Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il cappello del prete

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De Marchi, Emilio 2 occorrenze

Salvatore e Maddalena, lo abbiam detto, s'eran pigliata a tempo la parte migliore di quel cuore pieno di passioni e di fantasmi. - E come spiega allora, eccellenza, che Salvatore fosse in possesso del cappello di prete Cirillo? - Io non so nulla, caro... - Ella avrebbe detto al giornalista che il cappello può essere stato gettato nel giardino... - Sí. - Ci dia un'idea della casa e del giardino. C'è un muro di cinta? - Sí. - Molto alto? - Cosí... - Ma un testimonio dice che il cappello non fu trovato in giardino. - Dove fu trovato? - chiese con piú animo il barone. - In casa. - Dove? - insisté sua eccellenza con un tono quasi insolente. - Abbia pazienza, capisco, è noioso. Ma è questione di cinque minuti. Il barone si era fermato al suo dove? come davanti a una porta chiusa. Non era meno curioso degli altri di sapere in qual maniera il prete aveva perduto il suo cappello. Successe una piccola pausa intanto che il signor cancelliere e l'altro signore dagli occhiali sul naso frugavano in mezzo a un mucchio di carte, susurrando tra loro parole confuse e cabalistiche. - Non sai nulla! - disse ancora una volta una voce che usciva dagli strati piú fondi del suo pensiero. Era un ultimo avvertimento a un uomo, che si accorgeva di lasciarsi troppo ingannare dalle sensazioni. Si abbandonò, si accomodò nella poltrona e cominciò a guardare diritto avanti a sé coll'occhio fisso nella luce chiara della finestra, colle gambe accavallate, col suo splendido cilindro in mano. Agitò il bastone, si guardò la punta dei guanti... - Non sai nulla! - tornò a dire la voce prudente e segreta. Il giudice perdette un po' di tempo a cercare una carta tra le carte; poi, col tono uniforme di una campana, cominciò: - Il suo nome?... Scusi, sono le solite formalità. - Carlo Coriolano barone di Santafusca - rispose il barone con enfasi. - Figlio? - Di Nicolò. - Età? - Quarantacinque... credo... però... "U barone" sorrise un poco. Sorrise un poco anche il giudice. - Abitante?... lo sappiamo... non importa. Il giudice mormorò alcune parole al vicino che alzò il naso armato di due grandi occhiali. Il vecchio usciere cominciò a dondolare come un pendolo dietro le spalle del testimonio. "U barone" che lo vedeva colla coda dell'occhio non poté resistere alla voglia di voltare il capo e di guardare ancora una volta quella secca figura di merluzzo vestita di nero. Era un gran mistero per lui come avesse potuto credere di distruggere il corpo del delitto, gettando in fondo al mare un cappello, che adesso era nelle mani dei giudici. Fisso in questo problema non intese l'ultima dimanda del giudice, e ciò produsse un piccolo imbarazzo in tutti. - Non crede che possa essere stato gettato in mare? - chiese con una naturale diversione l'amabile cavaliere Martellini, che non perdeva di vista l'orologio, come per dire all'illustre amico: Abbia pazienza, ho quasi finito. - È difatti la mia opinione... - Che cosa fu gettato in mare? - chiese il cancelliere, che stava scrivendo le risposte nel processo verbale. - Il cappello. - Il prete. Queste due parole risonarono insieme, la prima per la bocca del barone che era trascinato dalla forza della verità, l'altra per la bocca del giudice, che seguiva invece i naturali indizi del processo. L'urto di queste due parole fu una prima scossa dell'edificio che il barone aveva innalzato per sua difesa. Temette di essere già caduto in contraddizione, e si affrettò a dire con grande vivacità: - Dico il cappello... il cappello. - Questo non è possibile, - soggiunse il signor giudice - perché il cappello è nelle nostre mani. Anzi, se lo vuol vedere... Quaglia togliete il panno. L'usciere si avvicinò alla cesta con passo lento e vacillante e la scoprí. Il cavaliere Martellini si alzò e disse: - Favorisca. eccellenza. Il barone, che sedeva piú basso, non poteva arrivare cogli occhi fin sopra la cesta. All'invito replicato del giudice fece per muoversi, ma non poté subito per una specie di paralisi nervosa. - Scusi, se non le rincresce incomodarsi... "U barone" sentí che non poteva rimanere lí, duro duro, incantato. Si spaventò di questa sua fisica incapacità, molto piú che gli parve di scorgere in viso al cavaliere un senso di meraviglia; si riprese, e con uno di quegli sforzi supremi con cui soleva pigliarsi quasi per i capelli, andò diritto fino al banco e guardò. Il cappello del prete, nella sua eleganza di cappello nuovo, spiccava sul fondo rossiccio di una sacca o carniere da cacciatore. Il cavaliere continuò: - Ecco il famigerato cappello: lo osservi, eccellenza. La giustizia sa di sicuro che questo cappello fu venduto a prete Cirillo la mattina del giorno quattro di aprile. Don Antonio l'avrebbe trovato nella stanza di Salvatore, che forse l'avrà raccolto in giardino. Per scrupolo di coscienza fu inviato in una scatola a Filippino Mantica. In questo intervallo prete Cirillo scomparve e non si sa piú nulla dei fatti suoi. Il cappello porta qualche ammaccatura leggiera qua e là, qualche macchia di calce... osservi, vede? "U barone" non vedeva nulla, tranne un gran nero. Tutta la sua vita era raccolta nell'afferrare le dimostrazioni e le dimande del giudice. Al suo fianco vedeva una figura nera che si agitava, e che cacciava le mani nella cesta quasi per fargli dispetto, e cominciò a fissarla con un occhio sanguigno e cattivo. La toga nera e sciupata delvecchio usciere faceva spiccare il bianco del suo piccolo capo e di un bavaglino di tela conficcato nel collare. Il Quaglia, che teneva il cappello del prete in mano, lo mosse due o tre volte, segnando col dito ossuto le macchie e le ammaccature qua e là, gonfiando un poco un paio d'occhi color madreperla. Il barone non poteva torcere gli occhi da quegli occhi gonfi, che lo guardavano con una mezz'aria d'ironia. - In quanto all'opinione che accusa un cacciatore, - continuò il giudice, - sarebbe in parte confermata dalla scoperta di questo carniere. - Ah! - fece il barone con un'esclamazione quasi di trionfo, come se volesse dire: "E non avevo ragione io di credere in questo cacciatore?". - Questo carniere fu trovato in una barca presso alcuni scogli. - Precisamente! - ribatté il colpevole, senz'accorgersi di dire troppo, ma credendo con ciò di distruggere meglio l'effetto di una contraddizione in cui fosse caduto poco prima. Ormai nel suo turbamento e nel conflitto in cui trovavasi tra la verità, la coscienza e il giudice, non sempre aveva presente ciò che gli conveniva dire e ciò ch'era meglio tacere. - Scusi, barone, ella forse si sente male... - balbettò l'egregio funzionario, impallidendo un poco. - No, no, sto benissimo, che cosa dice? - rispose "u barone" balzando con una scossa del corpo come se cadesse da un gradino non visto, nel buio. - Volevo soltanto far notare - soggiunse ridendo - che la mia opinione era fondata su una presunzione, e che non avevo torto di dire "cherchez le chasseur". Non mi sento male, tutt'altro, anzi ho quasi appetito... - Trasse e guardò l'orologio. - È naturale, è quasi mezzodí. Pareva che lor signori avessero voglia di trovarmi in contraddizione; ma qui c'è la prova parlante che un cacciatore esiste. Ecco il triste connubio dell'assassino e della sua vittima! La voce del barone di Santafusca erasi fatta cosí oscura e profonda, il modo con cui andava squadrando il vecchio usciere era cosí pieno di ferocia e di spavento, che il cavaliere Martellini e gli altri, allibiti, si guardarono in viso. Il buon giudice istruttore finse di cercare alcune carte, ma le sue mani tremarono come se avesse indosso la terzana fredda. - C'è don Ciccio Scuotto? - chiese al Quaglia. - È di fuori. - Fatelo pure entrare. Il barone, la testa del quale navigava già in un mare torbido e burrascoso, tornò a fissar l'occhio bianco e cristallino sulla finestra. - Scusi eccellenza, si accomodi pure - riprese a dire il giudice con voce più composta. Anche noi non abbiamo mai messo in dubbio l'esistenza di un cacciatore... Si accomodi. Il barone andò a sedersi sopra una scranna che portò egli stesso nel mezzo della sala, e cominciò a far dei calcoli e dei confronti tra il suo orologio e il quadrante appeso alla parete. Si sarebbe detto che il processo non lo toccasse più. - Dunque vediamo d'orientarci, caro barone, per venire a una conclusione - cominciò a dire colla amabilità solita il signor giudice: anzi, infilando egli stesso il racconto con una di quelle astuzie inquisitorie che non sbagliavano quasi mai, entrò nell'animo del testimonio e cercò di tirarlo a sé: - Un cacciatore dunque fu veduto alla Falda, all'osteria del "Vesuvio"; poi fu veduto da un cantoniere della strada ferrata, e finalmente pare che abbia preso il largo in una barchetta da pesca che trovò presso alcuni scogli. Va bene? - Precisamente - tornò a dire Santafusca col tono semplice e naturale di chi ha veduto e quasi toccate le cose che afferma. Il cavaliere Martellini tornò a rimestare nelle carte, per dar tempo all'animo di ricomporsi. Gli altri due signori che sedevano ai capi della tavola si lanciarono un'occhiata piena di spavento dietro le carte e i protocolli. Piú che il contegno irritato, piú che l'occhio stravolto, fece colpo sull'animo dei giudici la sicurezza, la prontezza, il candore quasi con cui il testimonio confermava e ribadiva i semplici indizi della procedura. In quel mentre entrò don Ciccio, a cui il Quaglia aveva susurrato nell'orecchio alcune paroline. L'acuto "paglietta" gettò uno sguardo su quell'uomo torbido che sedeva nel mezzo della sala, piú appoggiato alle ginocchia che alla sedia, e si arrestò di scatto. Aveva egli trovato piú di quanto cercava? Fisso, estasiato di quel suo trionfo, l'avvocato dei preti andava girando la manica sul pelo del suo cilindro bianco, che non era mai stato cosí liscio. Dopo aver ricomposta la persona sulla poltrona, il cavaliere Martellini ritornò a dire colla solita piacevolezza: - Ancora una parola, eccellenza, e poi la lascierò in libertà. Ormai non è più il giudice che interroga, ma l'amico che discorre di un caso curioso. Noi magistrati siamo spesse volte affetti di miopia curialesca, e piú aguzziamo l'occhio e meno vediamo le cose che cerchiamo. Un uomo di mondo invece ha l'occhio sano. Voi avete detto benissimo, caro barone... - soggiunse il giudice ripigliando un grazioso tono di confidenza, - noi abbiamo davanti il turpe connubio dell'assassino e della sua vittima; ma, secondo voi, quale interesse poteva avere l'assassino di uccidere il povero prete? - Il prete era ricco - disse il barone alzando burberamente le spalle. - E voi credete, caro barone, che il cacciatore abbia agito per conto proprio o invece per mandato di qualche persona potente? - Per conto proprio, diavolo! - Dunque - continuò il giudice con un tono piú eccitato e squillante - questo cacciatore o falso cacciatore avrebbe procurato di tirare il prete fuori di Napoli... Il barone si alzò con aria tragica e accompagnò la sua affermazione con un gesto vigoroso, stendendo il braccio e l'indice verso un punto della parete. - Precisamente, e lo gettò in mare. - Il prete? gridò il giudice. - Il prete... rispose il barone che adesso non parlava piú che per una specie di meccanismo interno. - Prego il signor cancelliere di mettere a processo verbale che il testimonio crede che il prete sia stato gettato in mare. Il tono ruvido e autorevole con cui il signor giudice pronunciò queste parole, e i colpi del dito sulla carta con cui accompagnò l'ordine, diedero una seconda e terribile scossa ad un uomo che parlava come un addormentato. "U barone" trasalí, e ripetendo a sé stesso l'ultima risposta, si spaventò di essere caduto cosí presto in contraddizione. Prima aveva detto che il cacciatore aveva gettato in mare il cappello e non il prete: ora diceva che il prete era stato gettato inmare. Di questa contraddizione la sua mente non era piú in grado di valutare l'importanza e il pericolo: e tanto meno essa era in grado di conciliare la prima risposta colla seconda: ma il colpevole sentí confusamente che l'edificio della sua difesa diroccava da tutte le parti, e che da questo momento aveva nel cavaliere Martellini un terribile nemico. Procurò di rettificare la deposizione di prima: ma ormai gli mancavano gli argomenti, gli mancava la voce, il tempo; e le parole gli si aggrovigliavano in bocca. Gli veniva meno la forza di tener separato nettamente il cacciatore da sé, di non attribuire all'uno pensieri ed atti che appartenevano, pur troppo! soltanto all'altro. Non sapeva piú discernere il fatto da' suoi particolari, e, per la foga di conciliare il prete col suo cappello e di voler credere troppo nel cacciatore, non si accorgeva che a poco a poco andava esponendo e accusando sé stesso. La sua testa era una fornace. I mille fantasmi cacciati, respinti, costretti, flagellati dalla sua scienza edalla sua logica, uscivano sbucando ora tutt'insieme dai tenebrosi spechi della coscienza, invadendo la sua ragione e lo spavento s'impadroniva di quell'uomo che da circa un mese aveva lanciata una terribile sfida alla natura e a Dio. Questa povera anima, che aveva resistito agli urti del rimorso e della disperazione, fatta solida da uno smalto artificiale di convinzioni scientifiche, si screpolava da sé per la inferiorità della sua stessa vernice. La mente non connetteva più, si spezzavano le formole logiche, e la pazzia, la furia vendicatrice della superba ragione, scendeva a rompere la testa del barone di Santafusca, come egli aveva spezzata, con una sbarra di ferro, la piccola testa di prete Cirillo. Ciò che seguí da questo momento non fu piú interrogatorio nelle forme, ma la lotta estrema di una ragione contro un rimorso. Il barone in piedi, nel mezzo della sala, gesticolando con forza, col suo bastoncino in mano, cominciò a dire: - Mi meraviglio che si voglia ancora trovarmi in contraddizione. È chiara, per Dio! Prego a non farmi dire cose che non penso. Che ne so io di questa faccenda? Io dico che il cacciatore aveva tutto l'interesse a far scomparire le traccie del prete, cioè il suo cappello. L'uno valeva l'altro; anzi l'uno piú dell'altro, perché l'uomo si spegne come a soffiare sopra un moccolo, ma la materia (gridò contorcendo nelle mani il bastone) la materia è dura, resistente, indistruttibile, ha filamenti eterni, immortali. Avete letto, signori, il "Trattato delle cose" del celebre dottor Panterre? Devo io citare a questi signori Buchner, Moleschott, Hartmann, per dimostrare questo principio fondamentale che nulla si può distruggere di ciò che esiste? Quando voi pensate che una palla di cannone impiega piú d'un milione d'anni a cadere dal centro del sole al centro della terra, e che il sole è un tuorlo d'uovo in confronto delle nebulose e degli asteroidi e dell'infinito spazio, io son persuaso che riderete anche voi con me di queste sciocchezze, come rideva poco fa quel teschio di prete coi denti appoggiati alla grata. Né quel prete, né quell'altro, non cantano piú l'epistola... "U barone" sorrise in modo sinistro e, facendo tre o quattro passi veloci nella sala, continuò, rinfocolandosi, spezzando in due il bel bastoncino e buttandone in aria i frantumi: - Ecco perché il cacciatore cercò di far scomparire il cappello del prete, gettandolo in mare. Per averlo in mano, quel cappello, era andato fino alla Falda perché sapeva che Giorgio della Falda l'aveva preso con altre robe nella stanza di Salvatore. Per questo io dicevo che il cappello fu gettato in mare, e non c'è nessuna contraddizione, caro cavaliere Martellini. Se il cacciatore avesse affogato il prete, come potrebbe il prete essere sepolto a Santafusca? Non vorrete supporre che lo abbia ammazzato Salvatore. O per l'anima mia! io devo difendere la memoria di un uomo che mi ha portato sulle braccia, e, dovessi dar tutto il mio sangue, non permetterò mai che l'ombra del piú piccolo sospetto funesti una tomba pura e modesta! Vigliacco è chi lo pensa, vigliacco chi lo dice. Perché avete trovato il cappello nella sua stanza, voi correte a calunniare un poveretto morto che non può difendersi. E chi vi dice che il cappello non sia stato portato in camera di Salvatore dal suo cane?... Interrogato il cane, non rispose, ha detto ironicamente il cavaliere Martellini; ma se quel cane parlasse, signori miei, vi direbbe, come ha detto a me, che il prete non fu gettato in mare, ma fu ammazzato dal cacciatore e sepolto da lui nella villa... - Dal cacciatore? - soggiunse con voce rotta da un singulto il giudice, che si aggrappava ai bracci della poltrona quasi per resistere allo spavento di quella scena non mai veduta. Gli altri ufficiali, l'usciere, don Ciccio, irrigiditi da quello spettacolo, non davano quasi piú segno di vita. - Dal cacciatore, dall'anticristo... - gridò "u barone". - Che... che tirò il prete a Santafusca con un pretesto... l'uccise e lo seppellí in giardino... eh? eh? - Il giudice pareva che volesse arrampicarsi sullo schienale dei seggiolone. - Non in giardino - esclamò "u barone" ridendo come se l'amabile cavaliere avesse detto una facezia. - In fondo alle scuderie, sotto quel mucchio... Il barone non parlò piú. L'occhio fisso sul cappello del prete, dopo aver raccontato del cacciatore ciò che da un mese aveva troppe volte raccontato a sé, si sprofondò nella contemplazione estatica del suo delitto come se ancora avesse sotto gli occhi quel maledetto mucchio di calce e di mattoni. Ed era uno spettacolo veramente tragico e solenne assistere alla confessione di un uomo che accusava l'ombra sua. - Barone di Santafusca, - gridò finalmente il giudice, alzandosi ritto su tutta la persona che parve diventata piú grande - voi siete mio prigioniero. Il barone a queste parole si scosse da quella specie di sonno magnetico in cui l'aveva tratto la fissazione della sua mente; fece un mezzo giro su sé stesso, si guardò intorno con occhio scemo e torvo, parve ancora una volta riconoscere l'orrore delle sua condizione, mandò un urlo, alzò le braccia, e, spinta la sedia in terra, cercò farsi strada verso la porta. Era troppo tardi. Vi stava già la forza. - No, - gridò colla bava alla bocca - v'ingannate. Posso dare altre prove. Sono malato, vedete, è la testa. Sentite la mia testa. Per Cristo santo, ho la febbre! Sono innocente. Volete che io vi conduca sul luogo del delitto? Vi farò vedere e toccar con mano. Signori, voi avete davanti un barone di Santafusca, che non si lascia arrestare come un guappo. Cosí dicendo, si chinò, afferrò la sedia colle due mani, e alzandola colla vigoria dei suoi muscoli furibondi, cercò di farsi ancora una strada verso la libertà. Successe una scena indescrivibile. I giudici si alzarono spaventati e si ritrassero verso la parete di fondo, scompaginando nella fuga sedie, carte e libri. Il vecchio usciere per poco rimaneva massacrato dalla sedia che l'assassino gli scaraventò sulla testa; guai a lui, se non si abbassava a tempo! Seguí una lotta fiera a corpo a corpo, tra l'assassino inferocito e i due soldati dalle braccia robuste, che lo avvinghiarono come un orso feroce. L'assassino rotolò in terra ai piedi della tavola, trascinando con sé uno dei carabinieri che tentò di mordere al viso. Finalmente, coll'aiuto d'altri secondini accorsi, fu domato, legato.... ma la giustizia umana non ebbe nelle mani che un povero pazzo. Il barone era stato tradito e punito dalla sua stessa coscienza.

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