Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbiam

Numero di risultati: 18 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254950
Saltini, Guglielmo Enrico 1 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Degli onori che furono tributati a questo valent’uomo, ci passeremo come abbiam fatto con tutti; ma non vogliamo tacere che l’istituto di Francia lo volle tra i suoi, perchè le onoranze non chieste e che ci vengon di fuori meglio che l'uomo illustrano la patria.

Pagina 68

Personaggi e vicende dell'arte moderna

260514
Venturoli, Marcello 6 occorrenze
  • 1965
  • Nistri-Lischi
  • Pisa
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Se fino ad ora noi abbiam posto l’accento sull’inequivocabile vocazione o condizione impressionista di Vuillard, ciò non significa che il maestro sia stato incapace di autonomia; anche Bonnard, che a nostro avviso può essere considerato il fratello maggiore più somigliante a Vuillard (per la fedeltà agli impressionisti), ebbe uno sviluppo non dentro l’avanguardia storica, ma a fianco di essa, non cogliendone via via l’insegnamento, ma avvalendosi delle premesse impressioniste, per raggiungere molto spesso risultati non minori di quelli degli avanguardisti: Vuillard, nel suo piccolo, fece lo stesso; camminando, se così possiamo esprimerci, a fianco dei divisionisti senza mai entrare nelle loro schiere come un effettivo militante: punti di contatto con Seurat si ritrovano ovviamente in diversi dipinti di Vuillard, come «La Gugliata» già citata, «Gli scaricatori», «L’autoritratto ottogonale», «La vita coniugale», «Madre e bambino», ma a noi sembra che questa esemplificazione della architettura cromatica dovuta alla vicinanza di Vuillard coi divisionisti non faccia che mettere maggiormente in luce le sue peculiari doti di decoratore del sensibile. Del resto, nello stesso tempo in cui l’artista percorreva la strada parallela a quella dei divisionisti, precisava e riproponeva la sua origine dalla grande fioritura del 1870: come si può ampiamente avvertire nelle opere «Il traghettatore» (Monet) «Misia nei campi» (un Pissarro visto attraverso gli schemi di Gauguin e di Van Gogh), «La conversazione» (che fa venire in mente perfino il museo di Degas, per le tipologie, il leggiero gusto aneddotico degli interni di «genere»), «Misia con il corsetto rosso a fiori» (per i bianchi manettiani, le esemplificazioni «mattinali» della luce), infine la magnifica tempera pastellata su tela «Madame Hessel e un bambino al castello di Clayes», di una veemenza psicologica e sensuale inusitate, e tali da suggerire il quadro degli interessi di Toulouse Lautrec.

Pagina 117

Vuillard, al di fuori della ragione storica dell’impressionismo così come noi abbiam voluto presentarla, non fu convinto da niente altro: accompagnare il post-impressionismo con dignità e freschezza fino al matrimonio con l’avanguardia.

Pagina 119

Ed ora che abbiam chiarito il nostro pensiero, su Pollock e sulle possibilità dell’astrattismo non figurativo, affermiamo con la medesima schiettezza di rimanere nei confronti di molti paladini dell’ultimo «ismo», artisti e critici, ugualmente scettici e sulla difensiva. Se Pollock è un artista valoroso, che resterà certamente nella storia dell’arte moderna, non sono altrettanto valorosi e nemmeno sulla medesima strada di originalità e di spregiudicatezza molti astrattisti italiani, quasi tutti gratuiti o formalisti per la pelle.

Pagina 198

A proposito dei nove motivi musicali o trofei di note che Sergio Romiti ha esposto alla Quadriennale, ci sia permessa questa osservazione psicologica: dinnanzi ad un unico «pezzo» del pittore bolognese vien fatto di sostare a lungo, quasi a mettere a fuoco la nostra percettibilità con quelle liriche vanescenze; ma, dopo un lungo ascoltare ed ascoltarsi per percepire l’eco di musiche che non si odono, una smania ci spinge a guardare oltre, nelle tele sorelle, se mai si possa scorgere ciò che nella prima non abbiam visto o capito; ma, se dinnanzi ad una sola opera di Romiti ci pareva di essere noi in colpa, troppo «grossi» per tanta finezza da decifrare con pazienza, dinnanzi a tutte e nove ci pare che la colpa sia di Romiti, che egli abbia voluto in quella somma di squisite pochezze dare l’immagine di una reticenza, piuttosto che di una confessione, di una ambiguità, piuttosto che di una certezza. Ma il fatto che questi quadri non ci respingano e non ci leghino, non autorizza nessuno a concludere che essi siano inespressi, casuali e meccanici: in quella sorta di «caleidoscopio» su raso (la parola non è nostra, ma non siamo autorizzati a citarne la fonte) Romiti è vitale e inimitabile; forse c’è una sola persona che possa imitarlo (cosa che pensiamo avvenga talvolta) ed è lui stesso.

Pagina 352

Ché Brancusi, pur sobrio al punto di nutrirsi di polenta e cipolle come cibo principale, era ricco, dopo tutto: le sue sculture giravano su basamenti azionati elettricamente, ed alcune erano accompagnate anche da musiche di intonazione mistica; il Maestro, lo abbiam visto, non era un Lucullo, eppure in tutto il quartiere popolarissimi erano i suoi manicaretti confezionati con sue stesse mani in occasione di feste pubbliche e private.

Pagina 48

Ma se fin’ora abbiam parlato della eccezione della regola, non dobbiamo trascurare quella che fu, appunto, la regola di Delacroix, il quadro «storico» liberamente espresso nelle tele, con la evidenza e la persuasione che l’artista mise nel descrivere gli episodi della realtà. Delle sette versioni del motivo di «Cristo sul lago di Génézareth», le due presentate nella XXVIII Biennale di Venezia, entrambe compiutissime, sono autentici capolavori, insieme con l’altro «quadro di naufraghi», il Don Juan, dipinto dodici anni prima. In quest’ultimo la «storia» così come ce l’aveva rappresentata nei suoi paradigmi la Rinascenza fino a Tiepolo diventa piuttosto una cronaca, a tutto vantaggio dell’arte. Le tre donne e i diciannove uomini che gremiscono la barca, sono così drammaticamente legati «alla vita», che il racconto assume la concitazione di chi guardi, e, via via, descriva. Una sorta di bonaccia, di immobilità, resa plastica dall’orizzonte sul quale si allarga un’ombra tempestosa anziché il chiarore, le onde nere nell’acqua profondissima del primo piano, inquadrano questo palcoscenico di vita, la barca, dove nessuno più grida o si sbraccia. L’agitazione c’è già stata: ora ciascun personaggio ha tutto il tempo di contemplare se stesso, di amministrare il suo sfinimento, raccogliendosi intorno all’amato Juan. Ci entrano davvero tutti nella barca? O non è questa una specie di barca di Caronte, che sta a galla per pura licenza pittorica? Pesano troppo i ventitré, su quel mare grigio e vuoto, dove perfino la luce sprofonda? L’equilibrio è compromesso dal gruppo dei naufraghi in piedi? Ma è proprio il senso di questa irreale realtà, di questa barca che, malgrado il suo peso umano, non affonda, a dare un preciso significato al quadro.

Pagina 97

Scritti giovanili 1912-1922

262883
Longhi, Roberto 11 occorrenze

I problemi di stile che B. ha sovrapposto al primo che, come abbiam visto, tendeva confusamente a una nuova costruzione della forma, sono l'ambiente in genere e la luce.

Pagina 137

E molto che abbiam visto fin qui come deprimente, negativo dell'attività lirica di quest'uomo, è addirittura formativo della sua critica.

Pagina 18

La figura della Maddalena ci offre infatti un esempio di schematizzazione formale, quale soltanto Battistello poteva ideare, secondo quelle tendenze all'astrazione tondeggiante della forma che abbiam già notato in altre opere. Gli scorci eccezionali delle due mani fermate in posa con una fissità da voluminista del Quattrocento, la placca ovale di luce che, posandosi sur una glabra superficie di guancia, mira a suggerirci un'integrazione totale di forma in tondo, dovrebbero far comprendere quello che io comprendo. E se infine ci volgiamo al Cristo, che cosa più di caravaggesco in esso? a che serve il partito forte di luce laterale se deve ridursi a commentare lo scavo elegante, complicato di questo panneggio che s'aggira grave tortuosamente in chiave - di violoncello? se deve ridursi a chiaroscurare senza intoppo un viso di tale pallida classicità da aspettarci di vedere su di esso le piccole vene del calco? E il peggio si è che la luce butta sulla forma tale potente convinzione di esistenza da farcela sembrare realismo - già: la riproduzione realistica di un calco da un pezzo d'arte altrui. Ecco come sorge per Battistello il pericolo di passare da Caravaggio - a Ingres, per esempio. E qui bisognerebbe spiegare perché Caravaggio usasse tanto raramente e riservatamente della rotondità e le ponesse dappresso un grumo di plasticità per ridarle vita: basterà dire che l'ideale di Caravaggio non era precisamente l'ideale di Ingres, mentre con Ingres poteva in fondo intendersi Caracciolo, seguitando per questa via, come seguitò. Lungi com'io sono, intendiamoci, dal disprezzare Ingres.

Pagina 186

Eppure, abbiam visto come, anche in questa seconda forma, la serietà con cui Caracciolo s'impegna nei suoi tentativi lo faccia raggiungere le soglie della grandezza; abbiam visto come la tesa elasticità dei contorni suoi lenti gli permetta ancora di versare nei campi inframmessi liquidi cromatici che sono tuttavia, ora per contrasto di bianchi e di scuri, ora per accordi di tenuità viola vinate e verdi o pallidamente brune, una personale decolorazione della gamma caravaggesca. L'abbiam visto insomma avvicinarsi per un istante a delle apparenze sintetiche. Talora, e anche questo va ricordato, l'abbiam sorpreso - come nella Lavanda - a riprendere l'antico effetto luminoso e non potendolo più impiegare a fondo, stilisticamente, nel nuovo territorio disegnativo, usarlo almeno con piena coscienza del suo valore drammatico, nella quale impresa non può dispiacer di scoprire una rara austerità e gravezza scontrosa di spiriti. Poi, accentarsi progressivo degli schemi di disposizione ritmata simmetrica, dove persino la plasticità delle masse raccolte si dirada: dalla cappella di San Gennaro a quella dell'Assunta; e tuttavia, sempre, tale costrutta serietà, tale fermezza fantastica di segno vastamente spaziato da far pensare a un Poussin o meglio ad un Ingres. Quando diceva: «pur et large: voilà le dessin, voilà l'art».

Pagina 201

Si ha un bel ridire che Caravaggio è il fondatore di tutto il '600 europeo, che è quanto dire dell'arte moderna; un bel domandare come si farebbe a spiegare, storicamente, Velazquez, o Rembrandt, o Vermeer, o Frans Hals tirando una tenda sui quadri di Caravaggio e lasciando alla vista, accanto, Giorgione, Tiziano, Tintoretto, e i secenteschi che abbiam detto, per veder se sia proprio fra di essi figliazione diretta, o se non si senta mancar un anello in quella curiosa catena della storia dei pittori - «ché le molte cose in pittura una vien dall'altra, e ciaschedun Artefice prende da un medesimo luogo, come un certo buono già stabilito per legge» 1, come diceva l'ottimo abate Ciccio Solimena -; questo delle basi caravaggesche del '600 finirà per doventare un articolo, un domma accettato ma non accetto.

Pagina 219

D'altronde questo difficilmente si potrebbe imputare ad un tratto di leggerezza dello specialista Gentileschi, più «reale» come abbiam visto, dello stesso Caravaggio. Ma ecco: non credo che quel frondame poco meno che degno di Paolo Bril, sia neppure di Gentileschi: è troppo evidente che il quadro ha subìto pentimenti e rappezzi: dietro le fronde s'intravede molto bene un cielo aperto sul quale campiva affatto la figura; quel cielo a sua volta può essere venuto a sostituire un fondo bruno intero; e allora bisogna supporre che Gentileschi avendo sentito la necessità di un contrapposto bruno almeno per la chiarezza del corpo abbia pregato l'amico e collaboratore Agostino Tassi, di dipingergli il paese e la frasca che sono appunto nella maniera di costui 32.

Pagina 236

Ci dispiace mettere tante pulci nell'orecchio alla critica, ma da un esame delle opere che abbiamo appena citate non appaiono meno divari di quelli che abbiam detto. Si tratta di Bramante in periodi diversi? E bisognava determinarlo, seguire lo sviluppo in qualche modo; non già accettare tutto così alla cieca.

Pagina 294

Si potrebbe abituarci prima a percepire i lievi capricci che s'insinuano nella forma placida di Tiziano giovine, o del Palma, magari in un semplice frisé di capelli, o nel trinciare più sventato degli sbuffi, eppoi si potrebbe passare a «fenomeni » più evidenti come sono a Ferrara il passaggio dal Grandi al Mazzolino; a Cremona dal Boccaccino ad Altobello; a Brescia, quello che abbiam visto, del Romanino, dai due Santi di Lovere agli affreschi cremonesi: a Milano quello dal Bramantino dell'Isola Bella al Bramantino di Locarno, o, ciò che vale lo stesso, a Gaudenzio Ferrari.

Pagina 341

La cosa che più importerebbe sarebbe finalmente dire come paia a noi doversi interpretare l'arte di Daniele Crespi; ma - senza quel che abbiam messo fra le righe - bisognerebbero troppe parole, e tutto il tempo di una recensione è di già trascorso in queste necessità amministrative.

Pagina 356

Ma come potremmo fare altrettanto, quando vediamo l'Oldenbourg insistere nell'attribuire al Lys quella Decollazione del Battista della Galleria Corsini che spetta, come abbiam detto altrove, a Orazio de Ferrari?* O quel San Giovanni Battista agli Uffizi che starebbe a dimostrare lo studio del Lys su Tiziano, e che col Lys non ha alcun rapporto? o quella Venere con Adone a Palazzo Pitti già attribuito a Van Dyck, ma così evidentemente di un secentesco italiano, forse di un Toscano tra Riminaldi e Lippi? o quella Toilette della megera che sebbene nella stampa di Pietro Monaco porti il nome di Jan Lys, non è per questo meno di un carissimo Strozzi?

Pagina 386

., che il Focillon usa invece troppo positivamente, per quel suo fare critico, abbiam già detto, un poco settecentesco e piranesiano, e nel quale talora si sente leggermente lo chic.

Pagina 446

Cerca

Modifica ricerca