Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia dell'uomo sulle Alpi: studii fatti sul Monte Rosa

432675
Angelo Mosso 50 occorrenze
  • 1897
  • Fratelli Treves Editori
  • Milano
  • fisiologia
  • UNIPIEMONTE
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Il meccanismo col quale stiamo in piedi e camminiamo, è una delle cose più complicate che siano nella fisiologia. Ho già accennato che molte ruote di questo congegno funzionano in modo affatto indipendente dalla volontà. L'indipendenza della loro funzione è tale che neppure la volontà può modificare il corso di questi movimenti. Per convincersene basta guardare come una persona cammina quando scende dalla bicicletta dopo aver fatto una corsa anche non molto lunga. Il modo di muovere le gambe e di fare i passi è diverso di quello che sia generalmente, e non si riesce, per quanto uno voglia, a riprendere l'andatura normale. Se alla fine di un'ascensione si potesse levare immediatamente ogni traccia della fatica dai muscoli, ci accorgeremmo di avere un' andatura diversa di quella che abbiamo abitualmente. Sono sensazioni cutanee, ma più specialmente nei tendini e nelle articolazioni e nei muscoli quelle che modificano l'andatura.

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Fino dall'infanzia abbiamo saputo che dopo la battaglia di Maratona un soldato corse tanto per annunciare la vittoria di Milziade, che appena toccò le porte di Atene cadde morto. Un caso simile è succeduto or è poco in una gara fra touristi, in un così detto record.

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Il cuore ed il respiro si alterano più facilmente sulle Alpi quando si compie il medesimo lavoro; ma la rarefazione dell'aria non esercita un'influenza immediata sulla forza e sulla resistenza dei muscoli: perchè anche all'altitudine di 4560 metri abbiamo l'energia per fare il medesimo lavoro che abbiamo eseguito in basso. Forse i prodotti della fatica agiscono più intensamente sull'organismo quando la pressione barometrica è minore. Il nostro polso era alquanto più frequente quando stavamo in piedi nella Capanna Regina Margherita. Questo va d'accordo e si spiega col fatto che sul Monte Rosa il polso ed il respiro presentarono per il medesimo lavoro una modificazione successiva più intensa.

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Certo dopo che cessa il movimento, si modifica la circolazione del sangue e della linfa nei muscoli e questo può contribuire a produrre una condizione meno fisiologica del muscolo, ma io credo che siano altre le cause le quali producono la sensazione molesta che tutti abbiamo provato quando dopo una lunga marcia e dopo aver lasciato per un certo tempo in riposo i muscoli vogliamo farli nuovamente contrarre.

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Abbiamo continuato regolarmente durante tutto il soggiorno sul Monte Rosa a fare queste osservazioni. La parte loro più importante è riferita in fondo al volume. Qui basta ricordare che il massimo della temperatura da noi osservato ad Indra fu 14° alle ore 3 pom. del 27 luglio.

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Come si faccia questa assimilazione, come dagli alimenti che abbiamo digerito le cellule traggano i proprii materiali, è un mistero. La meraviglia nostra è tanto maggiore quando vediamo che dai cibi i più diversi, se ne trae Capanna Regina Margherita sulla punta Gnifetti (altitudine 4560 m.). la materia per il cervello, i muscoli e la sterminata varietà degli elementi i quali costituiscono l'essere vivo.

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Il solo utile che abbiamo a mangiar carne, è che occorre un minore volume di alimenti per nutrirci.

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Abbiamo due mezzi per studiare le trasformazioni che succedono nel nostro corpo durante un'ascensione. Possiamo cioè raccogliere le scorie e le sostanze disintegrate, come facevano Fick e Wislicenus. La materia delle nostre cellule si trasforma e diviene simile alla materia inorganica a misura che da esse si sviluppa la vita ed il moto. Il sangue stesso si logora come ad esempio nelle ascensioni è dimostrato dal colore più rossiccio dell'orina. L''altro mezzo di studio consiste nel misurare il calore interno che accompagna il lavoro dell'ascensione.

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Occorrono altre ricerche più diligenti di quanto abbiamo potuto fare nella breve dimora sul Monte Rosa. Sappiamo del resto che anche il cuore si dilata nelle ascensioni per effetto della fatica. Dopo un'ora e mezzo il cuore deve essere diminuito di volume e questo permetterà che entri un po' più di aria nel torace per mezzo dei polmoni. Poi viene la fatica dei muscoli inspiratori, e la più grave complicazione è la paralisi del nervo vago, per la quale si dilatano i vasi sanguigni dei polmoni. Basta accennare questi fattori per mostrare quanto sia difficile tale studio.

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Su questo argomento abbiamo le ricerche di Marey Marey, Modifications des mouvements respiratoires par l'exercice musculaire. — Comptes rendus, 1880, pag. 145. che bastano per sè sole a dimostrarlo. Ho scritto già qualche pagina nel mio libro sull'educazione fisica, per dimostrare che non occorre fare la ginnastica agli attrezzi per dilatare il torace, bastando le passeggiate ed i giuochi ginnici per produrre lo stesso effetto. Recentemente il prof. Ziemssen tenendo un discorso a Monaco intorno alla importanza dei giuochi ginnici all'aria aperta per la gioventù, annunciò i risultati delle osservazioni che egli coi suoi assistenti fece per parecchi anni nelle scuole. Paragonando i valori ottenuti collo spirometro, trovò che gli scolari quando ritornano dalle vacanze dell'autunno, hanno una capacità dei polmoni maggiore di quando lasciano le scuole alla fine dell'estate. Quest'aumento il prof. Ziemssen lo attribuisce ai movimenti liberi all'aria aperta.

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"Il 14 settembre a Zermatt abbiamo preso su tutti la curva collo sfigmografo, la frequenza del polso , la capacità vitale e la quantità di emoglobina del sangue. Il 15 settembre alle tre antimeridiane al chiarore della luna piena, con leggera nebbia si partì da Zermatt. La carovana era formata di circa 60 persone. Le sette persone destinate all'esperienza cavalcavano sui muli, ciascuno dei quali era condotto da un uomo. L'inserviente del Laboratorio che doveva preparare le esperienze fisiologiche e un intendente concessoci dal dott. Seiler , facevano essi pure parte della nostra cavalcata. Due guide precedevano la colonna, 42 portatori erano addetti al trasporto degli apparecchi scientifici, delle coperte, delle provvigioni e delle portantine. La marcia notturna sui muli prima che spuntasse il sole, fu abbastanza pericolosa in causa della nebbia. La maggior parte delle persone sulle quali doveva farsi l'esperienza non si accorsero del pericolo.

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Le corde che abbiamo messo sul Cervino e le scale dopo tanti anni sono ancora nuove, mentre sarebbero infracidite da lungo tempo nella valle. Avevo dimenticato un sacco sul Cervino con dentro un po' di pane e del cacio, e l'anno dopo lo trovai e mangiai tutto senza accorgermi che fosse diverso.

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Abbiamo già veduto che Zumstein provò quest' effetto notturno al Monte Rosa. I fratelli Schlagintweit nel 1855 e recentemente Conway nelle alte regioni dell'Asia provarono il medesimo fenomeno di essere svegliati di notte da un malessere che non avevano provato nella giornata. Essi attribuirono però questo fatto al vento leggero che soffiava di notte.

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Poichè ho paragonato il male di montagna al mal di mare, ricorderò che anche per esso, abbiamo le medesime contraddizioni. Lo stesso Erasmo Darwin, che ho citato prima, scrisse:

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Abbiamo pure cercato se la combustione era perfetta, e trovammo che era tale, ma non mi fermo oltre in questo argomento perchè il lettore che desidera maggiori ragguagli può consultare la Memoria del dott. Benedicenti dove troverà rettificate le indagini primitive di Tyndall Tyndall, Hours of exercise in the Alps, pag. 56..

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., abbiamo voluto vedere se anche la fiamma della vita bruci meno intensa sulla vetta del Monte Rosa, che non in basso. Questo fu lo scopo delle ricerche fatte da mio fratello sulla chimica del respiro.

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Questa esperienza tanto semplice, ci dà un'idea della rapidità colla quale si compiono i processi chimici interni, e delle provviste di ossigeno che abbiamo disponibili nel sangue e nei tessuti.

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Si conchiude da ciò che la quantità di aria che abbiamo nei polmoni, non è quella che ci dà il mezzo di resistere più o meno lungamente ad un arresto del respiro. Non è questa provvista di ossigeno, nè il peso del corpo, che produce la durata più o meno lunga della sospensione del respiro: ma è il sistema nervoso che domina questi fenomeni colla sua resistenza maggiore, o minore, all'asfissia.

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Abbiamo veduto a pag. 43 e 44 che sul Monte Rosa compare una pausa tra una respirazione e l'altra della quale non vi era traccia in basso; che il tipo della respirazione era cambiato; anche nella veglia era più lunga l'inspirazione e più rapida l'espirazione; la comparsa del vomito e la difficoltà della deglutizione, sono fenomeni che caratterizzano la paralisi dei vaghi. La stanchezza improvvisa che si produce nei cani che hanno i vaghi tagliati, quando si provano a correre, accresce la rassomiglianza coi fenomeni osservati nel male di montagna. A dimostrare l'esistenza della neurosi del vago concorre la paralisi vasomotrice. La dilatazione dei vasi sanguigni nel polmone non mi fu possibile provarla direttamente , ma è probabile che sia per effetto dell'iperemia dei polmoni che abbiamo trovato essere minore la quantità di aria che introduciamo nei polmoni, misurando la capacità vitale a 4560 metri di altezza. La morte del dott. Jacottet sul Monte Bianco qualcuno potrebbe credere fosse causata da una dilatazione neuroparalitica dei vasi polmonali. Il corso della malattia rapidamente fatale, e l'edema dei polmoni riscontrato all'autopsia rendono probabile tale dubbio.

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Le modificazioni che produconsi nella frequenza e nella profondità del respiro a 4560 metri non obbediscono ad una legge costante, e tutte le combinazioni possibili furono da noi osservate, cioè: aumento della frequenza e della profondità delle inspirazioni; diminuzione della frequenza ed aumento della profondità dell'inspirazione; aumento della frequenza e diminuzione della profondità; finalmente, come abbiamo veduto nei tracciati a pag. 39, può diminuire la frequenza e anche la profondità del respiro.

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Qui ne abbiamo una prova sulle Alpi.

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Con mio fratello abbiamo fatto la prova di contare in quanti secondi ci riusciva a fare la somma, o la moltiplicazione di un determinato numero di cifre e trovammo che per le medesime operazioni non vi era differenza nel tempo a Torino e sul Monte Rosa.

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In questa parte del tracciato abbiamo la prova che un vento fortissimo (di 34 metri al minuto secondo), come forse non si prova mai sulle Alpi, perchè l'uomo sarebbe portato via, non esercita un'influenza visibile sul respiro.

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Abbiamo dei nervi che sentono il caldo, e altri che sentono il freddo. La pelle della faccia è più sensibile al freddo che non sieno le mani. La punta delle dita sente più dolore pel freddo, che non senta la palma. Dico questo per rammentare come sia distribuita la sensibilità alla superficie del corpo. Il caso tipico, è quello di un organo, che non posso nominare, il quale sente benissimo il caldo, ma verso l'apice non sente il freddo.

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Per spiegare il male di montagna, alla paralisi incipiente del respiro e del cuore che abbiamo veduto nei primi capitoli, dobbiamo aggiungere questi altri fenomeni che accennano ad una azione meno attiva dei centri nervosi; cioè la debolezza della memoria, e la depressione psichica osservata nelle ascensioni artificiali, e la paralisi dei vasi sanguigni cerebrali osservata nel giovane Lasagno.

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Nell'aria artificiale si producono per la rarefazione sua i medesimi effetti che abbiamo osservato, quando diminuisce la pressione barometrica. Si può dunque conchiudere che non è l'azione meccanica, o il peso diminuito dell'atmosfera, che produce il male di montagna, ma è la rarefazione sua, la quale opera in senso chimico sul ricambio della materia nel sistema nervoso.

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Il sonno prodotto dalla rarefazione dell'aria può invece considerarsi come un beneficio, e ciò abbiamo già veduto in Tissandier il quale nell'ascensione fatale dello Zenith si è salvato perchè cadde assopito prima degli altri.

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Perchè si sospenda quasi la vita nell'inverno, e scemi l'attività del sistema nervoso, quando si abbassa la temperatura esterna , la marmotta deve mancare di alcuno dei poteri regolatori che abbiamo noi, i quali servono ad attizzare i processi chimici dell'organismo, quando si modifica l'ambiente. Forse questa differenza ci mette sulle traccie di altre differenze caratteristiche del sistema nervoso delle marmotte, perchè le funzioni sue devono essere più strettamente legate alle variazioni che succedono nell'aria ambiente come vediamo in questo caso. Il sonno letargico delle marmotte forse trova la sua spiegazione nella resistenza minore che il sistema nervoso oppone all'ambiente, e nella mancanza dei congegni regolatori, che servono a mantenere costanti i fenomeni della vita negli animali superiori.

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Secondo una teoria moderna, abbiamo nella retina in fondo all'occhio tre sostanze, ciascuna delle quali dà origine a due sensazioni fondamentali. L'aver osservato ad esempio che vedevo egualmente bene il giallo ed il bleu quando l'occhio era molto affaticato, a me sembra contrario a questa teoria. Ma non è qui il luogo di fermarsi per una critica dove non ho raccolto prove sufficienti.

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È uno dei tanti congegni automatici che abbiamo nel nostro corpo, i quali funzionano senza che ce ne accorgiamo e anche contro la volontà, per mantenere l'equilibrio nell'organismo.

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Tutte queste cause insieme, non bastano però a spiegare che in alcuni casi abbiamo trovato circa la metà meno della perdita in peso sulle Alpi, a 4560 metri, quando invece mi aspettavo di vederla cresciuta del doppio.

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Non c'è bisogno della bilancia, dirà qualcuno; noi abbiamo una sensazione speciale delicatissima, la sete, che ci avverte quando diminuisce l'acqua nell'organismo. Basta stare attenti se sulle Alpi si è più spesso molestati dalla sete e la questione è risoluta. La cosa però è assai più complessa che non paia. Nelle ascensioni qualche volta si respira colla bocca aperta, e questo basta già a produrre una sete grande, come ciascuno provò quando in causa ad un raffreddore, ed avendo il naso intasato si respira per la bocca. La secchezza delle fauci dà una sensazione identica alla sete, anche quando questa non dovrebbe esistere perchè il corpo contiene ancora acqua a sufficienza. Nella fatica, e per azione dell'aria rarefatta, diminuisce la secrezione della saliva. Questa è un'altra grave complicazione che ci farebbe cadere in errore, se in tale studio volessimo fidarci esclusivamente ad una sensazione così indeterminata come è la sete.

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Quando abbiamo freddo i vasi si contraggono, la pelle e le parti superficiali del corpo contengono meno sangue. L'apparecchio nervoso che regola la circolazione, chiude, per così dire, le cateratte che vanno alla periferia del corpo, perchè non si raffreddi troppo rapidamente il sangue e lo accumula negli organi più profondi. Questo è utile; ma ogni bel giuoco deve durar poco. Se il freddo cresce e continua, ne può derivare danno da questa diminuzione del movimento sanguigno alla periferia del corpo.

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Per ciò quando arrivava qualcuno nella Capanna Regina Margherita coi piedi o le mani gelate, noi gli abbiamo fatto un dolce massaggio colla vasellina, procedendo nella compressione dalla punta delle dita verso il tronco, toccando la pelle dolcemente, senza comprimere troppo, e continuando così fino a che essa diventasse nuovamente rossa e calda.

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Per comprendere come il sangue affluisce alla periferia del corpo in troppo grande quantità, quando la pelle disgela, rammentiamoci il bollore che abbiamo provato palleggiando la neve. Quel rossore, esagerandosi, produce l'infiammazione della pelle; il formicolìo e la tumefazione leggera delle mani dopo che le abbiamo tenute nella neve ci mostrano come coll'esagerarsi di questi fenomeni possano prodursi l'edema, le bolle, le vesciche e anche l'ulcerazione e la distruzione della pelle e dei muscoli per gangrena. Ad una persona venuta alla Capanna Regina Margherita in un giorno di tormenta, gonfiarono talmente i piedi che per tre giorni non potè calzare le scarpe e partì zoppicando.

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Rizzo, assistente all'Osservatorio astronomico dall'Università di Torino, mise in ordine le osservazioni meteorologiche che abbiamo raccolto e scrisse quest'appendice: per tale favore gli esprimo la mia gratitudine.

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Rizzo, assistente all'Osservatorio astronomico dall'Università di Torino, mise in ordine le osservazioni meteorologiche che abbiamo raccolto e scrisse quest'appendice: per tale favore gli esprimo la mia gratitudine.

Pagina 345

Nel chiudere questi brevi cenni sulle condizioni meteorologiche osservate al Monte Rosa, devesi fare un cenno della violenta burrasca alla quale abbiamo assistito nella notte dal 13 al 14 agosto.

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Abbiamo cercato da quali condizioni fosse determinata quella bufera. Le carte sinottiche del tempo, che sogliono pubblicare gli uffici centrali di meteorologia, dimostrano che in Europa fra il giorno 13 e il 14 la pressione atmosferica era distribuita come è indicato dallo schizzo qui unito della fig. 64.

Pagina 353

Alla pressione ordinaria di 740 mm. come abbiamo a Torino, e meglio ancora al livello del mare, si respira una quantità d'aria che è molto superiore ai bisogni del nostro corpo. Nelle regioni che hanno un'altezza maggiore di 3000 metri, sebbene sia molto minore il peso dell'aria che respiriamo, l'organismo quasi non se ne risente, e vi rimedia con un leggero aumento nella frequenza dei movimenti inspiratori."

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Questi metodi li abbiamo veduti verificarsi tutti e quattro nei tracciati che ho riprodotti. Qualche volta comparvero tutti insieme nella medesima persona. Si può dunque affermare che la respirazione tende a diminuire sulle Alpi, e non a crescere, come si era creduto fin qui.

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Abbiamo ripetuto queste prove negli accampamenti man mano che salivamo su alla vetta del Monte Rosa, e con mia sorpresa trovai che a 4560 metri si faceva assai più lavoro che non a Torino.

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Noi abbiamo studiato la pressione del sangue mentre l'uomo cammina, ed abbiamo veduto che aumenta di due o tre centimetri di mercurio movendosi con passo ordinario.

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Noi abbiamo osservato che vi è una contrazione dei vasi sanguigni alla superficie del corpo, tutte le volte che facciamo un lavoro intenso dei muscoli. Questo è un altro meccanismo col quale cresce la pressione del sangue nelle ascensioni.

Pagina 83

Un fattore importante (oltre ai due precedenti che abbiamo studiato) è la contrazione dei vasi sanguigni negli organi della cavità addominale. Non si può in altro modo spiegare che sia elevata la pressione del sangue quando si è sudati e che la pelle è più rossa, come succede nelle ascensioni. Di necessità vi deve essere meno sangue negli organi interni, se i muscoli attivi sono meglio lavati dal sangue, e sono dilatati i vasi della pelle. Questo ci spiega perchè alcuni correndo o camminando molto, soffrano nausea e vomito. Esaminerò meglio più tardi i disturbi che si producono nel sistema digerente durante la fatica, i quali dipendono dall'anemia dei visceri durante la contrazione dei muscoli.

Pagina 83

La pressione del sangue misurata nelle piccole arterie delle dita, è certo inferiore alla pressione del sangue nel cuore, ma fino ad ora per tali ricerche sull'uomo, non abbiamo altri strumenti più esatti dello sfigmomanometro.

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Siccome però la quantità di sangue che abbiamo nel corpo è appena di 5 litri, per un congegno mirabile si restringono tutti i vasi sanguigni quando dobbiamo fare un lavoro intenso col cervello e coi muscoli. L'alveo, nel quale circola il sangue, divenendo più stretto, cresce la velocità della corrente sanguigna negli organi che lavorano od hanno lavorato e cresce in questi l'energia della funzione e si ristabiliscono più presto le condizioni normali dopo che furono affaticati.

Pagina 85

Non abbiamo fino ad ora alcun mezzo per rettificare questi calcoli : comunque sia, il lavoro del cuore è molto cresciuto. Quando perdura tale sforzo, si genera non solo la stanchezza del cuore, ma uno sfiancamento e una dilatazione di quest'organo, la quale diviene causa di una insufficienza del cuore, mentre le sue valvole e tutto l'apparecchio della circolazione sono intatti. A questo stato, il quale cessa di essere fisiologico quando il lavoro diviene eccessivo, venne dato il nome di fatica o strapazzo del cuore.

Pagina 85

Accenno questo per dare una testimonianza dell'entusiasmo e dell'abnegazione coi quali abbiamo affrontato lo studio della fatica.

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