Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbiam

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Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179181
Costantino Rodella 6 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Un rovescio di fortuna, una disgrazia quale che sia, nostro padre perdesse l’impiego, il fiume portasse via quel po’ di podere che abbiam su nel Monferrato, che dovremmo fare? E chi ti dice che gli antenati di questa stessa nostra Margherita non fossero ricchi al pari e più anco di noi? e ora la vedi? È condannata a servirci e a patire le tue insolenze! Oh le umane vicende! non mediti tu mai sopra que’casi che spesso ci conta il babbo?... Ah non ridi più ora! Dunque rispetta sempre tutti, e non guardare se sia padrone o servo. Sei ben contento che si parli di te sempre in bene, e non solo da’ signori, ma anche da’poveri? E come vuoi che la fantesca possa dire che sei un bravo fanciullo tu, quando la carichi di villanie, come fai? Non posso soffrire que’ ragazzi che, credendosi di far atto di padronanza o di mostrarsi che so io, comandano superbamente e sgridano le persone di servizio, e specie in presenza della gente. Hai inteso anche tu quello che diceva ieri il dottore. Volete conoscere il carattere d’una persona? dimandò. Guardate com’ella tratti i servi e come i servi la amino. E poi osservava che se è bene trattare con dolcezza colle persone di servizio, non bisogna però usar troppa domestichezza, nè discendere a scherzare e a motteggiare troppo famigliarmente con loro come a volte fai tu; perché se ne abusano e si perde l’autorità di comandarle quando è necessario. – Le sorelle anch’esse lodavano le parole di Enrichetto e l’aiutavano a tener segno il prepotentello di Sandrino.

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Tutt’altro: era la più cara fisonomia, e la più piacevole persona che si vedesse mai; segnatamente emendato che si fu di que’ certi difetuzzi, che abbiam accennato sul principio. Ogni cosa a suo tempo, diceva: quindi serio in iscuola, devoto in chiesa, piacevole e festoso in ricreazione. Infatti nessuno era più allegro e brioso di lui nel conversare. Aveva mille partiti da proporre, mille ripieghi da intromettere, non mai impacciato in nulla; faceto e burlevole ne’giuochi, facile ed acuto ne’mottegggi, ma motteggi senza fiele, che non offendono nessuno, e solo provocano il riso della brigata, senza che altri ne risenta rancore. Chè stando agli avvisi del padre, procurava che la facezia non trascorresse, nè si volgesse troppo per punta contro nessuno. Il signor Carlo consigliava anzi di motteggiare il manco possibile, perché a volte da un motto da nulla nascono disordini e gravi inimicizie: in generale diceva cattive quelle facezie o burle, che mettono allo scoperto i difetti della persona, come il contraffare i gobbi, i zoppi, gli scilinguati. E da questa Enrichetto si guardava, come dalla morte; e sfuggiva pure quelle burle che possono recar danno, quali sono ad esempio dare lo sgambetto ad uno che cammini, tor la sedia di dietro a chi s’alza da sedere: perché potrebbe stramazzare e farsi del male assai. Aveva inteso rimproverarsi aspramente dal padre il fatto d’ un giovane sconsiderato, che per burlarsi di sua sorella, che era troppo paurosa, una notte le comparve nulla camera la buio, vestito di bianco, gettando non so che fiamme in aria; dal che la sorella scossa, fu presa da tanta paura, che mandò un grido e svenne; e ritornata per le molte cure della madre ne’sensi, fece una malattia lunghissima. Burle siffatte sono delitti! Una volta Sandrino venne a casa vantandosi di certe burle fatte sulla fiera, così detta, di Gianduia, negli ultimi giorni di carnevale, in via di Po. E fra le altre diceva, che accozzatisi molti amici in lunghe file di cinquanta o sessanta, l’uno dietro l’altro tenendosi le mani sulle spalle, con un naso finto in viso, s’eran posti a saltare in mezzo alla folla, e la dividevano urtando questo nel petto, spingendo quello ne’fianchi, calpestando tutti, nel mentre che, dando fiato ciascuno a corni, a trombe, a zufoloni d’ogni maniera, stracciavano le orecchie; e finalmente pigliata di mira una signora, che mostrava di non poter tollerare quelle strida, se le eran messi attorno con tutti que’fischi nelle orecchie, in modo che la ridussero alla disperazione e la fecero uscire dalla fiera. E codeste son le belle spiritosità, gli disse Enrichetto, che sapete trovare voi altri? Infatti ci vuol molto studio e singolare acutezza per immaginare burle così sublimi! Ma a parte la sublimità del trovato: pensa un po’ se tu fossi stato in compagnia della mamma e delle sorelle, proprio là in mezzo alla folla; e questi tuoi garbatissimi compagni, levato il trotto, avessero fatto la cortesia di regalare uno spintone nel petto alla mamma, un urto nei fianchi alle sorelle, e poi per maggiore galanteria vi avessero accompagnati con quella gentilissima serenata nelle orecchie, in modo da costringervi tutti ad allontanarvi dalla fiera; che avresti detto e pensato tu? - Ma essi, rispose cocciuto Sandrino, non vadano nella folla, se non vogliono sentirsi urtare. - E chi ha dato il diritto a voi altri di occupare da soli la via, di escludere ogni galantuomo? ? lecito divertirsi, ma che i nostri divertimenti non nuocciano altrui; che le nostre celie non cagionino noia o danno ad alcuno. Insomma voleva che le burle facessero ridere e non irritassero gli animi. Soleva dire che la burla non è altro che un inganno amichevole di cose che non offendono. Di tale specie erano quelle che egli usava fare; come una, che un dì fece in villa ad un suo zio, vecchietto allegro di natura molto faceto. Era venuto un contadino per parlare allo zio; Enrichetto, che si trovava in vena di celiare, gli disse, che l’andava ad annunziare, ma ne lo avvertiva che badasse a parlare bene ad alta voce, perché al padrone era venuto un sì forte mal di capo, per cui era rimasto sordo. In pari modo andò dallo zio dicendo, esservi un contadino che desiderava venire da lui, ma che era tanto sordo, che ci voleva un cannone per farlo sentire. Introdotto che fu il contadino si pose a gridare a squarciagola, e nel medesimo tuono rispondeva il padrone; in modo che si cominciava una conversazione singolare; quando lo zio disse: - Parlate pure piano, che io non con sordo io; - Neppur io, rispose il contadino. E si venne a riconoscere essere stata una burletta del nipote; per la quale lo zio non rifiniva mai di ridere. Che se poi biasimava quelli che celiando offendono l’amor proprio dei compagni, non lodava neanco coloro che cono così permalosi, che per un nonnulla levano il broncio e si tengono oltraggiati, sicchè è una pietà lo starvi insieme.

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Già abbiam veduto il mattino, appena sorto dì letto, volgersi a Dio ed offerirgli le sue azioni, lo stesso faceva alla sera prima di andare a dormire. La domenica poi e gli altri giorni festivi egli col fratello e colle sorelle, accompagnato dalla madre, andava in chiesa. Appena entrato camminava quasi in punta di piedi per timore di rompere quel senso di religiosità, così solenne nel silenzio; indi si metteva in un banco, e tirato fuori di tasca il suo libricciuolo, accompagnava su quello la messa e gli altar uffizi che vi si facevano; non alzava mai gli occhi, se non per vedere a che punto si trovava il Sacerdote. Non 'era mai sbadato, non si volgeva indietro a vedere chi usciva e chi entrava; non gli cadeva neppure in pensiero di ciarlare o di ridere col fratello o colle sorelle, nè di spargere il ridicolo sulle cerimonie religiose. La maestà e lo splendore degli uffizi della chiesa eran tali, che gli eccitavano grandemente la fantasia ed il cuore: Sotto quelle volte, che nel chiaro scuro sembrano prendere proporzioni gigantesche, tanta gente di diversa età e condizione raccolta ìn una sola preghiera, in una sola adorazione; gli altari ardenti di mille fiammelle; quei canti gravi e solenni formati da tante voci; le armonie dell'organo, che misteriosamente si spandono per quegli spazii, impregnati d'incenso, che a nuvole s'alza per l'aria, come profumo di preghiera che sale al trono di Dio, gli rapivano l'anima e la sollevavano in un mondo ricco d'ogni maniera di bellezza, dove giubilavano cori d'angeli, in mezzo ai quali discerneva l'Agnesuccia, il cui nome pronunciava mane e sera, e la diletta nonna che non ebbe mai a dimenticare. Si sentiva una serenità di mente, una pacatezza d'animo, che mai la maggiore; ed usciva con una segreta contentezza in cuore come se avesse guadagnato un tesoro, cui nessuno potesse togliere. Soleva ripetere che le più nobili risoluzioni, i più arditi propositi, gli caddero sempre nell' animo dopo alcuni di questi solenni uffizi religiosi. La religione è pure una potente molla educativa! Enrichetto fin da ragazzo amava sprofondarsi colla sua poca mente negli abissi de'misteri della religione; ed anche dopo, pieno di anni e ricco di sapere, quando si fermava innanzi ai grandi problemi della vita e della morte, del bene e del male, dell'anima e di Dio, di contra al dubbio impotente e alle negazioni audaci del secolo tutto occupato in materiali interessi, finiva sempre per ricorrere, come a porto salvatore, alle serene ispirazioni religiose della sua gioventù. E comecchè seguisse ansiosamente le ricerche della scienza negli ultìmi suoi responsi, dovette però sempre riconoscere nell' uomo un principio intelligente direttivo della materia dalla materia diverso, e un Dio infinitamente buono e potente. Ed era lieto di potersi acquietare in queste verità, acquistate della scienza, la quale veniva a ribadire nella sua anima il credo recitato da bambino. Togliete di mezzo l'idea religiosa, esclamava poi, sostituitevi pure quella del dovere, e la società non sari lontana dal perdersi: nulla potrà più sollevarla a' sublimi slanci dell'ispirazione, all'entusiasmo del sacrifizio. Per contra qual potenza sui cuori l'idea viva d'un Dio presente sempre, che vi vede in tutte le azioni, che legge nel più intimo de'vostri pensieri, d'un'anima che non compie il suo cammino in questa terra! E il fanciullo trepida all'idea del male, e s'arresta anco quando potrebbe impunemente consumarlo; perchè sa che, se occhio umano non lo scorge, se nessuna forza del mondo lo può punire, v'è un occhio invisibile che lo sorveglia, una potenza soprumana che lo aspetta. Estirpate dai cuori questo sentimento, e poi ditemi quale sarà il ritegno della plebe, quando si trova sicura dalla forza pubblica. Onde conchiudeva essere somma civiltà inculcare i sentimenti religiosi nell'educazione popolare.

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Nè i suoi studi erano circoscritti solo alla medicina, uso questo della maggioranza degli studenti, i quali applicatisi ad una disciplina, si ritengono esonerati dal conoscere alcunchè del resto dello scibile; onde non raro accade, che un buon avvocato, o medico, o ingegnere, appena esce della cerchia della sua professione, pare non sappia più formare alcun costrutto che valga; o se parla dice i più madornali sfarfalloni del mondo; ma Enrichetto, avvezzo come abbiam visto a far sparagno del tempo, ( e ne' corsi universitari del tempo ce n' è a fusone) s'ingegnava di entrare anco ne' segreti delle scienze affini alla medicina; e la fisica, e la storia naturale, e la chimica, e fino la meccanica, occuparono delle belle ore al paziente investigatore del sapere. Egli cercando di scendere ne' penetrali delle dottrine, trovava un nesso maraviglioso tra le diverse scienze, e si doleva della poca durata della vita dell'uomo, e della limitazione dell'ingegno umano, che nel breve giro d'un' età non può giungere alla superba sintesi dello scibile. Negli anni universitari fece anche acquisto delle lingue tedesca e inglese, avendo già imparata la francese durante i tre anni liceali; le quali lingue straniere gli vennero poi di molto in acconcio nella pratica della sua professione. Ma quello che non trascurò mai, furono gli studi letterari, i quali diceva, convenire a tutte le discipline e a tutti gli uomini in qualsiasi stato sociale; la parola ornata ed elegante si fa strada dappertutto. In questa guisa adoperando s'addottorò in medicina e chirurgia con plauso di tutti gli amici e con trasporti di gioia de' genitori.

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Nello stesso tempo il dottore della famiglia, del quale più volte abbiam fatta menzione, essendo vecchio, ed avendo preso ad amare il giovane, che vedeva così animosamente entrare nella sua carriera, ben lungi dall'ingelosirne come fanno gli spiriti leggieri e di poco valore, che paventano la concorrenza, volle pigliarselo con sè, raccomandandolo nelle case, facendone rilevare lo studio, la buona volontà, e la precocità dello spirito. Ad Enrichetto parve toccare il cielo col dito, quando si vide a maestro nella pratica un uomo, che sopra ogni altro stimava. E qui mi corre obbligo di far notare che se Enrichetto già per abito rispettava ogni persona, e segnatamente i più provetti, ora nell'esercizio della sua professione se ne fece una legge. Si guardava bene dal metter come che sia in dubbio la scienza de' suoi colleghi o dallo screditare i vecchi. Giacchè pur troppo in tutte le professioni ed arti, per maligna natura, per egoismo mal inteso, l'uno tenta di schiacciare l'altro, e specialmente i vecchi s'industriano di soffocare gli ingegni crescenti, recando in mezzo, che i giovani mancano di esperienza, non conoscono le complessioni, sono novatori senza guida, pieni di vane teorie, e che la pratica val più che la grammatica. Di ripicco i giovani si ricattano sui vecchi dicendoli pieni di ubbie e di pregiudizi, senza studi; adducono gl' immensi progressi fatti dalle scienze, a cui quelli rimangono affatto stranieri; e quindi vanno innanzi a tastone, buona se viene; e cose siffatte. Pettegolezzi e viltà che, svelando una gelosia di mestiere, indicano pochezza di mente e tristizia di cuore; vermi che vivono di scoli; chè il vero ingegno, la vera dottrina non ricorre a queste miserie per farsi strada. In questo mezzo il Municipio di Torino bandì un concorso per un medico de' poveri, al quale presentatosi pure Enrichetto, ne vinse la prova. Questi medici sono distinti per parrocchie e vi compiono il servizio de' poverelli. Egli, che esercitava la sua professione per la scienza e per il bene che credeva di portare a' suoi simili, non fece mai distinzione fra ricco e povero, se dorate fossero le sale in cui entrava, o affumate e deserte; anzi, assecondando un certo impulso dell'animo suo, quanto più vedeva la miseria stringere il letto del malato, egli raddoppiava di cure, come se volesse rendere meno amara la vita a questi diseredati della società. Nel contatto dei diversi gradi sociali, fine osservatore qual era, s'ebbe a convincere sempre più di una certa scambievolezza tacita di affetti nel genere umano, di una specie di compenso, anche lontano, per cui uno tale dà, tal riceve; quale si comporta con altrui, tale viene dagli altri trattato; onde, sei orgoglioso e superbo? sarai ripagato di sprezzo; sei amorevole e gentile? amore e gentilezza troverai per tutto. Per il che scrisse sul suo giornale: « è giusta quella sentenza che dice: Se vuoi essere amato, ama ». E a comprovarla vi scrisse sotto il seguente racconto:

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E a quelli che gli domandavano: o che, non abbiam a divertirci, noi? Sì, rispondeva, ma in que' modi moderati e da uomo onesto, che non sciupa in un dì il guadagno di una settimana. Guarda, continuava egli, se v'è ombra di ragionevolezza, ti cavi la pelle dalle ossa, mangi pessimamente sei giorni, per scialarla un giorno solo, la domenica! Bella soddisfazione! Non dico di non far un po' d'allegria la festa; ma quando sei pieno come l'uovo, perché vuoi ancora mangiare, che non senti manco più il gusto del cibo? Dopo che hai bevuto e bene, perchè continui a far la processione da una bettola all'altra? per ubbriacarti e divenir peggio delle bestie? E allora risse e giuochi, e perdite rovinose; perchè v'è sempre il truffatore che ti tende la trappola per spillarti il danaro. Conseguenza di ciò tu e la tua famiglia siete costretti a vivere di lagrime, mal calzati e mal vestiti, con deperimento della salute, senza parlare del mal morale, la tua abbiezione, la prostrazione dello spirito e il cattivo esempio a' tuoi figliuoli. Se per contra smetti le orgie domenicali, quello, che sciupavi in esse, lo puoi ripartire in tutti i giorni della settimana, e così migliorerai di molto la tua mensa quotidiana, e tosto se n' avvantaggieranno le forze del tuo corpo, sarai più atto al lavoro, meno soggetto a malattie, ed anche la tua intelligenza si farà più acuta e più vigorosa, e meglio ti potrà giovare nell'arte che pratichi, e crescerti il salario. Veniamo ora al lunedì, in cui si continua la baldoria e lo sciupìo della domenica. Ragioniamola un po' insieme. Ora la tua settimana si riduce a cinque dì di lavoro soltanto; se tu v'aggiungesti anche l'opera del lunedì, tu accresceresti il tuo guadagno settimanale di un giorno di lavoro, vale a dire d'un sesto, e leveresti dall'altra parte un dì di consumo senza produzione. Per la qual cosa se fin qui il guadagno di cinque giorni di lavoro bastava 'a' tuoi bisogni, (e meglio ti deve bastare, perchè ora vivi moderato anche la domenica) il vantaggio del lunedì ti sarà un soprappiù, un danaro che potrai mettere in disparte, un capitale insomma. Spieghiamoci in cifre. Qual è il tuo salario giornaliero? Due lire? Bene; porta queste due lire alla cassa di risparmio ogni settimana, e co'suoi interessi alla fine dell' anno riesciranno più di cento. Segui quest'abitudine, e in pochi anni diverrai possessore di un buon capitaletto, che potrai investire in fondi, in merci, insomma in che ti tornerà più giovevole. Ed ecco che da povero operaio, meschino e vizioso; sei divenuto capitalista, proprietario onesto e intraprendente. Io ti potrei nominare di molti capi-fabbrica, ricchi negozianti, che vent'anni fa non erano che semplici operai, come te; e che lasciando stare le bettole e il giuoco, risparmiando sui guadagni, ora li vedi nella città onorati e rispettati da tutti. Ecco quindi il segreto per far scomparire la miseria dalle case, per togliere di mezzo il proletariato: lavoro e temperanza. Questi ed altri ammonimenti Enrichetto li faceva sempre che si presentasse il destro, ed era tanta la virtù persuasiva del suo dire, che molti s'appigliavano a' suoi consigli, e divenivano sobrii, operosi ed anche più costumati. Perchè il lavoro avviva la coscienza de' proprii doveri; e così viene a dare dignità all' operaio, onde sente più rispetto verso i capi, più riguardi agli uomini autorevoli, più devozione alle leggi, più amorevolezza verso la famiglia, e dirò anche più religione, la quale da volere o no, è l' ambiente, in cui ogni uomo respira, è il condimento di tutta la vita, è il freno e il conforto della plebe; il petulante, che cerca di accasciare in sè la presenza di Dio, non ha più rispetto di nessuno, nè de'suoi capi, nè di sua moglie, né de' suoi figli, vive come fuori della società.

Pagina 87

Galateo morale

196315
Giacinto Gallenga 10 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
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Il teatro, abbiam detto, avrebbe ad essere una scuola di costumi, un luogo dove il popolo, oltre al ricrearsi della giornaliera fatica potesse eziandio ricevere quell'educazione dell'intelletto e del cuore che può ricavarsi dall'ingegnosa imitazione di fatti lodevoli, eroici, gentili, dalla esposizione dilettosa ed istruttiva di quei morali principii che deggiono regolare la nostra condotta in società e in famiglia. Sotto questo aspetto, sotto tali condizioni, il teatro avrebbe realmente sul popolo una salutare influenza. «Riunite, scrive il Thierry, degli uomini in un luogo dove essi si rispettino; essi si miglioreranno, avvicinandosi, a vivenda. Riuniteli per mostrar loro l'uomo stesso, il ritratto dell'umana vita; essi si costituiranno i proprii testimoni, i giudici della loro stessa esistenza. A lato della missione che ha il teatro di sollevare gli spiriti e di commuovere i cuori, esso ne ha una ben più sublime, quella di mettere ogni giorno al pubblico, che la risolse solennemente, la eterna questione del giusto e dell'ingiusto». Ma ottiensi ciò sempre colle commedie, coi drammi che si producono nei nostri teatri? E prescindendo dalle azioni senza sugo che hanno soltanto il privilegio di annoiare, non succede molte volte di dover uscire dal teatro con la mestizia e la stanchezza in cuore, con il disdegno nell'anima? Non avvien forse di uscirne con una disposizione allo sconforto, presso ch'io direi, con una specie di odio verso gli uomini, verso le leggi? Si brama da taluni veder rappresentate anche a costo del pudore tutte le fasi di una disonesta passione; piace ad altri veder sulla scena descritte le astuzie, le crudeltà dei ladri e degli assassini, le gesta feroci dei briganti, le frodi degli impostori, tutte le vergogne sociali insomma di cui si addolora l'uomo onesto, e su cui è pietà non solo ma prudenza il più delle volte il gettare un velo. Il pubblico di alcuni teatri è altamente soddisfatto dell'imitazione accurata delle grida, dei gemiti, delle vittime; quando vedono in una parola scorrere il sangue dalle ferite, e le contorsioni, le agonie dei trafitti; vogliono insomnia sulla scena i pugnali, i veleni, le morti, i funerali, vogliono gli osceni scherzi, i sucidi amori che farebbero loro nausea e ribrezzo quando fossero trasportati dalle finzioni del palco scenico alla realtà della vita comune. Pur troppo in questa bisogna noi non ci mostriamo gran che dissimili dagli antichi Romani. Né sarebbe gran che più facile adesso che allora l'opporsi a queste prave tendenze della plebe. Voleva l'imperatore Antonino, stomacato di quelle indecenti rappresentazioni, ridurle a maggior decoro e riserbatezza, ma il popolo fremette, il popolo ruggì; e pel minor male, narrano gli storici, si tornò al fango e alle lubricità delle mime e dei Sannioni. E questa specie di trattenimenti saranno quelli che avranno virtù d'ingentilire i costumi, migliorare il sentimento morale degli spettatori? Oh povero popolo! se tu non avessi, pel tuo sollievo, per la tua istruzione altre scuole che queste, sarebbe meglio che tu vegetassi in una eterna ignoranza! «La buona commedia, scrive il Manno, deve venire in qualche modo in soccorso delle leggi, le quali s'incaricano di vendicar le offese fatte alla società dagli scellerati, nel mentre che la satira e la commedia si incaricano di rendere odiosi e ridicoli i viziosi di minor conto. In luogo di ciò si vorrebbe quasi che quei drammi di patetico sentimento partecipassero della natura delle leggi criminali, poiché non di rado in grazia di quelle rappresentazioni noi veggiamo in sulle scene e gli assassini e i mariuoli e tutta quella marmaglia di scherani che non abbisognano della rappresentazione scenica per essere esecrati, e per cui sarebbe troppo lieve cosa la pubblica esecrazione. E non solo quei delitti che fanno fremere ogni cuore ben formato conseguono in tal maniera gli onori della commedia, ma quelli ancora che fanno arrossire ogni onesto spettatore». E vi sono impresari, vi sono capi-comici che per vile guadagno (e hanno il coraggio di dirlo) danno in pascolo a un'avida plebe questi sozzi spettacoli! e vi sono giornalisti che li lodano! e la morale e la civiltà pagano il fio di tutto e di tutti.

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Ma sono, come abbiam detto, costoro, degli Indiani selvaqgi. A molte di queste emergenze provvedono bensì oggigiorno i camerieri d'albergo, le guide, i ciceroni: ma l'aversi, come si lagnava il Giusti, alle costole uno di quei soliti custodi a dirti: qui russava Sallustio, qui si lavava le mani Marco Tullio, là si pettinava la signora Livia è una noia indicibile. V'ha un mondo di cose in cui un cittadino cortese può render servigio a un forestiere meglio di un mercenario e di un interprete officiale: e per le quali procaccierà a sè e al paese bella riputazione di colto e di gentile. Così, a mo' d'esempio, vedendolo in contesa con facchini o cocchieri indiscreti che vorrebbero abusare della sua inesperienza, non dovete titubare un istante a prenderne le difese contro i truffatori e gli scrocconi.

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risposero, gli altri lo percuotevano, e l'abbiamo percosso noi pure; gli altri dicevano di volerlo uccidere e noi abbiam risposto: uccidiamolo pure! abbiamo fatto, in sostanza, quello che hanno fatto gli altri!». E molti di quegli sciagurati erano stati fino allora operai laboriosi ed onesti. A quel punto li condusse il fare come faceano gli altri!

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«Uno degli convenienti della moderna civiltà, così Smiles, si è che mentre andiamo perfezionando i nostri meccanismi, noi dimentichiamo alle volte che il migliore di tutti i materiali greggi è l'uomo; e noi non abbiam fatto per anco l'estremo della nostra possa per migliorarlo e perfezionarlo». E Massimo Azeglio ci lasciò scritto ne' suoi Ricordi che «il vero progresso dell'umanità non istà nelle macchine a vapore, ma nella crescente potenza del senso morale».

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I magistrati, gli agenti di qualunque ordine incaricati di far osservare le leggi e di punire i trasgressori hanno diritto, come abbiam detto, a tutto il rispetto dei loro concittadini. Ma questo rispetto essi se lo procaccieranno non già ostentando una rigidità tirannica nei loro giudizi, né colla prepotenza e col disprezzo verso i deboli e gl'impotenti; ma sì con quella gravità modesta che va associata agli austeri costumi, all'illibatezza di condotta come cittadini, come privati e come giudici, colla cortesia, portata al massimo grado nelle parole e negli atti anche estranei alle loro funzioni ufficiali. Non altrimenti che colla virtù, coll'ingegno e con la gentilezza potrà il magistrato mantenere il suo credito, la sua influenza sulla universalità dei cittadini e avere dalla loro stima e dal loro affetto un alto morale compenso ai dolori onde è circondata la sua spinosa carriera. Ella è somma sventura per la moralità, per la civiltà di un paese allorché può sorgere il dubbio, la convinzione nel popolo che la chiave d'oro possa aprire le porte della giustizia; e che per via di subdoli raggiri e di alte pressioni si possa far breccia nelle coscienze dei giudici, la condotta dei quali dovrebb'essere mai sempre, come quella della moglie di Cesare, esente perfin dal sospetto. Ond'e che la giustizia viene altamente compromessa dal magistrato che abbassa a fautrice d'ire partigiane e di vendette di potenti. Gli elementi della giustizia non si devono cercare in quelli delle basse passioni; come non devono né i giudici, né gli avvocati, né i testimoni ricevere le ispirazioni e tanto meno gli ordini di quei bassi fondi sociali, la esistenza dei quali e la forza poggiano essenzialmente sul mistero, sulla simulazione e sulla corruzione A questi pericoli alludeva il poeta milanese nella sua bella canzone ai caroccee e fiaccaree. Facciam voti che la favola non al traduca giammai, per parte dei nostri tribunali, in istoria. La giustizia de sto mond La someja a quij ragner Ordii in longh, tessu in redond, Che se troeuva in di tiner. Dininguarda ai mosch, moschitt Che ghe barzega on poo arent, Purghen subet el delitt Malapenna ghe dan dent. A l'incontra i galavron Sbusen, passen soma dagn, E la gionta del scarpon La ghe tocca tutta al ragn. PORTA, Poesie milanesi. Vorrei vederlo, il magistrato, sempre calmo e sereno nell'adempimento delle sue terribili funzioni. Esso deve far mostra sempre della massima fermezza e, senza attentare alla libertà della parola, contenere per altro nei limiti della decenza tanto l'accusa quanto la difesa. L'animosità, l'impazienza di cui taluno potesse dare segno contro i difensori o peggio contro gli imputati, qualunque segno di approvazione agli argomenti del pubblico Ministero non potrebbero a meno di destare una penosa impressione in chi li vede ed ascolta, e far sorgere talvolta dei dubbi ingiuriosi sull'imparzialità dei loro giudizi. Maxima est pars justitiae patientia, diceva già il sommo Cicerone. Rifletta il magistrato che con un giurì, come avviene talvolta, composto in gran parte di uomini poco istruiti ed impressionabili, il suo riassunto artificioso e passionato può determinare per se solo un verdetto di morte; poiché se i giurati sanno fino ad un certo punto premunirsi dall'eloquenza dell'accusatore pubblico e del difensore, non egualmente lo sapranno contro l'eloquenza del magistrato che essi suppongono naturalmente imparziale. Non dimentichi mai, il magistrato giudicante, il bell'avviso che gli dà il Cousin: «La carità deve intervenire anche nella punizione dei delitti; oltre al diritto di punire la società ha eziandio quello di correggere; il colpevole è ancora un uomo, e non già una cosa di cui essa possa sbarazzarsi dall'istante in cui le nuoce, una pietra che ci cade sul capo e che ci è lecito di gettar nell'abisso per toglierle ogni possibilità di recarci alcun danno». (V. COUSIN, Justice et Charité).

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Ma lasciamo stare Greci e Romani, che ne abbiam a dovizia dagli scrittori dell'età nostra. «La vera civiltà - scriveva quell'anima soave di Silvio Pellico - è quella virtù che rende l'uomo amabile non soltanto nelle maniere ma nei pensieri eziandio, nella volontà, nelle affezioni». Il Tommaseo dice che pulito viene a significare decente: pulito si dice l'uom garbato, pulito negli affari il mercante onesto, e pulito, egli conchiude, in molti dialetti d'Italia, significa bene. Della cortesia, dice il Mamiani, che

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I contadini di Tommaso Grossi lo amavano di sincero affetto, perché mite, affabile e giusto insieme ed intelligente; e lui morto sclamavano addolorati: Ah noi non troveremo mai più un padrone, come quello che abbiam perduto! E per questi sarebbe d'uopo sacrificarsi ad abitar più sovente la campagna e starsene in mezzo a loro, prender parte ai loro discorsi, combattere senza sussiego, senza sogghignarne, precisamente come si farebbe con un ammalato, le ignoranze, i pregiudizi da cui sono oscurate le loro intelligenze; spiegar loro i progressi che può arrecare la scienza all'agricoltura, senza urtare di fronte i metodi vecchi; e non aver vergogna intanto di prender lezione da loro in tutto ciò che solo può insegnare la pratica delle faccende campagnuole. Meglio confessar subito la propria ignoranza che lasciarsi cogliere in fallo dal contadino; il quale possiede forse più di ogni altro quel senso comune che serve a far loro distinguere se quegli che sta loro parlando è uomo sapiente ed esperto, ovvero semplicemente un parolaio od un impostore. I proprietari d'altronde ci troverebbero eziandio il loro tornaconto nello accudire personalmente ai lavori di campagna; il miglior fattore è il padrone istesso; senza parlare del buon generale che ne deriverebbe all'agricoltura da queste associazioni di lavori e d'ingegni, di pratica e di scienza, di studio e di routine. «L'agricoltura, per citarvi ancora una volta il Say, prospera solo quando i campi vengono coltivati dai loro medesimi proprietari; parliamo di proprietari educati ed istrutti; poiché entrano allora in campo dei mezzi di successo che non sono a portata del contadino, soggetto a tutti i pregiudizi e vittima bene spesso del ciarlatanismo».

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Non parliamo, come già dicemmo, delle visite per affari che abbiam già trattato indirettamente, parlando degli avvocati, dei medici, dei negozianti, ecc. entrando le medesime nel complesso degli affari istessi, e facendo parte dell'esercizio delle stesse professioni; e ci limitiamo a ragionare delle visite di convenienza e di affezione.

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Rimane inteso che qui si parla unicamente di giuochi onesti, in quel modo che non abbiam parlato fuorché di conversazioni civili. Quindi non ci occuperemo delle case da giuoco propriamente dette, dove chi entra lascia ordinariamente l'onore alla porta, quasi sicuro di non più trovarlo allorché ne ritorna. E che vuolsi tuttavia? È difficile anche a colui che non si fa, fuorché per semplice sollazzo e per brev'ora, giuocatore, di contenersi nei ristretti limiti delle convenienze. Chi per poco si lascia trasportare da questa pericolosa passione, corre il brutto rischio di diventare, almeno finché dura il giuoco, avido, brutale e superstizioso. È così facile che le dispute, che le differenze, che i dispetti che insorgono pressoché inevitabilmente giuocando, trascendano in sarcasmi ed in ingiurie! Di cento duelli, novanta hanno origine dal giuoco. Sì, il giuoco ha questa triste prerogativa di mutare in peggio la natura degli uomini, di paralizzarne le gentili tendenze; nel giuoco, e di' pure anche nel giuoco onesto, si turbano di leggieri le affezioni, le armonie del cuore, della famiglia. Si sciupano dal più al meno le sostanze e la salute, talvola la morale e l'onore degli individui. Durante il giuoco lo spirito si trova sovreccitato in modo anormale; ed è appunto il bisogno immaginario di queste emozioni che rende a molti simpatico questo pericoloso trattenimento.

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Vuolsi, abbiam detto, rinnovar l'aria nei luoghi di numerose riunioni. Ma bisogna poi anche, chi ha immensi saloni,non pretenda riscaldarli con iscarso focherello. Il freddo è nemico dell'espansione.

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