Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Storia sentimentale dell'astronomia

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Piero Bianucci 16 occorrenze

Ne abbiamo tre tipi, per il verde, il blu e il rosso, i tre colori additivi fondamentali. Combinandoli insieme è possibile ottenere sette milioni di sfumature. Solo i mammiferi più evoluti hanno questo dono.

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Un bel paradosso: l’immagine di ciò che abbiamo davanti a noi si forma alle nostre spalle e, per via dell’incrocio dei due nervi ottici, l’inquadratura dell’occhio destro va a sinistra e viceversa. Dalle due immagini, il cervello ne elabora una terza, dandoci la visione in 3D. Se non avessimo due occhi, la nostra vita sarebbe piatta, e non in senso metaforico. La visione stereoscopica si conquista a un anno di vita: ecco perché i neonati quando cercano di afferrare un oggetto spesso mancano la presa.

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Peccato che i riflessi umani abbiamo tempi di alcuni decimi di secondo, mentre la luce percorre tre chilometri in un centomillesimo. Galileo avrebbe concluso che la luce doveva essere almeno 10 volte più veloce del suono ma per la verità c’è chi dubita che abbia davvero eseguito l’esperimento. Rimane il fatto che lo immaginò, e che in mente aveva, come al solito, una sua convinzione da mettere alla prova.

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E poiché abbiamo 10 dita, decimali dovevano essere multipli e sottomultipli delle unità base.

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L’altra astronomia, detta “tianwen”, si dedicava ai fenomeni celesti imprevedibili e di breve durata: comete (abbiamo osservazioni della cometa di Halley), sciami meteorici, bolidi, comparsa di stelle “novae”, macchie solari (esistono registrazioni di grandi gruppi di macchie visibili a occhio nudo al tramonto e all’alba, quando la luce solare è attenuata dall’atmosfera), aurore boreali.

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Encke ed io lo abbiamo confrontato con una stella di magnitudine 9 al telescopio di Fraunhofer (obiettivo di 23 centimetri)”.

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In realtà il primo a parlare di canali fu padre Angelo Secchi, direttore dell’Osservatorio Vaticano, e il primo a demolirne il mito fu Vincenzo Cerulli (1859-1927), nel suo Osservatorio di Collurania, in Abruzzo, come abbiamo appena riferito.

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Da essi abbiamo imparato gran parte di ciò che sappiamo su come si evolvono le stelle dalla loro nascita per condensazione nel grembo delle nebulose alla loro morte più o meno violenta nelle esplosioni di nove e supernove.

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Abbiamo già incontrato il suo nome. Si chiamava Subrahmanyan Chandrasekhar, detto Chandra.

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Succede che tra le due piastre possono sussistere sono onde/fotoni con lunghezza d’onda compatibile con la distanza tra le piastre; intorno alle piastre invece abbiamo onde/fotoni di ogni lunghezza d’onda in quanto l’ambiente, per quanto raffreddato, emette con lo spettro del corpo nero; i fotoni intorno sono dunque più numerosi di quelli che si trovano tra le piastre, ed esercitano di conseguenza una pressione maggiore, che si manifesta come una attrazione tra le piastre stesse.

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Il mezzo secolo che abbiamo alle spalle per la conoscenza del sistema solare è stato più rivoluzionario dei quattro secoli precedenti. Raccontare questa epopea richiederebbe un altro libro. Accontentiamoci di un cenno alle “nuove astronomie” che captano messaggi inaccessibili ai nostri sensi grazie a strumenti in orbita su satelliti artificiali.

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Abbiamo poi un buon numero di pianeti (uno su quattro) simili a Giove ma caldi, troppo caldi per i nostri gusti. Anche questi sono gassosi: scordiamoceli. L’attenzione si concentra sui pianeti rimanenti, alcuni dei quali sono davvero bizzarri (per esempio orbitano intorno una pulsar). Nessuno è davvero paragonabile alla Terra: hanno masse maggiori, sono troppo vicini alla loro stella, hanno un clima torrido, probabilmente sono senza atmosfera. Qualcuno però sembra nelle condizioni giuste per ospitare la vita. Promettente è Kepler-22b, presentato come probabile Terra-bis in un articolo pubblicato su The Astrophysical Journal con la prima firma di William Boruccki dell’Ames Research Center della Nasa. L’autore esamina 54 pianeti che si trovano nella “fascia di abitabilità”, cioè a una distanza dalla loro stella tale da consentire l’esistenza di acqua allo stato liquido e un ambiente senza eccessiva escursione termica. Kepler-22b, scoperto appunto con il satellite della Nasa “Kepler”, è il miglior candidato: ha un raggio pari a 2,4 volte quello della Terra (quindi di circa 16 mila km), una temperatura media di 22 °C e orbita in 290 giorni a 127 milioni di chilometri da una stella simile al Sole (classe G5, un po’ più piccola e meno luminosa del Sole, che è classificato G2). Il sistema di Kepler-22b si trova a 600 anni luce da noi, tra le costellazioni del Cigno e della Lira. Non proprio dietro l’angolo. Il pianeta più vicino non troppo diverso dal nostro è Gliese 581 c: la sua stella, una nana rossa nella costellazione della Bilancia, dista 20 anni luce.

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Di lui abbiamo 17 lettere e un ritratto. Quindici lettere riguardano vicende legate alla cattedrale di Frombork in Polonia della quale fu canonico, la sedicesima tratta la riforma della moneta e la diciassettesima discute questioni astronomiche in modo molto tecnico, senza toccare il problema cosmologico. Bisogna dunque accontentarsi di notizie piuttosto aride e di sapore cronistico. Possiamo invece fidarci del ritratto, forse opera dello stesso Copernico o ricavato da un suo abbozzo di autoritratto. Nel dipinto, che risente del raffinato gusto rinascimentale, vediamo un giovane dagli zigomi sporgenti, labbra ben disegnate, mascella volitiva, capelli lunghi alla Beatles, occhi intensi di color marrone, sguardo laterale come se volesse suggerirci l’originalità del suo punto di vista. L’iconografia ci mostra inoltre un trauma del setto nasale e una cicatrice dovuta a un’arma da taglio sul sopracciglio sinistro.

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Poco dopo, ma non abbiamo date precise, fu la volta di Peiresc, che scrive a Paolo Gualdo: “Nell’ottobre scorso ero in un piccolo paese chiamato Belgentier quando mi accorsi della nuova stella vicino a Giove, a occidente... Scintillava, e ciò mi fece concludere che si trattava di una stella fissa”.

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Ma si può anche immaginare che Homo neanderthalensis e Homo sapiens non abbiamo avuto solo rapporti brutalmente conflittuali. Forse qualche irsuta signorina Neandertal fraternizzò con i più raffinati signori Sapiens, e qualche fanciulla Sapiens apprezzò la rude virilità del popolo Neandertal, tanto da generare una discendenza della quale siamo epigoni.

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Una traccia evolutiva si coglie nello sviluppo dell’embrione umano: a 4 settimane dal concepimento abbiamo una sola orbita, come i mitici Ciclopi. Poco dopo l’orbita migra sopra il naso e si sdoppia. Alla sesta settimana compaiono le palpebre, che poi per apoptosi (suicidio programmato) delle cellule mediane si dividono in due liberando l’occhio. Tre mesi prima di nascere i feti sono in grado di percepire la luce attraverso il ventre materno, ma appena nati vedono bene solo nella penombra, la luce li abbaglia. Si potrebbe dire che nasciamo per osservare le stelle.

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