Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbiamo

Numero di risultati: 77 in 2 pagine

  • Pagina 1 di 2

Il codice della cortesia italiana

184088
Giuseppe Bortone 2 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

In Toscana, abbiamo un eccellente qualificativo per le person pulite: « giovevole ». Se le persone non amanti della pulizia pensassero che, dalla poca pulizia, possono derivare molte malattie e la morte; se pensassero almeno che le altre provano per loro quel senso di disgusto che esse provano per quelle che vedono sudice; se pensassero anche che, per un improvviso malore o per un incidente qualsiasi, potranno rimanere seminude sulla strada o essere svestite in un ospedale, probabilmente avrebbero maggior simpatia per l'acqua, per il sapone e per il bucato...

Pagina 11

Noi possediamo ciò che abbiamo donato: hilarem datorem diligit Deus, disse San Paolo. E, con l'avidità, con la taccagneria, l'ambizione. Anche questa mal si concilia con la dignità; perché l'uomo ambizioso, posseduto dalla febbre di dominare sui suoi simili, non guarda a mezzi, pur di « arrivare »; ed è costretto a transazioni frequenti con la propria dignità oltre che con le proprie convinzioni e con la propria coscienza - dovendo blandire, adulare e, non di rado, umiliarsi. « Transigere »: « la grande parola, che sembra il superlativo della prudenza, ed è quasi sempre il superlativo della viltà ». In fondo, l'avarizia e l'ambizione sono due aspetti dell'egoismo - che è la piú abietta, la piú brutale delle passioni umane - e, come tale, inconciliabile con la vera, con la grande signorilità. E c'è, in fine, la paura: trista parola e tristissimo sentimento, diffuso tra noi specialmente dal defunto regime, per il quale, sopraffatti dall'incubo di qualche male che ci possa capitare, si dimentica la propria personalità, si calpesta il proprio decoro e ci si rende schiavi di chi, in un modo o in un altro, ha saputo far nascere in noi quell'incubo. Parola e sentimento ignoti all'uomo « di carattere », all'Uomo, cioè, veramente tale, nel significato piú alto e piú nobile della parola.

Pagina 23

Passa l'amore. Novelle

241818
Luigi Capuana 8 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Don Emanuele tirava su una gran presa di rapè, dava due stizzosi colpi di ripulita al naso col fazzoletto di cotone azzurro, socchiudeva gli occhi e stava ad ascoltare, interrompendolo di tanto in tanto: - Ma di questo abbiamo già ragionato avant'ieri! - Sì, sì, dal punto di vista.... E spiegava da qual punto di vista; ora però egli guardava la questione dal lato opposto. - Capisco; andiamo avanti! Una lesta presa di rapè, una nuova stizzosa ripulita al naso col gran fazzoletto di cotone azzurro tenuto a portata di mano sur una coscia, indicava la crescente impazienza di don Emanuele. Ma il barone non si scoraggiava. Tutta la sua persona pareva curvarsi, ridursi piccina; le braccia accostavano i gomiti ai fianchi per attenuare i gesti, le spalle si stringevano, la voce si affievoliva in un mormorìo, perchè il suono delle parole penetrasse negli orecchi senza recar disturbo. Egli sapeva di non essere più uno di quei clienti che possono imporsi ai loro avvocati, ai loro procuratori legali in virtù dei ben pagati onorari e dei futuri vistosi palmari dopo vinta una lite; era invece un cliente che doveva farsi ascoltare quasi per carità, per tolleranza, facendosi far credito su l'avvenire, giacchè la signora baronessa e i suoi figli avevano voluto così! Non li nominava mai; ma in certi momenti, quando una circostanza lo costringeva a guardare, non ostante il suo stoicismo, alla miserabile condizione a cui era stato ridotto, lui, don Pietro-Paolo Zingàli, barone di Fontane Asciutte e Cantorìa, un impeto selvaggio gli saliva dalla pianta dei piedi su su per tutto il corpo fino al cervello, quasi fiamma che lo avvolgesse rapidamente o volesse riversarsi attorno per distruggere gli ingrati! Oh, essi non si rammentavano più se egli esistesse! E non potevano ignorare che egli viveva di carità, quasi soffrendo la fame, tra privazioni e umiliazioni di ogni sorta! Eppure non facevano nemmeno la ipocrita finzione di sottomettersi, di chiedere perdono, di volerlo strappare alla puzzolente tana che lo ricoverava la notte.... Nemmeno quella ipocrita finzione! Sapevano benissimo che egli li avrebbe scacciati via, che non avrebbe accettato mai niente da loro, che non li avrebbe mai perdonati!... Ormai egli lasciava che la maledizione di Dio si aggravasse su coloro che un giorno avea chiamati col dolce nome di moglie, e di figli! Il terreno si sarebbe sprofondato sotto i loro piedi sacrileghi, presto o tardi, e li avrebbe inghiottiti! E in questi momenti di impeto selvaggio il vecchio, già curvo, dimagrito, sfigurato, si trasfigurava in quella putrida tana illuminata dalla famosa candela di sego; rizzava orgogliosamente la testa, levava in alto le braccia invocanti il terribile gastigo di Dio, che non poteva fallire; ed egli stesso talvolta aveva sgomento della grand'ombra della sua persona che si agitava su la parete squallida e nuda, quasi apparizione evocata dal terribile scongiuro di lui! Un giorno - oh, finalmente! - un giorno egli sarebbe riapparso in quei desolati stanzoni del suo palazzo, ma vittorioso, con pieno diritto di autorità e di comando, padrone di Cento-Salme strappato al marchese di Camutello; e senza una parola, con un solo gesto, avrebbe scacciato via, anzi spazzato via tutti coloro che non erano degni di portare l'onorato e altero nome dei Zingàli; e vi si sarebbe rinchiuso, solo, come in una fortezza; e avrebbe trasformato quella desolazione in una reggia, quasi con un colpo di bacchetta fatata!... Non avrebbe avuto soltanto Cento-Salme, ma cinquantamila onze di rendite mal percepite dal marchese di Camutello! Cinquantamila onze, in oro, in argento!... Un fiume di denaro sonante, che egli avrebbe potuto spendere sùbito, a dispetto di tutti, senza che più nessuno potesse avere la tentazione di farlo interdire.... Ecco se era stato pazzo! Ecco se aveva farneticato intentando la lite, adoprando tutte le risorse di casa per questo scopo supremo! E si stendeva sotto le coperte del misero lettino, spegnendo la candela di sego, continuando nel buio il fantastico sogno che gli aveva fatto assaporare con gusto, come cena squisita, quel po' di pane e di formaggio risparmiato da quello che avrebbe dovuto essere il suo pranzo a mezzogiorno!

Pagina 113

Quando abbiamo gli occhi chiusi s'inciampa: è destino. Non è una buona ragione per non dire agli altri: - Aprite gli occhi! Qui c'è da inciampare. - - Ma anzi, eomare, in questo caso voi prendereste la ragazza per mano e la condurreste proprio dov'è l'inciampo. Vediamo.... - Insomma, che cosa pretende voscenza? - disse bruscamente compare Nittu. - Mia figlia non è più sotto tutela; ha ventidue anni compiuti. Vada a buscarsi il pane dove vuole. Io ne ho appena tanto che basti per me. Mi dispiace che voscenza si sia dovuto incomodare a venire fino a qui. Sa eome mi ha chiamato mia figlia? Padraccio scellerato!.... Sa come ha chiamato mia moglie? Se lo faccia ripetere da lei stessa.... Non ne parliamo più. Ha altri comandi da darmi voscenza? Mi chiamano lo Storto.... e ci ho piacere. Non mi raddrizza nessuno. Storto son nato e storto voglio morire!

Pagina 13

Il sindaco che, quantunque nipote di carrettiere (e non figlio come diceva donna Beatrice nei momenti di stizza), era un furbo di tre cotte, alla prima seduta del Consigllo, appena ii cavaliere entrò nella sala, gli andò incontro, gli strinse la mano, si rallegrò di vederlo colà,; e, tràttolo in disparte, gli disse: - Caro cavaliere, noi non abbiamo mai combattuto voi, ma le persone che vi stavano attorno. Ed oggi infatti il Consiglio saprà darvi il posto che meritate. Quella domenica sera nelle sale del Fascio ci fu gran baldoria per la nomina del cavaliere ad assessore. Donna Beatrice avrebbe vuotato non una due botti, e finito anche le provviste di fichi secchi e di noci, tanto era contenta. Ma la mattina dopo disse al marito: - Ora basta; siete assessore. Pensate a vostra figlia piuttosto. Don Mimmo volle fare l'assessore davvero. Poteva servire due padroni? E dovette per forza trascurare il Fascio. Cipolla n'era dispiacente più di tutti. Non più marce, non più scampagnate e il cavaliere spesso spesso ora lo mandava in campagna a lavorare come prima. I Reduci borbottavano: Come? Ancora focatico? Ancora dazio di consumo? Il cavaliere aveva promesso che entrando in Consiglio avrebbe detto, avrebbe fatto! E che cosa diceva? Niente. E che cosa faceva? Peggio degli altri. Ora si era messo a perseguitare la povera gente con la scusa che avevano usurpato qualche palmo delle strade comunali di campagna! Perchè non cominciava dai galantuomini? E c'era il Bracco che soffiava nel fuoco. Il Bracco si era iscritto nel Fascio da pochi mesi, appena tornato dal reggimento, e parlava come un libro stampato col lei, col mica, col ciao, e bestemmiava alla toscana, alla piemontese, alla romana, da far rizzare i capelli. Raccontava, a quattr'occhi, ora in questo, ora in quel crocchio, che a Palermo stavano per fare il comunismo e dividersi le terre e i quattrini dei signori tanto per uno, com'era giustizia. - Domineddio ci ha fatti tutti eguali; perchè i ricchi debbono mangiare come porci e noi morire di fame? Giustizia? Non ce n'è; dobbiamo farcela con le nostre mani. Fascio dei Reduci, Circolo degli Agricoltori, Circolo degli Operai avevano fraternizzato dopo che il cavaliere era entrato a far parte della Giunta Comunale. E il Bracco, che aveva poco da lavorare col suo mestiere di sellaio, passava le giornate nei locali del Fascio e dei Circoli, a fumare, a sputacchiare, a far prediche ascoltate meglio di un predicatore, perchè col predicatore non si discorre e con lui si poteva chiedere schiarimenti, fare obbiezioni, e gridargli bravo, quando esclamava, col rinforzo di una bestemmia della sue: - Faremo il comunismo anche noi! Fascio? Circoli? - ripeteva ironico. - Ma li hanno messi su per comodo loro, per avere i voti. Che cosa siamo? Pecore? Schiavi? I consiglieri dovremmo esser noi, non loro. Ora, avete inteso? aggravano il dazio di consumo. Dicono: "Ci vogliono quattrini!...,, Ma che cosa ne fanno? Si bevono il sangue di noi poveretti!... Faremo il comunismo! Dapprima lo avevano ascoltato con diffidenza, quasi con terrore ma ora aveva fatto scuola, e Cipolla si era legato con lui, e soffiava, sottomano, anche lui nel fuoco del malumore che covava, covava, e già mandava fuori un po' di fumo. Il cavaliere se n'accorse la sera che, dopo tanto tempo, volle fare una delle sue solite conferenze nel locale del Fascio. Correvano attorno voci paurose, minacciose. I contadini facevano capannelli nella Piazza Grande, e quando il sindaco passava tra i crocchi, non si cavavano più il berretto per salutarlo, non si voltavano nemmeno; e le trombe non erano più là pronte agli ordini del Cipolla per fare il saluto reale al cavaliere, che passava davanti al Fascio, senza fermarsi, andando al Municipio anche lui. Cipolla soltanto gli faceva il saluto militare, per abitudine; Cipolla che pensava notte e giorno al pezzo di terreno che gli sarebbe toccato in sorte, quando avrebbero fatto il comunismo o la repubblica, che per lui volevano dire la stessa cosa. Il cavaliere dunque quella sera si trovò davanti a una trentina di persone, scarso uditorio, e non tutte del Fascio, ma del Circolo degli Agricoltori e dei Circolo degli Operai, venuti colà più per curiosità che per altro. Voleva appunto parlare di quelle voci paurose e minacciose, ma ebbe la sorpresa di sentirsi interrompere dal Bracco: - Non vogliamo più dazii! E tutti e trenta gli uditori erano scoppiati a parlare assieme, facendo una gran confusione, senza nessun rispetto dell'oratore che avea dovuto abbassarsi a discutere con loro. - Non più dazii? È presto detto! Ma.... - Non vogliamo più dazii! Il cavaliere, indignato, avea risposto: - Il Municipio saprà fare il suo dovere! Ed era andato via. Neppur Cipolla lo aveva accompagnato fino a casa.

Pagina 174

Che cosa ne abbiamo di questa vitaccia, se non.... - Zitto! Rispettate il luogo dove siete! Se l'aspettava. Non gli dispiaceva per lui, ma per quella disgraziata, che a quest'ora andava per le bocche di tutti gli sfaccendati di Ràbbato. Avrebbe dovuto dunque gettarla in mezzo a una via o consegnarla con le sue stesse mani al cavaliere? Ma che doveva importargli dei pettegolezzi, delle calunnie della gente? Male non fare, paura non avere. Intanto la ragazza era in salvo. Povero don Pietro! Se in quel punto avesse avuto la visione di quel che accadeva in casa sua! Se avesse visto che la Trisuzza, mentre donna Ortensia badava in cucina, afferrava lesta lesta la mantellina di panno, se la buttava in testa e scendeva a due a due gli scalini! Tinu Mendola, appoggiato alla cantonata, l'attendeva da un quarto d'ora; e appena ella uscì dalla porta le fe'cenno di seguirlo da quel lato del vicolo.

Pagina 29

Non abbiamo parenti, nè prossimi, nè lontani! E quando l'ufficiale postale gliela consegnò, ella la voltava e rivoltava; quei cinque sigilli di ceralacca rossa le sembravano una stregoneria. - L'apra, la legga lei - disse all'ufficiale postale. Le tremavano mano e voce nel porgergliela. Se lo divorava con gli occhi, ansiosa, con un groppo alla gola senza sapere perchè, mentre colui scorreva le quattro pagine fitte del foglio, scotendo la testa quasi leggesse cose strane. - È del padre, - disse finalmente l'ufficiale postale, supponendo ch'ella dovesse sùbito capire. - Quale padre? - Del padre del vostro trovatello. Dice che viene a riprenderlo. Sposa la madre, lo riconosce.... È Giudice di Tribunale.... Vi compenserà di tutte le spese.... Arriverà tra otto giorni!... Rosa gli spalancava gli occhi in viso, pallida come un cencio lavato, incredula, aspettando che colui le dicesse; Vi ho fatto un brutto scherzo. Ma quegli insisteva, ripetendo: — Vi compenserà di tutte le spese. Ella era istupidita; aveva una gran confu- sione nella mente, .e il cuore le batteva violen- tissimo nel petto, quasi stesse ì ì per scop- piarle. Possibile? Riprendere il bambino? Fra otto giorni?... E la legge? E la giustizia? No, non era possibile! — Ha letto bene, voscenza? -- balbettò. — Fatevela leggere da un altro! E andò via barcollando, con la fatale lettera in tasca. Ma .lungo la strada cominciò a capire. La cosa però le sembrava così enorme, che non voleva crederla. Come? Si poteva dunque buttar via la propria creatura, e poi, quando altri l'aveva allevata, cresciuta, educata, quando altri le voleva più bene dei parenti sciagurati che se n'erano sbarazzati appena mèssala al mondo, questi potevano presentarsi e dire: - Dateci quel bambino; è nostro! - la legge lo permetteva? Ah, voleva vederla! Voleva vederla! Non c'era Dio in cielo, nè Madonna, nè santi, se questa mostruosità poteva accadere! Ah, voleva vederla, se i carabinieri sarebbero venuti a strapparli di tra le braccia la creatura ora sua! Le lagrime le inondavano il viso, ed ella non pensava ad asciugarselo; non si accorgeva di trascinare lo scialle cascatole dalle spalle; gesticolava, mostrava i pugni a colui che doveva arrivare fra otto giorni.... - Che vi è accaduto, comare Rosa? - Niente! Niente! Andava quasi di corsa, e davanti a casa sua, visto Nino che faceva il chiasso con gli altri ragazzi, lo prese per un braccio e lo trascinò dentro e chiuse la porta con tanto di stanga. - Perchè, mamma? - Niente! Niente! Lo baciava, tenendolo stretto stretto tra le braccia, su le ginocchia, quasi dietro l'uscio ci fosse già colui che doveva venire a riprenderglielo. E lo tenne così fino a sera; e quando suo marito picchiò all'uscio, chiamando: Rosa! Rosa! - ella impose al ragazzo: - Non ti muovere di lì! E scese la scala, rivolgendosi indietro più volte, per timore che il ragazzo non la seguisse. - Vogliono levarci il figlio! - disse al marito, scoppiando in pianto dirotto. - Chi? - Suo padre! Ha scritto una lettera! Dapprima il pover'uomo credette che sua moglie fosse impazzita. E alzò le spalle, dicendole: - Sciocca! E tu ti figuri che è facile? Guardava anche lui, diffidente e irritato, la lettera che sua moglie avea cavata di tasca. E stava a sentire a bocca aperta, come un ebete, quel che Rosa gli riferiva, interrotta da singhiozzi, strappandosi di tratto in tratto i capelli: - Verrà fra otto giorni.... È Giudice di Tribunale.... Sposa la madre! - Zitta! Zitta, pel ragazzo! Dammi quella lettera; vò a consultare mastro Simone il fabbro-ferraio, che ne sa più di un avvocato.

Pagina 297

Gli abbiamo dato il sangue nostro; lo abbiamo tirato su con tante cure, con tanti stenti; lo abbiamo mandato a scuola.... Se fosse stato mio figlio lo avrei condotto a zappare e ad arare con me, a fare il contadino come me.... A questo, invece, libri, quaderni, penne!... Che non avremmo speso, per lui?... E ora?... - E ora il padre vi darà un compenso per tutte le spese da voi fatte; non volete capirlo? - ripeteva l'avvocato un po' stizzito che il contadino dalla testa dura gli ripetesse sempre le stesse cose. E, tornati a casa, la moglie si dava una nuova pelata, dalla disperazione; il marito, buttatosi sur una seggiola, coi gomiti su la tavola e la testa fra le mani, borbottava: - Com'è vero Dio, lo ammazzo questo infame! Il figliuolo ora è nostro! Ma alla vigilia dell'arrivo di colui che aveva distrutto con un foglio di carta tutta la loro felicità, marito e moglie erano talmente accasciati sotto il peso della convinzione di non potere far niente, poichè la legge voleva così, che pensavano di buttarsi ai piedi di quel Giudice di Tribunale, appena fosse comparso, e pregarlo e scongiurarlo!... Chi sa? Forse, sapendo che il ragazzo era ben collocato, si sarebbe lasciato intenerire. Tanto, che bene poteva volergli lui a un bambino non veduto neppure una volta? - E se il ragazzo non volesse andare col padre sconosciuto? Se volesse restare per forza con noi? Per un istante credettero che questa era la soluzione più giusta. - S'interroghi il ragazzo: scelga lui! - Parlavano a voce alta, quasi il Giudice di Tribunale fosse davanti a loro. E Rosa attirava Nino tra le gambe, gli lisciava i capelli, lo prendeva pel mento e gli domandava: - Chi vuoi per padre e madre, noi o.... altre persone? - No, non può capire. Glielo dico io. Il ragazzo, un po' stupito, serrato tra le gambe di colui che egli credeva suo padre, stava a udire, intento. - Se venisse uno e ti dicesse: - Sono tuo padre io, tuo padre davvero; vieni con me; lascia questi qui! - tu che faresti?... - Sto qui, con voi! Chi deve venire? - Nessuno! Angelo santo, parla Gesù Cristo con la tua bocca! Rosa se lo mangiava dai baci. - Ecco: così! S'interroghi il ragazzo; scelga lui! E la mattina dopo andarono a ripeterlo anche all'avvocato. E dall'avvocato chi c'era? Colui, il Giudice di Tribunale, vestito tutto di nero, alto, magro, con la barbetta rossa e gli occhiali!... Un tradimento! C'era da attenderselo! Giudici? Avvocati? Farina dello stesso sacco. Ma Rosa non si perdette d'animo; scattò: - Figlio vostro? Chi Io dice? Ve ne siete mai ricordato in tredici anni? Siete venuto solo, perchè avete la faccia più tosta di quella di vostra moglie. Perchè non è venuta anche lei, la mammaccia snaturata?... Ora che si fa sposare, ora soltanto si ricorda che c'era una sua creaturina buttata alla ventura pel mondo!... L'avvocato tentava di farla tacere, di calmarla. - Ebbene, no; non ve lo voglio dare il ragazzo! Che potrete farmi? Mi manderete in carcare? Ci dovreste essere già voi e da un pezzo!... E invece è lui che manda in carcere la gente! Ecco la giustizia! No, non glielo voglio dare! È inutile, signor avvocato!... - Ma non vedete che piange? - le disse l'avvocato. Infatti quel signore biondo, vestito di nero, piangeva, coprendosi la faccia con le mani, singhiozzando: - Avete ragione!... Avete ragione!... Ma le circostanze!... Ah, se sapeste!... Rosa, a quella vista, rimase interdetta, e diede un'occhiata al marito. - Sia fatta la volontà di Dio, Rosa! Sia fatta la volontà di Dio! E prèsala per mano, la conduceva via più morta che viva, senza un singhiozzo, senza una lagrima, ripetendole con voce grave: - Sia fatta la volontà di Dio, Rosa! Sia fatta la volontà di Dio! Dal loro dolore misuravano il dolore di quel padre che veniva in cerca di suo figlio dopo tredici anni! E si sentivano messi alla pari, e riconoscevano finalmente che era giustizia che il figlio fosse reso al padre. Come sarebbero rimasti loro due? Come voleva Dio! Se il ragazzo fosse morto, non sarebbe stato peggio? - Sublimi! sublimi! - diceva l' avvocato, raccontando la scena. - Glielo condussero lì, glielo spinsero tra le braccia. - Purchè qualche volta si ricordi di noi! - Non chiesero altro, poveretti. Parevano gente a cui venisse strappato il cuore! - Ve lo manderò una volta all'anno, per la villeggiatura! - Ah! - esclamarono marito e moglie. - Non ho mai visto espressione di gratitudine più viva e più intensa negli occhi di creature umane. Sublimi! Sublimi!

Pagina 301

Abbiamo camminato due giorni, notte e giorno, senza fermarci un minuto. Da queste parti non veniamo mai; non c'è boschi, non c'è montagne.... Vita da bestie.... Destino, signor don Pietro! E così, quando càpita qualcuno deve compensarci. Uno paga per tutti.... Che è stato? Scattava da sedere per affacciarsi alla finestra, sentendo bestemmiare uno dei suoi, giù, davanti a le porte della massaia. - Permetta, torno subito. Don Pietro rimase inchiodato su la seggiola, tendendo l'orecchio; e si sentì venir meno udendo tra i singhiozzi la voce della Trisuzza che diceva: - È mio marito! Si accostò alla finestra senza osare di affacciarsi. Uno dei briganti raccontava: - In fondo alla grotta; quel signore li aveva chiamati e poi aveva finto di non aver trovato nessuno; ma io sono furbo. E li ho scoperti, nella seconda grotta.... Vi si entra per una buca. La porto via con me questa ragazza. Non piangere, bella figliuola! Ti parerò di orecchini e di anelli come una Madonna dell'altare. - Siete maritati? - domandava il capo. - Eccellenza.... - Lascia stare l'eccellenza.... - Eccellenza, - replicava Tinu con voce piena di paura, - dobbiamo sposarci tra poco. - Poichè non siete ancora marito e moglie.... Su, non piangete! Nessuno vuol mangiarvi. Nessuno vi torcerà un capello.... Dunque, don Pietro vi conosce? Meglio. E chiamò forte: - Signor don Pietro! Alla vista della Trisuzza accoccolata per terra, col viso in lacrime e i capelli discinti, egli si sentì invadere da gran coraggio, e scese giù in fretta quasi per difendere una persona che gli apparteneva strettamente. - Signori miei!... Signori miei!... - balbettò. - A cavallo, su, a cavallo! - gridò in quel punto uno dei compagni sbucato dalla siepe vicina, e che doveva essere stato in vedetta. I cinque corsero alla stalla dove i cavalli erano pronti insellati, e li trassero fuori. Uno tirava per la briglia anche la mula di don Pietro. Colui che aveva scoperti la Trisuzza e Tinu nella grotta, afferrò per una mano la giovane. - È persona di casa mia, - disse don Pietro; - lasciatela stare! E Scosse quell'uomo pel braccio, senza neppure riflettere a quel che faceva. - Via! Non è tempo da ragazzate! - disse il capo. - Mezza parola di don Pietro è comando.... Non dubiti voscenza!... E anche per la mula.... Tra due o tre giorni l'avrà consegnata fino a casa; pel momento.... Necessità non abita come suol dirsi. Ci si è spedato un cavallo.... E tu ringrazia don Pietro.... E anche voi, bella figliuola!... E tutti zitti! Nessuno ci ha visti!... voscenza mi permetta di baciarle la mano. E prima di saltar a cavallo, il capo baciò riverentemente la mano a don Pietro che, commosso, gli diceva: - Il Signore vi aiuti! Il Signore vi aiuti! Don Pietro, il massaio, Tinu e gli altri contadini stettero a vederli allontanare, senza dire una parola, stupiti di essersela cavata quasi con niente. Don Pietro guardava con invidia la mula che ora trottava allegra dietro i cavalli.... come invanita di trovarsi in compagnia di quei focosi animali. E quando i briganti sparvero tra le querce della vallata, don Pietro e gli altri trassero un respirone. - È la seconda volta che mi càpita in vita mia! - esclamò il massaio Marrana. - Che possiamo farci? Si presentano, armati fino ai denti.... Hanno voluto da mangiare, da bere.... È carità anche questa, povera gente! E poi i carabinieri ci accusano di essere manutengoli!... Chi vorrebbe averci che fare? Ma con queste persone non si scherza; qualcuno veramente disgraziato.... La mula, vedrà, gliela manderanno flno a casa. Sono uomini di parola. Quando il capo seppe da me che c'era voscenza.... Don Pietro non stava a sentirlo; guardava Trisuzza che piangeva silenziosamente col viso tra le mani, accoccolata per terra, compreso da un sentimento di profonda pietà, misto a qualcosa ch'egli non sapeva distinguere bene che cosa fosse; ed era anche sdegno contro Tinu Mèndola ritto, là, accanto alla porta, a testa bassa, accigliato, in attesa della lavata di capo che sapeva di meritare. Infatti don Pietro si rivolse a lui: - E hai avuto coraggio di negarmelo? Perchè? Che intenzioni ti passano per la testa? Vedi in che stato l'hai fatta ridurre? Non si riconosce più. - Ma.... voscenza non ha altro a cui pensare? - rispose Tinu senza alzare la testa. - Me la vedrò io con lei e con suo padre. - Belle parole ti scappano di bocca! Lo senti, tu che ti sei lasciata lusingare? Lo senti? Intanto io ti conduco via, da tuo padre che mezzo istupidito dal dolore.... - Ma.... voscenza non ha altro a cui pensare?... - replicò Tinu con la stizza nella voce. - Gliela ricondurrò io da suo padre. Bisogna intendersi con lo Storto. Dice che vuole ammazzarmi.... Se c'è chi si lascia ammazzare! Pelle per pelle! - Minacci anche? - voscenza lo compatisca, - entrò in mezzo massaio Marrana. - I giovinastri del giorno d'oggi parlano a casaccio; non sanno quel che dicono. Ormai il fatto è fatto; bisogna rimediare.... E poichè ci mette le mani il signor don Pietro, lascia fare a lui che ha cervello più di te e buon cuore più di tutti. La Trisuzza era in casa di voscenza e in casa di voscenza ritornerà. È inutile che tu smanii e storca gli occhi. Solamente voscenza deve adattarsi al basto delle nostre bestie; non abbiamo sella noi. - Te ne vai? - disse Tinu vedendo che la Trisuzza si rizzava in piedi, aiutata da massaio Marrana. - Te ne vai? Bada! Non mi vedrai più! Ella continuava a singhiozzare col viso tra le mani, e scoteva desolatamente il capo, atterrita della minaccia. - Bada! Non mi vedrai!

Pagina 61

All'eta che abbiamo parlo anche per me - certi spropositi bisogna evitarli! Pur troppo, a quell'età, -pensava don Pietro, - bisognava evitare ben altri spropositi! Pur troppo, quando non si commettono sciocchezze in gioventù, si corre pericolo di commetterle, e peggio, nella vecchiaia! A poco a poco gli si schiariva la mente; gli appariva netto, preciso lo stato del suo cuore, gl'incuteva terrore. Dunque, proprio verso la fine della sua vita, egli stava per dimenticare ogni dovere di onest'uomo, e insidiare l'onore di una ragazza che si era affidata alla carità di lui? E aveva avuto l'ipocrisia di fingere di voler sottrarla alle insidie del cavalier Ferro! Aveva avuto la spudoratezza di andare a toglierla di mano a colui che, presto o tardi, sarebbe suo marito, col bel pretesto di sollecitarli a mettersi in grazia di Dio! Tutta quella carità.... oh, Madonna santa!... tutta quella carità era dunque vilissima menzogna.... per coprire brutte intenzioni?... Ma no! Ma no! Aberrazione d'un istante! Fragilità umana! Domani sarebbe andato a buttarsi a' piedi di padre Francesco per confessarsi e farsi dare la penitenza.... Com'era accaduto, Signore? Com'era accaduto? Povero sant'uomo! Cercando di scorgere come era accaduto, riandava il breve passato: rivedeva la Trisuzza in maniche di camicia, col collo e le braccia ignude, col fazzoletto legato attorno alla testa per ripararsi dalla polvere, col petto ansante dalla fatica, e indugiava, inconsapevolmente, e riassaporava, inconsapevolmente, il fascino di quella rude giovinezza, che cantiechiava spazzando, spolverando, e che non parlava più di Tinu Mèndola e pareva di compiacersi di restare in casa di don Pietro a disobbligarsi, poveretta, del bene che le aveva fatto e di quello che egli mostrava intenzione di farle! Per questo non si era indignata del bacio; per questo non aveva sospettato!... Ah, quel cattivo soggetto di Tinu Mèndola! La vera colpa era tutta sua! Se avesse sposato sùbito, se ora non volesse afferrar pel collo lo Storto e strappargli la dote per la figliuola! E anche lo Stortaccio! - Neppure una buccia di fava! - Pensava forse di portarsi via la roba all'inferno dove andrà, certamente, pei suoi peccatacci? - Il sant'uomo se la prendeva con gli altri per scusarsi davanti alla propria coscienza, per giustificarsi. E all'alba, quando donna Ortensia picchiò all'uscio per portargli il caffè, era già tranquillo e non si maravigliava della gran tenerezza che gl'inondava il cuore per la poveretta che si era levata da letto anche lei e restava fuori dell'uscio, accorsa premurosamente ad informarsi come stava il signor don Pietro. - Non è niente! Mi sento bene.... Prendete un po' di caffè pure voialtre. Donna Ortensia era accigliata, con tanto di muso; le si leggeva in viso che aveva qualcosa da dire, e che la presenza della Trisuzza le impediva di parlare. La condusse via, con la scusa del caffè, e poco dopo tornò sola. - Non per mescolarmi dei fatti di voscenza, - cominciò, - ma è vero che.... quegli orecchini glieli ha regalati lei? - Glieli ho presentati io, ma il regalo viene da altri. - Non per mescolarmi dei fatti di voscenza.... Voscenza è padrone di fare e disfare in casa sua, con la sua roba. Se però voscenza crede che io non sia più buona a servirla, me lo dica; io le lascio ii posto. Questo è il ben servito!... Dopo tant'anni!... - Siete impazzita? - Le ragazze del giorno d'oggi hanno più malizia delle volpi. Non le è riuscita con Tinu Mèndola, che si è cavato il capriccio e non vuol più saperne, e chi sa che cosa si messa in testa! Vogliono approfittare della bontà di "voscenza, lei e i suoi parentacci che l'hanno indettata.... Quando mai, voscenza? Ha fatto la vita di un santo.... Nessuno può saperlo meglio di me. Ora intanto.... - Siete impazzita, vi domando? Era abituato alle prediche di donna Ortensia, le sopportava pazientemente, sapendo che colei parlava per affezione non per interesse. Spessissimo egli aveva dato retta alle osservazioni, ai suggerimenti di lei che lo mettevano in guardia contro gli eccessi del suo buon cuore e le astuzie di coloro che chiedevano soccorso. E se n'era trovato benissimo. Ma questa volta gli sembrava che donna Ortensia andasse troppo oltre, sospettando cattivi propositi in quella poveretta e disgraziata. Se mai.... Ma neppur lui, no Fragilità, aberrazione di un momento! E per ciò aveva ripetuto quel: - Siete impazzita? - con tal tono di voce, che donna Ortensia si era sentita chiudere la bocca, quasi don Pietro gliel'avesse tappata con una mano. Egli era rimasto a letto un'altr'ora, stizzito contro la vecchia che cominciava ad abusare della tolleranza di lui. Date un dito a certe persone e si prendono tutta la mano! Stizzito un po' anche contro se stesso perchè non stava su le mosse, sentendo di là il rumore che la Trisuzza faceva dando gli ultimi colpi di spolveratura nelle stanze ormai ripulite, ravviate e che quasi non sembravano più quelle di prima. Era deciso di lasciarla fare sola, e di uscir di casa senza neppure rivederla. Aveva in testa il disegno di quel che doveva fare nella giornata, per finirla una buona volta e togliersi quella tentazione dagli occhi, giacchè era una tentazione continua, ne conveniva. Quando però fu sul punto di andar via, si lasciò guidare dalle gambe che lo portarono di suo malgrado. La Trisuzza era nell'ultima stanza in fondo e appena lo scorse gli venne incontro. Don Pietro guardava attorno, approvando con la testa: - Brava! Brava davvero! - Oggi donna Ortensia sarà contenta: ho finito. - E lasciala cantare! E per aggiungere maggior significato alle parole, spinse una mano a farle una carezza a una guancia, e poi l'altra mano per accarezzarle l'altra guancia: - Brava! Brava davvero! - E le mani, indugiando, gli tremavano. La Trisuzza lo guardava negli occhi e tentava di scansarsi, ripetendo, tanto per dire qualcosa: - Donna Ortensia sarà contenta!

Pagina 76

Malia. Commedia in tre atti in prosa

243135
Luigi Capuana 3 occorrenze
  • 1891
  • Stabilimento tipografico di E. Sinimberghi
  • Roma
  • verismo
  • UNICT
  • ws
  • Scarica XML

Abbiamo il gastigo di Dio su le spalle...

Pagina 23

Con lui ne abbiamo vista l'esperienza...

Pagina 37

Abbiamo steso un contratto!... Berrà nel mio bicchiere.

Pagina 44

Cavalleria rusticana

243493
Giovanni Verga 8 occorrenze

O zia Filomena, oggi che è la Santa Pasqua, e fanno pace suocera e nuora, abbiamo da abbracciarci e baciarci anche noi?

Pagina 12

Aspettate, aspettate, gna' Nunzia; noi che abbiamo bottega aperta e arriviamo sempre gli ultimi.

Pagina 23

No, abbiamo da parlare ancora.

Pagina 35

Se vi dico che non abbiamo nulla da fare!

Pagina 35

Andiamo via, gna' Lola, che qui non abbiamo nulla da fare.

Pagina 35

Ora abbiamo a bere un dito di vino tutti qui, amici e vicini, alla nostra salute, e far la buona Pasqua. Qua, gna' Camilla! e anche voi, zia Filomena!

Pagina 45

Questo dico io : per qual motivo dovreste essere in collera con me che non vi ho fatto nulla poi il giorno di Pasqua ha da essere come il bucato, se abbiamo dei torti l'un coll'altro. Ora manderemo a chiamare compar Alfio vostro marito, e ha da bere con noi lui pure.

Pagina 47

E il vino che abbiamo bevuto insieme ci andrà tutto in veleno!

Pagina 60

Cosima

243871
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ma essi non seguono la via giusta, quella che abbiamo percorsa io e il padre loro, benedetto sia. Sarà mia la colpa: sono una donna senza forza e senza volontà; ma loro dovrebbero capirlo. E se parlo cosí con te, questa sera, Elia, è perché so che tu solo puoi compatirmi.» Oh, padrona!» egli esclamò: e una commozione sincera, piena di sorpresa e di gratitudine, gli vibrava nella voce: probabilmente nessuno, da molto tempo, gli aveva parlato cosí. E intese forse quello che la padrona voleva dirgli, che anche lui aveva peccato e sofferto, ma era rientrato nella giusta via, perché aggiunse: «Le strade del Signore sono tante, ed Egli aiuta sempre i buoni cristiani». «Tu, dunque, credi in Dio? Io, vedi, a volte, non ci credo piú.» Non so: anche io non vado a messa da venti anni. Non so; non so: ma so che ad essere buoni e pazienti ci si guadagna sempre. E, dunque, padrona, coraggio.» Tacquero un momento: si sentiva il friggere sommesso della padella sulla fiamma: un odore di gente umile ma rassegnata usciva da quella stanzetta solitaria. Il pino vibrava ancora di fruscii, di pigolii, di vaghi lamenti, e dallo stradone arrivava il rumore di un passo di cavallo: Andrea. Cosima sentiva voglia di appoggiarsi al muro e piangere: in quel momento avrebbe rinunziato a tutti i suoi sogni, pur di consolare la madre: pensò che bisognava almeno darle il conforto della speranza di un buon matrimonio, fra lei e un qualche bravo giovane del luogo, e passò in rassegna tutti i proprietari, i professionisti, gli impiegati di sua conoscenza. Ma essi erano tutti imbevuti del pregiudizio che ella non potesse, con quella sua passione dei libri, diventare una buona moglie; né, d'altronde, ella voleva piú umiliarsi con nessuno. E fu in quel momento che le venne l'idea di muoversi, di uscire dal ristretto ambiente della piccola città, e andare in cerca di fortuna. Per dare consolazione alla madre.

Pagina 138

Documenti umani

244589
Federico De Roberto 2 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

"Noi abbiamo più idee che parole. Quante cose sentite e che non sono nominate! Di queste cose ve ne sono senza numero nella morale, senza numero nella poesia, senza numero nelle belle arti.... Le parole non bastano quasi mai per rendere precisamente quel che si sente." (Diderot).

Pagina 222

- Noi abbiamo mandato di accettare qualunque condizione. Un nuovo silenzio. E, a un tratto, echeggiarono i primi accordi della marcia del Faust. - Alla spada e a discrezione del ferito, - disse il barone De Falco. - Sta bene. Ciascuno porterà le proprie armi; si tirerà a sorte. - Hanno in vista un locale? - A Villa Bisani, a Portici.... se loro accomoda. - A meraviglia. Allora, per domani? - Senza dubbio. - Alle sei del mattino? - Alle sei. Come ebbero preso congedo dai rappresentanti avversarii, il duca di Majoli e Vittorio Giussi scesero al caffè, in quell'ora popolatissimo. Si guardarono attorno, a lungo, attentamente; Andrea Ludovisi non c'era. - Cerchiamo dalla parte della musica, - disse il Giussi. Dopo pochi passi, sotto la viva riverberazione dei fanali elettrici, esclamò: - Eccolo lì. Fermo accanto alla victoria, col bastone dal manico d'argento sotto l'ascella, infilando lentamente un guanto, Andrea Ludovisi conversava con la baronessa di Fastalia, che si sporgeva verso di lui con dei movimenti d'una eleganza lenta e squisita. Vittorio Giussi si avanzò, col cappello in mano. - Se la signora baronessa permette, il duca avrebbe da dirti qualcosa di urgente. - Facciano pure, facciano.... E quella risposta, Ludovisi, quando me la date? - A momenti, signora baronessa, se ella non va via.... E come i due amici si avanzavano, il duca di Majoli li raggiunse. - È tutto fatto. Domani, alle 6, tienti pronto. - La spada? - La spada. Andrea Ludovisi trasse un sospiro di sollievo. - Grazie! Mi volete ora aspettare cinque minuti? E andò a raggiungere la carrozza della baronessa. - Che cosa è stato? - Una buona notizia. I miei debitori si mettono in regola, riavrò tutto il mio; nulla mi trattiene più a Napoli. Costanza, Costanza, sono libero! Andremo via, lontano, nei paesi più belli, od anche nei brutti; che cosa importerà per noi!... - Non è vero? In quel momento la musica incominciava il Wiener blut; i suoni giocondi volavano per l'aria, mettevano un tripudio tutt'intorno. Cogli occhi socchiusi, assorta in un sogno di felicità, la baronessa faceva oscillare lievemente la testa, in cadenza col ritmo della danza. Egli mormorò a bassa voce: - Costanza, ti amo! La baronessa portò le mani al cuore. - È possibile? Mi par di sognare! dopo la tempesta di ieri!... - Perchè ricordarla? - A proposito: e quella risposta? Che cosa bisogna fare delle lettere rimaste sotto il divano? - Bruciarle!... A. domani, dunque.... - E scostandosi d'un passo, col cappello abbassato, a voce più forte: - Signora baronessa, faccia una buona passeggiata! Lentamente, la carrozza si allontanò. Il duca di Majoli e il Giussi si avvicinarono. Andrea Ludovisi si mise in mezzo agli amici, e terminando di abbottonare il suo guanto: - Ora - disse - andiamo a vedere le armi.

Pagina 60

Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245452
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Mio marito non è cattivo; ma anche lui ha bisogno di una vita che lo separa tutto il giorno da me: vuol fare i suoi affari; vuol guadagnare molto, - per chi poi non lo so, - perchè infine non abbiamo che dei parenti vecchi, tutti benestanti, grazie a Dio, che non hanno bisogno del nostro. Ma mio marito è fatto così: non che sia interessato, in fondo: ha preso me, che ero povera, e non mi ha lasciato mai mancar nulla anzi ti confiderò una cosa, che egli consegna a me tutti i suoi denari, e se gli chiedo un favore me lo concede subito. Ma è un uomo melanconico, non I'ho mai veduto ridere, e parla poco: la sua compagnia non è un conforto, per me: è come se lui in casa non ci fosse. "II mio sogno è stato sempre quello di avere un figlio: il Signore non ha voluto; e sia fatta la sua volontà. Tante volte ho pensato di adottarne uno, e mio marito non disapprova la mia idea; ma non è facile prendere un bambino altrui: ci sono tanti pericoli; se è un trovatello possono un giorno farsi avanti i genitori e riprenderselo; se è un bambino legittimo c'è sempre la noia dei parenti: e poi è anche difficile ottenerlo. "In questi giorni ho pensato tanto a quello che mi hai confidato: ebbene ti prego di concedermi la creatura che deve nascere: le daremo iI nostro nome, le nostre sostanze: sarò la madre più appassionata che sia mai stata al mondo. "Ma io non posso proseguire: il sogno mi sembra tanto bello che mi spaventa e mi gonfia il cuore. Le lagrime mi offuscano gli occhi.... Caro ragazzo mio....,, Anch'io non ci vedevo più. Quando intravidi fra le lagrime le ultime parole "caro ragazzo mio,, , mi sembrò che la donna si fosse alzata e mi accarezzasse i capelli, mi baciasse come si bacia il proprio sposo. Un tremito mi agitava tanto da far tremare anche la lettera fra le mie dita: ella se ne accorse; piano piano si tolse lo scialle, come un velo nero: piano piano Si alzò, mi venne davanti: e mi pareva alta, sempre più alta, come il padre suo davanti al mare: dominava, nascondeva tutto il mondo davanti a me; e i suoi occhi chiari, alti, come il cielo, attiravano i miei, bevevano I'anima mia. Mi fu davanti, mi accarezzò i capelli, mi baciò come si bacia il proprio sposo: io le dicevo col mio gemito, affondando il viso sul suo collo dolce e caldo: - prendimi pure tutto: prenditi pure quello che non è mio, l'anima mia, la mia creatura.

Pagina 159

Il romanzo della bambola

245698
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

. - Meglio, certo, di quant'altra ne abbiamo conosciuta tu ed io - le rispose l'antico attore. La Giulia riprese: - E pensare che c'è chi s'arrabbatta tanto per far figura nella così detta alta società, dov'è tanta finzione, tanto egoismo, tanto interesse! - Io, davvero, ti giuro che a quest'aria pura, co questa pace, e in mezzo a povera gente così buona e sincera, non rimpiango nulla nè nessuno - dichiarò Orlando. - E poi ho te! Che cosa potrei desiderare di più? La Giulia lo ringraziò con un tenero luccichio degli azzurri occhi di vetro, ma nell'interno, tra la segatura, passò un sospiro della sua fedele anima di bambola. Era un sospiro per Camilla... Ahimè, perchè non era ella lì con loro quella cara? Ahimè, perchè non tornano a noi i morti che si chiamano, i morti che ancora s'amano?...

Pagina 117

L'indomani

246451
Neera 2 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Quanti non ne abbiamo visti noi di questi alpinisti ciabattoni sulle rive del lago, o alle acque termali, i quali vengono per osservare la natura e non la intendono, salgono un monte, come i due onesti coniugi e droghieri Gibella, e si fermano meravigliati a guardare le teste di morto di un vecchio ossario, o un verme che attraversa la strada, nè mai danno un'occhiata d'intorno perchè trovano che anche fuori del loro paese, dal grande al piccino, le cose hanno tutte lo stesso andazzo; dappertutto cielo, terra e montagnaccie, seccature, gabbamondi e ciarlatani di ogni specie. «Le lacrimevoli odissee di questi coniugi Gibella, ne' sette giorni che passarono sulla riviera d'Orta, sono divertentissime; magistralmente descritto anche l'ambiente. La vis comica vi abbonda, ed è di buona lega.» Giornale La Postilla.

Pagina 212

«Negli Alpinisti ciabattoni abbiamo realtà vivissima di ambiente, di personaggi, di tipi; non manca, per chi sappia ritrovarcelo, l'elemento psicologico. Essi costituiscono adunque un vero e proprio lavoro d'arte. «La realtà che il Cagna descrive negli Alpinisti ciabattoni è semplice, bonaria, credo anzi ch'egli stesso la definisca una realtà borghese. Ma è forse meno difficile a cogliere di un'altra? Sarebbe illusione o pochezza di mente il crederlo. Quelle pagine sono una miniatura così delicata di particolari, di circostanze minutissime, tutte però significative, tutte concludenti, da rilevare il lavorio sottile di una intelligenza penetrante. «Sfilano davanti a noi numerosi paesaggi. Colli verdi ed ameni, montagne brulle e nevose; cieli limpidi e sereni, cieli plumbei corsi da nubi scapigliate; distese d'acque calme, azzurrine, ridenti; acque sconvolte dalla bufera, il lago nero e imbronciato. E poi aurore, meriggi infocati nelle solitudini dei campi, tramonti. Una varietà di scene da non finir più; ma tutte belle, tutte magistralmente ritratte. Nessuna monotonia. «Questo lo sfondo della scena, nel quale s'aggirano pieni di freschezza, viventi di vita vera, figure e tipi umani colti con meravigliosa verità del mondo reale e trasportato in quello artistico che il romanziere ha creato. «E poi una lettura buona, che fa bene al cuore, che parla alla parte migliore di noi. Nessuna predica morale, nessun sermone; eppure sprizzano fuori d'ogni lato, per l'indole stessa dei fatti, quelle idee, quei sentimenti che valgono a rendere gli uomini migliori.» Giornale La Sesia.

Pagina 213

Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246550
Luigi Capuana 3 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

.• — Non lo abbiamo nè comprato, nè sottratto, — balbettò Neo. — O dunque? Vi è piovuto dal cielo? — soggiunse la signora Elvira, che cominciava a sospettare qualche sconveniente monelleria del figliuolo. Bice, facile al pianto, aveva i lucciconi agli occhi; Neo restava lì muto, imbarazzato. Intervenne Maddalena che sapeva la cosa. Per un anno intero, Neo aveva bevuto senza zucchero affatto, e Bice con poco zucchero, il caffè e latte della colazione; e il croccante rappresentava trecento sessantacinque giorni di questo non piccolo sacrificio di gola per quella piacevole sorpresa alla mamma. La signora Elvira era commossa e gl' invitati pure. Bice e Neo si erano nascosti con le mani la faccia, quasi avessero fatto qualcosa di male. In quel momento la mamma perdonò facilmente al figlio tutte le cattiverie dell'annata. Peccato che poi egli ricominciasse peggio di prima!

Pagina 135

— Ma se abbiamo già desinato due ore fa! — Abbiamo già desinato?... È vero, hai ragione. Stava un momentino esitante, e zitto zitto sparecchiava. Poi, da lì a un mese, non si lasciò convincere più. Era inutile ripetergli: — Abbiamo già desinato! — egli scoteva il capo, con aria maliziosa, e continuava ad apparecchiare. Quando aveva finito, si sedeva a tavola, aspettando, battendo sull'orlo del piatto con la forchetta e col coltello, impazientendosi del ritardo: — Volete farmi morire di fame, povero vecchio? Ingrate, ingrate! Vi ho dato tutta la mia roba; mi sono spogliato per voi... ed ecco la ricompensa ! Dannate ! L' inferno vi aspetta. Urlava , piangeva. Lisa e Giovanna un po' ridevano , un po' rimanevano stupite, afflitte di vederlo piangere; poi, a furie di carezze e di buone maniere, riuscivano a farlo levare da tavola, a deviarlo da quella fissazione; suggerendogli: — È mezzanotte; andate a letto. Il sole vicino al tramonto inondava la camera dove lo conducevano, ma egli non se n'avvedeva; e mentre Lisa chiudeva gli scuretti della finestra, egli dava mano a spogliarsi, e intanto domandava: — E il santo rosario? — L'abbiamo recitato or ora. — Si, si, è vero; non bisogna scordarsene mai, altrimenti la Madonna non ci aiuta. Andate a letto anche voi. È mezzanotte. Ma questo stratagemma giovò per poco. Una notte Lisa e Giovanna furono svegliate da forti picchi all'uscio. — Dormiglione, su, levatevi! È mezzogiorno. E d'allora in poi, a ogni mezzanotte era mezzogiorno per lui. Lisa si alzava, apriva la finestra : — Non vedete che è buio? — È annuvolato. C'è l'ecclissi... Si rammentava dell'ecclissi di anni addietro, e affermava che il sole sarebbe ricomparso subito. Insomma ci voleva una pazienza da santi; e Lisa e Giovanna erano proprio due sante, che gli volevano bene, e lo adoravano, e lo compativano, povero vecchio. Lisa qualche volta leticava col marito che non aveva carità, com' ella gli rimproverava: — Forse sa quel che fa, poverino ? Ora, di tanto in tanto, egli perdeva anche la conoscenza delle persone. — Chi siete? Che fate qui? Chi cercate? — Sono Lisa; non mi conoscete ? — Lo so, lo so; ma costei, chi è costei? — Giovanna. A quei nomi rimaneva turbato. I ricordi delle figliuole morte e la figura delle due donne che si vedeva davanti lo imbrogliavano, lo rendevano dubbioso ; e voltava le spalle, crollando la testa, ricominciando da capo dopo un momento : — Chi siete? Che fate qui? Il padrone sono io. La roba è mia. E si metteva a discorrere, divagando : — Avevo due figliuole.... Quella strega le mandava a chiedere l'elemosina.... E sono morte, povere creature, morte di tifo!.. Ve ne ricordate? Io ho fatto testamento; ho lasciato ogni cosa a loro... Erano orfanelle, abbandonate da tutti..... Il Signore se l'è prese.... Sia fatta la volontà di Dio! Come vi chiamate? Lisa? Giovanna? Si chiamavano così anche le mie creature. Se volete stare con me e servirmi ora che sono vecchio, faccio testamento e lascio ogni cosa a voi... Il padrone sono io. Ma qui non ci voglio più stare; voglio andarmene a casa mia. Prendete le chiavi; andiamo, andiamo ! E bisognava secondarlo, perchè non s'arrabbiasse e non urlasse. Lisa fingeva di mettersi lo scialle — e spesso bastava buttarsi addosso una salvietta, un asciugamani — e gli dava braccio per le scale. Scendevano giù, in istalla o in cantina, e risalivano : — Eccoci in casa nostra! — Ah, come si sta bene qui ! Colà non mi ci potevo vedere !...In casa altrui uno non può fare a modo proprio. Si erano abituate a queste stranezze; spesso le prevenivano, le secondavano sempre, visto che era il miglior mezzo per non farle prolungare; e anche ci si divertivano, quando il povero vecchio si sfogava a parlare del passato lontano, molto lontano, che gli veniva alla mente con lucidità e precisione meravigliosa. Si divertivano quasi, anche quando se la prendeva con loro, con quelle ingrate che lo facevano morire di fame, che non potevano più vederselo dinanzi, perché il padrone era lui e loro volevano tutta la roba per sè... — Ma le gastigherò io! So io come gastigarle! — Come? — Straccerò il testamento, le lascierò nude in mezzo a una via! — Fate bene, — gli diceva Lisa ridendo. — Dovreste lasciare la roba a noialtre. — A voialtre? Che c'entrate voialtre? La roba mia è delle mie figlie, delle orfanelle che ho cresciute, nutrendole con la carne del mio cuore, col sangue delle mie vene! Che c'entrate voialtre? Esse soltanto mi vogliono bene ; e pregheranno per l'anima mia quando sarò morto; che c'entrate voialtre? ***

Pagina 48

Abbiamo mangiato la ricotta! Lo confessarono tutti e quattro insieme. Ma nessuno gli credeva, vedendoli contorcere anche dai dolori di pancia; pensavano che il pecoraio non poteva poi avergliene data tanta, da produrre quello sconquasso. Il pecoraio passava tra quei contadini un po' per medico, un po' per fattucchiere; perciò gli diedero la voce dall'alto: — Venite su, presto; venite! Lasciate le pecore. — Lui solo poteva consigliare, lì per lì, qualche rimedio per quei poveri bambini. Arrivò trafelato; e appena li vide, si dié un colpo alla fronte: — Madonna ! Erano loro che mi rubavano la ricotta ! Per accertarsi che il ladro fosse stato uno dei contadini della fattoria, come gli era venuto il sospetto, quella mattina egli aveva messo nel latte certi succhi di erbe a lui note, che non facevano molto male, ma davano dolori di pancia e producevano vomiti. — Non è niente, — disse. — Un po' d'acqua bollita, con due stille di limone. E il poveretto, angustiandosi che il vomitivo fosse proprio toccato ai ragazzi, non finiva di ripetere, meravigliato, e mezzo incredulo : — Erano loro che mi rubavano la ricotta ! ***

Pagina 72

La ballerina (in due volumi) Volume Primo

247186
Matilde Serao 2 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Egli lancia altri tre volumi della sua fortunata biblioteca popolare, ed abbiamo, pertanto: Sonatine bizzarre, di quello spirituale e soavissimo mago dello stile ch'è A. Fogazzaro; San Martino, tre splendidi e suggestivi racconti militari del bravo Olivieri Sangiacomo; Da Costantinopoli a Madrid, impressioni di viaggio del noto scrittore touriste Adolfo Rossi. In corso di stampa molti altri libri su cui figureranno i nomi d'un De Amicis, d'una Matilde Serao, d'un Lorenzo Stecchetti, d'un Mantegazza, d'un Bovio, d'un Cesareo, d'un Capuana e di molti altri illustri. Davvero, davvero che questa del cav. Giannotta è opera meritoria ed egregia! (L'Instituto di Scienze, lettere ed arti, 15 maggio 1899).

Pagina X

Abbiamo detto ci piace e ripetiamo la frase, già che l'autrice ha condotto così accuratamente il racconto, ha studiati tanto oggettivamente i caratteri fisici e morali dei personaggi, da presentarci un tutto armonico e caro nelle sue parti. Alcune descrizioni sono veri ricami artistici, molti momenti psicologici sono colti assai bene. (Vittoria Colonna, di Napoli, 1. giugno 1899).

Pagina XI

La sorte

247867
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

- Abbiamo un po' girato il mondo, caro te! - Quando venne Umberto, bisognava vedere!.. E la parata alla Villa!.. - E la festa di Piedigrotta! - E la festa di San Gennaro! - Niente, quella di San Gennaro non m'è piaciuta niente! Santo Vacirca e Antonio Manfuso passavano a rassegna uno dopo l'altro i ricordi di Napoli, si correggevano se uno sbagliava e interrompevano il discorso con esclamazioni continue. Alfio Balsamo li stava a sentire, a bocca aperta, in silenzio, temendo di farli ridere ancora con le sue domande. - La Villa di Napoli! Ci entra tutto Sant'Alfio, e a piantarci cavoli uno si farebbe ricco!... - E la processione delle carrozze!.. - E i magazzini e i bizzarri, dove c'è tutto il ben di Dio, e bisognerebbe soltanto aver denari per cavarsi tutti i gusti!.. - E le birrerie con le ragazze, per servire gli avventori... Alfio Balsamo aveva una domanda sulla punta della lingua, ma Antonio Manfuso disse a un tratto: - Andiamo all'osteria. Dallo zio Menico, dove c'era molta gente a bere e a fumare, quello chiamò: - Un litro, del nostro. E tracannando il bicchiere ricolmo, esclamava: - Ma a Napoli vino come questo non ce n'è! - Tu non bevi? chiese Vacirca ad Alfio Balsamo. - Mi dà alla testa - rispose questi, con soggezione. - Andiamo, non fare il ragazzo! E Alfio vuotò il suo bicchiere. Il discorso di Napoli ricominciava; ognuno dei congedati raccontava quello che aveva visto e che gli era capitato, le usanze dei paesi, i compagni incontrati o lasciati per via. Il reggimento di Manfuso aveva passato un anno a Brescia; Santo Vacirca aveva girato di qua e di là, in distaccamento. Alfio non aveva nulla da dire, e come il vino gli montava al cervello, dette un pugno sul tavolo, esclamando: - Sangue del mondo! Avrei voluto fare il soldato anch'io. Santo Vacirca, che accendeva un zolfanello strofinandolo sotto l'anca, rispose: - Eh, lascia stare; a reggimento non è tutto rose e fiori. - Si, come se a zappare un cristiano non lasciasse l'anima! Ogni mestiere ha i suoi guai! - disse Manfuso, alzandosi. - E chi ti par che dorme e si riposa, quello porta la croce più gravosa! Fuori la musica era finita e cominciava ad annottare. La gente guardava curiosamente i congedati, e Alfio Balsamo si dava una cert'aria, in quella compagnia, studiando i gesti degli amici, ammirando la loro sveltezza; ma, in fondo, un po' umiliato della sua ignoranza, del suo finto berretto di bersagliere. Non sapeva far altro che interrogare. - A che ora suonava la ritirata? - Secondo le stagioni. - E che facevate fuori? - Si andava assieme, a spasso, di qua e di là... - E poi?.. - chiese a un tratto Alfio Balsamo, fermandosi. Santo Vacirca e Antonio Manfuso si guardarono, ridendo. - Già. Come c'era gente in piazza, tutti e tre si allontanarono per la strada del Lavinaro, dove non si vedeva nessuno. Alfio Balsamo stava a sentire, senza perdere una sillaba, interrompendo a ogni tratto: «E dove?.. E come?.. Davvero?..» - Tante regine, ti dico, che non puoi averne un'idea.... E quelli abbassavano ancora la voce, e Alfio spalancava ancor più gli occhi. A un tratto, al chiassuolo di San Rocco, s'intese un rumor di passi. - Chi è che viene? - Tò - s'interruppe Vacirca - quella lì non è Anna Laferra? - Con Vincenzo Sutro, guarda! - disse Manfuso - E quel povero Salvatore che abbiamo lasciato a Napoli disperato per lei! Alfio Balsamo non disse niente; ma come se la vide passare dinanzi, dritta e superba, con la faccia pallida e i capelli scomposti, esclamò, in una risata: - Va', puttana!

Pagina 45

Nel sogno

248199
Matilde Serao 1 occorrenze

Com'è che abbiamo dimenticato la scienza della vita? Come va che l'arte del vivere non ci è più nota? Chi ci ha tolto questa scienza e quest'arte? Chi diminuì e sperperò le nostre forze? Chi ha spezzato in noi la molla della nostra energia? Quale mano ha strappato a noi il velo che ci nascondeva la verità e ci ha resi timidi, trepidanti, quasi vili? Chi, chi ha ingrandito, innanzi a noi, la possanza della vita e ha ammiserito la nostra possanza? È la fredda ragione che tanto fece. È la voce della ragione quella che vi parla, troppo spesso e forse unicamente all'orecchio e che vi dice, gelidamente, quanto voi siate impari all'avversario, nella lunga milizia che è l'esistenza. La fredda ragione v' invita a guardare in voi stessi, a misurarvi, a pesarvi, a calcolarvi; e voi sentite tutta la penuria del vostro vigore, le inevitabili eredità di debolezza che sono nella specie, le miserie del sangue e delle fibre, le limitazioni implacabili che mette la natura e che mette Iddio, le cadute fatali della volontà innanzi agli istinti che non si domano, le strettoie dove l'uomo si agita e che la ragione, la fredda ragione, vi descrive, come la catena del galeotto che si porta sino alla morte. Parla al vostro orecchio la fredda ragione e vi mostra lo spettacolo della vita senza velo, senza aureola, nella sua nuda verità; e voi vedete che siano le vane promesse della gioventù, i fallaci giuramenti della passione, le lusinghe ingannatrici dei trionfi umani, le brevi ed egoistiche gioje dell'età virile, i tornanti amari ricordi della maturità e le tristissime decadenze della vecchiaja. Ah essa parla, parla tanto, parla troppo, la ragione, e vi mostra, sì, la via della virtù, ma ve ne dichiara anche tutte le spine pungenti, tutte le asprezze dolorose, tutte le privazioni inenarrabili e, questa via lunga, ve la fa vedere senza poesia, senz'attrazione, senza fascino, attossicante alla bocca e al cuore come l'assenzio, senza altre consolazioni, senza estremi compensi. Sì, è vero, la ragione vi assegna, rigorosamente, quello che è il vostro dovere: ma questo dovere ve lo infligge in tutta la sua austerità, in tutta la sua crudeltà, in tutta la sua amarezza; ma quello che v' impone di fare, la ragione, cioè il vostro dovere, essa ve lo mostra così brutto, così disadorno, così disgustoso, che l'uomo si copre il volto con le mani, per non vedere: e la mortale fiacchezza lo colpisce e lo atterra. Tutto il congegno sociale, così bizzarro, così stravagante, così imperfetto, ma che non si potrebbe mutare, forse, che in peggio, la ragione ve lo smonta, innanzi, nelle sue ruote, e voi ne osservate tutti i traviamenti fatali, tutte le ingiustizie necessarie, tutte le infamie inevitabili e voi provate l'orrore mortale dell'uomo dinnanzi ad una macchina mostruosa che lo deve schiacciare. Questo fa, la ragione. È il suo còmpito. Essa deve dirvi la verità; e non importa che questa verità sia il vostro dolore e la vostra morte.

Pagina 13

Saper vivere. Norme di buona creanza

248309
Matilde Serao 2 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Non solo i bimbi sono felici di aver de' doni, ma tutti, più o meno, abbiamo un delicato piacere nel ricevere, un delicatissimo piacere nel dare. È vero, che i bimbi hanno studiato, si son condotti bene tutto l'anno, hanno sopportato, con pazienza, le loro piccole indisposizioni, hanno prese le medicine, hanno rinunziato, senza mormorare, a ficcarsi le dita nel naso; ed è anche vero che il bambino Gesù viene per essi, e che il Capo d'Anno è, sopratutto per essi, una data gioconda, perchè i loro anni sono pochi; ma, Dio mio, anche i grandi, durante l'anno, si sono seccati, ed hanno sofferto, hanno ingoiato pillole amare, hanno usato un'interminabile pazienza nei disgusti dell'esistenza, e un certo premio anche lo meritano. Il bimbo Gesù viene pure pei grandi, ed è apportatore di consolazione, di amore e di benessere; e se il Capo d'Anno è una data un po' triste, pei grandi, perchè non rallegrarla, con qualche dono gentile? Il valore, poco importa, ma l'uso delle strenne da Natale a Capo d'Anno, dovrebbe diventare più popolare, più largo fra noi: procurare una gioia, anche fugace, alle persone, che noi amiamo, non è, infine, fare un dono anche a noi stessi? Sorridere di un sorriso, quale cosa ineffabile!

Pagina 181

È da tempo che nelle cronache mondane di Francia, noi vediamo, spesso, spessissimo, una zia, una cugina, una cognata o magari semplicemente un'amica, fare da testimone, in chiesa, alla sua parente, alla sua amica: e abbiamo notato ciò in matrimonii non semplicemente del ceto borghese, ma piuttosto in quello aristocratico. Pare, adunque, che possa avere un carattere di eleganza, questo uso moderno o, forse, rinnovato dall'antico? Pare! Fatta qualche indagine, abbiamo appreso che la Chiesa ammette, ha sempre ammesso, che una signora, parente o amica o semplice conoscente, possa fare da testimone, al rito religioso, a una giovane sposa: e che se non si è profittato prima, o non si profitta molto, ancora, di questo permesso, è, talvolta per completa ignoranza di tale facoltà o per non mutare nulla all'uso di aver testimoni uomini. Altre indagini, ci hanno certificato partecipante alle nozze religiose, la madrina, nientemeno, della sposa, che, in questo modo, viene a prendere il posto del padrino o compare di anello: questo noi abbiamo notato in molti matrimonii dell'Alta Italia, specialmente a Milano. E, diciamolo, questa sostituzione molto chic. Giacchè questo affare dei quattro testimoni alle nozze civili la legge si contenterebbe di due, ma, allora il conto non tornerebbe - e di quattro testimoni alla Chiesa, otto uomini, da dover cercare, da dover trovare, con grandi difficoltà, con grandi contrasti e con grandi noie, è, sempre, più o meno, il portato di una banale vanità, o, peggio, di una segreta avidità. Si vogliono dei nomi eminenti, impressionanti: e debbono essere otto, più il compare di anello, nove. Si desiderano nove doni, uno più bello dell'altro.... E così, vi sono personaggi in vista, personaggi doviziosi, che sono testimoni, sempre, che debbono gittare il loro tempo e il loro denaro, così, fatalmente, data la loro condizione. Non insistiamo! Il testimone-donna, vale tanto meglio, sentimentalmente, poichè si tratta, quasi sempre, di una persona a cui si è molto affezionati, da cui si avuto delle pruove lunghe di affetto: il testimone-donna vale tanto meglio, perchè il suo dono sarà meno ricco, ma più carino, più gentile, più utile: il testimone-donna si sentirà più legato alla novella coppia e vigilerà, come può, sulla sua felicità, il testimone-donna rappresenta qualche cosa di più intimo, di più affettuoso. Esso ci piace. Esso ha un grande avvenire, nelle nozze future.

Pagina 24

Pane nero

248947
Giovanni Verga 2 occorrenze
  • 1882
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Lo vedi che bel guadagno ci abbiamo fatto noi due a maritarci? Lucia si lagnava colla mamma. - Io voglio farci il guadagno che ci ha fatto lui! Piuttosto voglio andare a far la serva! Qui se si fa vedere un cristiano, ve lo scacciano via - E pensava a quello delle rane che non si faceva più vedere. Dopo si venne a conoscere che era andato a stare colla vedova di massaro Mariano; anzi volevano maritarsi: perchè è vero che non aveva un mestiere, ma era un pezzo di giovanotto fatto senza risparmio , e bello come san Vito in carne e in ossa addirittura, e la sciancata aveva roba da pigliarsi il marito che gli pareva e piaceva. - Guardate qua, compare Pino - gli diceva: - questa è tutta roba bianca, questi son tutti orecchini e collane d'oro; in questa giara qui ci son 12 cafisi d' olio, e quel graticcio è pieno di fave. Se voi siete contento, potete vivere colle mani sulla pancia, e non avrete più bisogno di stare a mezza gamba nel pantano per acchiappar le rane. - Per me sarei contento - diceva il Tomo. Ma pensava agli occhi neri di Lucia, che lo cercavano di sotto all'impannata della finestra, e ai fianchi della sciancata, che si dimenavano come quelli delle rane, mentre andava di qua e di là per la casa, a fargli vedere tutta quella roba. Poi una volta che non aveva potuto buscarsi un grano da tre giorni, e gli era toccato stare in casa della vedova, a mangiare e bere, e a veder piovere dall' uscio, si persuase a dir di sì, per amor del pane. - È stato per amor del pane, vi giuro! - diceva egli colle mani in croce, quando tornò a cercare comare Lucia dinanzi all' uscio. - Se non fosse stato per la malannata, non sposavo la sciancata, comare Lucia! - Andate a contarglielo alla sciancata! - gli rispondeva la ragazza, verde dalla bile. - Questo solo voglio dirvi: che qui non ci avete a metter più piede. E la sciancata gli diceva anche lei che non ci mettesse più piede, se no lo scacciava di casa sua, nudo e affamato come l' aveva preso. - Non sai che, prima a Dio, mi hai obbligo del pane che ti mangi? A suo marito non gli mancava nulla: lui ben vestito, ben pasciuto, colle scarpe ai piedi, senza aver altro da fare che bighellonare in piazza tutto il giorno, dall'ortolano, dal beccaio, dal pescatore, colle mani dietro la schiena, e il ventre pieno, a vedere contrattare la roba. - Quello è il suo mestiere, di fare il vagabondo! - diceva la Rossa. E Lucia rimbeccava che non faceva nulla perchè aveva la moglie ricca che lo campava. - Se sposava me avrebbe lavorato per campar la moglie. - Santo, colla testa sulle mani, rifletteva che sua madre glielo aveva consigliato, di pigliarsela lui la sciancata, e la colpa era sua di essersi lasciato sfuggire il pan di bocca. - Quando siamo giovani - predicava alla sorella - ci abbiamo in capo gli stessi grilli che hai tu adesso, e cerchiamo soltanto quel ci piace, senza pensare al poi. Domandalo ora alla Rossa se si dovesse tornare a fare quel che abbiamo fatto!.... La Rossa, accoccolata sulla soglia, affermava col capo, mentre i suoi marmocchi le strillavano intorno, tirandola per le vesti e pei capelli. - Almeno il Signore Iddio non dovrebbe mandarci la croce dei figliuoli! - piagnucolava. Dei figliuoli quelli che poteva se li tirava dietro nel campo, ogni mattina, come una giumenta i suoi puledri; la piccina dentro le bisacce, sulla schiena, e la più grandicella per mano. Ma gli altri tre però era costretta lasciarli a casa, a far disperare la cognata. Quella della bisaccia, e quella che le trotterellava dietro zoppicando, strillavano in concerto per la viottola, al freddo dell' alba bianca, e la mamma di tanto in tanto doveva fermarsi, grattandosi la testa e piagnucolando: - Oh, Signore Iddio! - e scaldava col fiato le manine pavonazze della piccina, o tirava fuori dal sacco la lattante per darle la poppa, seguitando a camminare. Suo marito andava innanzi, curvo sotto il carico, e si voltava appena per darle il tempo di raggiungerlo tutta affannata, tirandosi dietro la bambina per la mano, e col petto nudo - non era per guardare i capelli della Rossa, oppure il petto che facesse l'onda dentro il busto, come al Castelluccio. Adesso la Rossa lo buttava fuori al sole e al gelo, come roba la quale non serviva ad altro che a dar latte, tale e quale come una giumenta. - Una vera bestia da lavoro - quanto a ciò non poteva lagnarsi suo marito - a zappare, a mietere e a seminare, meglio di un uomo, quando tirava su le gonnelle, colle gambe nere sino a metà nel seminato. Ora ella aveva ventisette anni, e tutt'altro da fare che badare alle scarpette e alle calze turchine. - Siamo vecchi, diceva suo marito, e bisogna pensare ai figliuoli. - Almeno si aiutavano l'un l'altro come due buoi dello stesso aratro. Questo era adesso il matrimonio. - Pur troppo lo so anch'io! - brontolava Lucia - che ho i guai dei figli, senza aver marito. Quando chiude gli occhi quella vecchierella, se vogliono darmi ancora un pezzo di pane me lo danno. Ma se no, mi mettono in mezzo a una strada. La mamma, poveretta, non sapeva che rispondere, e stava a sentirla, seduta accanto al letto, col fazzoletto in testa, e la faccia gialla dalla malattia. Di giorno s'affacciava sull'uscio, al sole, e ci stava quieta e zitta sino all'ora in cui il tramonto impallidiva sui tetti nerastri dirimpetto, e le comari chiamavano a raccolta le galline. Soltanto, quando veniva il dottore a visitarla, e la figliuola le accostava alla faccia la candela, domandava al medico, con un sorriso timido: - Per carità, vossignoria... È cosa lunga? Santo, che aveva un cuor d' oro, rispondeva: - Non me ne importa di spendere in medicine, finché quella povera vecchierella resta qui, e so di trovarla nel suo cantuccio tornando a casa. Poi ha lavorato anch' essa la sua parte, quand'era tempo; e allorché saremo vecchi, i nostri figli faranno altrettanto con noi.

Pagina 29

Una cosa sola abbiamo a dirti, io e tua madre qui presente: pensaci prima di maritarti, che il pane è scarso, e i figliuoli vengono presto. La mamma, accoccolata sulla scranna, lo tirava pel giubbone, e gli diceva sottovoce colla faccia lunga: - Cerca d' innamorarti della vedova di massaro Mariano, che è ricca, e non avrà molte pretese, perchè è accidentata. - Sì! - brontolava Santo.- Si, che la vedova di massaro Mariano si contenterà di uno come me! Compare Nanni confermò anche lui che la vedova di massaro Mariano cercava un marito ricco al par di lei, tuttochè fosse sciancata. E poi ci sarebbe stato l'altro guaio, di vedersi nascere i nipoti zoppi. - Tu ci hai a pensare - ripeteva al suo ragazzo. - Pensa che il pane è scarso, e che i figliuoli vengono presto. Poi, il giorno di Santa Brigida, verso sera, Santo aveva incontrato a caso la Rossa la quale coglieva asparagi lungo il sentiero, e arrossì al vederlo, quasi non lo sapesse che doveva passare di là nel tornare al paese, mentre lasciava ricadere il lembo della sottana che teneva rimboccata alla cintura per andar carponi in mezzo ai fichidindia. Il giovane la guardava, rosso in viso anche lui, e senza dir nulla. Infine si mise a ciarlare che aveva terminata la settimana, e se ne andava a casa. - Se avete a dirmi nulla pel paese, comare Nena, comandate. - Se andassi a vendere gli asparagi verrei con voi, e si farebbe la strada insieme - disse la Rossa; e come egli, ingrullito, rispondeva di sì col capo, di si, ella aggiunse, col mento sul petto che faceva l'onda: - Ma voi non mi vorreste, chè le donne sono impicci. - Io vi porterei sulle braccia, comare Nena, vi porterei. Allora comare Nena si diede a masticare la cocca del fazzoletto rosso che aveva in testa. E compare Santo non sapeva che dire nemmen lui; e la guardava, la guardava, e si passava le bisacce da una spalla all' altra, come non trovasse il verso. La nepitella e il ramerino facevano festa, e la costa del monte, lassù fra i fichidindia, era tutta rossa del tramonto. - Ora andatevene, gli diceva Nena, andatevene, che è tardi. - E poi si metteva ad ascoltare le cinciallegre che facevano gazzara. Ma Santo non si muoveva. - Andatevene, chè possono vederci qui soli. Compare Santo, che stava per andarsene infine, tornò all'idea di prima, con un'altra spallata per assestare le bisacce, che egli l'avrebbe portata sulle braccia, l' avrebbe portata, se si faceva la strada insieme. E guardava comare Nena negli occhi che lo fuggivano e cercavano gli asparagi in mezzo ai sassi, e nel viso che era infocato come se il tramonto vi battesse sopra. - No, compare Santo, andatevene solo, che io sono una povera ragazza senza dote. - Lasciamo fare alla Provvidenza, lasciamo fare... Ella diceva sempre di no, che non era per lui, stavolta col viso scuro ed imbronciato. Allora compare Santo scoraggiato si assettò la bisaccia sulle spalle e si mosse per andarsene a capo chino. La Rossa almeno voleva dargli gli asparagi che aveva colti per lui. Facevano una bella pietanza se accettava di mangiarli per amor suo. E gli stendeva le due cocche del grembiale colmo. Santo le passò un braccio alla cintola, e la baciò sulla guancia, col cuore che gli squagliava. In quella arrivò il babbo, e la ragazza scappò via spaventata. Il camparo aveva il fucile ad armacollo, e non sapeva chi lo tenesse che non facesse la festa a compare Santo; il quale gli giuocava quel tradimento. - No! non ne faccio di queste cose! - rispondeva Santo colle mani in croce. - Vostra figlia voglio sposarla per davvero. Non per la paura del fucile; ma son figlio di un uomo dabbene, e la Provvidenza ci aiuterà perchè non facciamo il male.

Pagina 5

Rosario. Dramma in un atto

249251
Federico de Roberto 3 occorrenze
  • 1899
  • Copisteria Presaghi
  • Roma
  • verismo
  • UNICT
  • ws
  • Scarica XML

Mamma, vostra eccellenza, scusate, se abbiamo bussato. Volevamo dirvi, prima che vengano le donne...

Pagina 11

Abbiamo fatto il voto di portar l'abito della Madonna finchè la pace non sarà tornata in casa nostra.

Pagina 3

Lo sapete che non abbiamo niente del nostro. Pure, sulla spesa, qualche cosa ho potuto risparmiare... Sono poche lire; ma non ho altro... Aspettate

Pagina 5

Una peccatrice

249780
Giovanni Verga 3 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

lo sapevamo; giacchè abbiamo accettato per voi... Quando c'entra quel demonio di contessa... - La contessa? - Eh, via!... forse che domani andate a cacciarvi una palla in corpo quasi colle pistole appoggiate sullo stomaco per quel povero mazzo che c'entra quanto un pretesto?!... Il conte è irritatissimo per l'assiduità che spiegaste nel far la corte a sua moglie, per cui la seguitaste da Catania a Napoli; e si è servito di questo pretesto per sfidarvi onde evitare il rumore. - Vi assicuro che non ho ancora l'onore di essere conosciuto personalmente da quella signora... - Il conte però sembra che vi conosca molto bene... A domani! A mezzanotte Brusio rientrando trovò una lettera che il cameriere gli disse aver recato due ore avanti una giovane assai elegante, che erasi annunciata per la cameriera della contessa di Prato. Egli aprì con febbrile impazienza la lettera profumata, della quale il bellissimo carattere inglese era tracciato con mano incerta e vi lesse:

Pagina 126

Pietro Brusio, l'uno dei due (ricorriamo al pseudonimo per questo come per quasi tutti i nostri personaggi, viventi ancora la maggior parte e molto conosciuti) è, come abbiamo accennato, un giovanotto alto; di circa 25 anni; alquanto magro, ciò che non impedisce che abbia delle belle forme, le quali sarebbero più eleganti, se avesse il segreto, come l'hanno molti, di saperle fare spiccare; ha i capelli assai radi, di un castagno molto più chiaro di quello dei suoi pizzi e dei baffi; pelle bruna; occhi piccoli e vivissimi; labbra alquanto grosse e sensuali; narici larghe e dilatantisi sempre più alla minima aspirazione del suo carattere impetuoso; piedi e mani piccolissime in rapporto alla sua statura. Nell'assieme figura energica e maschia, che può avere anche i suoi riflessi di bellezza, messa sul suo piedistallo, nella sua giusta luce, al suo posto insomma. È un giovane quale se ne incontrano molti in Sicilia: sangue arabo in vene andaluse: orgoglioso come un Cyd egli non dissimula menomamente le sue pretensioni di superiorità, che nulla sembra autorizzare nel suo esteriore. Vivo ed impetuoso come tutti i meridionali, egli scenderebbe sino alla lotta di piazza pel minimo sguardo un pò dubbio che s'incrociasse col suo. Natura generosa del resto, elevata, con molte aspirazioni al superiore, troppo nobile forse per trovarsi in contatto colla società del giorno senza risentirne gli urti, egli passa colla maggior facilità dall'estrema confidenza nella sua stella, nel suo avvenire (poichè egli avea dato due o tre drammi al teatro di Siracusa, dei quali si era parlato il giorno dopo soltanto, o non si era parlato affatto) allo scoraggiamento massimo, alla disillusione più completa di tutti quei sogni rosati, che pur riempiono un gran vuoto, rispondono ad un gran bisogno in quell'età in cui il cuore e l'immaginazione vivono anch'essi la loro vita. Il compagno che gli passeggiava allato è molto più piccolo; biondo, piuttosto grasso; uno di quei caratteri che non servono sovente ad altro che a far spiccare una individualità superiore a cui si accompagnano, di cui sentono e subiscono l'influenza come un satellite. Raimondo, il biondo, ha però il merito di essere come il compimento del carattere infiammabile, sovente del soverchio, del suo amico. Egli non ha la superiorità d'ingegno di lui, ma molta maturità di giudizio, ciò che lo fa ragionare calmo ed assennato, ed impedisce a Pietro di commettere mille pazzie, poichè Raimondo ha la voce dolce ed insinuante ed il carattere conciliativo; sembra infine che l'ardente carattere dell'amico suo subisca a sua volta l'influenza della pacata indole di lui. Entrambi appartengono a due buone famiglie di Siracusa. Raimondo è già laureato in medicina da quasi un anno, e Pietro studia legge per studiare qualche cosa che non gli rendesse soltanto strette di mano dei comici, che per altro si misuravano dal numero dei rinfreschi offerti e mai rifiutati, e qualche applauso, assai freddo, della platea, che avea il valore di un biglietto gratis. Abbiamo insistito, forse di soverchio, su questi dettagli fisici e morali, d'uso per alcuni, per noi resi indispensabili dalla necessità, che abbiamo peculiare, di far sentire, diremmo, i caratteri che presentiamo prima di agitarli nelle scene di un racconto intimo. Scopriamo sin dal principio il meccanismo, per non attirarci la taccia, poscia, di aver fatto agire delle marionette, da chi non ne vedesse il filo motore ch'è il cuore. Cinque giorni dopo, all'ora solita, noi incontriamo i due amici, che passeggiano, colla stessa sbadataggine, sotto gli alberi de Rinazzo; l'uno, il biondo, chiacchierando quasi sempre solo; il suo compagno col capo basso e le mani dietro le reni. - Mio caro, - diceva il biondo, guardando l'amico negli occhi in aria di malizia, - risponderai almeno questa volta a quella piccina? - Io? - rispose bruscamente Pietro, come destandosi di soprassalto, - e perchè fare? - Bella risposta! che pure non avrebbe avuto l'opportunità, di venir fuori oggi, se tu l'avessi data a te stesso il giorno, o piuttosto la sera, che ti venne in mente di accalappiare colle tue commedie quella poveretta. - Credo che tu abbi ragione in quanto alla risposta; e che tu dica una bestialità, ciò che fai spessissimo, in quanto a quello che mi vai cantando di accalappiamenti e di poverette... - Pietro... - Lasciami tranquillo, ti dico!... Ci credi sul serio dunque che a quest'ora Maddalena, la piccina, come la chiami, pianga e si disperi perchè non le scrivo più, perchè la sera, onde aspettarla sotto il verone, non rischio più di farmi gettare delle immondezze sul capo da qualche serva maligna, che finga di non vedermi, e perchè non do più lo spettacolo ai vicini, che si mettono ad origliare dietro le imposte, di quelle freddure che si ricantano sempre sullo stesso tuono: buona sera; come stai? mi ami sempre? non quanto me... ecc. ecc. poichè le varianti sono pochissime!! ln fede mia che ne ho abbastanza di tali amori da quindici anni!!.. se mi avesse permesso di salire un momento sulle scale... pazienza!... - Sì, Pazienza per altri otto giorni! la sarebbe finita come tutte le altre... Eppure ti assicuro che se tu l'avessi veduta piangere come io l'ho veduta; se ella ti avesse abbracciato i ginocchi come li ha abbracciati a me, per indurti ad andarla a vedere, a scriverle almeno... se tu avessi udito le parole ch'ella mi diceva!... - Parola d'onore! - esclamò sghignazzando Pietro, - che tu ne sei innamorato cotto. Va, Raimondo, amico mio, tu farai il tuo cammino, coi tuoi ventidue anni, i tuoi capelli biondi, e il tuo volto fresco e roseo. Il biondo prese quegli scherzi come li prendeva sempre, dalla parte che lasciano ad un uomo di spirito, ch'è quella di riderne pel primo, e riprese: - Se così fosse, confessa che mi saresti molto obbligato di averti sbarazzato di una noia, senza i ritornelli soliti di traditore, Iddio è giusto, ecc. Pietro ne rise esso pure, e strinse con effusione la mano del suo amico. - Sentimi, caro Raimondo; - diss'egli alquanto gravemente; - io non son di quelli che dicono: fo così perchè così fanno gli altri. Mi sento troppo superiore a questi altri per seguirne l'esempio. A diciott'anni è permesso credere ancora all'amore, alla fedeltà, alla donna tipo, eroina, come impastocchiano gli sfaccendati nei romanzi... A ventiquattro (è desolante quello che dico, ma non è men vero) si è scettico come lo scetticismo, quando cento volte si sono ascoltate le più appassionate proteste, fatte colle lagrime agli occhi, dalla donna che ha in saccoccia la lettera del rivale. - É curiosa! - interruppe Raimondo. - Che cosa? - Come ti hanno guastato i romanzi di Sue; tu, accannito avversario dell'esagerazione della scuola francese, e che ora mi copii sì bravamente l'Uomo stufo a ventun'anni, lo Scipione del Martino il Trovatello... - Non copio io! - disse Pietro quasi con asprezza; - ti dico soltanto quello che penso. Ti dico anche che darei qualche cosa del mio avvenire per possedere ancora le illusioni sì care de' miei diciassette anni... Tu conosci la mia vita, Raimondo!... Ti ricordi di una giovanetta che amai alla follia... Che fece quella giovanetta per la quale avevo pianto... ne ho vergogna anche a pensarci... pianto dinanzi a te... come un fanciullo... come un vile?! ... Ella m'ingannò per un mercante; poi; poi per un nobile, per un uomo ammogliato... E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poichè temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poichè s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi... Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita... Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora... e le espressioni appassionate di lei, che egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore... In seguito amai una fanciulla... pura siccome un angiolo: come direbbe il il signor Darmont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti... Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei... Scesi persino alle puerilità del collegiale... passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa... Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso... E dopo questo, dopo innumerevoli esempi, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più averi fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto o giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolare di primo anno? - Ti rispondo colle tue parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione. - Può essere anche questo; - rispose sorridendo il giovane; - del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio. Infine vuoi una parabola per convincerti? - Fuori la parabola! - Ecco! - e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero. Acceso il foglietto, cominciò accenderne tranquillamente il sigaro. Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali. - Hai veduto? - gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro. - Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia. - È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura piú di cenere di carta, o biglietto amoroso... o sigaro regalia. Spero di farmi nome almeno coi proverbi... giacchè non l'ho potuto con opere di maggior lena... Ma guarda laggiù, imbecille!... - Che c'è? - Cospetto!... la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa! - È vero. - Che donna... Perdio!... - Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando... - Non ho parlato di maraviglie. Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il suo pardessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pince-nez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole. Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide, o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava. - Hai udito che bella voce! - esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; - all'accento mi parve torinese... lo adoro tutto il Piemonte in questo momento... - Eppure veduta dappresso non è bella... - È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti. Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce cha sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suo magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poichè rubato a Dio, della sua beltà... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poichè non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e di incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poichè sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena... - To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?... - lo! - rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, - sei pazzo! - Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero. Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

Pagina 13

Terminati gli esami abbiamo stabilito di andare a passare una settimana alla campagna. - Grazie, grazie, Raimondo! - disse la madre stringendo la mano del giovane - voi siete il degno amico del mio Pietro... Ve lo raccomando!... Siamo tre donne che non abbiamo più che lui... Vestito che fu Pietro i due amici andarono alla Marina. I viali erano affollatissimi; la musica eseguiva le più appassionate melodie di Bellini e di Verdi; un bel lume di luna si mischiava alle vivide fiammelle dei lampioncini, sospesi in festoni agli alberi, che illuminavano i viali. Era una di quelle sere incantate che si passano su queste spiaggie del Mediterraneo, in cui lo specchio terso ed immenso del mare, che riflette tremolante il raggio dolce e pacato della luna, sembra servire di cornice al quadro allegro, vivace, animato, che formicola colle sue mille seduzioni sotto gli alberi. Pietro si sentì come allargare il cuore e fu grato all'amico di quella piacevole sensazione; essi passeggiavano per uno dei viali più appartati. - Non m'inganno! - esclamò Pietro tutt'a un tratto, come di soprassalto, stringendo vivamente il braccio dell'amico contro il suo; - è lei!... là!... in mezzo a quei due uomini!... In fondo al viale quasi deserto, perchè troppo lontano dalla musica, spiccava infatti, e per la solitudine del luogo, e per una certa originalità elegante di abbigliamento e di andatura, la signora che aveva recato tale impressione in Pietro Brusio. Vestiva un semplicissimo abito di tarlatane a quadretti bianchi e bleu, tessuto di una freschezza e leggerezza quasi vaporosa; uno sciallo nero, fermato sul petto da uno spillone d'oro; ed un cappellino grigio ornato cerise. Nulla, però varrebbe a riprodurre l'eleganza suprema, la molle e quasi ingenua civetteria, con la quale ella rialzava la veste sino a metà della sottoveste ricchissima e si appoggiava al braccio di un uomo di quasi 30 anni, assai bruno, col volto ombrato da una folta barba nera, che avrebbe fatto invidia ad un guastatore, e vestito con ricercatezza alquanto leccata. Dall'altro lato era accompagnata da un signore di mezza età, alto, quasi biondo, freddo, e che parlava con una bella pronunzia toscana. I due giovani, passeggiando, s'incrociarono con essi che venivano loro di contro. Questa volta uno sguardo della signora, incerto, quasi negligente, si fissò indolentemente, ma a lungo negli occhi ardenti di Pietro che la divoravano. Due o tre volle ancora i due amici l'incontrarono di faccia; e ciascuna volta quello sguardo limpido, chiaro, noncurante, si fissò sul giovane che la guardava a lungo; e ciascuna volta il cuore di Pietro batteva stranamente in modo più forte; e le sue guancie pallide e brune si facevano ancor più pallide; e il suo occhio sfavillava più ardente; ed egli affrettavasi, trascinava quasi il suo compagno per giungere a quest'attimo in cui quella silfide dovea passargli dinanzi, in cui quella veste doveva sfiorarlo, in cui quegli occhi dalla pupilla trasparente dovevano fissarsi sui suoi, sebbene come non vedendolo. Una o due volte che Brusio non incontrò quello sguardo, fu triste, quasi dispettoso di se medesimo. Una volta, l'ultima, in cui gli parve accorgersi che, lui oltrepassato di uno o due passi, ella, parlando all'uomo a cui dava il braccio, verso di cui si piegava sorridendo con una grazia affascinante, avesse rivolto a metà il viso verso di lui e che un lampo partito da quegli occhi lo cercasse, egli fu ebbro... felice di una sensazione nuova, strana, che non sapea definire, della quale avea quasi paura, poichè non poteva giustificarla. Ritornando per lo stesso viale la cercò invano cogli occhi da lungi... Giunse in capo al viale, era deserto... La cercò per tutta la Marina, come se in quella folla elegante ed animatissima avesse dovuto discernere in mezzo a mille colei al solo riflesso azzurrognolo dei ricci che ombreggiavano la sua fronte fin quasi sulle sopracciglia, al solo movimento della sua piccola testa che sembrava inchinarsi come un giunco sul collo sottile e ben modellato; era partita... Che voleva egli? Che cercava da quella donna, di cui il lusso, il corteggio, l'adulazione era l'atmosfera in cui viveva; che gli uomini più ricchi, più eleganti, più nobili si fermavano ad ammirare, senza che ella mostrasse avvedersene; che tre o quattro volte l'avea guardato come si guarda un fanciullo, un albero, un oggetto qualunque che s'incontri?... Nemmeno egli lo sapeva in quel punto; egli avrebbe arrossito di confessarsi la premura che prendeva per colei che dovea essere sempre un'estranea per lui. Cinque minuti dopo riprese il braccio di Raimondo, dicendogli: - Andiamo via! - Così presto? - Non ti annoi a morte qui stassera?... Non c'è alcuno!... Raimondo guardò attorno, come trasognato, perchè giammai la Marina di Catania avea offerto una riunione più bella; e domandò ingenuamente: - Sei pazzo?... Tu stesso un quarto d'ora fa mi dicevi esser deliziosa questa serata... qui... - Sarà vero anche ciò, come è vero che ora mi annoio... e se vuoi rimanere ti dico addio. Egli stese la mano come per congedarsi. - Un momento... ecco! giunge in quel viale a sinistra Maddalena. Guardala almeno una volta. - Che m'importa di Maddalena a me!... Guardala tu, se vuoi... Addio! E dopo quella brusca separazione partì di buon passo e si diresse verso la sua abitazione per via Garibaldi. Però giunto alla crocevia della Vittoria sembrò esitare un momento, e proseguì a camminare sin fuori Porta Garibaldi. La notte era magnifica, Pietro sedette sul sedile di pietra circolare che limita la gran piazza. - È strano - mormorò egli - come stassera non ho voglia nè d'andare a casa, nè di rimettermi alle mie tesi!... E rimase altri cinque minuti in silenzio collo sguardo fosco e fisso sui ciottoli del marciapiede. - Andiamo! - esclamò quindi levandosi, e come facendosi forza; - devono essere le undici, e mia madre a quest'ora mi attende. Guardò il suo orologio e si diresse lentamente verso la sua abitazione. La signora Brusio, coll'occhio della madre, osservò che il suo Pietro, quella sera, era più pallido e distratto del solito; e che, invece di rimettersi a studiare, si ritirò, appela giunto, nella sua camera. L'indomani Raimondo, verso le undici, si disponeva ad uscire, quando Pietro entrò da lui nella camera che occupava all'Albergo di Francia. - Buon vento! - esclamò Raimondo sorpreso da quella visita che non si aspettava più da un mese; - ci son novità stamattina? - Quali novità vuoi mai che ci sieno? - Per bacco! ti credeva sui digesti a quest'ora; ed eccoti già a correre le strade come uno sfaccendato. - È che lo sono. Avrò sempre il tempo di finire le mie tesi, ed ero una gran bestia a prenderla tanto sul criminale; infine ne vengono approvati tanti più asini di me!... Usciamo. - Usciamo pure. Hai fatto colazione? - Non ci penso; mi sento in vena di passeggiare. - Con il caldo che fa non è la miglior cosa. - Andiamo alla Villa. - Sia per la Villa. - E i due amici uscirono, tenendosi, al solito, a braccetto. - A proposito della Villa, sai dove abita quella signora piemontese tanto distinta che abbiamo incontrato qualche volta? - No... dove? - In una bella casa sulla strada Etnea; della quale i veroni si vedono dal Laberinto. - Dici davvero?! - esclamò Brusio, animandosi quasi suo malgrado, e fermandosi in mezzo alla strada. - Verissimo. - E tu l'hai veduta? - Io stesso. - Proprio lei?... - Proprio lei!... Ma che diavolo!... Ne saresti innamorato?... - Mi credi forse pazzo da legare? - rispose Pietro con un sorriso che dissimulava appena la contrarietà che gli arrecava quella domanda. - Perchè poi? - Perchè amarla io, sarebbe una disgrazia: amarmi ella un assurdo. - Mi piace questa modestia da venticinque soldi. - È modestia che vale amor proprio; - rispose Pietro piccato - prendila come vuoi. - Eppure vediamo: - insistè Raimondo attaccandosi al braccio del suo amico - immaginiamoci che per un capriccio, una fantasia, un destino, secondo te, questa donna s'innamori di te; immaginiamoci ch'ella te lo dica, come lo dicono le donne quando vogliono, facendotelo comprendere, cioè, cogli occhi, col gesto, coll'atteggiamento... Ebbene! allora saresti il Catone del momento?... - Impossibile! - esclamò il giovane tristamente, come se avesse creduto un momento a quel sogno e si fosse poi accorto ch'esso era troppo bello e insieme penoso per lui. - Perchè? - Perchè colei è vana, orgogliosa, come lo dimostra il fasto di cui si circonda. Soltanto potrebbe impressionarla la bellezza, l'eleganza, la nobiltà, la ricchezza, il lusso... cose tutte che non posseggo. Dunque o costei è maritata, e non amerà giammai un Don Giovanni in ventiquattresimo che si chiama semplicemente Pietro Brusio; o è mantenuta, e non possederò mai abbastanza per pagare i suoi fiori per un anno; o è zitella, e non sposerebbe certamente l'uomo oscuro, comune, che non ha tanto da farla vivere in quel lusso nel quale vive, e che le è necessario, indispensabile per essere quella che è. In tutti questi casi dovrei dunque essere vile per amarla, o dovrei comprare il suo amore a prezzo di qualche infamia. - Ben pensato e ben ragionato! ciò che, in parentesi, ti avviene assai di rado. Vogliamo far colazione al caffè di Parigi? - No: andiamo al Laberinto. Raimondo guardò il suo amico di uno sguardo scrutatore e quasi beffardo. - Ti fo riflettere che non ho ancor fatto colazione; abbi dunque la bontà di concedermi dieci minuti. I due amici entrarono dai fratelli Guerrera. Mezz'ora dopo erano alla Villa. Faceva molto caldo. Il Laberinto era delizioso colle sue ombre profumate di fior d'arancio, I due sedettero all'ombra, e quasi contemporaneamente alzarono gli occhi sui veroni della casa, sebbene alquanto distante, che Raimondo avea indicato come l'abitazione della Piemontese. Le tende di giunco erano abbassate sulle ringhiere, quantunque il sole non vi giungesse ancora, forse per dare alquanto più d'ombra agli appartamenti; e dietro una di quelle si vdeva una figura di donna, vestita di bianco, quasi coricata su di una poltroncina con tutto il languente e voluttuoso abbandono di una sultana; a quella vista il cuore di Pietro battè forte, come la sera innanzi. - È dessa! - disse Raimondo - vedi che non t'ingannavo!... Pietro non rispose, tenendo sempre fissi gli occhi sul verone. Ella si toglieva soltanto a lunghi intervalli da quella positura per recarsi agli occhi un binocolo che teneva sui ginocchi e col quale guardava nella strada o verso la Villa; ed indi, come stanca di quello sforzo, lasciava ricadere mollemente la testa sulla spalliera, e sembrava assorbirsi in quell'inerzia contemplativa che gli orientali cercano nell'oppio. Un uomo, seduto accanto a lei su di una seggiola assai bassa, le leggeva qualche cosa di un giornale che teneva fra le mani, e che ella udiva sbadatamente; e si interrompeva di tratto in tratto per prendere una mano di lei, che gliela abbandonava con la stessa languida indifferenza, e che lo ringraziava col suo sorriso seduttore e col suo sguardo che faceva scorrere un'onda di voluttà in quell'uomo, quand'egli si recava alle labbra la sua mano: Allor solamente, la sua leggiadra testolina, coronata da quei ricci magnifici, si volgeva lentamente verso di lui. Qualche volta, con un movimento tutto infantile, quella manina bianca ed affilata si appoggiava alla ringhiera, e sopra vi si appoggiava la fronte; quasi quel bellissimo collo fosse troppo debole per sostenere quella piccola testa. - Con questa donna ci sarebbe da impazzire! - esclamò Pietro reprimendo un fremito, dopo averla divorata a lungo dello sguardo. - Credi che siano marito e moglie? - domandò l'altro. - È il mistero che questa donna sa rendere impenetrabile colle sue mille indefinibili gradazioni di fisonomia, d'espressione, di gesto, che fanno spesso dimenticare la sirena nella vergine, e viceversa. Se lo sono è da poco tempo: a meno che costei non senta ancor ella sì a lungo come deve far sentire a tutti quelli che l'avvicinano. Parecchie volte, forse a caso, l'occhialetto dell'incognita si rivolse verso il banco di pietra sul quale erano seduti i due amici. - Ti guarda! disse Raimondo sorridendo. O guarda i passeri che saltellano fra le frondi. Credi sul serio ch'io ne sia innamorato? - Ne parli tanto!... - Diffida sempre di quegli amori di cui ti si parla a lungo e sì leggermente: è segno certo che si vuol ridere alle tue spalle... Io l'amo come un bel personaggio da dramma o da romanzo, come un bel fiore... come una bella donna prima venuta insomma... che sa recare con grazia il velo sul cappellino e sollevare con disinvoltura lo strascico della veste... e nient'altro... In fede di che, se vuoi, andiamocene; sono le due meno dieci minuti, - aggiunse dopo aver consultato l'orologio. - Sì, è troppo tardi; siamo qui da più di due ore; - rispose il biondo alzandosi. Egli sorprese lo sguardo del suo amico che ancora restava fissato sul verone. - Vuoi venire, o no? - Un momento... restiamo altri dieci minuti e partiremo alle due precise... - Non amo gli inglesi colla loro metodicità regolata sul quadrante di un orologio... Hai detto d'andarcene... - Hai ragione; - rispose Brusio ridendo - partiamo. Due o tre volte, prima di uscire dal giardino, si volse a guardare il verone, sul quale non poteva più vedere che la tenda abbassata. - Bella donna! - ripeteva egli di tempo in tempo, con un entusiasmo che era troppo allegro per non essere affettato, e troppo affettato per non nascondere una preoccupazione: quanto io t'amo!

Pagina 33

Dramm intimi

249976
Giovanni Verga 3 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

— È successo - rispose il Moccia - che abbiamo addosso il castigo di Dio. Non avete inteso che verrà la cometa? Ella, vedendo piovere su quei rifugiati, stretti sull'argine, andava dicendo, senza pensare a lei, che poco poteva starci: — E quei poveretti? E se si sfascia l'argine? E il grano ? E la casa ? E il mulino? E come farete, babbo, senza di me? — Una cosa da far compassione alle pietre — conchiuse il Moccia, a vederla andarsene così, in mezzo a quella rovina.

. — Noi altri medici allo volto abbiamo cura d'anime — aggiunse il dottore sorridendo. — Forse è stato un bene che quel signore sia arrivato nel momento della mia visita. — Ma ogni speranza non è perduta, dottore? Per l'amor di Dio !... — No... secondo i casi. Buona sera. La contessa rimase un momento in quella stanza, quasi al buio, asciugandosi col fazzoletto un lieve sudore che lo umettava le tempie. Quando ripassò dal salone, rapidamente, guardò Danei in un canto, nel crocchio degl'intimi, e salutò tutti con un cenno del capo. — Bice, figlia mia! il dottore t'ha trovata meglio oggi, sai ! — Si, mamma — rispose la fanciulla dolcemente, con quella amara indifferenza degli ammalati gravi che stringe il cuore. — Ci è di là delle visite per te. Vuoi vederli ? — Chi c' è ? — Ma tutti. La tua zia, Augusta, il signor Danei... Vuoi vederli? Bice chiuse gli occhi, come fosse stanca; e nell' ombra, così pallida com'era, si vide un lieve rossore montarle alle guance. — No, mamma. Non voglio veder nessuno. Attraverso quelle palpebre chiuse, delicato come foglie di rosa, sentiva fisso su di lei lo sguardo angoscioso ed intenso della madre. All'improvviso riaprì gli occhi, e le buttò al collo quelle povero braccia magre e tremanti sotto la batista, con un moto indefinibile di confusione, di tenerezza e di sconforto. Madre e figlia si strinsero teneramente, a lungo, senza dir parola, piangendo entrambe delle lagrime che avrebbero voluto nascondersi.*

Pagina 12

Io e il dottore non ci abbiamo più nulla a fare in questo viaggio. Tutta la mia pretesa è che siate felici! E sorrideva agli sposi, del suo sorriso un po' stanco. La figlia alle volte aveva inconsciamente degli sguardi acuti che correvano come un lampo dal fidanzato alla madre. A quelle parole, senza saper perchè, l'abbracciò stretta, nascondendolo il viso in seno. La contessa diceva che quella ora l' ultima sua festa; e le sue spalle bianche e delicate si mostrarono un' ultima volta alla cerimonia dello sposalizio, nelle sale scintillanti di lumi, e affollate di amici o parenti come nei giorni più tristi in cui venivano a chieder notizie della Bice. Roberto le baciò la mano senza poter dissimulare un certo turbamento. Poi, quando l'ultima carrozza fu partita e non rimase a piè dello scalone che il piccolo coupé del marchese, e la carretta inglese che portava il bagaglio degli sposi, mentre Bice era andata a cambiarsi d' abito, rimasero soli un momento, Roberto e lei. — Fatela felice, Roberto. Danei era nervoso, abbottonava macchinalmente il suo ulster da viaggio, si cavava e tornava a infilarsi i guanti. Non disse una parola. Madre e figlia si abbracciarono strette, strette, lungamente. Poi la contessa respinse quasi bruscamente la figliuola, dicendo: — È tardi. Perderete il treno. Andate! andate! *

Pagina 30

La caccia al lupo. La caccia alla volpe

250353
Giovanni Verga 2 occorrenze
  • 1902
  • Fratelli Treves Editori
  • MIlano
  • verismo
  • UNICT
  • ws
  • Scarica XML

Abbiamo la morte sul collo, tu ed io!

Pagina 42

E allora abbiamo tempo sino a domani.

Pagina 44