Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La Stampa

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AA. VV. 31 occorrenze

Ancelotti: stavolta non abbiamo meritato

Abbiamo fatto un altro paio di interruzioni al programma di Fazio. Ma poi mi sembrava che facessero a pugni con i normali programmi della domenica. Per cui alle 17,30 ci siamo consultati con Iseppi e col palinsesto, abbiamo chiesto la linea e l'abbiamo tenuta in continuazione fino alle 18,40, mettendoci dentro tutte le notizie che arrivavano».

## «Abbiamo consegnato a Roma persino tribunali, carabinieri, polizia e insegnanti»/##

Noi abbiamo già votato la Bicamerale, non abbiamo capito l'uscita del sen. Cossiga, così come non abbiamo capito e non condiviso Fini, che l'ha osannato. Prendiamo atto che invece c'è nel Polo, su invito di Berlusconi, un supplemento di riflessione».

Baluardo pure lui, gradatamente torna il difensore centrale sicuro e attento che abbiamo apprezzato due stagioni fa.

Siamo disponibili, anche se al congresso abbiamo messo due paletti: il centro non lo si fa riunendo a un tavolo la classe dirigente, ma ricercando rapporti con la società; per fare questa operazione non abbiamo intenzione di svendere la nostra identità di partito popolare e d'ispirazione cristiana».

«Abbiamo compreso le attività di questo settore in un contenitore unitario. Per il momento non c'è una società: la questione è legata alle prospettive dell'intesa con un partner».

Abbiamo perciò bisogno di un partner che faccia questo mestiere, abbia una grande qualificazione tecnologica e disponga di capacità di marketing».

«Dopo l'incidente, quando il treno si è fermato - ha continuato Lo Schiavo - abbiamo cercato di rompere i vetri con un sasso ma non ci siamo riusciti». Il giornalista ha raccontato che «una decina di minuti dopo che il treno era partito da Milano, abbiamo sentito una comunicazione di servizio che avvisava il capotreno di una porta aperta. Il treno allora si è fermato affinché la porta potesse essere chiusa». «Non abbiamo visto Cossiga - ha continuato - ma c'è stato raccontato che a causa dell'incidente era caduto e ha detto a quelli che erano accanto a lui di non muoversi perché la carrozza era in bilico. Abbiamo saputo che sul pendolino c'è una scatola nera come sugli aerei e questo dovrebbe permettere di capire la causa. Le condizioni meteorologiche erano buone a Piacenza mentre prima e dopo abbiamo trovato nebbia. Quanto ai soccorsi e all'assistenza di polizia e ferrovie sono stati encomiabili». Un altro passeggero del pendolino deragliato, Marco Bonarrigo, anch'egli giornalista di «Bicisport», ha raccontato che prima dell'incidente il treno «non andava velocissimo. Io leggevo i giornali e ho sentito una forza che ci ha spostato in avanti».

Vincendo al Dall'Ara il Parma continua la sua rincorsa, ma Ancelotti non è del tutto soddisfatto: «Sono sincero: non abbiamo meritato il successo. Avrei preferito legittimare il risultato con una bella prestazione, come abbiamo fatto contro Milan e Juventus. Forse abbiamo pagato quelle due vittorie sul piano della concentrazione; ma se non scendiamo in campo sempre determinati al massimo, significa che non siamo ancora una grande squadra». Quali i lati positivi allora? «Innanzitutto la difesa, poi la coppia d'attacco Stanic-Strada, che ha fatto per intero il suo dovere. Ma ripeto, i tre punti sono un premio largo per la nostra prestazione; il Bologna è stato sfortunato». Ulivieri, invece, di sfortuna non vuole sentir parlare e inventa uno dei suoi paradossi: «Macché sfortuna: ho sempre detto che per parlare di sfortuna bisogna colpire almeno cinque pali, e noi ne abbiamo presi solo tre! Diciamo che sono stati fortunati loro». Infatti non è passato inosservato il simpatico siparietto, che ha divertito anche Ancelotti, inscenato da Ulivieri quando si è quasi seduto sulla panchina parmigiana facendo ampi e chiarissimi gesti dopo la traversa di Tonisi a tempo scaduto. Dopo il caso-Nicchi, l'arbitraggio è un tema obbligato per il tecnico rossoblu: «Messina ha diretto bene, anche se vorrei rivedere qualche episodio, come un fallo su Scapolo e la mancata espulsione di Cannavaro. I fischi all'arbitro? Lo strascico di domenica scorsa».

La nostra banda ha preso possesso dei locali dell'ex ospedale psichiatrico da quindicianni, e in tutti questi anni non abbiamo ricevuto lamentele di nessun genere. Soltanto 8/9 mesi fa un'assistente sociale ci ha informati che durante le prove teniamo un volume troppo alto e subito abbiamo provveduto ad abbassare. Dopo di che nessun altro reclamo. In seguito all'articolo di cronaca vorrei sapere: i malati vengono curati con sonniferi? E dati alle ore 20? Non sembra essere un po' prestino? E poi devono dormire per forza?». Germana Petrini

Abbiamo sforato direttamente nel programma "Quelli che il calcio", chiedendo il permesso a Fazio. Io alle 14,45 ero già in studio, ho richiamato dal riposo domenicale tutta la redazione, ho fatto partire una giornalista da Milano, ho messo nella mia macchina di direttore un inviato con la scorta della polizia per farlo arrivare prima a Piacenza...».

Con questo pareggio abbiamo perso due punti: voltiamo pagina e speriamo di tornare subito alla vittoria». Aggiunge il presidente bianconero, Massimo Ghirlanda: «È stato un match che la Biellese avrebbe potuto vincere, visto i due pali e il gol subito su una distrazione difensiva. Ma questo conta poco: resta il fatto che ho visto una squadra scuotono, senza la solita lucidità e che non ha giocato ai suoi ritmi abituali La Biellese deve riflettere partendo dal presupposto che d'ora in poi gli errori e i cali di concentrazione non sono più ammissibili. Non considero grave il pareggio col Verbania ai fini della promozione, ritengo grave il pericolo che l'ambiente perda mordente. Ci aspettano due trasferte difficili con Trevigliese e Mariano, che sono però squadre alla nostra portata e contro cui dobbiamo riprendere il ritmo della prima della classe, altrimenti rischiamo di allontanarci troppo dal Legnano». Replica l'allenatore del Verbania, Giampiero Erbetta: «All'andata la Biellese aveva una marcia in più rispetto a noi. Ma poi abbiamo trovato un assetto migliore, mettendo insieme i molti elementi nuovi: tant'è che fuori casa non perdiamo da settembre. Abbiamo ottenuto un punto con una squadra molto rabberciata, e avremmo voluto condurre una gara diversa per fornire una migliore immmagine di noi. La Biellese ha creato qualche occasione in più, ma il Verbania non ha rubato nulla. Per noi è un ottimo risultato, visto che a Biella hanno pareggiato solo Derthona e Legnano».

Perché anche se non ci fossero stati tanti morti, e stavolta purtroppo ne abbiamo avuti, c'è gente a casa in angoscia. Ed è più tranquilla se va in onda un programma che la informa immediatamente su qualsiasi novità accada».

«Vuol dire che l'Ulivo, e in particolare le forze di centro che - è bene ricordarlo - hanno vinto le elezioni e hanno la maggioranza in Parlamento ma non ce l'hanno nel Paese, devono riuscire a creare quel consenso nella società oltre che nelle prossime cabine elettorali per poter fare quelle riforme per le quali abbiamo chiesto la fiducia degli italiani. E siccome molti di quelli che hanno votato per il Polo sono anche potenziali elettori di centro che si sono illusi di trovare le politiche di centro e le risposte alle loro domande nel Polo, credo sia doveroso che tutto l'Ulivo vada a cercarli».

Manca la lucidità, ma abbiamo fatto tutto il possibile. La verità è che non si può essere al massimo per 11 mesi l'anno. L'uscita di Boksic si è fatta sentire. L'Atalanta era chiusa, lui è uno che apre le difese». Ma aggrapparsi alla mancanza di Boksic è un alibi che gli altri bianconeri non vogliono accettare. Il più deciso nel negare l'indispensabilità dell'attaccante è Del Piero, che risponde risentito a chi gli fa notare questo particolare: «Ho visto una Juve che ha creato tantissimo. Mi pare troppo semplice e neppure tanto giusto spiegare l'assenza di gol con la mancanza di un punto di riferimento in attacco. Non abbiamo segnato, ma non perché è uscito Boksic. Non credo che questa scarsità di gol sia un fatto preoccupante, ma comunque deve farci riflettere». Anche Deschamps è d'accordo: «Aggrapparsi a Boksic mi pare una scusa che non regge. La verità è che problemi in attacco ne abbiamo sempre avuti e adesso che non siamo al meglio della condizione le cose sono peggiorate. Diciamo che è andata bene così. Noi qualcosa abbiamo creato, ma loro hanno colpito due pali». Non ci fosse stato Peruzzi poteva finire peggio. Il portiere, nel secondo tempo anche libero d'emergenza, spiega: «Domenica era colpa mia, oggi non mi sento il più bravo». E Ferrara conclude. «Non so se stiamo pagando il dopo Tokyo, ma il momento è delicato. Dobbiamo stare uniti, cercare di limitare i danni».

Invece, per rispetto ai soldi spesi dai milanesi, abbiamo voluto finirlo: e l'abbiamo finito. Ho visto una coppia di sposi che entrava: "Prendetevelo - gli ho detto -. È roba vostra”». All'uscita, gruppi di leghisti saltavano e gridavano: «Chi non salta, un italiano è». Non è stata un'inaugurazione ufficiale: quella verrà più avanti, in maggio, con l'avvio del Cinquantenario del Piccolo. È stata invece una «presentazione», una «festa popolare», come l'ha definita l'assessore alla Cultura Philippe Daverio. Una festa che è parsa soprattutto della Lega. Le opposizioni ripetono: questa presentazione è propaganda in vista delle prossime elezioni comunali.

«Non abbiamo ancora certezza che si tratti della tomba di Alessandro Magno - spiega Nureldine, che polemizza con il suo successore - ma sicuramente Liana ha trovato tracce di un monumento molto importante e bisognerebbe darle la possibilità di continuare gli scavi per sapere se la sua ipotesi è fondata o no». L'archeologa greca denuncia il rischio che i resti trovati nella località di Al Maraki siano danneggiati in modo irreparabile dalle acque sotterranee che stanno invadendo le fondamenta e dalle intemperie e che siano saccheggiati da tombaroli.

Noi, ad esempio abbiamo recuperato i sarti del Sud, a Napoli e Palermo, per evitare che la loro scuola scompaia Le possibilità sono infinite».

Ne abbiamo sei: Silvia Farina, che ha la polacca Olsza (n. 98), Gloria Pizzichini, chiusa da Arantxa Sanchez (3), come Laura Golarsa con Mary Joe Fernandez ( 16) e Flora Perfetti con la slovena Studenicova (30). Quasi facili invece le rivali di Rita Grande (l'australiana Me Quillan) e Francesca Lubiani (la spagnola Montolio).

Poi abbiamo saputo gestirlo». L'avvocato Prisco è l'immagine della felicità: «Un grande Pagliuca ci ha evitato una domenica amara. Beto, poi, è stato molto ingenuo e la sua espulsione ci ha agevolati. Inter anti-Juve? Io sono più anti-Milan, ma mi piacerebbe che fosse la Juventus l'anti-Inter. Ora siamo attesi da due gare interne. Non illudiamoci che sarà facile». Pagliuca è d'accordo con Prisco: «Contro Bologna e Udinese dovremo scendere in campo concentrati. Occorrerà maturità per non gettare al vento quanto di buono fatto sinora ». Branca assolve Taglialatela sul primo gol: «Ho ricevuto la palla, mi sono girato ed ho calciato in diagonale. Taglialatela pensava che mirassi al primo palo. Non ha colpe». Il Napoli, che ha perso l'imbattibilità al San Paolo dopo 9 mesi, protesta per l'arbitraggio di Bazzoli «Mi è parso che la palla fosse uscita dal campo, quando Winter l'ha data a Djorkaeff - dice il ds Pavarese -. Al dilà di questo episodio, non capisco la diversità di decisioni da parie dell'arbitro. Belo, giustamente è stato ammonito due volte su due falli di mano, anche se nel primo e era solo l'intenzione. Bazzoli pero non ha ammonito gli interisti nel primo tempo per altrettanti falli di mano. Forse aveva dimenticalo i cartellini nello spogliatoio. Sembrava voler tirare fuori il fazzoletto dalla tasca... ». Taglialatela e Caccia, con stili e modi diversi, preferiscono non parlare. Beto giura di non aver toccato la palla con la mano in occasione del primo cartellino giallo. Anche Simoni accenna alla disparità di valutazioni di Bazzoli, dopo aver elogiato il Napoli che non è stato a suo avviso inferiore all'Inter: «Ci rivedremo in Coppa Italia. Ora sappiamo di non essere meno bravi. L'espulsione di Beto? Mi è parso strano che non siano stati ammoniti anche gli interisti per i falli di mano».

Fa fede della nostra mansuetudine il fatto che le abbiamo consegnato senza reagire, se non con sterili borbottii, persino tribunali, carabinieri, polizia e insegnanti, cioè tutto il controllo presente e futuro della nostra società». Riaffiorano tra le linee gli echi delle più recenti e controverse campagne leghiste. Ma il futuro potrebbe anche riservare di peggio. Sono in arrivo tempi grami per i padani-abissini, vessati da un'Italia che «continua ad assomigliare all'Est comunista, all'Italietta fascista, al Regno Pontificio, molto più che all'Occidente liberista», si dilunga il senatùr in un intreccio di azzardati riferimenti storici. Con buona pace di quanti pensavano che il vero erede dell'Abissinia dovesse essere, semmai, il Mezzogiorno d'Italia, degradato nell'editoriale a patria dello statalismo e dei privilegi dell'assistenzialismo. «L'indipendenza della Padania, non la Bicamerale e il presidenzialismo», ammonisce Bossi. Ma attenzione: all'epoca gli italiani sfruttarono le incongruenze presenti nel trattato firmato insieme al neoimperatore d'Abissinia Menelik (Trattato di Uccialli, 1889) per rimettere in discussione i termini del protettorato italiano sull'Etiopia e far precipitare la situazione. Galeotte furono le due versioni dell'accordo, redatto in italiano e in aramaico. Oggi, nei rapporti diplomatici sempre più tesi con «Roma ladrona», meglio affidarsi a una lingua sola, evitando le traslazioni in lumbard. La Storia insegna.

Non abbiamo risorse umane o materiali destinate a questo scopo: da noi è la gente che viene a bussare alla porta». Anche i cinque dipendenti Atm hanno bussato alla porta? «Sono venuti prima in due, poi sono arrivati gli altri. Ma non c'è niente di strano. Recentemente è anche arrivato un alto dirigente di un ente pubblico. Negli ospedali ci sono ormai decine di medici e infermieri torinesi e piemontesi passati all'Islam. E nelle moschee ora cominciano a presentarsi anche studenti e giovani coppie italiane». Ovviamente nemmeno la Chiesa ignora il fenomeno delle coppie miste e della convivenza di culture diverse. Dopo il Centro diocesano «Federico Peyrone» di via Barbaroux 30, che da qualche anno si occupa del dialogo e della conoscenza islamo-cristiana, nei mesi scorsi è sorto «L'incontro» di via Le Chiuse 14, uno spazio di ascolto per famiglie di cultura europeo-islamica.

Abbiamo deciso così». E poi, poco prima di entrare nella cabina che avrebbe dovuto ospitarlo per 15 giorni: «Una spia rossa segnala un'avaria, ma secondo noi tutto funziona. Partiamo». Il nonno di Bertrand Piccard era Auguste, il primo uomo salito nella stratosfera. Il padre è Jacques, detentore del record di immersione con un batiscafo, che ora segue da vicino il tentativo del figlio. L'avventura, per questa famiglia, è una missione Alle 8,50 è tutto pronto. Un bacio ai figli e alle mogli, una torcia olimpica giunta dal museo della vicina Losanna per accendere il bruciatore, perché anche il Cio ha dato la benedizione (e lo spettacolo vuole la sua parte). Via agli ormeggi, giù la sabbia dai sacchi che fanno da zavorra come nelle mongolfiere d'un tempo, e i 45 metri del pallone argenteo si alzano lentamente, come in un sogno, verso il sogno. C'è anche Richard Branson a salutare Piccard e Verstraeten. Americano, padrone della Virgin, aveva tentato anche lui il giro del mondo. La settimana scorsa è precipitato nel deserto algerino, salvo per miracolo. Dice: «Spero che ce la facciano. Altrimenti ci riprovo io, tra un anno». La sfida continua.

All'improvviso abbiamo sentito un boato, come un'esplosione fortissima - racconta, ancora sotto choc, uno dei passeggeri; a quel punto qualcuno ha urlato all'autista di non fermarsi, di proseguire, non capendo che cos'era davvero accaduto». Di lì a poco la scoperta: non si era trattato di un incidente. Qualcuno aveva voluto trasformare quel pullman in un bersaglio. Tra i vetri mandati in frantumi, infatti, sono state ritrovate due grosse pietre. La prima del diametro di almeno 20-25 centimetri, una specie di piccolo masso; la seconda leggermente più piccola, ma comunque molto pesante e acuminata. Qualcuno le aveva lanciate contro l'autobus in corsa con l'intento di scatenare la tragedia. «Era buio, e per di più lì vicino è aperta campagna, c'è pure un campo di nomadi, è impossibile capire chi ci ha preso a bersaglio. Con tutto questo spazio, sicuramente, hanno potuto darsela a gambe indisturbati», ha commentato Mauro Lucadamo anche lui 16 anni, di Leinì. Qualcuno però su quell'autobus ha notato qualcosa in più: «Subito dopo l'esplosione dei vetri, mi è sembrato di intravedere, a fianco del pullman, la sagoma di un ragazzo alto circa un metro e sessanta: aveva i capelli corti, era giovane e portava una felpa. Altri elementi purtroppo non ne ho, si è dileguato in un attimo». Nel giro di dieci minuti dall'agguato, l'autobus era circondato dai carabinieri della Falchera e della compagnia Oltredora. Le due grosse pietre sono state poste sotto sequestro. Francesco Cirillo e Stefano Capobianco sono stati accompagnati al Giovanni Bosco. Ma anche gli altri ragazzi, tutti in preda al panico, sono stati a lungo interrogati dagli inquirenti. La zona è stata passata al setaccio nella notte, ma le vere indagini potranno partire soltanto stamattina appena farà giorno: quando i carabinieri potranno cercare di capire da dove vengono quei piccoli massi che ieri sera, se i ragazzi fossero stati seduti in un altro modo, sul pullman, avrebbero potuto uccidere. Al di là della macabra moda del momento (non c'è giornata in cui non si registri un episodio di violenza legata al lancio di sassi) la stessa zona, due anni fa, fu teatro di un episodio analogo: accanto alla tangenziale che da Torino porta a Caselle alcuni giovani furono fermati con l'accusa di aver scagliato delle pietre dalla massicciata sulla ferrovia. Non c'erano stati feriti, ma il fatto aveva comunque suscitato molto clamore. Un precedente caso di agguato contro un autobus, invece, si era verificato nell'agosto 1994, a Borgaro. In quel caso però non c'erano stati feriti. Ma erano stati trovati i responsabili: tre ragazzini nomadi erano stati fermati e accompagnati in questura. Una vicenda che i giornali seguirono con un certo clamore, anche perché era quello il periodo della scoperta della prima «moda» dei sassi. E clamore fra i passanti ha pure scatenato il fatto accaduto ieri sera ai danni del pullman numero 46. La gente, già impaurita per il dilagante fenomeno dei massi scagliati dai cavalcavia e ormai anche sui treni in corsa, si domandava, di questo passo, dove si finirà: «Anche contro i mezzi pubblici e in piena città - commentava allarmata una ragazza -, che vigliacchi ».

E nonostante un funzionaro di Nicosia abbia spiegato che ci vorrà almeno un anno per piazzare le batterie, il ministro della Difesa turco ha dichiarato seccamente: «Nel '74 abbiamo fatto ciò che era necessario. Se sarà di nuovo necessario, torneremo a colpire». A queste dichiarazioni, il portavoce del Dipartimento di Stato Nicholas Burns aveva pubblicamente risposto condannando «il ricorso alla forza» e ricordando all'alleato turco che «non è il momento per fare dichiarazioni feroci e drammatiche». Si è innescata così anche una disputa tra il governo islamico del premier Necmettin Erbakan e Washington, già preoccupata del progressivo scollamento di Ankara dalla compagine occidentale e dai suoi legami pericolosi con Teheran. Alle minacce della Ciller hanno fatto seguito quelle di Rauf Denktash, presidente della Cipro turca, una Repubblica che non esiste su nessuna carta internazionale, riconosciuta soltanto da Ankara. Se arrivassero i missili russi, permetterà ai suoi coloni di occupare Varosha, l'elegante quartiere residenziale greco di Famagosta, celebre ai tempi di Makarios, ora spettrale villaggio che marcisce spopolato, di fronte a una bella insenatura, circondato dal filo spinato e sorvegliato dalle sentinelle turche. Tutto questo non fa che esacerbare il revanscismo dei greco-ciprioti che dalla sconfitta di oltre vent'anni fa si stanno affannosamente riarmando: la spesa pro capite per la difesa, secondo JanÈs Sentinel 1996, è più della metà di quella di Israele. Con i suoi 600 mila abitanti, la Repubblica greca (che comprende il 60 per cento dell'isola) è dotata dei migliori carri armati russi, di moderna artiglieria e dei missili francesi Exocet che resero amara la vittoria inglese alle Falkland con l'affondamento di tre fregate. Di fronte a questo arsenale i turchi oppongono un rapporto di sei a uno nei carri armati e una totale superiorità aerea. Ma proprio questa superiorità è ora minacciata dagli Sa-300 e la rottura dei precari equilibri del terrore è sempre una delizia per il dio della guerra.

«Noi siamo pronti a dare il via a trattative - ha detto Georgi Parvanov - e non abbiamo alcuna obiezione all'idea di elezioni parlamentari anticipate» . Il leader neocomunista ha però aggiunto che «in vista di eventuali elezioni occorre un governo «”forte" diretto da un socialista» . Ciò dovrebbe contribuire, ha aggiunto, a «rafforzare la fiducia delle istituzioni finanziarie internazionali nella Bulgaria» . L'annuncio è venuto mentre nella capitale bulgara una folla straripante di 100.000 persone invadeva le strade, e dopo un appello venuto dal Presidente eletto, Potar Stoianov, che a dieci giorni dal suo insediamento ha sollecitato un incontro tra le parti. «Ma questo sarà possibile - ha detto - solo se il partito socialista andrà ai colloqui dopo aver già deciso di indire al più presto nuove elezioni politiche» . L'attuale Parlamento di Sofia, in teoria, dovrebbe essere rinnovato solo nel dicembre 1998. «La popolazione ha perso la pazienza. Non si può vivere con 20 dollari al mese quando un chilo di carne costa due dollari» ha affermato Stoianov dopo aver incontrato gli ambasciatori di Stati Uniti e Russia, due Paesi che dovrebbero svolgere un ruolo importante nella convulsa situazione politica della Bulgaria. Ieri anche il presidente del Parlamento, Blagovest Sendov, vicino al partito socialista, in una intervista alla televisione di Stato ha dichiarato di essere favorevole allo scioglimento anticipato dell'assemblea. «La sinistra democratica dovrebbe dimostrare di essere saggia e di avere a cuore le sorti del Paese - ha detto -. Sono necessarie trattative urgenti con il cartello delle opposizioni, ma a condizione che si vada alle urne prima della scadenza naturale del Parlamento» . Oltre che a Sofia, manifestazioni di protesta si sono svolte in quattro città di provincia, a Gabrovo (centro), Roussè e Svichtov (Nord) e Samokov (Sud Ovest), per protestare «contro la fame e la miseria» . «Elezioni, elezioni» e «Vittoria, vittoria» hanno scandito a lungo i centomila dimostranti di Sofia, radunatisi fin dalle prime ore del pomeriggio sulla spianata antistante le cupole dorate della cattedrale di Alexandr Nevskij, a pochi passi dal Parlamento. In un mare di bandiere tricolori (bianco, verde e rosso sono i colori nazionali bulgari) e di palloncini e stendardi azzurri (il colore tradizionale dell'opposizione anticomunista), ai manifestanti ha parlato tra gli altri il presidente eletto Stoianov. In serata la manifestazione - alla quale hanno partecipato folte delegazioni provenienti da numerose altre città del Paese - si è sciolta senza incidenti. Voci raccolte fra la folla: «Il governo dei rossi che ha portato la Bulgaria alla rovina deve andarsene. Vogliamo finalmente vivere in un Paese libero e democratico» , dicono due giovani, lui e lei, con le guance tinte d'azzurro. «Oggi in Bulgaria non c'è nessun avvenire per i giovani. Bisogna cambiare tutto» fa eco un anziano che innalza un cartello con la scritta «Via la spazzatura rossa» . Al raduno - il più massiccio fra quelli organizzati negli ultimi giorni dal fronte anticomunista bulgaro - si respirava un'atmosfera di fiducia ed euforia analoga a quella che dominava le piazze di Sofia nell'autunno del 1989, che vide la caduta del regime comunista di Todor Zhivkov (poi è venuta la rivincita elettorale dei neocomunisti nel '94). Rispetto ai giorni scorsi si è visto per le strade un numero più limitato di agenti di polizia, che si sono limitati a presidiare l'edificio del Parlamento, teatro nella notte fra venerdì e sabato di violenti e sanguinosi scontri. Rispondendo agli appelli dell'Unione delle forze democratiche, il maggior cartello dell'opposizione, varie categorie di lavoratori - minatori, portuali, studenti - si sono dette disposte a scioperare a oltranza fino a quando non verranno davvero convocate le elezioni. [Ansa]

Non abbiamo capito la scelta di Lippi. Fuori Boksic ha buttato in campo Vieri come terzo elemento del tridente, poi all'inizio della ripresa l'ha ricacciato negli spogliatoi per mettere Amoruso, puntando quindi sull'elemento tecnico più che sulla forza fisica di un'ariete. Non ci interessa quanto è avvenuto negli spogliatoi tra Vieri e il suo allenatore. Ma ci è sfuggito il senso di quella comparsata. Se Vieri e Padovano si sono pestati i piedi per venti minuti, per tutto il secondo tempo la Juve non ha avuto in mezzo all'area un bravocristo che si offrisse ai colpi di testa, che sono spesso l'unica arma per scardinare le difese affollate. La Juve dei frillini ha avuto la costanza di cercare la conclusione buttando palloni davanti alla porta atalantina e non è successo quasi niente: le uniche occasioni sono venute dal tiro di Amoruso sul palo (35') dopo una respinta corta di Pinato e dal pezzo di bravura di Padovano al 43'. Puro solletico. L'assenza di un vero bomber pesa, ormai, in Italia più di quanto non sia in Europa e nel mondo. L'Atalanta invece è uscita dal guscio, nello stile di Mondonico. Quando recuperavano palla davanti alla propria area i bergamaschi la offrivano a Inzaghi, tenuto lassù tra Ferrara e Iuliano, da lì ripartiva il contropiede. E si è visto come Morfeo non sia un prestigiatore d'attacco, è altra razza dai Del Piero o dai Baggio: a Torino lo si è visto giocare molto arretrato, come un vero regista, più attento a disegnare le geometrie per i compagni che per se stesso. Dal piede del piccoletto sono partiti due lanci straordinari per Inzaghi, che non ne ha approfittato arrivando solo davanti a Peruzzi. La Juve ha tremato e avrebbe potuto crollare all'inizio della ripresa e contro quel bunker chissà cosa avrebbero ottenuto le fragili baionette bianconere. Invece Inzaghi ha sbagliato un contropiede, Lentini ha colpito il palo, ancora Inzaghi nel finale ha centrato un legno complice la deviazione provvidenziale di Peruzzi. Negli spazi larghi si fa sempre bella figura e l'Atalanta l'ha fatta. Alla Juve resta un segnale da cogliere: non è così che si arriva allo scudetto.

«Con Casini ne abbiamo parlato più volte. E del resto, anche Dini e Maccanico progettano di unire i propri gruppi, in vista di questa modifica elettorale. Allo stesso modo, Forza Italia si federerà con ccd e cdu». E alla fine, potrebbe essere proprio questa, sul fronte degli equilibri interni al Polo, la novità politica dei prossimi giorni. Pur essendo scritto da mesi nell'ordine delle cose, e più volte rinviato per le resistenze dei «liberali» di Forza Italia, il rassemblement potrebbe infine materializzarsi. Consentendo a Berlusconi di respingere, sul terreno elettorale, l'attacco che il nuovo ppi centrista di Marini ha già annunciato di voler sferrare.

ROMA Abbiamo buttato vent'anni. Le novità del sistema politico italiano - alternanza, bipolarismo, lo smembramento della dc, la trasformazione del pei - sono nate vecchie, in ritardo, sono arrivate per l'esattezza Vent'anni dopo, come dice il titolo di un libro molto atteso di Giuseppe Vacca, che Einaudi metterà in circolazione il 23 gennaio, in tempo utile per il congresso del pds. Il sottotitolo mette a fuoco l'oggetto specifico dell'analisi: La sinistra tra mutamenti e revisioni. Otto capitoli, in cui s'intrecciano ricostruzione degli avvenimenti e polemiche interpretazioni delle scelte della sinistra. «Ma non è un pamphlet», dice al telefono Giuseppe Vacca. «È una raccolta di saggi che documenta venticinque anni di lavoro». D'altronde ha scritto un unico pamphlet, Per una nuova costituente, uscito l'anno scorso (Bompiani). Barese, 57 anni, docente universitario, in pensione, di Storia delle dottrine politiche, direttore dal 1988 della Fondazione Gramsci, è autore di diversi saggi che privilegiano l'analisi scientifica sull'intervento d'occasione: da Scienza Stato e critica di classe (1969) a Gramsci e Togliatti (1991), due personaggi a cui ha dedicato gran parte delle sue ricerche. Non è un pamphlet, quello di Vacca, ma è sicuramente un libro scomodo. I vent'anni di ritardo sono un riferimento duplice. C'è un ritardo del 1989 rispetto al '68-'69 e c'è un ritardo del 1996 rispetto al 1976. Che cosa significa? «Significa che per capire l'Ottantanove devi partire dal Sessantotto - risponde l'autore -. È allora che sono venuti alla luce gli sconvolgenti cambiamenti con cui facciamo i conti oggi. La conseguenza è che nel 1996 si cominciano ad affrontare i problemi che si sarebbero dovuti affrontare nel 1976». Quali problemi? «La crisi dello Stato nazionale, la fine dell'industrialismo classico, l'inizio della società dell'informazione, la crisi del Welfare State. Questioni oggi all'ordine del giorno nel dibattito italiano, soprattutto a sinistra. Ma questa non è altro che l'agenda degli Anni Settanta». Gli otto saggi che formano il libro - da «La politica del pci negli Anni Settanta» a «Il problema della nazione italiana e gli storici» -, tutti riscritti rispetto alla stesura originale, mentre uno è inedito («I primi anni del Pds. 1989-1994»), cercano naturalmente la spiegazione del ritardo con cui l'Italia si sarebbe misurata con questioni già discusse e macinate nell'Europa socialdemocratica. La responsabilità pesa sulle due maggiori forze politiche: la dc e il pci. «La dc è stata un capolavoro storico-politico, che teneva insieme destra liberale e forze socialdemocratiche, grazie al fatto che all'opposizione c'era il pci, un partito non al governo (come Togliatti sapeva benissimo), e che erano disponibili le risorse del Welfare State e dell'economia mista. Quando le risorse si riducono e l'elettorato si volge ai comunisti, vale a dire fra il 1975 e il 1976, Enrico Berlinguer non riesce a vedere la decisiva differenza fra alternativa e alternanza. Respinge l'ipotesi di vivere in condizioni di alternanza politica. Dice che con il 51 per cento non si governa. C'è un rifiuto esplicito da parte del pci, dopo il 1978 e dopo la fine della solidarietà nazionale, a prendere in considerazione modelli che non siano quelli del consociazionismo». Da qui la scelta democristiana del patto di coalizione nel pentapartito. E, di conseguenza, un sistema politico ingessato, destinato a sprofondare nella collusione e nella corruzione. Non è un pamphlet, Vent'anni dopo, ma le sue pagine promettono giudizi molto severi sui maggiori partiti e sui loro leader. Berlinguer, Moro e Craxi, in particolare: «Tre grandi uomini politici, ciascuno dei quali però conclude la sua stagione con un sostanziale fallimento». Il libro spiega come si possa recuperare il tempo perduto? «No, non è in nessun modo un libro di circostanza», risponde Vacca. Come leggerlo in chiave futura lo diranno semmai Massimo D'Alema, Giuliano Amato, Mino Martinazzoli e Ezio Mauro che presenteranno Vent'anni dopo martedì 28 gennaio a Roma.

Noi abbiamo guadagnato due punti sulla prima in classifica, ma le seconde sono andate avanti a pieno ritmo. Per noi non cambia nulla». Intanto Sebastiano Rossi festeggia il suo ritorno in campo a San Siro, accolto finalmente bene dai tifosi: «Per me si è trattato di un esordio. Sono soddisfatto di essere tornato davanti al mio pubblico. Ma il momento migliore è stato quando ho visto il guardalinee alzare la bandierina per segnalare un fuorigioco sul gol di Murgita». Desailly non sa spiegarsi i motivi della sua espulsione: «Mi sono limitato ad applaudire Maini, che secondo me aveva fatto una bella sceneggiata buttandosi in terra su mio intervento. Mi sono voltato verso l'arbitro per spiegarlo: ha pensalo che stessi applaudendo lui e mi ha inflitto la seconda ammonizione». Lo stesso Maini si ò detto sorpreso della decisione di Rodomonti. Ma brucia ancora quel gol annullato. Murgita: «L'arbitro mi ha detto che c'era Maurizio Rossi in fuorigioco. Non capisco perché; se anche il mio compagno fosse stato in posizione irregolare, era ininfluente perché il mio colpo di testa è finito direttamente in porta dalla parte opposta. Non è la prima volta che mi annullano una rete in questo modo, era già successo qualche settimana fa col Parma. E non parliamo di quando ero in serie B e C». «Di arbitri non parlo - taglia corto Guidolin -, prima vediamo la moviola e poi sta al pubblico giudicare in base a quello che vede. Coma ha già fatto altre volte. A me interessa far risaltare che il Vicenza ha disputato un'ottima ripresa e che un pareggio avrebbe meglio rispecchiato il valore delle due squadre. Perso il secondo posto? Noi siamo una piccola società, rientra nella norma trovarsi più indietro in classifica».

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