Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbiam

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Scritti giovanili 1912-1922

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Longhi, Roberto 11 occorrenze

I problemi di stile che B. ha sovrapposto al primo che, come abbiam visto, tendeva confusamente a una nuova costruzione della forma, sono l'ambiente in genere e la luce.

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E molto che abbiam visto fin qui come deprimente, negativo dell'attività lirica di quest'uomo, è addirittura formativo della sua critica.

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La figura della Maddalena ci offre infatti un esempio di schematizzazione formale, quale soltanto Battistello poteva ideare, secondo quelle tendenze all'astrazione tondeggiante della forma che abbiam già notato in altre opere. Gli scorci eccezionali delle due mani fermate in posa con una fissità da voluminista del Quattrocento, la placca ovale di luce che, posandosi sur una glabra superficie di guancia, mira a suggerirci un'integrazione totale di forma in tondo, dovrebbero far comprendere quello che io comprendo. E se infine ci volgiamo al Cristo, che cosa più di caravaggesco in esso? a che serve il partito forte di luce laterale se deve ridursi a commentare lo scavo elegante, complicato di questo panneggio che s'aggira grave tortuosamente in chiave - di violoncello? se deve ridursi a chiaroscurare senza intoppo un viso di tale pallida classicità da aspettarci di vedere su di esso le piccole vene del calco? E il peggio si è che la luce butta sulla forma tale potente convinzione di esistenza da farcela sembrare realismo - già: la riproduzione realistica di un calco da un pezzo d'arte altrui. Ecco come sorge per Battistello il pericolo di passare da Caravaggio - a Ingres, per esempio. E qui bisognerebbe spiegare perché Caravaggio usasse tanto raramente e riservatamente della rotondità e le ponesse dappresso un grumo di plasticità per ridarle vita: basterà dire che l'ideale di Caravaggio non era precisamente l'ideale di Ingres, mentre con Ingres poteva in fondo intendersi Caracciolo, seguitando per questa via, come seguitò. Lungi com'io sono, intendiamoci, dal disprezzare Ingres.

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Eppure, abbiam visto come, anche in questa seconda forma, la serietà con cui Caracciolo s'impegna nei suoi tentativi lo faccia raggiungere le soglie della grandezza; abbiam visto come la tesa elasticità dei contorni suoi lenti gli permetta ancora di versare nei campi inframmessi liquidi cromatici che sono tuttavia, ora per contrasto di bianchi e di scuri, ora per accordi di tenuità viola vinate e verdi o pallidamente brune, una personale decolorazione della gamma caravaggesca. L'abbiam visto insomma avvicinarsi per un istante a delle apparenze sintetiche. Talora, e anche questo va ricordato, l'abbiam sorpreso - come nella Lavanda - a riprendere l'antico effetto luminoso e non potendolo più impiegare a fondo, stilisticamente, nel nuovo territorio disegnativo, usarlo almeno con piena coscienza del suo valore drammatico, nella quale impresa non può dispiacer di scoprire una rara austerità e gravezza scontrosa di spiriti. Poi, accentarsi progressivo degli schemi di disposizione ritmata simmetrica, dove persino la plasticità delle masse raccolte si dirada: dalla cappella di San Gennaro a quella dell'Assunta; e tuttavia, sempre, tale costrutta serietà, tale fermezza fantastica di segno vastamente spaziato da far pensare a un Poussin o meglio ad un Ingres. Quando diceva: «pur et large: voilà le dessin, voilà l'art».

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Si ha un bel ridire che Caravaggio è il fondatore di tutto il '600 europeo, che è quanto dire dell'arte moderna; un bel domandare come si farebbe a spiegare, storicamente, Velazquez, o Rembrandt, o Vermeer, o Frans Hals tirando una tenda sui quadri di Caravaggio e lasciando alla vista, accanto, Giorgione, Tiziano, Tintoretto, e i secenteschi che abbiam detto, per veder se sia proprio fra di essi figliazione diretta, o se non si senta mancar un anello in quella curiosa catena della storia dei pittori - «ché le molte cose in pittura una vien dall'altra, e ciaschedun Artefice prende da un medesimo luogo, come un certo buono già stabilito per legge» 1, come diceva l'ottimo abate Ciccio Solimena -; questo delle basi caravaggesche del '600 finirà per doventare un articolo, un domma accettato ma non accetto.

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D'altronde questo difficilmente si potrebbe imputare ad un tratto di leggerezza dello specialista Gentileschi, più «reale» come abbiam visto, dello stesso Caravaggio. Ma ecco: non credo che quel frondame poco meno che degno di Paolo Bril, sia neppure di Gentileschi: è troppo evidente che il quadro ha subìto pentimenti e rappezzi: dietro le fronde s'intravede molto bene un cielo aperto sul quale campiva affatto la figura; quel cielo a sua volta può essere venuto a sostituire un fondo bruno intero; e allora bisogna supporre che Gentileschi avendo sentito la necessità di un contrapposto bruno almeno per la chiarezza del corpo abbia pregato l'amico e collaboratore Agostino Tassi, di dipingergli il paese e la frasca che sono appunto nella maniera di costui 32.

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Ci dispiace mettere tante pulci nell'orecchio alla critica, ma da un esame delle opere che abbiamo appena citate non appaiono meno divari di quelli che abbiam detto. Si tratta di Bramante in periodi diversi? E bisognava determinarlo, seguire lo sviluppo in qualche modo; non già accettare tutto così alla cieca.

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Si potrebbe abituarci prima a percepire i lievi capricci che s'insinuano nella forma placida di Tiziano giovine, o del Palma, magari in un semplice frisé di capelli, o nel trinciare più sventato degli sbuffi, eppoi si potrebbe passare a «fenomeni » più evidenti come sono a Ferrara il passaggio dal Grandi al Mazzolino; a Cremona dal Boccaccino ad Altobello; a Brescia, quello che abbiam visto, del Romanino, dai due Santi di Lovere agli affreschi cremonesi: a Milano quello dal Bramantino dell'Isola Bella al Bramantino di Locarno, o, ciò che vale lo stesso, a Gaudenzio Ferrari.

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La cosa che più importerebbe sarebbe finalmente dire come paia a noi doversi interpretare l'arte di Daniele Crespi; ma - senza quel che abbiam messo fra le righe - bisognerebbero troppe parole, e tutto il tempo di una recensione è di già trascorso in queste necessità amministrative.

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Ma come potremmo fare altrettanto, quando vediamo l'Oldenbourg insistere nell'attribuire al Lys quella Decollazione del Battista della Galleria Corsini che spetta, come abbiam detto altrove, a Orazio de Ferrari?* O quel San Giovanni Battista agli Uffizi che starebbe a dimostrare lo studio del Lys su Tiziano, e che col Lys non ha alcun rapporto? o quella Venere con Adone a Palazzo Pitti già attribuito a Van Dyck, ma così evidentemente di un secentesco italiano, forse di un Toscano tra Riminaldi e Lippi? o quella Toilette della megera che sebbene nella stampa di Pietro Monaco porti il nome di Jan Lys, non è per questo meno di un carissimo Strozzi?

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., che il Focillon usa invece troppo positivamente, per quel suo fare critico, abbiam già detto, un poco settecentesco e piranesiano, e nel quale talora si sente leggermente lo chic.

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