Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Nuovo galateo

189355
Melchiorre Gioja 7 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Le altre tre edizioni sono identiche, tranne le differenze che abbiamo sopra discorso. Nella nuova che ora pubblichiamo abbiamo seguita l'ultima dell'Autore; se non che abbiamo restituito a suo luogo i passi mutilati, e ridotti alla primitiva lezione quegli altri che l' autore dovette, contro sua voglia, riformare, notando in margine le differenze tra l'una e l'altra di queste tre edizioni. Quindi tra le altre cose il lettore troverà qui riprodotta l'intiera Appendice in Risposta ai redattori delle Effemeridi di Roma, che trovassi nella 5.ª edizione e non ne fu più permessa la ristampa nella 4.ª In questa quarta il GIOJA aveva distinto con * le numerose addizioni da lui fatte sulle antecedenti. Ora fai segni diventando inutili, gli abbiamo al tutto omessi; bensì notammo fra due * senza altra avvertenza i passi che sono nella 2.ª e 3.ª, e che nella 4.ª edizione furono tralasciati. Abbiamo eziandio data la traduzione italiana di alcuni luoghi latini o francesi, citati dall' autore; parendoci soverchia pretesa in chi scrive l'obbligare i suoi lettori a conoscere altre lingue, oltre quella in cui il libro è scritto; ed è strano che il GIOJA, riprovando quest'uso in altri, ne abbia poi egli stesso in varie sue opere fatto uno smodato abuso. Infatti non è possibile di gustare appieno il suo classico Trattato del Merito e delle Ricompense a chi sia ignaro della lingua francesi ed anche della latina. Per le cure da noi adoperate in questa che osiamo chiamare edizione meglio che ristampa, speriamo di esserci acquistata la benevolenza del Pubblico, e particolarmente di quelli che nella lettura delle opere dei filosofo piacentino più si dilettano. A perfezionarla di vantaggio avremmo volentieri approfittato di certe postille inedite dell'Autore medesimo; ma chi le possiede se n' è mostrato così avaro che abbiamo dovuto accontentarci del desiderio; ciò nulla ostante ci sembra che codesta nostra edizione possa tuttavia aspirare al vanto di essere la più integra, la più compiuta e la più conforme all'originale dell'autore, di quante finora ne furono pubblicate.

Un maire (che noi diremo podestà) di Reims, avendo presentato a Luigi XIV certe bottiglie di vino e pere secche, gli disse: » Sire noi apportiamo a Vostra Maestà » il nostro vino, le nostre pere e i nostri cuori: » è tutto ciò che abbiamo di meglio nella nostra » città ». Il re , battendo graziosamente la spalla al maire, gli disse: » Son questi i complimenti ch'io desidero. »

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Il bisogno generale di conversare co'nostri simili, il bisogno particolare di trastullo dopo la fatica, la noia che tormenta ciascuno allorché mancano sensazioni piccanti, la rinascente necessità di chiedere l' altrui consiglio o soccorso, l'amicizia che ci rende cara la presenza degli amici, l'obbligo di ricordare a' nostri benefattori che non gli abbiamo dimenticati, il rispetto che richieggono le persone in carica di qualunque specie, le vicende della sorte che portano l'afflizione o l' allegrezza alle persone da noi rispettate od a noi care, rendettero necessarie in tutti i tempi le visite.

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.» * Il timore d' essere gravoso con una visita diviene irragionevole ed é una specie di affronto quando il vantaggio che abbiamo in vista, è molto maggiore dell'incomodo che rechiamo, del che ne diede esempio quel contadino, il quale essendosi portato di notte alla casa d'un curato per chiamarlo a soccorrere suo padre moribondo stette tre ore alla porta picchiando molto piano e interrottamente; della quale cosa ripreso dal curato, il villano rispose che avea timore di svegliarlo.

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.° D'accompagnarle allorchè partono, e non rientrare io casa se non, se dopo che le abbiamo perdute di vista; 3.° Dopo questi due usi è quasi inutile di ricordare che fa d'uopo accorciare, a chi viene a visitarci, la dimora nell'anticamera, e dare il braccio alle signore se non ci sono molte superiori di grado. All'avvicinarsi del piacere l'animo s'apre all'allegrezza; si esprime l'allegrezza anche col canto; quindi gli antichi Caledoni andavano incontro, cantando, agli ospiti più distinti e più cari: rendo ragione d'una usanza senza dirvi, imitatela. 4.° Un piacere molto intenso c'induce ad abbandonarne un altro d'intensita minore; perciò l'uso ci impone l'obbligo di sospendere tosto le nostre occupazioni per accogliere una visita. 5.° L'uomo colpito da inaspettato giubilo non sa contenere sé stesso, e sente un impulso ad estendere la propria sensazione piacevole; quindi abbraccia e bacia quasi egualmente l'amico, il conoscente e perfino le cose inanimate. Quindi le donne dotate di maggiore sensibilità che l'uomo, e talora più destre a fingerla, corrono ad abbracciarsi e baciarsi quando si visitano; alla quale ragione fa d'uopo aggiungere quella dell'uso. 6.° L'inaspettato e inteso giubilo fa nascere la riconoscenza a favore di chi lo produce; la riconoscenza consiglia le pronte esibizioni di riposo a chi è venuto da lontano per visitarci ; di cibi graditi secondo le ore del giorno, di vino e di liquori in tutte le ore nelle classi sociali meno elevate. - L'urbanità de'popoli del Brasile consiste nel far coricare il forestiere che giunge; quindi le donne e le figlie della casa, sparse i capegli e colle lagrime sugli occhi, compiangono le sue fatiche e i suoi perigli. Dopo questo piangisteo, rasserenano il volto, s'abbandonano all'allegrezza, e gli offrono da mangiare e da bere. Al Madagascar l'allegrezza unita alla riconoscenza, e non diretta dalla civilizzazione, ha creato un dovere d'urbanità che i popoli inciviliti non ammettono e che la morale condanna. Il padrone di casa esibisce al forestiero quella tra le sue donne che gli è più cara; e sarebbe impulitezza nel forestiero il non accettar l'uso dell'offerta. 7.° II piacere risultante da una visita impone l'obbligo di restituirla alle persone uguali, e lo impone molto più alle inferiori relativamente alle superiori, quando il motivo di chi ci visitò, non fu bisogno, ma stima od affezione. 8.° A Roma le visite alle persone cui erasi o volevasi mostrare affezionato, erano continue e numerose a segno, che spesso il padrone usciva di casa per una porta opposta al vestibolo ove lo aspettavano i clienti. A'nostri tempi, per liberarsi dalle visite importune il padrone fa dire che non è in casa: il che, oltre l'inconveniente della menzogna, dà luogo a replicati inutili ritorni. Invece di ciò che segue la 2.° e 3.° edizione hanno: » Sarebbe miglior consiglio negare francamente la » visita, giacché se coll'uno o coll'altro metodo si » salva la propria indipendenza, col secondo la si » salva senza altrui danno ». Altri, fingendo affari, occupazioni, indisposizione, tolgono più tinte alla menzogna. Vorrei pur farle sparire affatto; e mi sembra che, nel presente stato dei nostri costumi, una manifesta freddezza in chi riceve una visita importuna tolga la voglia di replicarla. ll nostro tempo non può restare nè interamente a disposizione altrui, né interamente a disposizione nostra: egli vuol dunque essere diviso in tre parti; la prima appartiene ai nostri doveri, la seconda ai bisogni altrui, la terza alle convenienze sociali,

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Noi abbiamo seguito la seconda. E sebbene nissuno sia obbligato a guarentire ciò che un altro scrive di lui, ciò non ostante l'altrui scritto rende sempre necessari degli schiarimenti, delle apologie, delle proteste che non sempre riescono a cancellare la sinistra impressione da quello scritto prodotta giacché, quando si tratta di rovinare qualche galantuomo, non tutti i governi si vantano di ragionare.

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L'idea de'beni che abbiamo posseduti e possediamo, ci riesce aggradevole :

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Nuovo galateo. Tomo II

194169
Melchiorre Gioia 9 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Abbiamo dunque da un lato una forte sorpresa, dall'altro un sospetto che quel paziente o non soffrisse, il che fa tacere il sentimento penoso della compassione, o riuscisse a dominare il dolore, il che dà luogo ad ammirazione scevra d'invidia. Io non saprei come innestare sulle azioni e sul discorso di quest'uomo l'idea della deformità, mentre vi veggo chiarissimo un bel contrasto con quanto succede comunemente.

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Sarebbe pazzia il pretendere di cancellare i lati che abbiamo comuni coi bruti; ma sarebbe pazzia maggiore il non volersi distinguere da essi fin dove é possibile.

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Anche noi abbiamo sgraziatamente de' giuochi di azzardo; ma quale differenza tra la passione attuale e quella de' popoli barbari e de' secoli passati? Infatti, 1. I Germani, a detta di Tacito, s'abbandonavano ai giuochi d'azzardo con tale eccesso ed ardore, che, quando avevano perduto i loro beni, giocavano la loro stessa persona, o sia la loro libertà. Ecco il testo intero di Tacito: « É da stupire come , senza avere bevuto, trattino il giuoco dei » dadi qual cosa seria; sono sì temerari che per » risarcire la perdita, non avendo più altro, avventurano » per ultimo colpo la libertà e la persona. » Il vinto, benché più giovine e robusto, » fattosi spontaneamente schiavo, si lascia legare » e vendere. Tanta è in cosa malvagia la loro » ostinazione. Essi chiamanla fede! il vincitore per » liberarsi dalla vergogna di tal vittoria vende si » fatti schiavi ». De mor.Germ., c. XXIV. Sant' Ambrogio attesta Io stesso degli Unni. Tutto ciò che Tacito racconta degli antichi Germani relativamente al vizio del giuoco e alle conseguenze alle quali venivano ridotti i vinti, si vede confermato dalla storia de' selvaggi moderni. I viaggiatori s'accordano nel dire che in Africa, in America, orde vagabonde e intere popolazioni si dànno al giuoco con più furore che non le nazioni incivilite. Gl'Indiani giocano per fino le dita delle loro mani, e se le tagliano per isdebitarsi. I Negri di Juida giocano le loro donne e i loro figliuoli. Robertson, svolgendo i costumi de' selvaggi dell' America, dice:« Uno sregolato amore del » giuoco, e specialmente di quello che si dice di » azzardo, che sembra essere naturale a tutti i » popoli non assuefatti alle occupazioni d'una regolare » industria, é divenuto similmente universale » fra gli Americani..... Questi popoli che in altri » tempi sono così indifferenti, così flemmatici, così » taciturni e così disinteressati, subito che s'impegnano » al giuoco diventano rapaci, impazienti, » rumorosi, e quasi frenetici per l'avidità. Le loro » pellicce, i loro domestici attrezzi, i loro abiti, » le loro armi, tutto s'espone sul tavoliere; e quando » tutto é perduto, per quanto sia grande il loro » sentimento d' indipendenza, in un frenetico attacco » di disperazione e di speranza arrischieranno » bene spesso in un tiro solo la loro libertà personale. » In diverse tribù queste partite di giuoco » si rinnovano frequentemente, e ad ogni gran festa » divengono il loro più grato trattenimento. La superstizione, » che sempre mantiene queste passioni » nel loro vigore, viene a prestare il suo aiuto » per confermare e avvalorare un'inclinazione così » favorita. I maghi sono soliti di prescrivere una » partita solenne al gioco, come uno dei più efficaci » mezzi di placare gli Dei o di restituire la » salute agl'infermi». 2. La smania del gioco fece tacere per l'addietro il sentimento della gravità e della decenza che dee presedere a tutti gli atti degli ecclesiastici. Giustiniano attesta che gli stessi vescovi perdevano il loro tempo al giuoco de' dadi. Le Beau parla d'un vescovo di Silléa, che viveva al tempo dell'imperatore Leone V al principio del IX secolo, il quale, egli dice, non solo era il più astuto cortigiano ma anche il giocatore più azzardoso. Il Cardinale S. Pier Damiano nell'undecimo secolo condannò un vescovo di Firenze, per avere giocato in un albero, a recitare tre volte il salterio, a lavare i piedi a dodici poveri, e a dare loro un scudo per testa. 3. I feudatari, fieri ed oziosi, avidi di denaro e capaci solo di smungere i loro vassalli, dopo d'essersi ubbriacati e battuti, erano giocatori furiosi, non dalla decenza, non dalle leggi ritenuti. Il fratello di S. Luigi giocava passionatamente ai dadi senza riguardo agli ordini di quel virtuoso principe. Il sistema feudale accrebbe ne' popoli il bisogno di giocare, poiché frequentemente riteneva oziosa molta gente sotto l'armi. Duguesclin, contestabile di Francia, il più celebre guerriero del XIV secolo, uomo grande ugualmente nel consiglio, perdette giocando in carcere quanto possedeva. - Più generali, dopo d'avere rovinato i loro affari, compromisero col gioco la salute della patria. Filiberto di Chalon, principe d'Orange, che comandava assedio di Firenze per l'imperatore Carlo V; perdette al gioco il denaro che gli era stato dato per pagare i soldati, e fu costretto dopo undici mesi di travaglio, a capitolare con quelli ch'egli avrebbe potuto forzare ad arrendersi. 4.° Finalmente il gioco trovò asilo, protezione, sicurezza nelle corti, e fu incoraggiato dall'esempio degli stessi re. Enrico III re di Francia eresse nel suo Louvre un ridotto dove alle carte giocavasi e ai dadi, e dove in una sera egli perdette 30,000 scudi. Enrico IV, benché dotato di tante virtù diffuse col suo esempio la passione del gioco in modo che tutta la severità di Luigi XIII non riuscì a contenerla. La passione d'Enrico fu tale, in onta delle sue sublimi qualità, ch'egli ritenne un giorno settantadue mila lire sopra una confisca in cui non poteva avere alcuna parte. Molte famiglie illustri si rovinarono; e quando faceva d'uopo pagare, i perdenti si rifacevano della perdita colla spada, o assordavano i tribunali. Negli scorsi secoli vediamo la passione del gioco dominare nell'animo de' magistrati, senza che facesse loro rimprovero alcuno la pubblica opinione. Il Cardinale di Retz rifesisce nelle sue Memorie, che nel 1650 l'individuo più vecchio del Parlamento di Bordeaux, e che aveva fama d'essere il più savio ed onesto, non vergognava di porre a rischio tutto il suo avere al giuoco in una sera; é ciò aggiunge il cardinale, senza che ne soffrisse macchia la sua riputazione: tanto questo furore era generale! Attualmente la passione del giuoco è alquanto scemata, perchè altri gusti le si sono associati, il tempo e il denaro che si consacra alla commedia non si può consacrare ai dadi; ciò che si spende in birra e in sorbetti non può essere giocato alle carte; il gilet voluto dalla vanità allontana dalla bassetta: e così dite delle altre cose censurate sotto il titolo di mollezza. Il moralista pedante che condanna il sorbetto, la birra, la commedia, il gilet, ecc., è simile al medico che condanna le cavate di sangue nelle febbri infiammatorie. Nell'animo del volgo non é diminuita l'avidità di vincere, ma è diminuito il potere di giocare.

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Abbiamo veduto che il primo prodotto dell'ignoranza si é l'eccesso nel mangiare e nel bere; vedremo che il secondo é l'eccesso nell'uso ed abuso delle donne; l'uno e l'altro distrugge l'economia e la morale. E' dunque evidente il dovere di riconoscenza che incombe ai popoli verso i governi che proteggono l'istruzione e principalmente l'istruzione popolare (pag.258, tom. 1). I moralisti movono grandi lagnanze contro la corruzione degli attuali costumi; essi ne accertano che la malizia al presente supera l'età, e ne incolpano il civil conversare. All'opposto poco manca che essi, non cambino in altrettante Vestali le nostre progenitrici. Parlando della moda ho già data una risposta generale su questo argomento; resta a vedere se la storia confermi o smentisca le teorie ivi sviluppate. Se in fatti é possibile di schermirsi con sottili distinzioni da un principio teorico, resta minore libertà dopo la decisione de' fatti. Avanti d'esporre questi fatti ci sia permesso di dedurre una conseguenza dalle cose dette. Abbiamo veduto che per l'addietro era grande l'eccesso nel mangiare e nel bere, é questo un fatto provato con buoni e numerosi documenti. Ora consultando l'esperienza vediamo che da un lato la ghiottoneria irrita in vece di scemare altre appetenze corporee, dall'altro l'ubbriachezza fa cessare ogni sentimento di decenza. I viaggiatori osservano che gl'Inglesi, benché non troppo adoratori del bel sesso, divengono galanti in modo tutt'altro che gentile quando sono ubbriachi. È questo il motivo per cui le signore inglesi ricevono gli uomini alla sera, come ho detto altrove. Io conosco un contadino di 60 anni, il quale, allorché è caldo del vino, parla sempre di voler prendere moglie. E per abbandonarsi a certe appetenze né molta istruzione si richiede, nè molto raffinamento. Consultiamo ora i fatti. 1.° Ho detto altrove che la poligamia proscritta dagli usi de' popoli inciviliti si trova estesa presso i popoli barbari e semi-barbari; il che dimostra chel'intensità e la moltitudine dei desiderii discordanti dalla monogamia vuol essere attribuita alla naturale costituzione dell'uomo non alla civilizzazione, come pretendono alcuni scrittori che non sono né filosofi né teologi (Vedi l'articolo seguente.) 2.° Le donne de' Bretoni, popoli che si scostavano alcun poco da' popoli selvaggi, erano, giusta il racconto di Cesare, comuni a dieci o dodici individui, particolarmente quelle d'un fratello erano comuni a' suoi fratelli, e quelle del padre a' suoi figli. De Bell. Gall. lib. V. AI rimprovero tatto dall'imperatrice Giulia su quel vergognoso commercio alla moglie d'Argatocoxus principe Bretone, questa non negò il fatto, ma ritorse l'accusa contro le dame romane. 3.° I codici de' popoli barbari che invasero l'impero d'Occidente parlano spesso delle violenze fatte al pudore, e del ratto delle donne; il che rende probabile il ratto delle Sabine attribuito ai Romani nella loro primitiva rozzezza. 4.° Sembra che dopo l'invasione de' Barbari nel V secolo fosse comune ai mariti l'uso di fare infame traffico delle loro donne, benché si fossero pubblicate severe leggi per reprimere questo delitto. « Siquis dixerit coniugi, malam licentiam dando, » Vade et concube, cura tali homine; aut si » dixerit alicui homini, Veni et fac cum muliere » mea carnis commixtionem; et tale malum factum » fuerit, et causa probata fuerit, quod, per ipsum » maritum factum sit, ita statuimus, ut illa mulier, » quae hoc malum fecerit et consenserit, moriatur » secundum anterius edictum; quia nec talem causam » facere nec celare debuit. » Leg. Longobard., p. 1099; ap. Georgisch. Corp. jur. Germ. antiq. In quello stato di società la cosa non poteva essere altrimenti; giacchè da un lato vediamo eccessi nel mangiare e nel bere; dall'altro la scarsezza delle arti prima dal XII secolo non presentava larghe risorse. La nobiltà aveva mezzi per comprare, la plebe aveva bisogno di vendere. Attualmente la plebe ottiene a titolo di lavoro ciò che allora otteneva a titolo di corruzione. (VIII e IX secolo). Carlomagno cambia moglie nove volte senza molte formalità e senza scandalo, il che dimostra che il sistema della monogamia quale fu predicato da Cristo, non era ancora protetto dalla pubblica opinione. Sembra che nelle Gallie parecchi monasteri fossero centri di prostituzione, ove incessanti infanticidi commettevansi. Quia dum illae meretrices sive monesteriales, sive seculares, male conceptas soboles in peccatis genuerunt, saepe maxima ex parte occidunt, non implentes Christi ecclesias filiis adoptivis, sed tumulos corporibus, et inferos miseris animabus satiant. (Canciani, Leges Barbororum, t. III, p. 408. col. 2.). (Avvegnaché quelle prostitute, o monache fossero o secolari, generassero prole concetta nel peccato per la massima parte la uccidevano, empiendo le chiese di Cristo non di figli adottivi, ma i sepolcri di corpi, e l'inferno di misere anime). S. Bonifacio attesta che le dame e le monache inglesi ne' loro frequenti pellegrinaggi a Roma perdevano la castità; cosicché nelle Gallie e in Lombardia pochissime erano le città dove non vi fossero prostitute inglesi. (X secolo). Bettinelli, parlando dell'influenza dell'ignoranza sul costume dopo il 900; dice: Sì, per lei perduti gli studi, i libri, le lingue, ignorossi la legge cristiana e civile. I dogmi e la morale si depravarono sin ne' sacri pastori e ministri; i vizi dunque e le virtù poco si distinsero, e si presero i gravi eccessi degli adulterii, degli omicidii, degli incesti, come fatti da scontrarsi dal ricco, o da perdonarsi al forte. Il sapere era volto in derisione e in biasimo; le leggi stesse e i magistrati giustificavano la scostumatezza. Le leggi e i magistrati giustificavano la scostumatezza sciogliendo da ogni colpa l'accusato che dal duello uscia vincitore. Se prestasi fede a Platina, Genebrardo, Stella, Baronio, le meretrici erano sì numerose e sì accreditate, che esse distribuivano le più illustri cariche, i vescovadi ed il pontificato. Edgard re d'Inghilterra attribuisce i vizi più scandalosi agli ecclesiastici, in un discorso pronunciato dinanzi ad un concilio generale del suo regno: egli rimprovera loro l'ubbriachezza, il gioco e la dissolutezza, e dice senza mistero, che le case degli ecclesiastici sono il ricovero delle prostitute. Dietro queste rimostranze l'arcivescovo S. Dunstan coll'assenso del concilio ordinò agli ecclesiastici di conservare la castità o di abbandonare le loro chiese (Fleury, Hist. Eccl. vol. VIII, pag. 286). (XI secolo). Dal 1003 al 1099 più di 20 concili ricordano la vita sregolata degli ecclesiastici si preti che monaci, la loro coabitazione con più donne ed i loro figli illegittimi. Fleury, svolgendo gli atti del concilio di Pavia del 1020, dice: « Les » actes qui nous en restent, commencent par un » grand discours, où il (le pape) se plaint que » la vie licenceuse du elergé deshonore l'église, » et qu' il dissipent les grandi biens qu'elle a recu » de la liberalité des princes, les employant à entretenir » pubbliquement des femmes et à enrichir » leurs enfans » (Hist. eccles., t. VIII, p.458) « Gli atti che ci restano cominciano da un » gran discorso, in cui il papa si lagna che la vita » licenziosa dei cherici disonori la chiesa, o che sciupano » grandi beni cui ella ricevette dalla liberalità » dei principi, adoperandoli a mantenere pubblicamente » donne, e ad inricchire i loro figliuoli.» Questi disordini indussero i sommi pontefici, gli arcivescovi e vescovi ne' susseguenti secoli a moltiplicare i Seminari, acciò nella forza intellettuale infiancata ed estesa trovasse argine la corruzione che era scaturita dall'ignoranza. La dissolutezza e l'impudenza delle persone potenti giunse al punto in quel secolo, che in Inghilterra molte donne si chiusero in monasteri per sottrarsi alla loro libidine, e presero il velo per salvar l'onore. Cadmer, Hist, t. 3, pag. 57. L'universale corruzione indusse a credere che era vicina la fine del mondo. * Le meretrici che seguivano i re ne' loro campi, ne' loro viaggi nelle loro corti, erano unito in corporazioni regolari, affidate al regime di ufficiali chiamati marescialli delle regie meretrici. Questi uffici avevano annessi de' beni e divenivano titoli di nobiltà ereditaria. * Gilbert Stuard, Tableau des progrés de la société en Europe. t. Il, pag. 92 e 193-194. (XI e XII secolo.) Alla vista d'imminente naufragio partono dal lido navi di soccorso; ai gridi degli assaliti le guardie nazionali corrono alla difesa. Ora ne' secoli di mezzo sorse l'ordine de' cavalieri, che ebbe per iscopo di difendere il sesso debole da' rapitori, come i gendarmi hanno per iscopo di difenderci da' ladri. Tanti cavalieri diffusi per tutti i regni fanno supporre un'aggressione generale e frequente. Il peggio si è che i difensori divennero corruttori; e le donne, o difese, o rapite, o sedotte, furono unite, quasi direi, in celle monastiche dirette da abbadesse, o sia in veri serragli. Fu inventore di quest'uso Guglielmo IX conte di Poitou, valoroso e cortese cavaliere, ma grande ingannatore delle dame, come dice la storia. Historie des Troubadours, t, I. Allorché sulla fine di ciascun secolo, dall'undecimo al decimoquinto i predicatori annunziavano la fine del mondo, le storie ci dicono che si restituivano le robe e le donne altrui. » I possessori de' castelli, dice Saint-Fois, eretti » in ogni parte per trattenere le scorrerie dei » Normanni, diventarono nel seguito un flagello » quasi tanto funesto, quanto lo erano stato quei » pirati. Dalla cima delle loro rocche piombavano » su quanto si mostrava nelle pianure, taglieggiavano » i vincitori, saccomannavano i mercatanti, » rapivano le donne se erano belle: talchè sarebbesi » detto che il brigantaggio, il ratto e lo stupro » erano diventati i diritti del barone... » Le donne e le zitelle non erano più sicure » passando da costo alle abbazie, e i monaci sostenevano » più presto l'assalto che restituire la » preda; se erano troppo pressurati portavano sulla » breccia le reliquie di qualche santo, e quasi sempre » accadeva che gli assalitori, colti da rispetto, si » ritiravano e non ardivano proseguire la loro vendetta » (Ouvres tom. IV, pag. 6o, 6I). » Gettiamo uno sguardo sui costumi del tredicesimo » secolo. Ei fu macchiato da disordini che » si estesero fino ai secoli seguenti. Vedevansi ecclesiastici » aggiungere all' immodestia del vestire » una condotta non meno riprensibile, che frequentavano » le taverne, giostravano ne' tornei, mantenevano » pubblicamente concubine; vedevansi curati » che uscivano colla spada al fianco, che ricoveravano » donne sospette, che esercitavano uffici » nelle giustizie secolari, che prestavano ad » usura ecc. In alcune diocesi il fornicario pagava » ogni anno un quartaio di vino, tassa che non » doveva finire che colla vita. Una volta inscritto » sui registri, bisognava pagare in perpetuo, quantunque » o non si volesse più o non si fosse più » in istato di pagare ». (Idem, ibid., pag. 89). (XIII secolo). Da un lato il numero delle feste era quasi triplo dell'attuale, quindi maggior ozio; dall'altro il sentimento religioso, depravato dall'ignoranza, dalle leggi, dagli usi, non riusciva a reprimere la sfrenatezza de' costumi. I tempi (dal 1096 al 1291) ne' quali tante armate accese di zelo aula andavano a combattere per ricuperare e conservare il santo sepolcro, presentarono lo spettacolo della depravazione più abbominevole, e più universale. I pellegrini e i crociati portarono in Asia i vizi d'Europa, e in Europa quelli dell'Asia. San Luigi, durante la sua pia e memorabile spedizione, non poté colle sue virtù, col sue esempio, colle sue precauzioni impedire la dissolutezza e i disordini che lo circondavano. Egli ebbe il rammarico di vedere i bordelli stabiliti dinanzi alla sua stessa tenda. Joinville, Historie de S. Louis, pag. 32. Più scrittori fanno fede dell'uso tirannico e infame che dava ai feudatari il diritto di dormire la prima notte colle novelle spose vassalle di essi. Questo costume si mantenne in Europa sino al XVII secolo. (XIV secolo). Sotto Carlo il Bello la storia della Guascogna cita l'insurrezione de' bastardi, figli naturali della nobiltà. Il saccheggio e le rapine, lo stupro e il ratto, le frodi ed un coraggio disperato furono le armi con cui que' bastardi tentarono di togliere ai loro fratelli legittimi i castelli paterni. Questa guerra sanguinosa fu si viva ed ostinata, che consumò la prima armata speditavi dal re Carlo. Ne' racconti scherzevoli e ne' romanzi, che sembrano essere stati la principal lettura di chi sapeva leggere nelle età di mezzo, e di chi aveva tempo GIOJA. Galateo. Tom. II. 14 d'ascoltarla, regna uno spirito licenzioso che dimostra una dissolutezza generale nel commercio de' sessi. Questa osservazione, che è stata sovente volte fatta a proposito del Boccaccio e degli altri antichi romanzieri italiani, s'applica ugualmente ai racconti ed ai romanzi francesi si in prosa che in versi, ed a tutte le poesie de' Trovatori. La violazione delle promesse e dei diritti maritali vi è trattata come un privilegio del valore e della bellezza: ed un cavaliere perfetto sembra avere goduto senza ostacoli, ed in virtù d'un consenso generale, degli stessi privilegi a' quali nell'epoca della massima corruzione francese pretendevano i cortigiani di Luigi XV. (XV secolo). Filippo il Buono duca de' Paesi Bassi, il quale nel 1438 institui l'ordine del Toson d'oro ed assunse per patroni la B. Vergine e S. Andrea, volle che ventiquattro fossero i membri o cavalieri del suo ordine, in onore delle sue ventiquattro amanti. Annales des voyages, t. IX, pag. 182 (XV e XVI secolo). Era si estesa la corruzione in questi tempi, che fu proposto da Enrico VIII re d'Inghilterra la pena di morte qual unico freno contro l'adulterio. Allorché nel clero, il quale serve ad altri di scorta e d'esempio, si veggono segni di corruzione, si può a buon dritto conchiudere che maggior corruzione è diffusa nella massa popolare. Ora se prestiamo fede agli storici ecclesiastici, che, avendo a cuore l'onor del clero, avrebbero desiderato di scioglierlo da que' vizi che atteso l'infelicità de' tempi lo screditavano, dobbiamo dire che ne' secoli XV e XVI « il clero, si secolare che regolare, era composto d'individui ignoranti e corrotti, i quali, » trascurando i doveri del loro stato, andavano in » giro con meretrici, e dissipavano le rendite dei » loro beneficai in banchetti ove pubblicamente alla » fornicazione abbandonavansi e all'adulterio» Wilkin, Concil., pag, 573. Sulla porta d'un palazzo appartenente al Cardinale di Wolsey si leggeva: Domus meretricurn domi curdinalis.(Stuart, Tableau des progrès de la sociètè en Europe, t. II, pag. 192-193). Gli storici accertano che il concubinato e la simonia erano delitti comuni, e perciò risonarono sì forte i gridi di riforma negli stessi concili di Costanza e di Basilea. Se crediamo a Clemangis, la corruzione in quegli sgraziati secoli continuava ancora ne' chiostri femminili, giacchè egli accerta che al suo tempo dare il velo ad una giovine era lo stesso che abbandonarla alla prostituzione. - Nissuno ardirebbe fare questo lamento a' tempi nostri. (XVII secolo). Nella vita di S. Carlo Borromeo si scorge a quale depravazione di costumi era giunto il clero secolare e regolare in Lombardia: basterà dire che il santo arcivescovo fu costretto a sopprimere più monasteri di monache, atteso la loro sfrenata scostumatezza. L'ordine religioso degli Umiliati, che si era renduto celebre per la sua condotta scandalosa, mal soffrendo le riforme che andava facendo S. Carlo, suscitò il fratello Farina, acciò con un colpo di fucile, che fortunatamente andò fallito, lo ammazzasse nella cappella arcivescovile. E' noto che l'autore di questo attentato e tre religiosi furono puniti di morte. L'anno 1659 sotto il pontificato d'Alessandro VII fu osservato a Roma che molte giovani spose erano rimaste in breve tempo vedove, e che molti mariti morivano dacchè non piacevano più alle loro donne. Nacquero da ciò più sospetti sopra una società di donne giovani. Garelli, medico di Carlo VI re delle due Sicilie, scrisse verso quel tempo al celebre Hoffmann ciò che segue: » La vostra elegante dissertazione sugli errori » relativi ai veleni ha richiamato alla mia memoria » un certo veleno lento che un infame avvelenatore, » tuttora esistente nelle prigioni di Napoli, » ha adoperato per la distruzione di più di 600 » persone.» Non si può dubitare che l'arte infame di preparare ed amministrare segretamente differenti specie di veleni non sia stata estremamente diffusa verso la metà del XVII secolo a Roma e a Napoli. In Francia, e principalmente a Parigi, ella giunse al più alto grado verso il 1670. Nel 1679 per punire questa specie di delitti fu eretta una corte di giustizia speciale detta chambre de poison, o chambre ardente (camera del veleno o camera ardente). Un certo Exili, italiano, compositore e venditore di veleni, è accusato d'avere fatto perire a Roma più di 150 persone sotto il pontificato d'Innocenzo X (XVII secolo). In Francia, dove diviene oggetto di ridicolo anche ciò che ne è meno suscettibile, il veleno fu chiamato, al tempo d'Exili, poudre de succession. In quel secolo perirono sul rogo due avvelenatrici, la Toffana in Italia, la marchesa di Brinvilliers in Francia. Giusta la testimonianza del celebre Flechier, vescovo di Nimes « ne' bei tempi di Luigi XIV (nel » 1665) furono portate 12,000 accuse per delitti » d'ogni specie davanti ai commissari reali nelle » sessioni chiamate le grands jours d'Auvergne. » Riferendo questo fatto, l'autore osserva che l'accusatore e i testimoni erano talvolta più rei che l'accusato. -» Un de ces terribles chatelains (dic'egli) » entretenait dans des tours, à Pont-du-Chàteau), » douze scélérats dévoués à toutes sortes de crimes, » qu'il appeloit ses douze apoires.» L' abate Ducreux, editore delle opere di Flechier, riporta in quella occasione « l'exécution d' un curé condamné » pour des crimes affreux, et il déplora l'état où » l'ignorance et la corruption des moeurs avoient » fait tomber la societé à cette époque: il y eut » dans un seul jour plus de trente exècutions en » effigie». « Uno di cotesti terribili castellani manteneva » nelle torri a Ponte di Castello dodici scellerati » devoti a ogni specie di delitti, cui chiamava » i suoi dodici apostoli.» -« Il supplizio di un curato condannato per delitti » orribili, e rimpiange lo stato in cui l'ignoranza » e i corrotti costumi avevano degradata la » società a quel tempo. In un solo giorno vi furono » più di trenta esecuzioni in effigie. » * Se fosse vero il principio che la mancanza di felicità conduce alla corruzione, converrebbe dire che i secoli scorsi furono mille volte più corrotti del nostro, giacchè la somma de' mali cui quei secoli soggiacquero, fu infinitamente maggiore dell'attuale, del che parlerò nel capo VIII. *

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Osservate infatti che que' fanciulli che abbiamo veduto ferocissimi , correttissimi, assassini di professione, avevano tutti una cappella officiata da più sacerdoti, dalla quale certo non si poteva arguire che fosse integerrimo il padrone, come, dalle biblioteche non si può arguire che sia dotto chi le possiede; è un bisogno di vanità e di convenienza, e nulla più.

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Swift attribuisce la decadenza della conversazione in Inghilterra all'esclusione delle donne; da ciò nacque una famigliarità grossolana che porta il titolo d'allegrezza e libertà innocente, « abitudine dannosa, » egli dice, ne' climi del Nord, ove la poca » pulitezza e decenza che abbiamo, si è introdotta » per così dire, di contrabando e contro la naturale » inclinazione che ci spinge continuamente » verso la barbarie, e non si mantiene che per » artifizio ».

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Così non abbiamo guadagnato che virtù apparenti » e vizi reali». Eccettuati i casi di difesa accennati di sopra, a me pare che il giudizio di Cesarotti dia in falso; giacché chi vanta i propri meriti, in vece di far parlare gli altri a suo favore, li fa tacere; in vece di farsi degli ammiratori, si fa de' nemici; quindi il dignitoso silenzio della modestia sarà sempre preferibile:

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Ella è infatti cosa difficilissima il convincere un uomo dopo che abbiamo offeso il suo amor proprio. Se il sole, dice d'Alembert, viene ad illuminare in un istante gli abitanti d'una caverna oscura, e dardeggia impetuosamente i suoi raggi sui loro occhi non anco disposti e preparati, e quindi gli irrita soverchiamente, renderà loro per sempre odioso lo splendore del giorno, di cui non conoscono ancora i vantaggi, mentre sentono il dolore che loro cagiona. Se al contrario introducesi in questa caverna un debole raggio che per insensibili gradi vada crescendo, si riuscirà a dimostrare il pregio della luce, e gli abitanti stessi ne brameranno l'aumento. Per la medesima ragione conviene rattemprare la luce del vero, ed aspettare che l'intelletto a poco a poco si sciolga dalle false idee che l'ingombrano, divenga gradatamente più forte, s'abitui e s'addomestichi col nuovo ospite che non conosceva per anco. Pretendere che tutti gli intelletti ammettano tosto le stesse verità, é pretendere che tutti gli stomachi digeriscano egualmente le stesse vivande. La pulitezza vi fa dunque un dovere di conoscere il carattere personale e la situazione sociale delle persone che al solito crocchio concorrono, acció le vostre idee ed affezioni non vadano a dar di cozzo contro quelle degli ostenti, e con reciproco risentimento rimbalzino.

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Alcuni dicono: Da un lato v'è sempre piacere nell'esprimere i sentimenti quali nascono nel nostro animo, mentre si prova pena nel reprimerli; dall'altro noi non abbiamo bisogno di nissuno. Di questo raziocinio la prima parte è sempre vera, ma la seconda è sempre falsa, finché restiamo nella società. Voi non avete bisogno di Pietro, e forse senza danno presente o futuro potete dirgli: Ti disprezzo; ma la faccenda non va così con tutti gli altri uomini. Entrate in una conversazione con quella franchezza encomiata da alcuni scrittori, e presentandovi successivamente a ciascuno, dite a questo: Voi pretendete di piacere a tutti, e tutti si ridono di voi; - a quello: Voi siete sì sciocco che m'eccitate compassione; - a un terzo: Non saprei dirvi il motivo, ma sento avversione contro di voi, ecc. Se voi così operate, mi par certo che tutti si alzeranno per cacciarvi fuori della conversazione a ceffate; e vi succederà lo stesso in tutte le altre. La franchezza non consiste nell'offendere inutilmente l'altrui amor proprio, ma nel difendere con coraggio i diritti dell'umanità contro l'orgoglio che li calpesta, e nel convenire de' propri difetti ed emendarsene. In vece dunque di dire al giovine: Alza il velo che copre il tuo animo e mostra a tutti l'odio, lo sprezzo, la noia, il dispiacere che in te producono le loro debolezze e i loro difetti; gli dirò piuttosto: Da un lato sii pronto a compatire le loro debolezze e i loro difetti; dall'altro non crederti infallibile: nei tuoi giudizi. L'uomo franco può conservare il suo sentimento senza offendere l'altrui amor proprio; non si deve offendere l'altrui amor proprio se non in vista d'un vantaggio maggiore, come non si taglia una gamba se non per salvare la vita. Mi spiegherò meglio con un esempio: Uno de' confratelli di Guettard lo ringraziava un giorno, perché questi gli aveva dato il suo voto allorchè quegli fu accettato membro dell'accademia delle scienze. Voi non mi dovete nulla, rispose il Botanico; s'io non avessi creduto che era giusto il darvelo, non l'avrete avuto, giacché io non v'amo. Questa risposta, benché lodata da Condorcet, mi sembra riprensibile, perché gratuitamente offensiva. Per quale motivo cagionare un disgusto e dire non v'amo a chi viene a protestarvi un sentimento di riconoscenza? Se Guettard avesse detto: Nel dare il mio voto, io consulto la giustizia e niente altro; non ringraziate dunque me, ma voi stesso, giacché se non avessi creduto che lo meritaste, non l'avreste avuto; così rispondendo, Guettard sarebbe stato franco senza essere offensivo e villano.

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