fissava quasi avesse voluto leggere nei miei occhi. «Dio mio! quello che soffersi in quel punto, credo che non potrò soffrirlo mai più... neanche al momento... «Quand'ebbi la forza di parlare gli dissi tristemente, divorando tutta l'estensione del mio dolore per nasconderglielo: « - Se mi amassi ancora, come dici, non avresti mai proferito ciò... « - Narcisa! - replicò egli, tradendo una viva impazienza, - non son uso a mentire... mi pare... « - Oh no! tu non mentisci... o piuttosto tu vuoi ingannare te stesso, perchè hai pietà di me... Grazie, Pietro! « - Io avrei dovuto parlarti da qualche tempo su questo proposito, - mi diss'egli; ho temuto sempre di farti dispiacere, ed ho indugiato. Tentai di lavorare per adempiere in parte agli obblighi impostimi, ma ti confesso che nulla mi è riuscito.... Mia madre mi ha scritto molte volte le più calde preghiere perchè io vada ad abbracciarla... «Egli aveva esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una risoluzione decisiva. «Mi aggrappai al suo braccio, poichè sentivo le gambe piegarmisi sotto. « - È giusto, - mormorai quindi a metà soffocata: - tua madre ha ragione!... «Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. « - Mi accorderai almeno quindici giorni prima di partire? - gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in silenzio. « - Oh! amor mio! - esclamò Pietro quasi con le lagrime agli occhi: - non credevo di essermi meritate tali parole!... « - Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere tua madre!... «Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo colle mani giunte di non farlo. «Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. «Egli rimase colpito e sorpreso da quell'apparente freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. « - Grazie! - mi rispose freddamente. «E rimase muto... E non una parola di più... Come se avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. «Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare, mentre non avevo la forza di strascinarmi. Lo guardavo: era freddo, pensieroso, quasi cupo. « - Oh,Pietro - gridai quindi singhiozzante, non sapendo più frenarmi, avvinchiandogli Ie braccia al collo; - mi ami?... mi ami come prima?!... Oh, Pietro!.... una volta mi promettesti, mi giurasti... che mi avresti confessato quando tu non mi avresti amato più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!... « - Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno male! - m'interruppe egli impallidendo. « - Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me, l'hai promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi ami più! «Invece di volere questa conferma al mio doloroso sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che avesse potuto farmi gettare nella sue braccia, delirante di passione. Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come combattuto da un'interna tempesta. « - Non ha dunque cuore quest'uomo! - gridai come una pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta. Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle parole. « Quelle parole però mi perdettero. « Pietro non capì il vero senso appassionato, addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato, proferendole; egli capì soltanto tutte quello che vi è di duro, di sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile! mentre avevano detto: Non avete pietà di me? «Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi; egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calma ed incisiva: « - È meglio forse che ci separiamo, Narcisa. «Ebbi paura di lui. «Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma ed inflessibile decisione della mente. «Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi strascinò quasi sino alla carrozza. «Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. «Ora che ci penso a mente più serena, io non risento tutto il pentimento di quelle parole delle quali gli chiesi perdono a mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella risoluzione. «Era finita dunque per me!... per sempre!... Ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione che mi avevo fatto promettere in un delirio d'amore, come se le parole avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. «Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. «Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello: volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. « - È alzato il signore? - domandai alla cameriera che veniva a prendere i miei ordini. « - Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia nemmeno andato a letto; poichè l'ha udito passeggiare tutta la notte. «Fui commossa profondamente; dunque anch'egli aveva provato tutta la lotta di quella disperata passione! «Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli aveva tanto ammirato in me; e passai nelle sue stanze. «Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. «Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui particolari di dolci malinconiche rimembranze. «I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera, situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me, erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicchè eravi quasi buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed un cuscino sul tappeto accanto ad una poltrona rovesciata. «Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiala fra le mani; aveva dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente. « - Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora. « - Non ho dormito, Pietro... - gli risposi colle lagrime agli occhi. «Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nascondermi il disordine; li abbassò, e rimase muto. «Non aveva voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto: sentii stringermi il cuore dolorosamente. «Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo.. quasi triste.. « - Tu scrivi? - gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace. «Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. « - Scrivi a tua madre, Pietro... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?... «Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra. «Mi portai l'altra al cuore, per comprimerne i battiti, dei quali il rumore mi spaventava. «Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!... egli!.. non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. «Un impeto cieco, disperato mi spingeva. « - Son venuta a chiederti una grazia, Pietro, - gli dissi; - questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo al 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai. «Speravo ch'egli soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... « - Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino: - mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; - e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi? «Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poichè non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. «Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: « - No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata... «Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una duchesse, annichilata. «Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno, per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. «Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio. «Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più. «Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinchiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento. «Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... «L'indomani partimmo per Aci-Castello. «No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare lo mie lagrime; soffocare gli urli disperati del mio cuore, perchè m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontani dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, vadano morendo in lui... lo non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche, il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... lo l'ho veduto quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... «Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante! «Dio!... Dio mio!... se impazzissi! «No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano! «Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più, la pietà istessa che risento di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le suo forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera... «Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime... «Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. «No!.. tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. «Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!... «Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma quì, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perchè mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui. «Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza suI mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano Ia loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. «L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini di una volta che l'hanno abitato coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna. « - Non sarai tu con me? - gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo, dividendolo con lui. «Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. «Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca. «I muri della torre principale che guardano il paesetto, sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare di un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. «Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. «Se cadessimo,qui, abbracciati! - esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. «Mi pareva più dolce quella morte; e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui. « - Quale pazzia! - mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garantire la mia vita ch'eragli sospesa. «Egli non ha detto: Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... «Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocatoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato... «Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance. « - Che guardi? - mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perchè piangi? « - Catania! - risposi colla voce ancora tremante. «Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poichè soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: « - Vuoi che ritorniamo a Catania? «Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava. « - Dov'è Siracusa? - domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. «Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passaro che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale. « - Perchè non mi conduci a Siracusa piuttosto? - gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: « - Se lo vuoi... « - No! Io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me... « - Partiamo! - soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poichè mi sentivo morire. «L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi. «Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più... « - No! no! gridò il mio cuore gemente: no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizi che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!... « Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato... «Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. «Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione, speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempia fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità, minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!... «Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... «Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. «Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia. «Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano. «Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo di più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. «Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. « - Pietro! - esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza; - ieri ti pregai di condurmi a Siracusa!... con te... «Egli non potè più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente. « - Impossibile! - mormorò con un soffio appena intelligibile. « - Impossibile?... - ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; - e perchè, Pietro?!... « - Oh! grazia! grazia, Narcisa! - singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto: - grazia!... io sono molto vile!!... «Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. « - Sì, io son vile! io son colpevole! io sono infame!... - seguitò con voce delirante: - oh! grazia, Narcisa!... «L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. «Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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Terminati gli esami abbiamo stabilito di andare a passare una settimana alla campagna. - Grazie, grazie, Raimondo! - disse la madre stringendo la mano del giovane - voi siete il degno amico del mio Pietro... Ve lo raccomando!... Siamo tre donne che non abbiamo più che lui... Vestito che fu Pietro i due amici andarono alla Marina. I viali erano affollatissimi; la musica eseguiva le più appassionate melodie di Bellini e di Verdi; un bel lume di luna si mischiava alle vivide fiammelle dei lampioncini, sospesi in festoni agli alberi, che illuminavano i viali. Era una di quelle sere incantate che si passano su queste spiaggie del Mediterraneo, in cui lo specchio terso ed immenso del mare, che riflette tremolante il raggio dolce e pacato della luna, sembra servire di cornice al quadro allegro, vivace, animato, che formicola colle sue mille seduzioni sotto gli alberi. Pietro si sentì come allargare il cuore e fu grato all'amico di quella piacevole sensazione; essi passeggiavano per uno dei viali più appartati. - Non m'inganno! - esclamò Pietro tutt'a un tratto, come di soprassalto, stringendo vivamente il braccio dell'amico contro il suo; - è lei!... là!... in mezzo a quei due uomini!... In fondo al viale quasi deserto, perchè troppo lontano dalla musica, spiccava infatti, e per la solitudine del luogo, e per una certa originalità elegante di abbigliamento e di andatura, la signora che aveva recato tale impressione in Pietro Brusio. Vestiva un semplicissimo abito di tarlatane a quadretti bianchi e bleu, tessuto di una freschezza e leggerezza quasi vaporosa; uno sciallo nero, fermato sul petto da uno spillone d'oro; ed un cappellino grigio ornato cerise. Nulla, però varrebbe a riprodurre l'eleganza suprema, la molle e quasi ingenua civetteria, con la quale ella rialzava la veste sino a metà della sottoveste ricchissima e si appoggiava al braccio di un uomo di quasi 30 anni, assai bruno, col volto ombrato da una folta barba nera, che avrebbe fatto invidia ad un guastatore, e vestito con ricercatezza alquanto leccata. Dall'altro lato era accompagnata da un signore di mezza età, alto, quasi biondo, freddo, e che parlava con una bella pronunzia toscana. I due giovani, passeggiando, s'incrociarono con essi che venivano loro di contro. Questa volta uno sguardo della signora, incerto, quasi negligente, si fissò indolentemente, ma a lungo negli occhi ardenti di Pietro che la divoravano. Due o tre volle ancora i due amici l'incontrarono di faccia; e ciascuna volta quello sguardo limpido, chiaro, noncurante, si fissò sul giovane che la guardava a lungo; e ciascuna volta il cuore di Pietro batteva stranamente in modo più forte; e le sue guancie pallide e brune si facevano ancor più pallide; e il suo occhio sfavillava più ardente; ed egli affrettavasi, trascinava quasi il suo compagno per giungere a quest'attimo in cui quella silfide dovea passargli dinanzi, in cui quella veste doveva sfiorarlo, in cui quegli occhi dalla pupilla trasparente dovevano fissarsi sui suoi, sebbene come non vedendolo. Una o due volte che Brusio non incontrò quello sguardo, fu triste, quasi dispettoso di se medesimo. Una volta, l'ultima, in cui gli parve accorgersi che, lui oltrepassato di uno o due passi, ella, parlando all'uomo a cui dava il braccio, verso di cui si piegava sorridendo con una grazia affascinante, avesse rivolto a metà il viso verso di lui e che un lampo partito da quegli occhi lo cercasse, egli fu ebbro... felice di una sensazione nuova, strana, che non sapea definire, della quale avea quasi paura, poichè non poteva giustificarla. Ritornando per lo stesso viale la cercò invano cogli occhi da lungi... Giunse in capo al viale, era deserto... La cercò per tutta la Marina, come se in quella folla elegante ed animatissima avesse dovuto discernere in mezzo a mille colei al solo riflesso azzurrognolo dei ricci che ombreggiavano la sua fronte fin quasi sulle sopracciglia, al solo movimento della sua piccola testa che sembrava inchinarsi come un giunco sul collo sottile e ben modellato; era partita... Che voleva egli? Che cercava da quella donna, di cui il lusso, il corteggio, l'adulazione era l'atmosfera in cui viveva; che gli uomini più ricchi, più eleganti, più nobili si fermavano ad ammirare, senza che ella mostrasse avvedersene; che tre o quattro volte l'avea guardato come si guarda un fanciullo, un albero, un oggetto qualunque che s'incontri?... Nemmeno egli lo sapeva in quel punto; egli avrebbe arrossito di confessarsi la premura che prendeva per colei che dovea essere sempre un'estranea per lui. Cinque minuti dopo riprese il braccio di Raimondo, dicendogli: - Andiamo via! - Così presto? - Non ti annoi a morte qui stassera?... Non c'è alcuno!... Raimondo guardò attorno, come trasognato, perchè giammai la Marina di Catania avea offerto una riunione più bella; e domandò ingenuamente: - Sei pazzo?... Tu stesso un quarto d'ora fa mi dicevi esser deliziosa questa serata... qui... - Sarà vero anche ciò, come è vero che ora mi annoio... e se vuoi rimanere ti dico addio. Egli stese la mano come per congedarsi. - Un momento... ecco! giunge in quel viale a sinistra Maddalena. Guardala almeno una volta. - Che m'importa di Maddalena a me!... Guardala tu, se vuoi... Addio! E dopo quella brusca separazione partì di buon passo e si diresse verso la sua abitazione per via Garibaldi. Però giunto alla crocevia della Vittoria sembrò esitare un momento, e proseguì a camminare sin fuori Porta Garibaldi. La notte era magnifica, Pietro sedette sul sedile di pietra circolare che limita la gran piazza. - È strano - mormorò egli - come stassera non ho voglia nè d'andare a casa, nè di rimettermi alle mie tesi!... E rimase altri cinque minuti in silenzio collo sguardo fosco e fisso sui ciottoli del marciapiede. - Andiamo! - esclamò quindi levandosi, e come facendosi forza; - devono essere le undici, e mia madre a quest'ora mi attende. Guardò il suo orologio e si diresse lentamente verso la sua abitazione. La signora Brusio, coll'occhio della madre, osservò che il suo Pietro, quella sera, era più pallido e distratto del solito; e che, invece di rimettersi a studiare, si ritirò, appela giunto, nella sua camera. L'indomani Raimondo, verso le undici, si disponeva ad uscire, quando Pietro entrò da lui nella camera che occupava all'Albergo di Francia. - Buon vento! - esclamò Raimondo sorpreso da quella visita che non si aspettava più da un mese; - ci son novità stamattina? - Quali novità vuoi mai che ci sieno? - Per bacco! ti credeva sui digesti a quest'ora; ed eccoti già a correre le strade come uno sfaccendato. - È che lo sono. Avrò sempre il tempo di finire le mie tesi, ed ero una gran bestia a prenderla tanto sul criminale; infine ne vengono approvati tanti più asini di me!... Usciamo. - Usciamo pure. Hai fatto colazione? - Non ci penso; mi sento in vena di passeggiare. - Con il caldo che fa non è la miglior cosa. - Andiamo alla Villa. - Sia per la Villa. - E i due amici uscirono, tenendosi, al solito, a braccetto. - A proposito della Villa, sai dove abita quella signora piemontese tanto distinta che abbiamo incontrato qualche volta? - No... dove? - In una bella casa sulla strada Etnea; della quale i veroni si vedono dal Laberinto. - Dici davvero?! - esclamò Brusio, animandosi quasi suo malgrado, e fermandosi in mezzo alla strada. - Verissimo. - E tu l'hai veduta? - Io stesso. - Proprio lei?... - Proprio lei!... Ma che diavolo!... Ne saresti innamorato?... - Mi credi forse pazzo da legare? - rispose Pietro con un sorriso che dissimulava appena la contrarietà che gli arrecava quella domanda. - Perchè poi? - Perchè amarla io, sarebbe una disgrazia: amarmi ella un assurdo. - Mi piace questa modestia da venticinque soldi. - È modestia che vale amor proprio; - rispose Pietro piccato - prendila come vuoi. - Eppure vediamo: - insistè Raimondo attaccandosi al braccio del suo amico - immaginiamoci che per un capriccio, una fantasia, un destino, secondo te, questa donna s'innamori di te; immaginiamoci ch'ella te lo dica, come lo dicono le donne quando vogliono, facendotelo comprendere, cioè, cogli occhi, col gesto, coll'atteggiamento... Ebbene! allora saresti il Catone del momento?... - Impossibile! - esclamò il giovane tristamente, come se avesse creduto un momento a quel sogno e si fosse poi accorto ch'esso era troppo bello e insieme penoso per lui. - Perchè? - Perchè colei è vana, orgogliosa, come lo dimostra il fasto di cui si circonda. Soltanto potrebbe impressionarla la bellezza, l'eleganza, la nobiltà, la ricchezza, il lusso... cose tutte che non posseggo. Dunque o costei è maritata, e non amerà giammai un Don Giovanni in ventiquattresimo che si chiama semplicemente Pietro Brusio; o è mantenuta, e non possederò mai abbastanza per pagare i suoi fiori per un anno; o è zitella, e non sposerebbe certamente l'uomo oscuro, comune, che non ha tanto da farla vivere in quel lusso nel quale vive, e che le è necessario, indispensabile per essere quella che è. In tutti questi casi dovrei dunque essere vile per amarla, o dovrei comprare il suo amore a prezzo di qualche infamia. - Ben pensato e ben ragionato! ciò che, in parentesi, ti avviene assai di rado. Vogliamo far colazione al caffè di Parigi? - No: andiamo al Laberinto. Raimondo guardò il suo amico di uno sguardo scrutatore e quasi beffardo. - Ti fo riflettere che non ho ancor fatto colazione; abbi dunque la bontà di concedermi dieci minuti. I due amici entrarono dai fratelli Guerrera. Mezz'ora dopo erano alla Villa. Faceva molto caldo. Il Laberinto era delizioso colle sue ombre profumate di fior d'arancio, I due sedettero all'ombra, e quasi contemporaneamente alzarono gli occhi sui veroni della casa, sebbene alquanto distante, che Raimondo avea indicato come l'abitazione della Piemontese. Le tende di giunco erano abbassate sulle ringhiere, quantunque il sole non vi giungesse ancora, forse per dare alquanto più d'ombra agli appartamenti; e dietro una di quelle si vdeva una figura di donna, vestita di bianco, quasi coricata su di una poltroncina con tutto il languente e voluttuoso abbandono di una sultana; a quella vista il cuore di Pietro battè forte, come la sera innanzi. - È dessa! - disse Raimondo - vedi che non t'ingannavo!... Pietro non rispose, tenendo sempre fissi gli occhi sul verone. Ella si toglieva soltanto a lunghi intervalli da quella positura per recarsi agli occhi un binocolo che teneva sui ginocchi e col quale guardava nella strada o verso la Villa; ed indi, come stanca di quello sforzo, lasciava ricadere mollemente la testa sulla spalliera, e sembrava assorbirsi in quell'inerzia contemplativa che gli orientali cercano nell'oppio. Un uomo, seduto accanto a lei su di una seggiola assai bassa, le leggeva qualche cosa di un giornale che teneva fra le mani, e che ella udiva sbadatamente; e si interrompeva di tratto in tratto per prendere una mano di lei, che gliela abbandonava con la stessa languida indifferenza, e che lo ringraziava col suo sorriso seduttore e col suo sguardo che faceva scorrere un'onda di voluttà in quell'uomo, quand'egli si recava alle labbra la sua mano: Allor solamente, la sua leggiadra testolina, coronata da quei ricci magnifici, si volgeva lentamente verso di lui. Qualche volta, con un movimento tutto infantile, quella manina bianca ed affilata si appoggiava alla ringhiera, e sopra vi si appoggiava la fronte; quasi quel bellissimo collo fosse troppo debole per sostenere quella piccola testa. - Con questa donna ci sarebbe da impazzire! - esclamò Pietro reprimendo un fremito, dopo averla divorata a lungo dello sguardo. - Credi che siano marito e moglie? - domandò l'altro. - È il mistero che questa donna sa rendere impenetrabile colle sue mille indefinibili gradazioni di fisonomia, d'espressione, di gesto, che fanno spesso dimenticare la sirena nella vergine, e viceversa. Se lo sono è da poco tempo: a meno che costei non senta ancor ella sì a lungo come deve far sentire a tutti quelli che l'avvicinano. Parecchie volte, forse a caso, l'occhialetto dell'incognita si rivolse verso il banco di pietra sul quale erano seduti i due amici. - Ti guarda! disse Raimondo sorridendo. O guarda i passeri che saltellano fra le frondi. Credi sul serio ch'io ne sia innamorato? - Ne parli tanto!... - Diffida sempre di quegli amori di cui ti si parla a lungo e sì leggermente: è segno certo che si vuol ridere alle tue spalle... Io l'amo come un bel personaggio da dramma o da romanzo, come un bel fiore... come una bella donna prima venuta insomma... che sa recare con grazia il velo sul cappellino e sollevare con disinvoltura lo strascico della veste... e nient'altro... In fede di che, se vuoi, andiamocene; sono le due meno dieci minuti, - aggiunse dopo aver consultato l'orologio. - Sì, è troppo tardi; siamo qui da più di due ore; - rispose il biondo alzandosi. Egli sorprese lo sguardo del suo amico che ancora restava fissato sul verone. - Vuoi venire, o no? - Un momento... restiamo altri dieci minuti e partiremo alle due precise... - Non amo gli inglesi colla loro metodicità regolata sul quadrante di un orologio... Hai detto d'andarcene... - Hai ragione; - rispose Brusio ridendo - partiamo. Due o tre volte, prima di uscire dal giardino, si volse a guardare il verone, sul quale non poteva più vedere che la tenda abbassata. - Bella donna! - ripeteva egli di tempo in tempo, con un entusiasmo che era troppo allegro per non essere affettato, e troppo affettato per non nascondere una preoccupazione: quanto io t'amo!

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A proposito... potremmo approfittare dell'invito dei signori A***, che abbiamo per stassera. - Vi si balla? - Sì. - Andiamo, in tal caso! M'immaginerò di ballare colla mia bella Piemontese; - aggiunse Brusio, forzando le labbra ad un sorriso. Essi furono accolti con festa dall'allegra brigata che era radunata nel salone. Pietro sedette al pianoforte e suonò un valtzer, che otto o dieci coppie ballarono. - Vi lasciaste molto aspettare, signorini! - disse in tuono di scherzevole rimprovero una graziosa giovanetta, figlia del padrone di casa e maritata ad un cugino di Raimondo, appena Pietro andò a raggiungere sul divano il suo amico, ch'era seduto vicino alla signora. - È che Pietro, qui presente, è innamorato cotto; e abbiemo fatto la ronda alla bella; - disse Angiolini ridendo. - Davvero!... non mi sorprende in lei, signorino, questa novità... E chi sarebbe questa sventurata?... - Parola d'onore, signora, che lo sventurato son io, almeno sta volta; - rispose Pietro. - Lei?!... È da ridere!... E di chi sarebbe innamorato, s'è lecito? - Molto lecito, al contrario! Giacchè non ho il bene di conoscerne neanche il nome... - Ed ella conosce lei, almeno? - No. La signora diede in uno scoppio di risa. - E l'ama, a quanta dice? - Come un pazzo! - Dove l' incontra? - Qualche volta al passeggio, o alla Marina... E poi so dove trovarla... - Dove? - A casa sua. - Dunque va in casa? - No; dal verone. - Ah! è amore da verone! - esclamò la giovane ridendo semprepiù come una folle; e dove abita questa meraviglia? - Al Rinazzo, vicino il Laberinto. - Nella casa ***? - Precisamente. - Una giovane alta, sottile, molto elegante... non tanto bella in verità? - Può essere... ciò è relativo... - E forestiera? - Forestiera. Credo sia piemontese. - La conosco. - Sul serio? - So il suo nome, almeno potrò insegnarglielo e non farle fare più la figura dell'amante della luna. - Com si chiama? - Si chiama Narcisa Valderi? - Narcisa!... - bel nome; si direbbe averlo ricevuto a vent'anni? E la conosce molto? - Cioè... non molto. Sono stata in sua casa due o tre volte. - Mi parli di lei... a lungo!... - Ella finge di scherzare, signorino, ma ha lo sguardo troppo acceso per dissimulare che quello che dice, lo sente davvero. - Sì, è vero!... Ma se le giuro che l'adoro, colei!... - L'ha veduta davvicino? - domandò in tuono quasi derisorio la giovane. - Sì. - È tutta toletta! ... - Io amo appunto in lei questa toletta, questo lusso, questo apparato brillante e vaporoso in cui la farfalla mi fa dimenticare il bruco. - Via, via.... vedo bene che scherza... - Dica dunque... - Ella si alza alle dieci o alle dieci e mezzo; prende un bagno di cui i profumi costano ciascun giorno otto o nove lire; e poi si mette allo specchio, ove impiega da un'ora e mezzo a duo ore per l'abbigliamento della mattina, da due a tre per quello della sera, e da tre a tre e mezzo, e spesso sino a quattro per la toletta da ballo o da teatro... È sorprendente... miracoloso, come una donna possa star tanto ad appuntarsi gli spilli!... - Ammirabile!... Avanti. - Dopo la toletta viene la colazione: ella ha l'affettazione di mangiare pochissimo, ma i suoi cibi costano un occhio del capo, in compenso; indi si mette al pianoforte, o al verone, sdraiata su di una poltroncina, e vi resta, spesso dormendo, sino all'ora di pranzo. Suo marito... - Un uomo di quasi 38 anni, alto e biondo? - Sì, il conte di Prato; lo conosce? - Me l'immagino. - Suo marito l'ama alla follia; passa i giorni al suo fianco, scherzando coi suoi capelli, e guardandola coll'occhialetto di faccia a faccia. - Ed ella?... - Ella gli sorride... e chiude gli occhi come se temesse di fargli perdere la testa seguitando a guardarlo com'ella fa. - In fede mia!... credo che n'abbia ben ragione!... - Questi dettagli li ho risaputi da una mia amica che abita dirimpetto alla casa della contessa... - En place pour la quadrille! fu gridato. Pietro si alzò e prese il cappello. - Se ne va, così presto! - Sì; devo andare a finire le tesi... - O a passare una mezz'ora sotto le finestre della bella?... - Sarebbe agire da stolido, almeno, dopo quanto ella mi ha detto. Ed il giovane sorrise del suo sorriso che si sforzava di rendere allegro mentre era amaro. Per andare a casa sua prese la strada che a lui parve la più corta, passando cioè dal Rinazzo. Nella casa della contessa non c'era lume. Pietro si fermò a guardare in silenzio quei veroni oscuri, poscia chinò la testa sul petto con un sospiro, mormorando: - Stassera al teatro si dà un dramma molto in voga... È al teatro certamente... ella... Indi, come vergognandosi di questo monologo, scrollò le spalle con dispetto ed affrettò il passo. - Andiamo a teatro stassera? - disse a Raimondo l'indomani appena furono assieme. - Andiamoci, se così ti piace. E le tesi? - Dormiranno anche stassera. Avrò sempre il tempo di finirle. Alla piazza della Cattedrale incontrarono un amico che si fermò a discorrere con loro. - Andrete a teatro stassera? - domandò egli. - Perchè questa domanda? - Perchè si darà una bellissima commedia nuova e ci verrà tutto Catania. - Ci sarò allora... poichè in tal caso verrà anche la mia bella; - disse Pietro scherzando. - Ah!... Ah!... la tua bella di numero... Non so più a qual numero sii... buona lana! - Sul serio; sono innamorato come uno stolido. - E di chi? - Di una signora ch'è una maga... involta fra i merletti e i velluti... della quale so il nome da ieri soltanto. - La contessa di Prato? - La conosci? - Per bacco! Al ritratto che ne fai... non c'è altra qui che possa appropriarselo. - È veritiero però questo ritratto? - Perdio!... E tu l'ami costei?!... Non so quello che farei per una parola di quella donna... - Non ci sarebbe bisogno di far tante cose; basterebbe farti amico con suo marito... ed anche col suo amante; ed uno di questi due ti presenterebbe... il resto verrebbe da sè. - Amante! - esclamò Pietro impallidendo suo malgrado mentre cercava di sorridere: - ah! c'e dunque un amante? - Pel momento però.... bada!... A Napoli sembra che sieno stati più d'uno; ciò che diede luogo a molti scandali, che finirono con un duello in cui il marito ruppe, con una sciabolata, il braccio ad uno dei più indiscreti. - E ciò non è bastato? - Ella fa quello che vuole di quest'uomo che comanda col gesto del suo dito mignolo; e che ha il coraggio di andare a battersi in duello mentre non osa fare la minima rimostranza alla moglie. È la storia di molti mariti. - E quel giovane bruno, dalla barba nera, che l'accompagna spesso?... - È l'amante di cui ti parlavo. - Che peccato! - esclamò Pietro fatto pensieroso. - Fatti presentare: - insistè Antonino. - Io!... - esclamò, con un accento indefinibile di stupore, Pietro. - Sì; tu sarai il secondo dei suoi adoratori presenti, senza calcolare gli assenti... Perdio! perchè ti fai triste?... ne saresti innamorato sul serio?... - Sei tanto ingenuo da crederlo? - Fatti presentare allora. - Sarebbe inutile. - Chi lo sa! - La mia condizione mi proibisce di averla a prezzo d'una viltà, e non ho danari bastanti per mettermi nel numero di questi signori che le fanno la corte... Del resto sento che non son fatto sul loro stampo... poichè non saprei amarla in comune, com'essi fanno... - Dimenticala dunque. - Non ci ho mai pensato che come uno scherzo. - A rivederci stassera. - Addio. Alle nove e mezzo i due inseparabili amici erano alla porta del teatro, in mezzo alla folla dei giovanotti che fumando stavano ad osservare le signore che scendevano dalle carrozze. La recita era cominciata da cinque minuti. I giovanotti erano entrati a prender posto. Raimondo strepitava, tentando di strascinare l'amico, poichè protestava di non voler perdere la prima scena. L'ultima carrozza avea deposto l'ultima signora sul marciapiede, e Brusio non si muoveva ancora. Raimondo finalmente perdè la pazienza e lo lasciò solo per entrare in platea. Poco dopo le dieci si udì il rumore di una carrozza che si avvicinava; ed il solo orecchio di Pietro potè distinguere che il passo dei cavalli non avea l'uniforme regolarità di quello dei cavalli signorili. - Una carrozza da nolo... è la sua! - mormorò egli appoggiandosi alla porta. La carrozza si fermò infatti alla prima porta, ov'egli si trovava, ed un uomo, nel quale Pietro riconobbe il conte, saltò il primo a terra, per dare la mano alla signora che accompagnava. Brusio istintivamente fece un passo in avanti. La contessa appoggiò appena alla mano del signor di Prato la sua mano da ragazzina coperta dal guanto bianco; mise lentamente il piede, che sembrava appena accennato nel suo stivalettino di raso, sul predellino, e saltò sul marciapiede. Con un perfezione di grazia assai distinta, ella tirò con se il lungo strascico della sua veste di seta granadine, per impedire che rialzandosi nello scendere scoprisse più del basso della sua gamba sottile e ben modellata. Soltanto, non potendo, nel tempo istesso, raccorre il burnous che le copriva le spalle, questo, nel momento in cui curvava fuori dello sportello la sua testolina ornata di fiori, le scivolò per le spalle e per gli omeri nudi di un'abbagliante bianchezza. Quell'uomo che, solo e fermo sull'ingresso, dimostrava chiaramente di attendere qualcheduno, mentre tutti erano dentro il teatro, le recò forse sorpresa, poichè, passando dinanzi a lui, mentre raccoglieva le pieghe della sua veste perchè non lo sfiorassero, ella alzò un momento gli occhi su di lui. Indi, come infastidita da quello sguardo scintillante che s'incrociava col suo e che sembrava assorbirne tutto il fluido, ella si volse un istante verso il conte, che dava alcuni ordini al cocchiere, prima di salire le scale del corridoio. Vi fu un momento, quando un lembo del leggerissimo tessuto di quella veste strisciò sui suoi abiti, che le gambe di Pietro tremarono. Pochi minuti dopo egli si diresse lentamente verso la platea. Entrando, il riflesso dei cristalli di un occhialetto fisso sulla porta colpì i suoi sguardi. Alzò gli occhi su quel palchetto della prima fila da dove partiva quel raggio, e vide la contessa che abbassava lentamente l'occhialetto, appoggiandolo, col braccio disteso, sul velluto del parapetto, mentre lo fissava ancora ad occhio nudo, quasi con curiosità: aveva voluto conoscere certamente, per una bizzarìa da donna elegante, quest'uomo che aspettava sull'ingresso, tre quarti d'ora dopo alzata la tela. Pietro cercò il suo posto e sedette quasi dirimpetto alla loggia della contessa. La commedia fu applauditissima; ma Pietro non applaudì giammai, poichè soltanto alcuni squarci attrassero la sua attenzione; e in quegli squarci, quando il suo cuore provava potentemente quello che aveva sentite l'autore, egli rivolgevasi, senza accorgersene anche, verso il palchetto di Narcisa, e cercava negli occhi di lei l'eco di quello che egli provava nel suo cuore. La contessa voltava le spalle alla scena; e solo di tratto in tratto, in quei momenti che avevano il potere di strappare Pietro alle sue frequenti preoccupazioni, ella volgeva i suoi limpidi occhi verso gli attori. Del resto ella discorreva qualche volta con i numerosi visitatori che occupavano successivamente le seggiole del suo palchetto; e pochissime volte si servì dell'occhialetto per esaminare le tolette delle signore. Giammai però l'abbassò verso la platea. Nel suo sguardo, nel suo gesto, nella sua attitudine, fin nel modo in cui parlava e sorrideva qualche volta con quei signori che le tenevano compagnia, n'era un'indefinibile espressione di stanchezza e di noia, che si traduceva in sfumature molli, in pose voluttuosamente accidiose. L'occhialetto di Pietro stava quasi sempre fissato su quella loggia. Due o tre volte, ella, come sorpresa di quella molesta assiduità, volse gli occhi verso quel binocolo che aveva l'indiscretezza di guardarla sì a lungo dalla platea. Una volta infine alzò lentamente il suo, e bruscamente, senza quelle transazioni che sono assai comuni in teatro per mascherare il vero scopo, ella lo fissò di contro a quello del giovane che si abbassò subito. Ella rimase alcuni secondi in quella positura; indi lasciò quasi cadere sul parapetto il binocolo, e fece un leggiero movimento di spalle d'impazienza. Prima di terminare la recita Brusio lasciò il suo posto e si recò sul corridoio. ll suo occhio era acceso e brillante; le sue gote, abitualmente pallide, si coloravano di un rossigno febbrile. Pochi minuti dopo, prima ancora che il sipario fosse abbassato, udì aprire la porta di un palchetto sul corridoio, e dei passi che si avvicinavano, mischiandosi al fruscio d'una veste. La contessa gli passò dinanzi, questa volta allegra e ridente, al braccio di uno di coloro ch'erano stati nel suo palchetto. Pietro in quel momento avrebbe dato dieci anni della sua vita per uno sguardo di quella donna. Le sue vesti lo toccarono senza che ella mostrasse di avvedersi di lui. Solo il conte si volse a fissarlo con occhio assai cupo e sospettoso. Il giovane scese le scale quasi insieme a lei; la vide montare in carrozza col conte, dopo aver dato la mano agli altri, e partire. Egli rimase immobile sul limitare. - Non vai a casa? - gli disse alle spalle la voce di Raimondo. - Sì... ti aspettavo per dirti addio... - A domani, non è vero? - Non lo so... Avrò forse da studiare tutto il giorno... E s'incamminò lentamente per la Marina. A due ore del mattino Raimondo si disponeva tranquillamente ad andare a letto, quando fu bussato con furia alla sua porta. - Chi può essere a quest'ora? - disse fra di se il giovane sorpreso andando ad aprire. - Son io, Raimondo... son io! Apritemi, di grazia! - udì la voce della signora Brusio, quasi delirante dietro la porta. - Che c'è, signora?... Dio mio!... ella mi spaventa! - esclamò il giovane introducendo la madre del suo amico nella sua camera. - Pietro!... Dov'è Pietro? Dov'è mio figlio, signor Angiolini? - disse la povera madre colle lagrime agli occhi. - Pietro non è in casa? - domandò. Raimondo vieppiù sorpreso. - Son due ore del mattino e mio figlio non si è ancora ritirato... Ho mandato il domestico a cercarlo al teatro, e ritornò dicendo che il teatro era chiuso da un pezzo, ma che sulla porta era avvenuta una rissa fra alcuni giovanotti; che vi erano stati dei feriti e degli arrestati... Mio Dio!... gli sarà accaduta qualche disgrazia... Dove lo lasciaste voi?... - Ci separammo all'ingresso del teatro, e mi disse che andava subito a casa... Ma io non so nulla di risse... - Dio!... Dio mio!... - singhiozzò la madre torcendosi le braccia, - come farò, Dio mio, come farò!... Son sola, sig. Angiolini, son sola!... Mio figlio!... chi sa cosa n'è di mio figlio!... Aiutatemi; corriamo all'ufficio di Questura a prendere informazioni... - Non si disperi, signora; spero ricondurle Pietro al più presto, senza alcun accidente. Abbia la bontà di aspettarmi qui. Raimondo, indossato in fretta un abito, prese il cappello ed uscì. Dando campo ad un sospetto che gli era balenato in mente mentre la signora Brusio si disperava per l'inusitata e straordinaria tardanza dl figlio suo, e per la notizia che il domestico le avea rapportato, egli si diresse per la strada Stericorea ed indi per quella Etnea, verso la casa ove abitava la contessa di Prato. Giungendo sotto i veroni, sul marciapiede di faccia, gli sembrò di vedere qualche cosa di nero immobile sul lastrico. Si avvicinò esitante e lo chiamò per nome a voce bassa. - Che vuoi? rispose una voce rauca e ancora tremante, come se inghiottisse delle lagrime, che Raimondo avrebbe stentato a riconoscere, nel suo accento duro e quasi cupo, se gli fosse stata meno famigliare. Si appressò ancora, e vide il suo amico seduto sullo scaglione del marciapiede, coi gomiti sui ginocchi e il mento fra le mani. - Tu qui!... a quest'ora! - esclamò Raimondo. - Che vuoi, ti dico?! - replicò con maggiore asprezza Pietro. Non son forse più padrone di fare quello che mi piace?!... Raimondo capì che quello non era il momento di parlare al suo amico: e sospirando tristamente, poichè allora soltanto scoperse lo spaventoso abisso del precipizio su cui egli si cullava, sedette silenzioso al suo fianco. Pietro rimase muto, come non avvedendosene, cogli occhi, di una sorprendente lucidità, fissi sul lume che brillava dietro le tende di seta del verone. Qualche volta, a lunghi intervalli, egli trasaliva, ed una gocciola, come di sudore, che partiva dall'orbita, luccicava un momento solcando le sue guance. Ad un tratto egli afferrò con violenza il braccio di Raimondo. - Guarda!... guarda anche tu! - disse egli con la voce stridente ed interrotta del delirante o del pazzo. E si alzò, come se avesse voluto elevarsi sino al verone per meglio osservare. - Io non vedo niente, mormorò Raimondo che si fregava gli occhi inutilmente. Pietro, senza rispondergli, gli porse la busta del suo occhialetto che trasse dalla saccoccia del soprabito. - Guarda, ti dico!... c'è da diventar pazzo! Coll'aiuto dell'occhialetto Raimondo vide la contessa, presso le tende del verone, di cui le invetriate erano aperte, sdraiata nella sua favorita posizione languida e voluttuosa, su di una poltrona, ancora colla veste del teatro, coi capelli ancora intrecciati di fiori; ed un uomo, il conte, ritto dietro la spalliera della poltrona, che si chinava verso di lei, e le divideva coi baci i ricci da sulla fronte. Ella gli sorrideva del suo riso da sirena; e di quando in quando, allorchè il conte rimaneva come stordito nel fascino di quelle seduzioni mirabili di voluttà, ella gli prendeva le mani colle sue manine affilate e bianchissime, e se ne lisciava la fronte, e le nascondeva fra il setoso volume dei suoi capelli, e se le posava sugli occhi e sulle labbra, ma lentamente, con quel suo abbandono ch'era irresistibile, come se avesse voluto dare il tempo a tutte le emanazioni inebbrianti che scaturivano dai suoi pori di penetrare in lui sino al midollo delle ossa. Raimondo, quasi spaventato, pel suo amico, da quella vista, fu scosso dai singhiozzi di lui che prorompevano soffocati come singulti; e, riponendo tristamente nell'astuccio l'occhialetto, disse con tuono di chi prende una risoluzione: - Via, Pietro, è tempo di partire! Tua madre ti attende a casa mia! - Mia madre!... - esclamò il giovane con un sussulto che dimostrava come quella corda vibrasse ancora potentemente nel suo cuore; mentre tutte le altre erano allentate e sconvolte. - Sì, tua madre, spaventata dalla tua estraordinaria tardanza, che ti cerca da me come una pazza. - È tanto tardi dunque? - domandò egli come parlando io sogno. - Son le tre fra poco. - Non credevo fosse sì tardi... Hai ragione, andiamo via... bisogna essere uomini! Poscia si fermò in mezzo alla strada, quasi non avesse avuto la forza di staccarsi da quel punto. - Ben dicesti: bisogna essere uomini e non fanciulli! - replicò Raimondo, dando al suo accento la possibile espressione e strascinandolo in qualche modo per forza, mentre Pietro si lasciava condurre a capo chino come un ragazzo.

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Era, come abbiamo accennato, una stanza assai grande, illuminata da lampade ad olio, con alcune panche disposte in giro alle pareti, su di una delle quali sedevano un contrabasso, un violino ed un flauto che facevano saltare col movimento della polka una ventina di ballerini e ballerine. La vista del giovane in cappello a cilindro fece impressione certamente, poichè le danze furono sospese, e tutti si volsero a guardare con curiosità il nuovo venuto; poco dopo incominciò a farsi udire un mormorio di cattivo augurio contro quell'importuno che veniva a disturbare il loro passatempo. - Egli viene a ridere di noi... il signorino! - esclamò una delle donne, che si appoggiava alla spalla di un uomo atletico, vestito di velluto e di volto assai caratteristico. - Noi non andiamo a mischiarci alle sue smorfiose... quando esse si divertono!... - gridò un'altra. - Non vogliamo seccatori qui! non vogliamo spie! - urlò una terza voce, - Ora vado a prendere per le spalle questo piccino e te lo metto fuori, - disse l'uomo erculeo alla sua donna. E si avanzò, col cipiglio arrogante, verso di Brusio, il quale ancora esitava ad innoltrarsi. - Che vuoi tu? - gli disse colla voce dura dell'imperio che esercitava sui suoi compagni quando gli fu faccia a faccia, covrendolo quasi col suo largo petto e la sua alta statura. - Non ho da dirlo a te, nè a nessuno qui! - rispose il giovane irritato, quantunque avvinazzato, da quella brutale famigliarità, guardandolo fisso negli occhi. - Per Cristo! non hai da dirlo a me? - rispose sghignazzando il colosso. - Ma sai che qui sei in casa mia, e che se ti prendo fra l'indice ed il pollice ti stritolo?!... - S'è casa tua ci resto! - disse Pietro coll'ostinazione dell'ubbriachezza o del puntiglio giovanile; - in quanto a stritolarmi provati! E incrocicchiò le braccia sul petto, stendendo un passo in avanti e postandosi solidamente sulle sue gambe snelle ma nervose, come se aspettasse l'assalto. L'altro fece ancora un passo, minacciandolo dello sguardo più che del gesto, con la bravata audace e cinica che dà la coscienza della superiorità fisica in tali uomini; e mormorò, con voce che cominciava ad esser rauca d'ira, accostandosi sin quasi a toccarlo, col petto: - Vattene! - No! - rispose Pietro bruscamente. Il gigante stese le braccia per afferrarlo; le braccia muscolose del giovane lo ributtarono due o tre passi all'indietro con un vigore che il bravaccio non avrebbe mai supposto in quel corpo magro e svelto; allora mise un urlo di rabbia: l'urlo della iena che ha sentito pungersi mentre scherzava; e afferrata una sedia la slogò di un sol colpo sul pavimento, tornando quindi verso di Brusio con la sbarra pesante e ruvida fra le mani, che brandiva sulla sua testa come una clava. Pietro, dal canto suo, fu lesto ad impadronirsi del bastone di uno dei suonatori, che si erano salvati dietro le panche, e a pararsi il colpo con quello. Allora cominciò un combattimento accanito e feroce fra l'uomo atleta, che mugghiava come un toro ferito per la rabbia che non poteva sfogare, rabbia accresciuta dalla inopinata resistenza che incontrava e che gli toglieva il prestigio d'invincibilità nell'opinione dei suoi compagni, ed il giovane alto, sottile, pallidissimo, colle grosse labbra chiuse e sdegnose, l'occhio scintillante, la fronte alquanto calva, altiera ed impassibile, su cui si appiccicavano i capelli arruffati e si schiacciava il suo cappello a cilindro. Per fortuna Pietro aveva studiato la scherma del bastone con maggiore attenzione di quanta ne avesse messa ad ascoltare le lezioni del canonico Russo; fu perciò col massimo piacere degli spettatori, comprese le femmine, che questi assistettero a quel duello singolare fra i due avversarii degni di starsi a fronte l'un l'altro; essi battevano le mani ai bei colpi, e incoraggiavano con acclamazioni i combattenti. Brusio non era più uno straniero per loro, un signorino, ora che maneggiava sì bene il bastone. L'uomo vestito di velluto avea il braccio e le reni solidi come bronzo, e molta abilità in questa maniera di scherma, ciò che gli faceva menar colpi che calavano giù rombando terribilmente; il giovane però, se non aveva la forza muscolare del suo avversario, lo vinceva nell'elasticità e sveltezza dei movimenti e nel sangue freddo inalterabile, che in lui era uno strano effetto della collera, con cui aggiustava i suoi colpi e parava quelli che gli venivano. Tutt'a un tratto una legnata violenta di Brusio spezzò la sbarra colla quale il bravaccio parava il colpo alla testa, e si vide quest'ultimo stramazzare a terra colle braccia stese: aveva il cranio spaccato. Successe uno straordinario tafferuglio: alcuni gridavano evviva, altri imprecavano e minacciavano Pietro più seriamente al certo di quanto fosse stato minacciato sino allora, poichè nella mezza luce si vedevano luccicare lame di coltelli affilati. - Silenzio, canaglia! - si udì gridare una voce la quale avea tutte le gradazioni fra quella dell'uomo o quella della donna; - questo giovanotto lo proteggo io! è dei nostri!... Ha cuore e pugno... Egli vuol essere dei nostri, giacchè è venuto; non è vero? - No! no! Sì! sì! - urlarono alcune voci avvinazzate: - Non vogliamo cappelli! non vogliamo signorini!... Viva il signorino! egli ha il pugno di ferro! egli ha vinto Nicola! Nulla avrebbe potuto sedare quello schiamazzo, e Pietro avrebbe corso fors'anche il più grave pericolo, minacciato dalla vendetta degli amici del caduto, quantunque difeso anche dal piccol numero dei suoi ammiratori; un altro combattimento, in più grandi proporzioni, era almeno imminente, se non fosse entrato in quel punto il padrone dello stabilimento; il quale, impassibile sin'allora a quanto era avvenuto, dietro il suoi banco della prima camera, accorreva dimostrando nel gesto e nella fisonomia l'importanza della notizia che recava: - I carabinieri! - diss'egli - I carabinieri! - fu gridato da ogni parte. E tosto amici e nemici si fusero in un lodevole accordo a nascondere in un stanzino il mal capitato Nicola, cui, quantunque fosse rinvenuto e mandasse lamentevoli gemiti, nessuno avea badato a lavare il pavimento lordo di sangue, e a tirare i suonatori da sotto le panche. - La Fasola! la Fasola! - fu gridato da tutti. Venti braccia soffocarono Pietro in un energico amplesso; e venti voci, anche di quelle che avevano minacciata la sua vita un momento innanzi, gli susurrarono: - Siamo amici, non è vero? Sei dei nostri!... Vuoi essere dei nostri? - Sì, son dei vostri!... amici! tutti amici - rispose Pietro, urlando tanto forte da cercare di soffocare le stesse parole che proferiva; stendendo le mani alle venti mani nere e callose che gli venivano stese, onde stordire tutto quello che sentiva d'ignobile, di ributtante, di vile in quell'accozzaglia alla quale veniva a domandare le sue distrazioni; ballando anche lui quella ridda infernale sul sangue versato da poco e ancora tiepido... Egli, a misura che le acri esalazioni di quei cenci e di quei corpi, e l'esaltazione avvinazzata di quel tripudio cominciarono ad offuscargli il cervello, come il Marsala non aveva potuto fare; egli, che aveva avuto ribrezzo a toccare la mano di quella femmina, spudorata corifea della festa, ch'era stata la donna di Nicola, cominciò a saltare più furiosamente degli altri, a stringersi più ebbro quell'abbietta creatura fra le braccia... Due ore dopo mezzanotte egli usciva stordito, briaco da quell'orgia; ancora sbalordito dal baccano che avea fatto il suo cuore; mormorando come per illudersi anche in quel momento: - Oh! la vita!... Questa è la vita!... Donne e vino!... Viva l'allegria! Da quel giorno, o piuttosto da quella notte, Pietro Brusio cominciò una vita indegna ed abietta, di cui egli cercava occupare tutti gli istanti con gli eccessi più sfrenati, per non darsi il tempo neanche di vedere dov'era caduto. Egli faceva sforzi sovrumani per annegare nel frastuono, nell'ubbriachezza quanto sentiva ancora di elevato e di nobile nel suo cuore, che gli rimproverava come un rimorso la vita che menava, e gli faceva pensare spesso, malgrado la sua disperata volontà, malgrado gli eccessi a cui ricorreva a quella donna fatale di cui malediva la memoria. Spesso fra le orgie più impure, nell'ubbriachezza più profonda, egli rimaneva in disparte, muto, pallido, coll'occhio fisso e pensieroso. Spesso, al contrario, stringendosi una di quelle femmine da trivio fra le braccia egli mormorava un nome cogli occhi umidi di lagrime: ciò che rendeva dapprincipio attoniti, e faceva ridere dappoi i suoi compagni di stravizzo. Egli logorava la giovinezza del suo cuore e del suo corpo in questa vita febbrile, divorante, che s'era imposta; fuggiva lo sguardo della madre e delle sorelle come se avesse temuto di contaminarle col suo, come se avesse temuto che la muta eloquenza dell'occhio umido della madre non gli facesse sentire tutta l'infamia dell'abiettezza in cui affogava le sue memorie e il suo amore, che provava ancora rigoglioso e potente. Fuggiva gli amici di una volta, che forse avrebbero potuto rimproverarlo col loro freddo contegno; Raimondo, cui non si sentiva bastante coraggio di avvicinare. Siamo al Giovedì Grasso. Brusio ha passato più di quattro mesi di questa vita; è divenuto il corifeo di questa canaglia composta di femmine da trivio e di uomini perduti; e in quella sera, tutti mascherati in modo poveramente e orribilmente grottesco, vanno al Teatro a farvi pompa del cinismo del vizio, della brutalità della violenza, della petulanza della miseria colpevole; occupano la galleria, ove mangiano, bevono, contendono ed urlano anche nel tempo della rappresentazione, malgrado la presenza delle numerose Guardie di Pubblica Sicurezza e dei Reali Carabinieri. Dopo la recita aspettano I'apertura del ballo mascherato per lanciarsi, coi loro costumi sudicii, in mezzo alla platea, per mischiarsi a quella società elegante che non sentonsi in diritto d'avvicinare coi loro cenci, e per farlo ne cercano il coraggio nella ebbrezza, nell'esaltazione e negli eccessi. Brusio, in prima fila fra di essi, sul proscenio, indossando un travestimento tutto suo, composto di cappuccio, casacca e pantaloni di pelle di montone, (vestito che egli avea denominato da orso), si occupava metodicamente a dar fiato ad un enorme corno ad ogni scena nuova; e le rimostranze delle guardie di Questura erano soffocate dagli urli, dai suoni di trombe e di campane e dai fischi della mascherata numerosa che gIi faceva codazzo. Poco prima di mezzanotte fu aperto il ballo. Quella folla ululante irruppe come un torrente limaccioso nella sala. I palchetti erano gremiti di elegantissime dame e di signori mascherati con lusso. Poco dopo si aprì l'uscio di un palchetto di seconda fila ed entrò la contessa di Prato, mascherata da baccante, accompagnata dal marito e da un bel giovanotto biondo, sottotenente negli usseri di Piacenza, che le tolse dalle spalle la mantelletta Fatma di peluscio. Giammai la sirena aveva brillato di tutta la pompa affascinante delle sue seduzioni irresistibili, come quando si avanzò sul parapetto della loggia colle braccia, le spalle ed il petto nudi nel suo abito diafano di velo, col suo sorriso sui labbri, il suo sguardo negli occhi, con quel piccolo grappolo d'uva e quell'unica foglia verde a metà nascosti fra i riflessi cenerognoli de' suoi capelli neri, che vi si inannellavano attorno sulla fronte e le cadevano mollemente sul collo. Pietro non alzò nemmeno gli occhi verso i palchetti. Non osava di farlo, di dissipare forse collo spettacolo di quella profusione di eleganze e di bellezze che ornavano le loggie, il denso vapore avvinazzato e fangoso in cui si avvolgeva; non osava d'incontrare un viso ch'egli non voleva vedere per non avere a dubitare un'altra volta della sua ragione. L'orchestra suonava un valtzer; la folla avea incominciato a ballarlo gesticolando e gridando. Tutt'a un tratto fu veduta una figura umana, imbacuccata in pelli nere che la facevano mostruosa, montare di un salto sul palcoscenico, e gridare colla sua voce più forte, stendendo il braccio con un gesto imperioso verso l'orchestra: - Abbasso il valtzer! Non vogliamo valtzer! Non vogliamo balli aristocratici!... Vogliamo la Fasola!... Quella voce che comandava, quel gesto che imponeva fecero fermare i ballerini che danzavano e i professori che suonavano; e cominciò un immenso frastuono. Dai palchi partirono alcuni fischi acutissimi, tratti certamente con l'aiuto delle chiavi. Allora quell'uomo, quel mostro, alzò la testa orribile a vedersi col suo pallore cadaverico sui suoi lineamenti dimagriti, collo scintillare dei suoi occhi infuocati fra i peli che gli cadevano dal cappuccio sulla fronte; e quello sguardo che fissò su quei cavalieri giovani, ricchi, eleganti; su quelle mani in guanti bianchi che si sporgevano fuori dei palchi ad imporgli silenzio; su quelle signore belle, profumate, splendenti di gemme; su quella folla dorata che faceva il più vivo contrasto con quella brutta, cinica, briaca, cenciosa, che l'accompagnava, quello sguardo fu d'odio immenso, indicibile, e anche di feroce vendetta. - Abbasso gli aristocratici! - gridò egli, Pietro, il giovane aristocratico per istinto; - abbasso i guanti bianchi! Vogliamo la Fasola! Suonate la Fasola! A quelle parole successe un immenso schiamazzo di urli che applaudirono alle sue parole e chiamavano la Fasola, questa danza popolare. I carabinieri, quantunque avessero spiegato la massima energia nel cercare di calmare l'effervescenza erano in troppo piccol numero per imporre a quella folla resa audace dalla sua istessa insolenza; finalmente si fece venire il picchetto di Guardia Nazionale ch'era alla porta. In questa una fischiata solenne e generale, partita dai palchi, sembrò sfidare la collera di quella gentaglia irritata: le mani inguantate di bianco non volevano lasciarsi sopraffare dalle mani nere e callose. Nella platea scoppiò un grido generale di rabbia. Alcune signore svennero allo spettacolo di quella folla urlante che levava braccia nere e facce infuocate e furibonde, come ad imprecare, verso i palchetti, e in mezzo alla quale scintillavano alcuni ferri aguzzi. I carabinieri misero le mani sui rewolvers, e la Guardia Nazionale entrò nella sala colle baionette in canna. Rinunziamo a descrivere lo stato d'esasperazione di Brusio a quella sfida imprudente che l'aveva percosso come uno schiaffo; egli saltò in mezzo alla folla gridando: - Ora faccio scendere tutta questa canaglia coi guanti a ballare la Fasola con noi! Vado a prenderveli per le orecchie! E si fece largo in mezzo alla calca. Nessuno, nè carabinieri, nè Guardie Nazionali badarono a quell'uomo che usciva, a quella jena assetata di vendetta, che spingeva in avanti il collo anelante come un animale sitibondo. In due salti egli fu sulla scala del second'ordine, e si avanzò pel corridoio. Tutt'a un tratto egli si fermò, come percosso dal fulmine, coll'occhio smarrito, col volto pallido e convulso: si era trovato faccia a faccia a Narcisa, che partiva dal Teatro, spaventata di quel frastuono. La contessa aveva messo un grido nel vedere quell'uomo che correva come un pazzo contro di lei, facendo scintillare nel suo pugno la lama larghissima di un coltello a manico; quella figura informe ed orrenda sotto le pelli che la coprivano, della quale gli occhi soltanto luccicavano come due carbonchi sul volto che sembrava una maschera di cera gialla. Ella si era stretta contro la parete, aggrappandosi al braccio del conte, come per farsene schermo. Pietro aveva avuto uno sguardo, un solo, per lei; il coltello gli era caduto di mano; poi era fuggito, correndo a salti, urlando disperatamente, come l'animale che voleva figurare. - Oh! questa donna! questa donna!... questo demonio! - gridava egli, correndo all'impazzata pel Molo. Si fermò sull'ultimo limite di questo, quando non vide più dinanzi a sè che il mare bruno ed immenso, su cui scintillavano le stelle. Fissò uno sguardo ebete, smarrito su quella superficie che si stendeva e perdita di vista, luccicante di riflessi fosforici; su quelle stelle che splendevano sulla sua testa... Due o tre volte avanzò il passo verso quell'abisso che poteva inghiottire la sua vita coi suoi vortici spumeggianti; e ciascuna volta egli sentì una forza che l'afferrava e lo tratteneva.... Finalmente cadde accosciato sul suolo umido e spazzato qualche volta dalle onde, prorompendo in lagrime amare, ardenti, ma non più disperate. Egli pianse a lungo: quel pianto che non aveva potuto versare da circa cinque mesi, forse lo salvò. - Questa donna ha ragione, - mormorò quando fu calmo, come avea detto allorquando gli era parso che il suo cuore si fosse spezzato: - quali diritti ho io al suo amore, alla sua attenzione, fin'anche?..... lo, Piero Brusio!... Ma io voglio averli questi diritti che io m'ha dato, che in un istante di scoraggiamento io ho sconosciuto, ho ripudiato, ma che sento in me... Questa donna anderà superba un giorno dell'amore di Pietro Brusio!! E rialzando la testa, quasi lieto ed altiero di quel nuovo indirizzo che dava alla sua vita, di quell'espiazione che s'imponeva del passato, della speranza che gli brillava negli occhi ridenti, guardò il cielo quasi calmo, quasi giocondo ora. Si alzò, e con passo fermo s'incamminò verso la sua casa. Egli andò ad abbracciare la madre nel letto, come per darle la lieta notizia, mescolando le sue lagrime a quelle di gioia di lei, che ritrovava il figlio suo; e dandole la sola spiegazione della metamorfosi che uno sguardo ed un pensiero avevano potuto operare in lui con queste sole parole: - Perdonami, madre mia!... perdonami! Due mesi intieri ebbe la forza di non cercare Narcisa, di non vederla. Usciva di rado, la sera; e sempre in compagnia di sua madre e delle sue sorelle. L'aveva dimenticata? No! Egli aveva tal forza perchè viveva per lei, con lei, in lei; perchè tutta la sua vita era ormai Narcisa. Egli lavorava con un entusiasmo quasi accanito; con una lena che soltanto poteva dargli l'esaltazione in cui si trovava; e fece passare tutto il suo cuore nell'opera sua. Due mesi dopo aveva finito un dramma che rileggeva cogli occhi brillanti di sorriso; del quale era contento; che amava quasi di una parte dell'amore di cui amava Narcisa; che amava come un'emanazione di lei. Quanto egli tu soddisfatto dell'opera sua, di sè stesso; quand'egli si sentì più vicino a Narcisa, allora la cercò. La sua casa era deserta e le imposte dei veroni chiuse. La cercò inutilmente otto giorni poi passeggi e al Teatro: ne domandò agli amici: nessuno l'avea più veduta. Risoluto di trovarla ad ogni costo andò a far visita in casa A*** e colla signora condusse il discorso sino alla contessa. - A proposito, che n'è di lei? domandò. - Credevo che lo sapeste, voi suo amante: è partita. - Partita! - Sì, da venti giorni. - E per dove? - Per Napoli. - Anderò, a Napoli! disse a sè stesso. Brusio.

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