Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIOR

Risultati per: abbia

Numero di risultati: 8 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Il Mezzogiorno e la politica italiana

401309
Sturzo, Luigi 6 occorrenze
  • 1923
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 309-353.
  • Politica
  • UNIOR
  • ws
  • Scarica XML

Premetto che per mezzogiorno intendiamo non solo quello continentale dall'Abruzzo alla Calabria, ma anche le isole di Sicilia e Sardegna. naturale che così vasta regione, anzi agglomerato di regioni, abbia molti problemi da agitare e da risolvere. Ma la convergenza di tante condizioni quasi omogenee, la connessione di interessi e di economie, la simultaneità e univocità di cause e similarità di effetti — pur nel vario e diverso sviluppo politico, che li assomma e li proietta nella visuale nazionale, — fanno dei tanti problemi un problema solo, formidabile e premente sulla coscienza pubblica.

Pagina 309

La lotta insinuata fra nord e sud non è, né può essere guardata come una lotta di egemonia politica ed economica; anche perché il sud non può dirsi che abbia lottato; ha mormorato, ha protestato, ha scritto libri ed opuscoli, ha fatto discorsi; manca in tutto ciò la sostanza e il terreno della lotta. C'è stato invece un naturale assorbimento di forze; dico «naturale», perché non saprei altrimenti definire questa azione di flusso economico verso il nord. Infatti, tutto lo sviluppo della economia europea, dall'epoca napoleonica in poi — sotto l'influenza della trasformazione della industria piccola e domestica in grande industria manifatturiera, dopo l'apertura di grandi traffici e la invenzione di mezzi rapidi e potenti di comunicazione — prima nella concezione liberista di marca inglese, e poi nel regime protezionista — superato il periodo di assestamento europeo con l'unificazione italiana e la costituzione dell'impero germanico, nella pace che seguì la guerra del ʼ70, lo sviluppo economico industriale e l'attività commerciale erano di fatto centro-europei. L'Italia, con il suo porto di Genova e l'hinterland lombardo, con le nuove comunicazioni rapide con la Francia, la Svizzera e la Germania; l'Austria-Ungheria con Trieste e Fiume e il vasto hinterland commerciale dell'ex-impero, formavano i campi di attrazione e trasformazione industriale e commerciale, verso cui doveva gravitare gran parte della economia del nostro paese. Era quindi naturale che in alta Italia si intensificassero i trasporti, che la rete ferroviaria fosse più densa, che le industrie fiorissero e che la popolazione, già favorita dalle migliori condizioni del suolo e dell'abitato, in un ritmo più accelerato del giro del danaro, potesse con minori difficoltà (che del resto non furono poche) superare la crisi del nuovo regno — nell'abbattimento di vecchie barriere e nella trasformazione dell'antico artigianato — conquistare una competenza tecnica, vincere nella lotta e divenire i forti industriali, i commercianti audaci, i finanzieri coraggiosi della nuova Italia. Sventura volle che alle iniziative sane si unissero quelle non sane, le parassite, e che queste divenissero centro di speculazioni politiche attorno al governo che mancava di una visione complessiva esatta, sia nella valutazione delle nostre materie prime, sia nel coordinamento di una politica economica nostrana con la politica estera. Qui sta il perno della crisi meridionale. Nel rigoglio di queste nuove forze e nel bisogno di protezione e di danaro, l'economia del nord, cioè tutta l'economia industriale dell'Italia, non poteva che rivolgersi al governo e alle banche, e, a mezzo di queste, esercitare la funzione (naturale anch'essa) di assorbire le energie minori, di utilizzare a proprio vantaggio altre forze, di orientare a sé il resto del proprio mondo; e come si comprava con i migliori salari la «connivenza» (non sempre nel senso buono) delle classi lavoratrici, orientate verso il socialismo, così si conquistava con i «premi politici» (dico così per pudico eufemismo) il consenso di «sfruttamento» (senza fini cattivi, anzi spesso senza averne la coscienza), dico, di sfruttamento delle energie e delle condizioni del mezzogiorno. Non vi fu perciò lotta egemonica, ma lento assorbimento, depauperamento, disintegrazione, irrigidimento nel campo dell'amministrazione locale e della ripercussione politico-parlamentare, nel campo dello sviluppo industriale ed agricolo. Le forze del mezzogiorno perdettero o meglio non acquistarono mai l'iniziativa politica — non ostante avessero avuto uomini validi al governo da Bonghi a Gianturco — e non ostante che per alcun tempo meridionali fossero a capo del governo, sopra tutti Crispi, che, pure tra grandi difetti {{323}}e avversioni, ebbe almeno una concezione meridionale che fu insieme italiana. Infatti voi avete il diritto di domandarmi: c'era una concezione economico-politica meridionale che potesse coesistere con lo sviluppo industriale dell'alta Italia, sviluppo naturale, e perciò non sopprimibile ne coercibile, al quale opportunamente, logicamente, si volsero le altre forze politiche e finanziarie del paese?

Pagina 321

Senza voler fare una discussione storica — che si allontanerebbe dalle linee di un discorso — credo che il tema della povertà naturale del mezzogiorno abbia forzato la mano perfino ad uno studioso e profondo conoscitore del nostro problema quale Giustino Fortunato. Nessuno nega che le condizioni fisiche, demografiche ed economiche delle regioni del sud siano difficili e siano state aggravate dalle vicende storiche; ma sarebbe errore conchiudere per una inferiorità insanabile.

Pagina 326

Per quante leggi si facciano, non si possono superare queste barriere della economia; né d'altro lato era possibile per il passato, e molto meno sarà possibile per l'avvenire, pretendere che lo stato abbia mezzi adeguati a concorrere utilmente ed efficacemente alla trasformazione economica del mezzogiorno; né è a credere che lo stato possa impunemente violare le leggi economiche, e creare d'un tratto una forza produttiva ove non esista.

Pagina 330

Il sistema proporzionale e non progressivo dei tributi sui terreni ha evidentemente danneggiato l'agricoltura meno ricca, come quella del mezzogiorno; per giunta i nostri terreni sono quasi tutti gravati da oneri ipotecari, sì da potersi affermare che la proprietà meridionale rurale abbia due padroni; però nel fatto e il padrone primo — quello che coltiva e che nella maggior parte dei casi ha fatto tali debiti per coltivare e trasformare la sua terra — che è anche colpito dalla ricchezza mobile del mutuo; e senza speranza della presunta rivalsa. Ed è strano il fatto che mentre all'industria si deduce il passivo del debito, all'agricoltura non si deduce. Tutta la storia dell'imposta e della sovrimposta, col vecchio e col nuovo catasto, in rapporto al mezzogiorno, è intessuta di errori e di danni, non riparati nemmeno oggi, anzi aggravati da una campagna furiosa, fatta dagli industriali a mezzo dei loro giornali per colpire di ricchezza mobile l'industria agricola diretta, che era stata esentata, allo scopo di sviluppare sempre meglio le energie agricole responsabili e trasformatrici in confronto alle altre. I recenti provvedimenti De Stefani possono avere una giustificazione nelle condizioni dell'erario, per quanto ci sia da dubitare assai di una possibilità organizzativa del contributo senza gravi sperequazioni e di una reale utilità della imposta stessa; certo che, così come viene costruita, va a colpire ancora di più la nostra agricoltura meridionale.

Pagina 333

Ebbene, questa politica sarà la nostra, insieme a quella mediterranea: politica puramente economica, di lavoro, di scambi, di cooperazione, di pace, di dignità verso l'estero (affrettiamoci a chiudere la vertenza di Rapallo e Santa Margherita con la Jugoslavia); in cui le due parti dell'Italia, nord e sud, abbiano due centri di sviluppo e di convergenza, come un insieme economico, che spunta più chiaro dalle rovine della guerra; la quale, insieme alla sicurezza dei nostri confini e al completamento della nostra unità, speriamo ci abbia dato la coscienza della nuova posizione politica. Non certo quella di essere l'ancella o il terzo incomodo dell'Intesa (che nulla seppe dare a noi del bottino di guerra, cosa che oggi ci giova nella valutazione morale degli altri popoli); non certo quella di puro equilibrio nel gioco delle grandi forze internazionali in contrasto, come avviene oggi nell'urto dell'Inghilterra con la Francia; ma quella posizione centrale, che possa farci fare una politica di pacifica espansione mediterranea e adriatica, che valga a valorizzare la nostra economia e gli sforzi produttivi delle nostre industrie e dell'agricoltura. Così il sud un'altra volta, dopo l'unità morale e politica conquistata nel 1860, si ricongiunge al nord nella unità economica, intravista, iniziata e voluta nel tormento del dopo guerra.

Pagina 348

Introduzione alla sez. "Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922)

403583
Sturzo, Luigi 2 occorrenze
  • 1923
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 101-131.
  • Politica
  • UNIOR
  • w
  • Scarica XML

Però, pur concedendo molto all'idealismo pacifista e alle correnti democratiche, bisogna convenire che la società delle nazioni non ha ancora una salda base nella coscienza collettiva tale da conferirle autorità; perché mentre rimane un tentativo permanente di far vagliare da un corpo rappresentativo e diplomatico, di studiosi e di interessati, i problemi dei rapporti inter-statali, non supera però il valore degli elementi costitutivi, e quindi non ne diventa un organo di sintesi che abbia carattere autonomo e responsabile.

Pagina 125

Per quanto il popolarismo, come sintesi politica abbia in Italia solo quattro anni di vita; e come concezione democratica cristiana sia apparso, nella forma di un tentativo democratico cristiano, nel 1896; pure come movimento cristiano-sociale in Europa ha più di cinquant'anni; e come tradizione guelfa ha la sua origine nel pensiero dei cattolici del risorgimento. Il partito popolare italiano, come espressione e realizzazione di questo pensiero, è agli inizi; gli avvenimenti politici non si svolgeranno più al di fuori di questa concezione e di questa forza. È vero, ieri ed oggi è solo la voce di una minoranza; il fascismo trionfante non potrà né sopprimere, né negare la voce delle minoranze, che hanno una funzione naturale nella vita collettiva. Ma v'ha di più; il fascismo, nel tentativo di realizzazione, per quanto affrettata e tumultuaria, non essendo un sistema, ma un metodo, riassume parte dell'esperienza politica, che proietta secondo il proprio modo di sentire e di sintetizzare. Così alcuni degli indirizzi politici dei popolari oggi sono inclusi nel febbrile lavorìo fascista, anche quando ieri erano implicitamente o esplicitamente negati dagli stessi esponenti fascisti. Cito l'esame di stato e la libertà della scuola; la fine della lotta anticlericale alla chiesa e al suo insegnamento; il riconoscimento delle associazioni sindacali, i consigli superiori tecnici, la circoscrizione regionale scolastica, la libertà economica, l'abolizione degli enti fittizi e simili.

Pagina 129

Cerca

Modifica ricerca

Categorie