Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180395
Barbara Ronchi della Rocca 9 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Verrà doverosamente accompagnato fino all'ascensore, attendendo fino a quando non si sarà chiusa la porta; se scende a piedi, gli anfitrioni non chiuderanno la porta di casa prima che abbia sceso la prima rampa di scale.

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Quanto alle intolleranze alimentari, nel Terzo Millennio non c'è nessuno che non ne abbia almeno una. E non vede I'ora di fornire ai compagni di tavola il puntuale resoconto dei sintomi da cui era afflitto prima di abolire dalla dieta le solanacee, o i latticini, o quant'altro, e poi l'esposizione particolareggiata dei benefici constatati, nonché un succoso riassunto dei consigli del nutrizionista, dimenticando che, per molti, una cena al ristorante è l'occasione per concedersi manicaretti particolari e golosi dessert... Spetta a chi invita proporre l'aperitivo, qualche specialità particolarmente raffinata e costosa, il dolce, un vino speciale, i liquori, ma senza insistere; solo dopo che tutti hanno ordinato si assume il cornpito di scegliere il vino, magari chiedendo ai presenti se hanno particolari preferenze, e lo assaggia per verificarne la bontà. Chi è ospite, se non diversamente sollecitato, ordina solo un primo e un secondo, o un antipasto e un secondo, e poi frutta. Vedrà di non muovere critiche al cibo e alle bevande offertigli, e magari di elogiare qualcosa. Aspettando che arrivino le ordinazioni, meglio conversare piacevolmente che incominciare a sgranocchiare pane e grissini o versarsi il vino, per non fare la figura degli ingordi. Per i bambini devono valere le stesse regole dei pasti a casa, però permetteremo loro di lasciare avanzi nel piatto. Ma non di alzarsi da tavola e andare in giro a infastidire gli altri clienti o i camerieri. Se disturbano o fanno i capricci, non sprechiamo tempo a sgridarli, anche per non annoiare chi si vede costretto ad ascoltare la predica, e portiamoli fuori prima possibile. Gli uomini che vogliono essere cortesi sappiano che non sono affatto obbligati (come certuni credono) a «omaggiare» le signore del classico mazzolino venduto tra i tavoli del ristorante da qualche ambulante (fiori sovente rubati nel cimitero cittadino): un cortese ma fermo «No, grazie» dovrebbe essere simultaneo anche da parte di lei, soprattutto se ne sospetta la lugubre provenienza. Ancora due «no». A fine pasto le signore non ritocchino il trucco a tavola, sciorinando matite e pennelli: i ritocchi e restauri vanno fatti nella toilette del locale. L'unica deroga è per una veloce passata di rossetto sulle labbra, senza specchio, dal momento che lo fa anche la regina Elisabetta. Ma non ha scusanti il gesto di chi a fine pasto usa gli stuzzicadenti, anche nascondendosi con la mano o con il tovagliolo davanti alla bocca, con l'unico risultato di attirare ancora di più l'attenzione degli astanti...

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In una ipotetica hit-parade delle cattive abitudini teatrali, il primo posto spetta di diritto ai tanti che hanno l'abitudine di alzarsi subito prima che lo spettacolo abbia termine, per correre al guardaroba ed essere i primi a ritirare i cappotti. Non paghi di aver disturbato tutta una fila di persone alzandosi, ritornano in sala con le braccia cariche di indumenti (perché, generosamente, si fanno carico di quelli di un nutrito gruppo di amici e parenti) e si piazzano in posizione strategica per impedire la visuale dell'ultima scena a chi, educatamente, non ha fatto altrettanto.

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-non applaude all'atterraggio; il pilota è un professionista, non è eccezionale che abbia saputo fare atterrare l'aereo! Ma i più gravi sono gli errori di stile che contravvengono a regole di sicurezza, oltre che di educazione. Chi passeggia nel corridoio mentre vengono serviti i pasti e i rinfreschi, non si allaccia le cinture quando richiesto, si alza in piedi e si carica del bagaglio a mano non appena l'aereo tocca terra, ignorando i segnali luminosi che indicano di restare seduti fino allo spegnimento dei motori, o disobbedisce a una qualunque delle prescrizioni impartite dal personale di cabina, è maleducato; ma chi fuma nelle toilette o si precipita ad accendere il telefono cellulare quando le porte sono ancora chiuse è anche stupido, perché mette in pericolo la sicurezza di tutti, e merita senz'altro le peggiori occhiatacce.

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Nel caso in cui il rinfresco abbia luogo (come da tradizione più antica) in casa della sposa, oppure sia a totale carico dei genitori di lei, saranno questi ultimi a invitare: «Mario e Luisa Gialli, in casa (oppure: presso il Ristorante Il gallo d'oro), dopo la cerimonia». Le partecipazioni vanno spedite, almeno un mese prima della cerimonia, a tutte le persone alle quali siamo in qualche modo legati da vincoli di buona conoscenza, e che gradiranno essere informate di questa tappa importante della nostra vita, anche perché il riceverle non è affatto impegnativo: volendo, potranno telefonare, oppure inviare un biglietto o un telegram-ma di felicitazioni, o anche non fare nulla. Solo gli invitati al rinfresco sono obbligati a fare un regalo - o almeno a inviare un mazzo di fiori se decidono di non partecipare. Per nessun motivo va inserito nella busta contenente la partecipazione e l'invito il cartoncino che recita «Lista nozze presso il negozio Tal dei Tali»: i futuri sposi devono lasciare agli invitati la massima libertà di fare un regalo «fuori lista», comunicando l'indirizzo del negozio solo a chi telefona apposta per chiederlo esplicitamente, e solo a lui. Nella lista nozze devono figurare oggetti di varie fasce di prezzo, e alcuni molto economici, per non costringere chi si può permettere solo un «pensierino» a spendere più di quanto previsto. Si può invece accludere alla partecipazione il biglietto che invita a devolvere a favore di una certa istituzione benefica la cifra che si vorrebbe spendere per il regalo: è un'idea bellissima, che consiglio agli sposi che hanno già la casa «montata».

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E tutto questo prima ancora che abbia letto il nostro curriculum vitae. Quindi, attenzione al look: in attesa di conoscere lo stile «giusto» per l'ambiente, meglio stare sul classico: ogni estrosità può essere interpretata come indice di scarso rispetto. E ancora: -non arriviamo in ritardo, ma neppure in anticipo; -non iniziamo a parlare per primi: dopo il «Buongiorno» iniziale (non «Salve»!) aspettiamo che ci venga rivolta la parola; -non invadiamo lo «spazio» altrui appoggiando borse, libri e cartelle sulfa scrivania; -guardiamo in faccia chi ci parla, siamo disinvolti ma non confidenziali, sintetici ma esaurienti; -non diciamo bugie: è difficilissimo dirle bene; -non mangiamo caramelle né «svapiamo»; -evitiamo i conflitti: davanti a una domanda che ci pare inadatta, chiariamo con garbo che non ci pare il caso di entrare in dettagli; -non alziamoci per primi - non tocca a noi mettere fine all'incontro - e non chiediamo: «Come sono andato?». La lettera che accompagna il curriculum vitae è importante, perché contribuisce a completare la nostra immagine: in poche righe dobbiamo invogliare chi legge a incontrarci di persona. Deve essere scritta a computer - ma con data, intestazione (Egregio Dott. Rossi, RGC srl), saluti e firma a mano - graficamente perfetta, in buon italiano (controlliamo apostrofi e accenti!), con tono educato (mai adulatorio o strappalacrime), e offrire informazioni semplici, efficaci e chiare su laurea, diploma o specializzazione, congruenza delle nostre capacità con il lavoro cui siamo interessati, motivazioni personali e professionali, disponibilità a viaggi e trasferimenti. Cerchiamo di limitarci a una sola facciata: tanto, chi vuole approfondire i dettagli, legge il curriculum vitae.

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Sempre in tema di spazi personali, anche se non abitiamo nella Reggia di Caserta possiamo far sì che in bagno ciascun familiare abbia il suo armadietto (o almeno una parte di armadietto), così da non allineare sulle mensole creme, perette, rasoi, medicinali vari: le nostre piccole intimità e «miserie» vanno difese, anche perché agli altri danno fastidio.

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Non contiamo troppo sul fatto che il destinatario dell'sms abbia memorizzato il nostro numero in rubrica, quindi firmiamo sempre i messaggi: è un gesto di buonsenso. Le abbreviazioni vanno bene solo tra giovanissimi: in casi d'emergenza si può accettare Riss («Rispondimi subito»), ma Ta, Tvb, Tod, Txs sono vietati: amore, affetto, odio, promesse di amore eterno meritano di essere scritti (o meglio ancora detti) a tutte lettere. Sms ed e-mail vanno considerati come «telefonate scritte», quindi senza nessuna dote di eleganza e di formalità. Possiamo diramare inviti con questi mezzi - ma farli a voce, di persona o via telefono, è più gradevole - purché si tratti di occasioni molto semplici. Non serviamocene per inviti importanti, né per formulare scuse, condoglianze, partecipazioni e ringraziamenti, e neppure per disdire un appuntamento, d'affari o di cuore. E mai usarli (ma neppure lettere e telegrammi) per dire addio. Avventura estiva, matrimonio o adulterio che sia, c'è un solo modo garbato e onesto per chiudere una storia d'amore: guardare l'altro negli occhi, senza vigliaccheria.

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-non è mai elegante fare «scarpetta» col pane per raccogliere il sugo: è concesso solo in famiglia, purché non abbia la pretesa di pulire il piatto a specchio.

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IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190737
Schira Roberta 13 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Evitate i luoghi mondani e chiassosi, se volete che il vostro ospite abbia occhi solo per voi. E soprattutto se siete un po' gelosi, che sarebbe come dire insicuri. A un fatto dovete fare attenzione, signore, per me molto più di un dettaglio. Il gentiluomo che sta seduto davanti a voi da quasi mezz'ora vi ha già versato acqua e vino? Se un uomo per tutta la cena non si degna di occuparsi di riempire i vostri bicchieri, chiedetevi come potrà essere attento ai vostri bisogni un domani. Prima di accettare un altro invito pensateci seriamente. Insomma, credo che questo fatto sia uno dei più sintomatici, e dovrebbe tenere le signore sul chi va là. In fondo, qual è la dote migliore che può possedere un uomo se non anticipare i nostri desideri occupandosi di noi? Un uomo che «ci arriva» è quello che ci porta la valigia, che ci massaggia i piedi, che ci chiede com'è andata, prima ancora che noi siamo obbligate a fare delle richieste. Per gli uomini: se vi accorgete che la signora che avete invitato è più interessata a guardarsi nello specchio in fondo alla sala e a tener d'occhio la porta del ristorante per vedere chi entra piuttosto che alla vostra personcina, vi consiglio di rivedere la possibilità di presentarla a vostra madre. Due casi emblematici, da cui deriva una riflessione. I comportamenti sopra riportati non sarebbero così significativi se non si trattasse dei primi appuntamenti; di fatto sono proprio i momenti iniziali quelli nei quali diamo il meglio di noi stessi. Ci preoccupiamo di mostrare la parte più brillante nascondendo le zone d'ombra. Quindi, ogni volta che c'è qualcosa che non va nel vostro commensale chiedetevi: ma se è così ora come sarà tra sei mesi? Se l'atteggiamento errato (per voi) è guaribile parlatene, se è radicato lasciate perdere. Il problema e il segreto di tante relazioni stanno proprio nel riuscire a distinguere i primi dai secondi. La cena continua e così la conversazione tra un piatto e l'altro, presto si avvicina il momento del conto. La regola generale è che paga chi invita, sia esso uomo o donna. La cosa più triste è vedere le coppie che dividono: fare alla romana è di cattivo gusto e ammissibile solo per gli studenti universitari. Ma questo è solo il mio parere. A Londra e Manhattan le donne che lavorano vogliono assolutamente pagare il conto, in Italia direi meno. Farsi pagare il conto è uno dei pochi privilegi rimasti a noi signore, perché rinunciarvi? Se sappiamo che il nostro uomo è in difficoltà, ci sforzeremo di scegliere un locale adatto alle sue finanze, oppure la volta dopo lo inviteremo noi. Agli uomini consiglio di non sentirsi sminuiti nella propria virilità se qualche volta vuole pagare lei. Ripeto: paga chi invita. Apro qui una parentesi rispetto «al piedino», quell'intrigante usanza di sfiorare, accarezzare, strofinare e trattenere il proprio piede su quello di un altro commensale. Farlo bene è un'arte: è più stimolante in un tavolo da sei, in due è quasi scontato. La regola numero uno è non farsi scoprire. Ci vuole tecnica. Quasi tutti quelli che amano «fare piedino» devono decidersi a prendere l'iniziativa, anche i più audaci tentennano, ma esistono dei veri e propri professionisti nel campo. Altra regola. Cercate di scegliere bene la vostra vittima, nel senso che è ridicolo fare piedino alla bellissima signora davanti a voi accompagnata dal fidanzato trentenne, con il quale ha appena trascorso un viaggio da sogno in un castello scozzese, ovvio, no? Sappiate che il trucco del piedino non può avvenire a senso unico, voglio dire che per dare, diciamo, inizio alle danze è obbligatorio che ci sia la complicità di un altro commensale. Infatti, la regola numero tre è: essere pronti a scusarsi immediatamente, al primo contatto, fingendo che lo sfioramento sia stato casuale nel caso l'iniziativa non abbia buon esito. Se dall'altra parte nessuno reclama, ecco che prende il via il gioco. Sollazzo che, se non controllato, può spingersi sino a rendere la serata indimenticabile e infuocata. Tenete conto che l'innocenza della tecnica del piedino è direttamente proporzionale alla sua distanza dal pavimento: più il piede si avventura su per le gambe del partner, più il gioco diventa serio. Mantenete il contatto visivo e osservate la vostra preda. Guardate la reazione al tocco e reagite in modo appropriato. Se vi fissa sorpresa/o o allontana la peccaminosa estremità, saprete che il momento non è quello giusto. Alcuni sessuologi sostengono che sentirsi toccare i piedi stimola i centri nervosi presenti lungo la gamba, fino al bacino. Ecco perché in molti paesi (tra cui l'Italia) il gesto di «fare piedino» è contemplato chiaramente in ambito giuridico, benché, secondo la Corte di Cassazione, non costituisca atto di libidine, pertanto non è penalmente punibile. Gli inglesi dall'alto del loro puritanesimo ne vanno pazzi e lo chiamano play footsie: usatelo con moderazione, ed evitatelo al primo incontro se volete dare una piega romantica alla relazione. Insomma, il piedino è bello quando è ricambiato e nascosto. L'ultima considerazione dedicata a entrambi i sessi riguarda la Teoria del Precedente: ovvero tutto ciò che avviene nelle prime occasioni di incontro farà da imprinting sul futuro rapporto. Dedicato alle donne. Per esempio, se una signora dimostra soddisfazione nel farsi portare per due volte in una pizzeria maleodorante a mangiare fritto misto scongelato, non può aspettare che lo stesso uomo la porti in un relais chateaux esclusivo la terza volta. Si stabilisce dopo i primi incontri un precedente che fa capire tacitamente a entrambi che quello è lo standard di riferimento. Se per correttezza fingete di essere contente che lui vi abbia regalato un aspirapolvere per il vostro primo compleanno insieme, non aspettatevi un fine settimana a Parigi per quello successivo. Per gli uomini. Se lei vi chiede di andarla a prendere dall'altra parte della città per tre volte, non potrete più dirle di no in seguito. Se le lascerete carta bianca nel decidere le prime due vacanze sarete rovinati per sempre. A lei sembrerà un diritto acquisito. Vale la pena rifletterci. Tutto ciò che lasciate passare le prime volte, rafforzerà la Teoria del Precedente, definendo più o meno rigidamente la vostra modalità di relazione, o meglio, si definirà ciò che potete aspettarvi dall'altro, il che in fondo esprime ciò che sentite di valere. Per quanto riguarda tutto ciò che avviene dopo il conto, vedi il capitolo sul bon ton del dopocena.

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Vi sembra che vi abbia mandato messaggi seduttivi? Se avete individuato quali, potete tentare qualche avances. L'audacia è molto apprezzata da una donna, ma è difficile metterla in atto con abilità: è solo una questione di tempi. Una carezza o un bacio dato nel momento sbagliato può cambiare il nostro destino. Non sentitevi obbligate a «essere carine» con lui solo perché vi ha offerto una cena in un ristorante costoso. E voi uomini non sentitevi sminuiti della vostra fama di cacciatori se non ci provate sul cancello di casa. Un pizzico di audacia, quando non diventa sfrontatezza, è apprezzato da ambo le parti. Perciò uomini, non chiedete mai «posso baciarti?» Fatelo e basta. Dovete essere talmente sicuri di voi stessi da provarci solo in caso di successo. Esprimere un rifiuto in maniera non offensiva è un'arte sopraffina e rara. Come ultima chance, esiste sempre la scappatoia di girare il viso all'ultimo minuto e trasformare un bacio appassionato alla francese in un saluto fraterno. Consiglio infallibile, se lei mentre si fa accompagnare a casa, a metà percorso ha già tirato fuori le chiavi di casa non provate a chiederle di salire, è molto probabile che vi dirà di no. A seguire, qualche indicazione per far sì che la vostra bella cena non venga rovinata da un dopocena disastroso. Uno dei momenti topici, infatti, e anche più imbarazzanti è quando si arriva sotto la casa di lei, di notte, e ci si sta per salutare. In quei momenti si gioca tutto; entrambi devono fare i conti con il proprio intuito, timidezza, paura, insicurezza, ma anche passione, emozioni e desideri. Per esempio, una donna che appena avete fermato la macchina vi saluta e scambia due parole con la mano destra già sulla maniglia della portiera, di certo non muore dalla voglia di baciarvi. Oppure se siete arrivate a destinazione e lui si mette a parlare con le braccia conserte, state sicure che non allungherà le mani. Non date per scontato che dopo una cena debba necessariamente succedere qualcosa, ricordate la teoria del Do Ut des. E soprattutto, i signori non si aspettino prestazioni direttamente proporzionali al conto del ristorante. Siate gentiluomini: una bella serata val pure un piccolo investimento. E poi, se le cose non sono andate come previsto, nessuno vi vieta di chiudere la portiera con il fatidico: «Ti chiamo io». E le signore non incoraggino l'uomo a ritentare un invito se la prima cena è stata deludente. È gentile, educato e sexy: - Aspettare che lei sia entrata nel portone di casa, o che abbia avviato la macchina prima di andarsene. - Baciarsi appassionatamente in un portone. - Fare una carezza invece che la «manomorta». - Un invito alle 21. - Un picnic sul lettone. - Il caminetto vero. - Il telefono staccato. - Una cenetta preparata in anticipo solo da scaldare. - Una tovaglia ricamata. - Un bouquet di fiori di campo lasciati sul sedile per lei. - Un bigliettino affettuoso nascosto nella tasca del suo cappotto. - Un brindisi in due coppe da champagne in macchina, in giardino, ovunque. - Una candela sul tavolo o in camera da letto, senza esagerare. - Le lenzuola di seta. È scorretto, banale e antiafrodisiaco: - Piantarla al ristorante se non è carina come vi era sembrato. - Dire: «Da me o da te?» - Il caminetto finto. - Proporre un privée al primo appuntamento. - Il cellulare acceso durante un tête-à-tête. - Invitarla a casa e offrire un prosecco caldo. - Il sottofondo musicale di liscio. - La bottiglia di gazzosa in plastica a tavola. - Addormentarsi sul divano al primo appuntamento. - Fare un invito a cena alle 7, così «poi non facciamo tardi». - Invitarlo/a a cena e alzarsi a lavare i piatti. - Ordinare una camomilla. - Forzarla/o a bere superalcolici per approfittarsi di lei/ lui. - Fare paragoni con gli/le ex. - Entrare in casa e infilarsi le pantofole di peluche. - Chiedere il bicarbonato perché non si è digerito. - Una cucina con luce al neon da ospedale. - La tovaglia presa con i punti del supermercato. - Parlare di soldi. - Parlare di parenti, bene o male. - Invitarla/o a casa per il dopocena e trovare la mamma che guarda la tv con i bigodini in testa. - Addormentarsi dopo l'amore come un bradipo narcotizzato. Per chi volesse approfondire c'è sempre il piccante e dettagliato Le savoir-vivre efficace et moderne, scritto da una redattrice di Elle, Sophie Fontanel, considerato il vademecum metropolitano più anticonvenzionale. L'autrice, per esempio, è severa con i maschi che non rispettano la sequenza di svestizione: cravatta, scarpe, camicia, calzini, pantaloni e mutande. Sono d'accordo, credo che solo Sean Connery, Dennis Quaid e un paio di altri possano evitare il rischio di sembrare ridicoli nudi, con i pedalini. E ancora, quando si è travolti dalla passione è inammissibile piegare tutto con cura sulla sedia: i vestiti si buttano a terra e lì restano sino alla fine dell'incontro. La posizione privilegiata di commensale per professione fa sì che la tavola mi regali una buona quantità di confidenze, intimità che raccolgo scrupolosamente, essendo consapevole che è prezioso humus per i miei libri: ecco alcune riflessioni e dettagli, che poi dettagli non sono. Soprattutto le donne, ma non solo, mi confidano che incontri potenzialmente riusciti diventano meno esaltanti a causa della scarsa pulizia. Bando anche ai dopobarba scadenti, e a barbe pungenti di due giorni. In effetti, la pulizia è un'altra nota dolente. Diventa un problema quando è troppa o troppo poca. Esiste una via di mezzo tra la ragioniera igienista e Napoleone che chiedeva alle sue amanti di non lavarsi per una settimana. Attenzione anche a dire «amore» troppo presto. Se sentirselo dire è scatenante per alcuni, su altri può avere un effetto antiseduttivo. Samantha in Sex and the City insegna: «Puoi dire a un uomo ti odio e farci sesso in modo grandioso. Prova a dirgli ti amo e non lo vedrai più». Vietato dopo aver fatto l'amore correre in bagno invece che restare abbracciati. In caso di défaillance maschile è assolutamente sconsigliato tempestare di domande il malcapitato. «Non ti piaccio? È stata colpa mia?» Meglio puntare sull'affettuosa comprensione. La cosa più anafrodisiaca in assoluto è in questi casi (ma quasi in tutti i campi) il ricorso al sarcasmo: non lo/la rivedrete mai più. E per ultimo, ma fondamentale: non fingete piaceri che non provate. Se lo fate una volta, sarete condannate a recitare per sempre. Ricordate la Teoria del Precedente. Ecco le espressioni e le frasi da non dire a letto nel caso il dopocena vada a buon fine. - Ti è piaciuto? - Ti ho già detto della videocamera? - Oggi la chirurgia fa miracoli. - Mi puoi passare il telecomando? - Ripensandoci... forse è meglio spegnere la luce... - Spero che tu sia così carina anche domani, quando mi sarà passata la sbronza. - Pensavo che le avessi tu, le chiavi delle manette... - Voglio un bambino! - Non credi che il soffitto giallo starebbe meglio? - Quando dovrei cominciare a provare piacere? - Sei così brava che potresti farlo come lavoro. - Sicuro che non ti ho già vista da qualche parte? - Spero che questo rumore venga dal letto ad acqua. - Te l'ho detto che non avrebbe funzionato senza batterie. - Ti ho detto che mia nonna è morta proprio su questo letto? - Se tu smettessi di fumare, probabilmente potresti resistere di più. - No... davvero... è meglio se da qui in poi faccio da sola. - Ehi... sei bravo quasi come il mio ex. - Sembri più giovane a vederti che a toccarti. - Non preoccuparti, andrà meglio la prossima volta. - Forse sei solo fuori allenamento. - Ora so perché lei ti ha mollato. - Hai mai considerato l'ipotesi di una liposuzione? - E pensare che non ho neanche dovuto invitarti a cena. - Che hai intenzione di fare per colazione? - Ho una confessione da farti... - Mi sentivo così eccitato che mi sarei portato a casa persino tua nonna. - Sono vere o le hai rifatte? - Non è che per caso hai avuto un'infanzia difficile? - Ti ho già detto del mio piccolo intervento di cambio di sesso? - Mi sa che prima devo farmi un'altra birra. - Quando preferisci incontrare i miei genitori? - Non ci fare caso... mi limo sempre le unghie a letto... - Ti spiace se faccio qualche telefonata? - Ti dà fastidio il mio cucciolino? (riferito a un doberman di settanta chili) - Vuoi dire che tu non sei il mio appuntamento al buio? - Ti dispiacerebbe indossare questa targhetta? È imbarazzante dimenticare i nomi...

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Scuotere la testa sembra abbia origine dal gesto di rifiuto del latte al seno materno del bambino quando è sazio. Anche per quanto riguarda il galateo a tavola non dobbiamo, noi italiani, peccare di presunzione. La più grande lezione di antiprovincialismo me la diede l'ambasciatrice del Brasile, maestra di cerimoniale, quando risiedeva a Milano. Alla mia domanda su quali fossero i peggiori commensali al mondo mi rispose: «Molte regole sono culturali. Basti pensare che nel mondo arabo per esprimere il proprio gradimento a fine pasto si emette un suono roboante che noi italiani consideriamo altamente sconveniente. Ma altre di buona educazione valgono ovunque». Così come a Malta è meglio evitare di unire pollice e indice nel segno dell'OK: significa «sei omosessuale», il che non è affatto un insulto, ma alcuni potrebbero non gradire. Sembra che molti studiosi siano arrivati a questa conclusione: le differenze ambientali e culturali esistono, ma la maggior parte dei segnali corporei sono presenti in tutti gli esseri umani.

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È probabile che, semplicemente, abbia problemi di forfora. Ovviamente le indicazioni che impareremo per l'analisi del nostro commensale potranno tranquillamente essere applicate in altri campi. Durante una cena a due, conoscere il linguaggio del corpo serve a capire, inviare e cogliere i segnali seduttivi o semplicemente di empatia. In un pranzo di lavoro conoscere il linguaggio del corpo è utile per misurare le abilità, per studiare l'avversario e per concludere un affare. Durante un pranzo in famiglia o tra amici conoscere il linguaggio del corpo è utile per cementare i rapporti.

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Stringere la mano è un'arte, e sapete bene quanta importanza abbia ai colloqui di lavoro. Quando ho letto questo dato mi sono sorpresa: alcuni studi inglesi dimostrano che il giudizio su un candidato è condizionato al 30 per cento dalla prima impressione ricavata nei primi quattro minuti, quindi soprattutto dalla stretta di mano. Se volete sapere chi, nel rapporto a due, ha una posizione di supremazia osservate quale palmo della mano rimane sempre sopra quella dell'altro: quella è la persona dominante. Osservate anche alcune coppie (e ovviamente il vostro modo di procedere con il vostro partner); di norma lei cammina qualche passo indietro e lui tiene la mano su quella di lei all'indietro in segno dominante. Se, per esempio, mentre camminate il vostro partner vi appoggia un braccio sulla spalla evidenzia in un certo qual modo il desiderio di controllo e di potere. Oppure pensate a quelle coppie al ristorante dove lei e lui stanno vicini vicini uno di fronte all'altra, mano nella mano. Bene, osservate chi dei due ha le mani sopra (bastano i pollici!): è quello che comanda. Per capire se uno è sincero può essere utile valutare il «rapporto temporale», cioè quanto tempo trascorre tra uno stimolo verbale e la risposta del corpo; non dovrebbero passare più di un paio di secondi. Cioè non dovreste aspettare per «leggere» la reazione del vostro interlocutore a uno stimolo: due minuti sono già troppi. Il suo Io razionale farebbe in tempo a bloccare l'inconscio che parla attraverso il corpo. La maggior parte di noi è convinta che chi mente volga gli occhi altrove. Niente di più sbagliato. Il professore Paul Ekman della University of California ha studiato molti truffatori che invece mentono proprio usando il contatto oculare. In generale, nessuno ama trovarsi a tavola con una persona che ha invitato per poi vedere gli occhi dell'altro vagare per la stanza. Guardare negli occhi, senza dare l'impressione di essere un ispettore delle tasse, è assai utile per creare intimità, ma se il vostro commensale dopo una domanda a bruciapelo vi guarda negli occhi non pensate che sia per forza sincero. Anche James Borg, psicologo del lavoro specializzato in comunicazione interpersonale, durante un seminario ha smentito l'ovvietà che chi è sincero guarda negli occhi. A una donna è stato dato un mazzo di carte da gioco e le è stato chiesto di mentire sporadicamente al relatore circa il loro valore. È stata smascherata proprio per il suo sforzo di mantenere forzatamente il contatto visivo. Il nostro cervello esercita un controllo dall'alto in basso, cioè dalla testa ai piedi, e la parte del corpo che parla di più è la sinistra. Così, se sospettiamo che le parole del nostro interlocutore non siano proprio trasparenti, focalizziamo l'attenzione su bacino, gambe e piedi del lato sinistro, anche se a tavola non è semplice. Per esempio, lei vi sta dicendo che si sente perfettamente a suo agio nel vostro salotto, ma i suoi piedi sono rivolti verso la porta d'ingresso? State certi che mente. Esiste un sistema, il FAGS (Facial Action Coding System) che codifica tutte le contrazioni muscolari: pensate che le espressioni del volto sono più di 10.000. Tra queste, alcune si manifestano e svaniscono nell'arco di una frazione di secondo (fino a 1/25 di secondo); sono le cosiddette «microespressioni» e bisogna essere davvero allenati per riconoscerle. Emozioni sincere innescano reazioni immediate: questa è la norma da ricordare. Noi le leggiamo come espressioni del volto; queste poi vengono bloccate consciamente nel tentativo di controllarsi, ma con un lieve ritardo che provoca una fuga di informazioni. Data la loro velocità, queste microespressioni fulminee possono essere catturate solo con strumenti dotati di fermo immagine, oppure a occhio nudo da persone opportunamente addestrate. Ecco perché nel cinema (per esempio nella grandiosa serie americana Lie to me), nei tribunali, negli interrogatori, si filmano le dichiarazioni di imputati e testimoni; solo in questo modo è possibile cogliere sfumature infinitesimali. Diciamo che a tutti piacerebbe avere un video dei primi incontri galanti a tavola, per poi rivederseli a casa con calma. Possiamo accontentarci di leggere i gesti più plateali e, se vogliamo approfondire, seguire corsi di lettura del linguaggio del corpo. Ancora, per valutare il grado di sincerità del nostro compagno di tavola dobbiamo allenarci a riconoscere il sorriso finto. Di norma chi finge di sorridere lo fa solo con la bocca, mentre gli occhi rimangono per lo più fermi. Ecco, un sorriso spontaneo dovrebbe provocare le cosiddette zampe di gallina, mentre i sorrisi «tirati» sono quelli di circostanza, o per esempio dei politici. Un altro indizio: nel sorriso vero tutta l'arcata sopracciliare si abbassa. Ma fidatevi anche un po' del vostro intuito e soprattutto ricordate le regole iniziali, quelle che dovrebbero garantirci un buon livello di comprensione: coerenza di almeno tre gesti e contesto. Sottotesto del sorriso. Non posso farti del male, vedi che non sono pericoloso? La scienza ha ormai dimostrato che ogni volta che sorridiamo induciamo reazioni positive negli altri. Ricordatelo sempre. Oltre a chiederci se il nostro interlocutore è sincero, è molto importante per noi scoprire se è interessato a quello che stiamo dicendo e se ci trova gradevoli. Immaginate un uomo che sta vedendo alla televisione la partita decisiva del campionato: ecco, quello è l'atteggiamento che esprime la massima attenzione per i maschi. Oppure una donna che osserva una fantastica torta al cioccolato o una borsa di Hermès in una vetrina; mentre vi ascolta dovrebbe avere proprio quell'espressione. Non siete obbligati a mantenere livelli di attenzione del genere, ma dimostrarvi interessati nei confronti del vostro interlocutore è di importanza strategica. Muovere le labbra, protenderle e leccarsi gli angoli della bocca, giocherellare con il bicchiere o con un oggetto sul tavolo, toccarsi lievemente i capelli sono tutti gesti che esprimono interesse e vengono letti come messaggi seduttivi. Anche toccarsi e lisciare la cravatta per gli uomini ha lo stesso significato, peccato che ora si porti molto meno. E per seduttivi non intendo affatto finalizzati alla conquista sessuale, ma semplicemente a suscitare nell'interlocutore benevolenza ed emozioni positive. I capelli sono, ahimé anche a tavola, oggetto di attrazione. Possono essere accarezzati, accomodati (anche dagli uomini), una ciocca può essere arrotolata su un dito o intrecciata. Tutti segni di gradimento. Tra i gesti utili da leggere e da mettere in atto c'è «il capo reclinato». Potrete adottarlo voi stessi o leggerlo nei vostri interlocutori. Ricordate questa importante regola generale: mostrare il collo, i polsi e i palmi delle mani suscita benevolenza, tenerezza e desiderio di protezione. Ancora una volta, si tratta di comportamenti geneticamente acquisiti. Si mostra il collo quando non si teme di essere attaccati dal nemico; i polsi liberi e le mani aperte verso l'alto un tempo indicavano che l'uomo non era armato. La stretta di mano, che presso gli antichi coinvolgeva anche gli avambracci, aveva proprio questa funzione. Pensate a tutte le immagini dei religiosi: palmi in vista. E ora pensate alle fotografie di Hitler con il braccio teso e il palmo rivolto in giù, come a voler schiacciare il mondo. Ma torniamo per un secondo al capo reclinato. Fate una prova; formulate una richiesta con un tono di voce neutro, tipo «Mi accompagneresti domani alla conferenza sull'estinzione della foca monaca?», insomma una domanda cui è difficile dire subito sì, e provate a chiederlo mantenendo il capo eretto, e poi fate la stessa domanda con il capo leggermente reclinato di lato e usando un tono più accattivante. L'effetto è sorprendente. Un adulto che vuole ottenere qualcosa da un altro o desidera apparire attraente accenna un sorriso e inclina il capo di lato, e per la precisione, secondo la sinergologia, inclinare a sinistra indica benevolenza, a destra un atteggiamento critico. Tuttavia, in assoluto è un gesto completamente privo di aggressività. Vi ricorrono spesso i bambini, le donne, ma anche gli uomini. Il sottotesto è: non farti ingannare dal mio aspetto, in verità sono innocuo come un bambino e vorrei appoggiare il capo sulla tua spalla. Non puoi dirmi di no, te lo sto chiedendo mentre sono indifeso. È anche il residuo di un comportamento infantile, quando il bambino appoggia il capo sul petto di un genitore per trovare protezione. Diversi studi mostrano come, davanti a questo gesto che suscita tenerezza, diminuisce subito l'aggressività. Lo sguardo è tutto. Le donne lo sanno usare meglio. Quando stiamo bene e vogliamo manifestare benessere tendiamo a guardare più spesso l'altro a livello degli occhi e meno sul resto del volto o su mani o tronco. Anche gli antichi sono sempre stati affascinati dalle pupille, ma solo negli ultimi vent'anni si è iniziato a studiare tutti i fenomeni annessi: si chiama pupillometria. Ormai è dimostrato che quando proviamo piacere le pupille si dilatano: questo è un indizio infallibile. Le pupille si dilatano anche quando c'è poca luce, ecco perché nei locali romantici le luci sono tendenzialmente basse. Adesso però non mettetevi a scrutare nel bulbo oculare i vostri compagni di tavola come un etomologo, basterà un minimo di osservazione. Tenete conto che le pupille non sono controllabili a livello conscio. In determinate condizioni di luce le pupille si dilatano o si contraggono a seconda dei cambiamenti di atteggiamento e di umore: quando un individuo si trova in uno stato di eccitazione le pupille si possono dilatare anche di quattro volte rispetto alla dimensione normale; viceversa, in presenza di uno stato d'animo negativo o infuriato si contraggono, dando luogo al ben noto «sguardo da vipera». La parte bianca dell'occhio si chiama sclera, attenzione: più «bianco» vedete, più furioso è il vostro interlocutore. I popoli nord-europei e i giapponesi tendono a evitare di guardare in modo prolungato i propri interlocutori, mentre nelle culture latine o arabe lo sguardo prolungato è segno di sincerità e interesse verso l'altro. Un altro segno di piacere ci arriva dall'ammiccamento palpebrale: quando l'interlocutore ci piace, le ciglia vengono sbattute anche quattro volte di più e più velocemente. E questo non vale solo per le ciglia truccate delle signore. Numerosi segni di gradimento sono poi collegati alla regione della bocca: la lingua può passare sul labbro superiore; le labbra possono essere mordicchiate, premute o spinte verso l'esterno; mentre si ascolta, la bocca è dischiusa e talvolta vi si appoggia sopra un dito. Ricordate, come abbiamo già detto, che le mani vicino alla bocca sono anche uno dei segnali di falsità. Cosa fa un bambino che mente? Spesso nasconde le mani dietro la schiena, oppure appena dopo aver svelato un segreto si porta le mani alla bocca. Noi abbiamo mantenuto questa reazione, solo che, come adulti, mascheriamo il gesto fermandolo in prossimità della bocca. A volte può evolvere in uno sfregamento del naso o in un dito sulle labbra.

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Il taglio deve essere fatto in modo che ogni commensale abbia una fetta con una parte di crosta (quando è presente), una parte del centro e del cuore; solo in questo modo non si altera l'aroma e si percepisce il gusto complessivo di ogni formaggio. La quantità servita deve tener conto del fatto che il formaggio, a differenza di altre portate, si dovrebbe offrire una sola volta. I formaggi duri richiedono il coltello e la forchetta; quelli molli la sola forchetta o il solo coltello se spalmati su bocconi di pane. Consiglio per gli intenditori: per gustarli al meglio toglieteli dal frigorifero almeno un'ora prima di consumarli. Purtroppo anche tanti ristoranti se lo dimenticano. Di norma, si inizia dal più dolce e fresco per concludere con il più saporito e stagionato. La mozzarella si consuma quasi tiepida e teme il frigorifero. Fragole. Se ve le propongono in una coppetta si mangiano con un cucchiaino, se su un vassoio intere si prelevano con il picciolo, si mangiano in due bocconi e si deposita il picciolo verde su un piattino. Per le signore e taluni giovanotti: vietato civettare con i commensali mangiando fragole ammiccando, consigliabile invece in un tête-à-tête tra mura sicure, dove potrete sbizzarrirvi. Frattaglie. La maggior parte degli esseri umani non sa neppure cosa siano e al semplice suono della parola scatta la smorfia di disgusto: non si fa. Vi basti pensare che il foie gras, in quanto fegato, è una frattaglia ed è considerato tra i più nobili piatti al mondo. Lo stesso vale per le animelle tanto care a Escoffier, il famoso cuoco francese, la finanziera preparata con le rigaglie di pollo e il rognoncino. Insomma, vale per le frattaglie come per altri ingredienti inusuali: non giudicate senza provare. Sappiate che c'è una stretta correlazione tra apertura mentale e disponibilità ad assaggiare cibi inusuali o appartenenti ad altre civiltà. Quindi se durante una cena privata vi vengono servite, assaggiatele senza prevenzioni. Frittata. Non si mangia mai con il coltello, così come le uova cucinate nelle loro infinite varianti. Frutta. Mangiare la frutta con le posate è assai complicato; se volete bene ai vostri ospiti servitela già pelata e tagliata a fettine. Nota di costume: la classica macedonia è terribilmente datata e quasi sempre si riduce a una poltiglia informe dove i sapori della frutta si mischiano irrimediabilmente. È molto più fresco e moderno servire della frutta già pelata e tagliata a tocchetti o fettine, e spennellata con un mix di zucchero, limone e anice stellato lasciato in infusione, così non diventerà nera. Frutta secca. Noci, mandorle e nocciole si consumano rompendole con lo schiaccianoci e si portano alla bocca. È assolutamente vietato spaccarle con i denti in pubblico, mentre in privato le signore trovano molto virile che vengano aperte da una sfilza di denti bianchissimi. Fumo. Non si fuma sino a dopo il secondo e mai se la padrona di casa non concede apertamente il permesso. I recenti provvedimenti vietano giustamente di fumare a tavola nei locali pubblici, ma la cosa ha risvolti positivi: vuoi mettere quante persone interessanti si possono conoscere nelle sale fumatori o sul marciapiede fuori dal ristorante? Garden party. Se ne organizzate uno, fate attenzione alle temperature tropicali per salse e cibi deteriorabili. Procuratevi del ghiaccio e tenete a disposizione lo spray antizanzare. Gelato. Per gelato e creme, sorbetti e semifreddi si utilizza il cucchiaio. Il «vero» cucchiaino da gelato è una sorta di palettina, ma andranno benissimo anche quelli normali. Gesticolare. Non fatelo davanti al naso degli ospiti, rischiate di essere importuni e di far cadere il vasellame sulla tavola. Giacca. Non si toglie mai nelle cene formali e tra amici si chiede prima il permesso ai padroni di casa; vietato anche togliersi la giacca e appenderla allo schienale della sedia, lo stesso per la cravatta. O si porta per tutta la sera o non si porta. Gironzolare. Quante volte si vedono al ristorante giovanotti e signore fermarsi ai tavoli degli amici abbandonando il proprio: non si fa, si saluta con un cenno della mano discretamente e senza sbracciarsi né urlare da un punto all'altro della sala. Gomiti. Mai sul tavolo e, se è possibile, teneteli stretti al dorso, anche se è difficile allargarsi nei minuscoli tavolini delle tavole urbane. Gossip. Meglio evitarlo a cena, a meno che non siate tra amiche o amici di vecchia data: la gaffe è sempre in agguato. Granchio. Vera crudeltà servirlo agli ospiti con il carapace e non già aperto con la polpa a portata di mano, che si preleva con l'apposita forchetta a tre denti. Grissini. È sempre più diffusa l'abitudine di offrirli ai propri ospiti; in questo caso, vanno tolti dalla confezione e sistemati in un cestino con il pane o da soli sulla tavola. Al ristorante è proibito avventarsi sulle confezioni di grissini senza tener conto degli altri commensali. In tutti i casi non si mangiano a bocconi, ma si spezzano e si portano alla bocca. Imboccare/si. Non si dovrebbero imboccare bambini o anziani in pubblico o al ristorante, ma ricordiamo che dipende sempre dal tipo di locale. Di norma, è meglio non portare alle cene formali i bambini sotto i dodici anni. Non si imbocca mai la fidanzata o l'amico a una cena o un pranzo dove si rispetta l'etiquette. Meglio evitare questa pratica, invece consigliatissima dallo Sgalateo. Se vedete un amico sposato imboccare un'altra donna al ristorante, state alla larga. Insalata. Si serve dopo aver passato due volte il piatto di portata principale per eventuali bis. Si adagia in un piatto o in una ciotola a sinistra del piatto. Come tutte le verdure si mangia con la sola forchetta, però è consentito usare il coltello per tagliare le foglie. Meglio comunque servire l'insalata in modo che possa essere portata alla bocca senza essere tagliata. Invito. Si risponde sempre a qualsiasi tipo di invito e si ricambia entro due mesi. Negli inviti indicate chiaramente il luogo, l'ora e il tipo di abbigliamento richiesto. Si conferma entro tre giorni al massimo e si disdice facendosi perdonare con un piccolo dono floreale. Per gli uomini andrà bene anche una pianta. Invitati. Anche per gli invitati le regole sono molte, limitiamoci riassumere dicendo che si acquista il titolo di invitati ideali quando: non si mettono a disagio gli altri ospiti, quando si contribuisce al divertimento e al piacere di tutti e quando si dimostra gratitudine ai padroni di casa per l'invito. Anche se si viene invitati al ristorante valgono le stesse regole, in più si cerca di non ordinare i cibi più costosi, ma neppure solo i più economici. Se il menu è già stato fissato e vi sono piatti che proprio non potete mangiare per ragioni di salute, chiedete di sostituirli con qualche cosa di semplice, come riso, una bistecca o un pezzetto di formaggio. Un invitato perfetto al ristorante si comporta come se fosse in casa del proprio anfitrione e quindi evita critiche alla cucina o al locale e cerca anzi un motivo per esprimere il proprio gradimento della serata. Chi invita non paga il conto a tavola, ma si alza regolando ogni cosa in privato. Se avvenisse al tavolo, si cerca di ignorarlo, limitandosi a fine serata a ringraziare con qualche commento tipo: «Siamo stati davvero bene» oppure un «Grazie di tutto». Deve essere l'anfitrione e mai l'ospite a concludere la serata; darebbe l'impressione di non gradire la compagnia. Attenzione, quindi, padroni di casa: sta a voi chiudere le danze con garbo. Jeans. In molti paesi del mondo andare a cena o in una casa privata indossando i jeans è sgradito, anche se certe marche costano centinaia di euro. Kiwi. Si taglia a metà e si consuma con un cucchiaino. Legumi. Si tratti di fagioli, piselli, fave o lenticchie i legumi si mangiano con la forchetta. Non si servono fagioli alle cene formali. Liquori. Si servono a tavola o ancora meglio in salotto dopo il caffè. Lisca. Se una vi si conficca in gola non stramazzate al suolo con le mani alla gola, ma alzatevi e andate in bagno dopo aver mangiato un boccone di pane. Ecco perché per evitare imbarazzo è opportuno servire pesce perfettamente pulito. Lumache. L'unica condizione per servirle con il guscio è fornire ai commensali le apposite pinze, in tutti gli altri casi si propongono sgusciate e in umido nelle diverse varianti. Nel primo caso, pinza nella mano sinistra e forchettina nella destra per estrarre la polpa. Make-up. Sì, è vero, non ci si rifà il trucco a tavola e confermo, ma davanti al rossetto non resisto. Mi piace vedere una bella donna tirar fuori dalla borsetta lo specchietto gioiello di famiglia e stendersi un rossetto rosso sulle labbra. C'è chi lo sa fare e chi no: mai durante un pranzo di lavoro. Mancia. In Italia la mancia non è obbligatoria come negli Stati Uniti o nel mondo anglosassone, ma gradita. Si lascia sempre a chi porta i bagagli e a chi vi parcheggia la macchina, al personale di servizio della casa che ci ospita e a tutti coloro che hanno svolto un servizio che non era nelle loro competenze. La cifra deve essere compresa almeno tra il 5 e il 10 per cento del conto totale. Al ristorante non si dà in mano al cameriere, ma è preferibile lasciarla sul piattino con il quale è stato consegnato il conto; se non è possibile si farà scivolare nella mano del destinatario senza farsi notare. Mandarino. Si sbuccia con il coltello tenendolo fermo con la mano sinistra e poi si mangia uno spicchio per volta. I maschi, di norma, non mangiano frutta perché sono maledettamente pigri, ma provate a sbucciargli un mandarino o una fetta di mela, vedrete che apprezzeranno molto il gesto materno! Ricordate però la Teoria del Precedente. Lo Sgalateo consiglia la «sbucciatura della frutta» come merce di scambio: tu fai una cosa per me e io in cambio ne faccio una per te. Mandorle. Vale la stessa regola dell'altra frutta secca. Una raccomandazione: chiudete la sinistra sulla mano destra a protezione, prima di premere le due parti dello schiaccianoci. Si sono visti pezzi di gusci schizzare nei décolleté e colpire il lampadario. Dai latin lover sono considerate cibo afrodisiaco. Mani. Si tengono sulla tavola in Italia e in grembo, nelle pause, se seguite la scuola britannica. Nel mondo occidentale non si mangia nulla con le mani tranne il pane, i pasticcini, l'uva, il cioccolato e il sushi. Sciocco ricordarlo? Prima di andare a tavola bisogna lavare mani e unghie. Lo Sgalateo prevede e consiglia di usare mani e dita quando e come si vuole. Marmellata. Solo quella di agrumi si può chiamare così, è chic sapere la differenza; tutte le altre sono confetture. Non servitevi dal barattolo, è cafone. Mettetene una piccola quantità sul piatto e poi spalmatela sul pane con un cucchiaino o con un coltello da frutta. Mele e pere. Si tagliano in quattro parti sul piatto con il coltello e la forchetta. Le parti si infilzano con la forchetta e con il coltello si eliminano prima la buccia e poi il torsolo, poi si tagliano in pezzi più piccoli e si portano alla bocca con la forchetta. Melone. Dovrebbe essere servito a fette e già sbucciato, se piccolo e maturo può essere servito tagliato a metà, in questo caso si consuma con un cucchiaino. Menu. È cortese, quando si invita a casa, scrivere su un cartoncino la data, i piatti e i vini serviti, sarà utile agli invitati per regolare il proprio senso di sazietà. Quando siete al ristorante chiedete la carta e non il menu. Non soffermatevi su ogni portata un'ora prima di decidere cosa ordinare: è irritante, per il cameriere e per gli altri ospiti. Minestra. Senza rumoracci e senza soffiarci sopra, si sorbisce con il cucchiaio. Non si serve se non per la cena e mai due volte, così recita il cerimoniale. Nel servirla è facile sporcare la tovaglia, quindi è opportuno o tenere a portata di mano un piattino dove appoggiare il mestolo nel tragitto zuppiera-fondina, oppure, ancora meglio, fare le porzioni in cucina e portare a tavola ciascun piatto con grande attenzione. Evitate di offrire una minestra a una cena organizzata per fare conquiste: a meno che non sia una sofisticatissima vellutata di crostacei, ogni altra preparazione in brodo rischia l'effetto «minestrina da ospedale», il che non è affatto sexy. Mollica. Chi non mangia la mollica o la crosta, la ripone in un angolo del proprio piatto; guai a lasciarla sulla tovaglia. Vietato fare pupazzetti con la mollica o, peggio, proiettili da tirare al commensale più odioso. Lo Sgalateo vi lascia liberi di creare con la mollica piccoli cuori da regalare al vostro partner durante la cena. Musica. In casa, una musica di sottofondo è piacevole mentre si aspettano gli ospiti, ma durante la cena dovrete abbassare il volume. Nella scelta, sbizzarritevi: oggi ci sono cd di accompagnamento per ogni esigenza, chiedete in un negozio specializzato. Personalmente adoro, dal tramonto in poi, il vecchio Frank. Per un cocktail in piedi o un garden party, la musica è sempre fondamentale. Una domanda: vi siete mai chiesti dove vanno a prendere quei terribili cd nelle hall di certi alberghi paludati? Naso. Ovviamente ogni operazione di pulizia è vivamente sconsigliata. Nel linguaggio del corpo ogni volta che si toccano le zone periferiche intorno al naso il nostro commensale potrebbe mentire. Attenzione, potrebbe. È il retaggio di un comportamento infantile che porta a mentire coprendosi la bocca con le mani; visto che l'amministratore delegato di una multinazionale non può coprire con entrambe le mani la bocca spalancando gli occhi, ecco che l'inconscio si accomoda sfregando il naso o con movimenti simili. Noccioli. I noccioli della frutta o le parti di scarto, inavvertitamente messe in bocca, non si lasciano cadere direttamente nel piatto. Se sono stati portati alla bocca con una posata si fanno scivolare su di essa e poi sul piatto, ma forse è più facile deporli nella mano chiusa a pugno e riportarli sul piatto. Noia. Sarebbe bello divertirsi follemente a ogni occasione conviviale: ma non è così. Se vi annoiate a morte perché il vostro vicino di destra parla solo di insetti in via di estinzione e l'altro è un distinto ottantenne ma con problemi di udito, tenete duro. Non si guarda l'orologio, né le vie di fuga come la porta d'uscita, né si parla con un tizio nell'altro tavolo escludendo i commensali vicini a voi. Odore. Gli odori di cucina se si invita a casa vanno eliminati azionando le ventole o ancora meglio aprendo le finestre prima che arrivino gli ospiti. Al ristorante sarebbe obbligatorio non narcotizzare i clienti con odori molesti, d'altra parte una stanza completamente asettica non fa buona impressione. Signore, non profumatevi troppo. Olive. Si portano alla bocca con gli stuzzicadenti (unico utilizzo ammesso degli odiosi aggeggi), ma se vengono servite come aperitivo sono consentite anche le mani. Il nocciolo si pone nella mano e poi si lascia in un apposito piattino. In realtà spero sempre di trovare cibo più originale come aperitivo, sia in casa che nei bar, o almeno se volete offrirmi delle olive devono essere buonissime. Ossi. Si lasciano nel piatto e non si toccano con le mani. Evitate, nel tentativo di staccare un pezzo di carne rimasto attaccato all'osso, di farlo schizzare in testa a qualche malcapitato. Lo Sgalateo prevede il contatto con gli ossi da scarnificare e succhiare a piacere come per rivivere un rituale primitivo. Ostriche. Se le offrite voi dovete essere sicuri della qualità superiore, fatele aprire e non gettate via, per carità, la loro acqua di vegetazione. Esistono delle speciali forchettine a tre denti per molluschi che potete usare per estrarre la polpa, in caso contrario potete usare la mano destra evitando il più possibile ogni risucchio. I puristi le degustano assolutamente nature. Nello Sgalateo, ca va sans dire, se ne fa grande uso, sarà per l'alto valore simbolico del mollusco considerato afrodisiaco. Padroni di casa. Dovrebbero essere sorridenti e freschi, anche se in realtà sono stravolti dalla stanchezza. Mai iniziare a mangiare prima della padrona di casa, ma attendere un suo cenno per cominciare. Pane. Una delle poche cose che si possono toccare con le mani, ma non si spezza con i denti. Si fa a pezzi con le mani e poi si porta alla bocca a piccoli bocconi. Evitate di tagliarlo a tavola a meno che non si tratti di un rarissimo pane toscano che desiderate far vedere in tutto il suo splendore, in tutti gli altri casi si taglia in cucina e si porta a tavola in un cestino oppure in un vassoio d'argento. Il piattino del pane, gradito nelle cene formali, si mette in alto a sinistra di ogni commensale. Pasticcini. Si prendono dal vassoio con le mani, insieme alla carta pieghettata che li avvolge. Vietato indugiare nella scelta e soprattutto toccarli tutti prima di sceglierne uno. Pâté. Si mangia con la forchetta e, se accompagnato dai crostini, non viene spalmato ma mangiato separatamente. Pausa. Quando si smette di mangiare per fare una pausa, si mettono le posate con le punte del coltello e della forchetta che si incrociano, con i rebbi della forchetta all'ingiù e la lama del coltello verso il centro del piatto. Come già detto, in questo modo il cameriere o chi per esso dovrebbe, dico «dovrebbe», capire che non deve portar via il piatto. Per piacere e grazie. Ricordiamoci di pronunciarli sempre, ogni volta che chiediamo di passarci qualcosa, quando veniamo serviti a casa o al ristorante, quando chiediamo qualcosa al cameriere. Pesce. Prima il pesce e poi la carne, questa è la regola. Qualsiasi portata di pesce si serve con le posate apposite, se non avete le posate adatte usate solo la forchetta. Pesche. Mangiare frutta intera (purtroppo) con le posate non si fa quasi più, perché difficilmente i ristoranti metropolitani la propongono. È considerata ancora una portata in certe pensioni familiari sull'Adriatico o sulle coste ioniche. Se a una cena formale decidete di mangiare una pesca che vi viene servita intera consideratela una faccenda seria. Si puntano (non infilzano!) i rebbi della forchetta sul frutto e si incide la polpa col coltello per tagliare uno spicchio alla volta, quindi si ferma con la forchetta lo spicchio e lo si sbuccia con il coltello. Si tiene lo spicchio sbucciato sulla punta della forchetta, si taglia un boccone (massimo 2 centimetri) e lo si porta alla bocca senza cambiar di mano alla forchetta, che quindi rimane nella sinistra. Piatti. Quando il cameriere si avvicina per portarci i piatti, e soprattutto per toglierli, non va aiutato. Allo stesso modo, non si impilano i piatti sporchi: perché volete intralciare il lavoro del personale di servizio? Rilassatevi, se pagate il conto avete il diritto di farvi servire. Si può aiutare il personale perché distante, solo se ce lo chiede, anche se non dovrebbe mai farlo. Picnic. Che bello vedere un po' di galateo anche sull'erba, basta poco: piatti di cartone, fazzolettini e tante torte salate. Unica eccezione, mai i bicchieri di carta, mettete dentro un bel cesto di vimini tante flûte di vetro, di certo qualche partecipante al picnic sarà felice di aiutarvi. Il bon ton si rilassa sotto il cielo e diventa più elastico, ma ritorna rigidissimo al momento del dopo picnic. Vietato lasciare mozziconi, plastica e rifiuti abbandonati sull'erba, e vi assicuro che questo è ben peggio che dire «Buon appetito». Piedi. In teoria dovrebbero stare sotto la sedia del proprietario, e questo vuol dire non allungarli incivilmente sotto il tavolo intralciando le estremità altrui e tanto meno lateralmente provocando involontari effetti «piedino». Lo Sgalateo permette di sbirciare sotto il tavolo per, studiare la posizione dei piedi: incrociati, ci sono ancora un po' di riserve. Con le punte all'interno? È rimasto un pizzico di infanzia. Accavallate? C'è ancora qualche resistenza nel vostro commensale. Piedino. Sono due le regole fondamentali da rispettare per il seduttore (uso il maschile, ma vi sono signore grandi esperte nel campo) che usa il piedino come arma di seduzione. 1. Si fa solo se si è certi di non ricevere un rifiuto. 2. Si fa solo se si è certi di non essere scoperti dal resto dei commensali. Pinzimonio. Uno dei pochissimi casi nei quali è permesso usare le dita per mangiare. Le verdure vengono servite già tagliate e ogni commensale ha una scodellina dove intingere carote e sedani. Piselli. È esilarante vedere, come è capitato a me, schizzare i piselli dal piatto come proiettili. Se accade significa che il cuoco era pessimo: dovrebbero essere morbidi. Di norma, basterebbe raccoglierli con la forchetta. Pollo. Anche se un commensale vi ricorda il detto popolare secondo cui pure la regina Margherita mangiava il pollo con le dita, lasciate perdere e continuate a usare forchetta e coltello. Il pollo è difficile da tagliare in tavola anche con il trinciapollo, fatelo in cucina dopo averlo mostrato, se volete, ai commensali. Polpette. Per qualche inspiegabile motivo servire polpette a una cena formale è considerato scorretto, probabilmente perché si può sospettare che siano preparate con gli avanzi. Quindi evitatele, anche se sono un piatto straordinario, in primis quelle di bollito. Sono vivamente consigliate dallo Sgalateo, che incoraggia il consumo di polpettine, cibo da mangiare con le mani e soprattutto da imboccare. Pompelmo. Si serve tagliato a metà e si consuma prelevando la polpa con un cucchiaino. Posacenere. Non si mette in tavola, mai, se non a fine pasto e dopo aver chiesto il permesso di fumare agli altri commensali. Al ristorante non si può più fare, ma non lamentatevi. È così bello ritrovarsi fuori sul marciapiede: si fanno molte conoscenze interessanti. Vietato però abbandonare il proprio ospite o accompagnatrice per interminabili pause. Posate. Oggi si tende a snellire il più possibile il numero delle posate. L'ideale è il tris: una forchetta, un coltello e un cucchiaio, se serve; man mano che si susseguono le portate si cambiano le posate. Posti. L'uomo siede alla destra della donna, le riserva il posto lungo la parete o che comunque le permetta di vedere la sala. Ogni uomo siede a fianco di una signora che non sia sua moglie (o compagna). Nel caso di due coppie, ogni signora siederà alla destra dell'uomo che non è suo marito. Se invece l'uomo e la donna siedono da soli, ai due lati consecutivi di un tavolo quadrato, lui siederà alla sua destra per poter utilizzare il braccio destro e quindi versarle da bere con più agio. I signori siedono un attimo dopo le signore. Lo so, non lo fa quasi più nessuno tranne che in certi adorabili ambienti. Durante il pasto se una signora si allontana dal tavolo, per qualunque motivo, gli uomini si alzano contemporaneamente a lei, si risiedono appena si allontana e si rialzano appena riappare. A una cena in casa privata, ricordate, l'ospite d'onore uomo si siede alla destra della padrona di casa, mentre l'ospite d'onore donna si siede alla destra del padrone di casa. Prenotazioni. Se avete prenotato in un ristorante e poi per qualsiasi motivo cambiate idea, soprattutto se il locale possiede coperti limitati, telefonate sempre per disdire. All'estero nei ristoranti stellati si lascia il numero di carta di credito perché in caso di mancato avviso viene addebitata una mora. Presentazioni. Prima di imparare qualsiasi altra regola, la buona educazione ci impone di presentarci ogni volta che ci troviamo a dividere una tavola. In teoria dovrebbero pensarci i padroni di casa, ma se chi ospita è assente lo faremo noi dicendo il nostro nome con un sorriso accompagnato da un buongiorno o da un buonasera. Prezzemolo. Che dilemma, dire o non dire della fogliolina di prezzemolo tra i denti del nostro commensale. Sì, meglio dirlo. Basta sussurrarlo discretamente in un orecchio. Ribes e frutti di bosco. Si servono in coppette con il cucchiaio da frutta. Reclami. Nel caso di un cibo malcucinato, di un vino che sa di tappo o di una posata o un piatto non pulitissimi, ci si limita, senza recriminazioni, a chiedere che vengano sostituiti spiegando il problema con gentilezza. Con educazione e garbo è giusto sottolineare gli errori da parte della cucina o del servizio, nei locali pubblici. È peraltro di cattivo gusto mostrarsi incontentabili, critici, polemici, commentare la scelta dei piatti al cameriere o parlare dei propri disturbi intestinali agli altri ospiti. Ricci di mare. Solo se volete male ai vostri ospiti li servirete a una cena formale. Meglio lasciare questo ingrediente sensuale per uno spaghetto a due, magari cucinato insieme e consumato su una terrazza al tramonto. Riso e risotto. Si mangia con la forchetta, non si soffia sul risotto e non si allarga nel piatto come si vede fare. Ritardo. Mai arrivare in ritardo a un appuntamento galante, anche se alla signora è permesso un indugio di dieci minuti. Se arriviamo in ritardo in una casa privata o al ristorante è d'obbligo telefonare per avvisare. Sale e pepe. Non si chiede al ristorante di classe se non strettamente necessario, è come sottolineare che il piatto non era perfetto. In casa, durante i pasti quotidiani si mette in tavola, ma è meglio non farne uso. Salame. In una cena formale non si serve. Con gli amici e in famiglia ben venga qualche fetta di salame. Si può prendere con le mani e mangiarlo accompagnato dal pane; si eviti il classico panino, a meno che non ci si trovi a un bel picnic. Salmone. Si consuma con le posate da pesce, se accompagnato da crostini non va messo sul pane ma consumato a parte. Salse. Le salse non si raccolgono se non con il salsacoltello, una posata a forma di cucchiaio, ma con un lato tagliente creata apposta per tagliare e tirar su ciò che rimane nel fondo del piatto. Scampi. Serviteli già sgusciati quando è possibile. Consigliati per le cene private a due. Scarpetta. Mi dispiace, ma il galateo non ammette scarpette di sorta e soprattutto non tollera surrogati, e cioè tutte quelle pratiche che i commensali ingegnosi si inventano per raccogliere un buon sugo dal fondo del piatto. Non esistono deroghe. Via libera alla scarpetta, invece, nelle riunioni familiari e per lo Sgalateo. Segnaposti. È un bel gesto predisporre i segnaposti quando si hanno tanti ospiti e soprattutto se vogliamo mantenere la regia a tavola. Potete sbizzarrirvi con oggetti di ogni genere, che servano da supporto al cartoncino sul quale sarà scritto il nome. Soffiare. È molto maleducato soffiare sul cucchiaio o sul piatto per raffreddare il cibo. Sottopiatti. Sono utili e doverosi nelle cene formali, belli quelli in argento, ma sono ammessi tutti i materiali. Spaghetti. Si mangiano arrotolandoli alla forchetta, che non va puntata sul piatto, ma tenuta leggermente inclinata, quasi orizzontale. Si raccolgono pochi fili di pasta per volta, in modo da portare alle labbra un boccone piccolo. Evitate accuratamente risucchi di ogni tipo e rimasugli di sugo sul mento. Orribile l'utilizzo del cucchiaio o, peggio ancora, del coltello per tagliarli! Spumante. Quello secco non si serve mai a fine pasto insieme ai dolci. Se volete mostrarvi esperto di vino, dite «metodo classico», oggi lo spumante si chiama così. «Bollicine» pare sia superato, ma rende l'idea. Quando si stappa tenete la mano destra sopra l'imboccatura della bottiglia per evitare che il tappo colpisca qualcuno nella stanza e soprattutto cercate di essere silenziosi. Starnuto. L'ideale sarebbe reprimerlo, soffocarlo, ucciderlo, specialmente durante cerimonie e pranzi formali. Quando vi accorgete che lo starnuto sta arrivando, conviene alzarsi e procurarsi un fazzoletto pulito. Se proprio dovete restare seduti, voltate il viso all'esterno del tavolo e starnutite dentro il fazzoletto, badando di fare meno rumore possibile. In Giappone è considerato ripugnante starnutire a tavola. Stuzzicadenti. Come tutte le operazioni riguardanti il proprio corpo, stuzzicarsi i denti a tavola non è ammesso. In realtà i ristoratori dovrebbero mettere il contenitore degli stuzzicadenti in bagno. Se il fastidio è insopportabile, alzatevi dal tavolo. Sushi. Se non sapete usare le bacchette, non pasticciate inutilmente. Usate le mani, che è consentito, oppure chiedete una forchetta. Ogni pezzo di sushi va intinto nella soia dalla parte del pesce, mai dal riso. Le bacchette si appoggiano all'apposito utensile che assomiglia a un poggiaposate, e quando avete finito si mettono allineate sulla ciotola che contiene la salsa di soia. Al sushi bar, se sedete al bancone, non date soldi al maestro sushi presi dall'entusiasmo: non può toccarli. Tavola. Sulla tavola non si appoggia nessun oggetto, niente chiavi, occhiali, portafogli o telefoni. Tè. Si beve sorseggiando dalla tazza senza sollevare il mignolo, per carità. Non vi si inzuppano dolci o tartine, ma si alternano piccoli bocconi e sorsi di bevanda. La padrona di casa che invita per il tè predispone zucchero, latte e fettine di limone, qualche biscotto ed esorta gli ospiti a servirsi da soli dopo aver versato il tè nelle tazze. Toilette. Non c'è bisogno di annunciarlo rumorosamente, se si vuole andare in bagno ci si alza con un semplice «Scusate». Alle signore consiglio di non abbandonare per ore il proprio cavaliere ad aspettare al tavolo. Torta. Si mangia con l'apposita forchetta a tre punte. Tovaglia. La tovaglia, di qualsiasi colore sia, dovrà essere stirata alla perfezione e questo va fatto una volta che viene stesa sulla tavola, sopra un «mollettone», così si chiama il telo morbido di protezione alla superficie del tavolo. Scegliete tessuti naturali in colori contrastanti con i piatti la cui base, sarò tradizionalista, deve essere rigorosamente bianca. Tovagliolo. Solitamente piegato e posato sopra il piatto o il sottopiatto va a destra, ma si può semplicemente piegare a triangolo e adagiare sul piatto. Evitate piegature fantasiose e laboriose. All'inizio del pasto va steso sulle ginocchia, sempre dopo la padrona di casa o, al ristorante, dopo la persona che ha invitato. Non va mai legato al collo. Si usa prima di bere, sempre, e dopo aver appoggiato il bicchiere. Alla fine del pasto si lascia alla sinistra del piatto. In alcuni ristoranti di alto livello, prima del servizio del dolce, il tovagliolo viene cambiato con uno più piccolo. È un atto di grande cortesia. Signore, cercate di non lasciare vistose impronte di rossetto, signori non usatelo per detergervi il sudore dalla fronte. Ubriachezza. Può succedere che un ospite esageri con l'alcol: che fare? Un bravo anfitrione cerca di arginare come può la serata, ma di certo non lo abbandona fuori dalla porta a fine cena. Si preoccupa di accompagnarlo a casa e di assicurarsi che stia bene. Uomo. Uomini, ricordate! Basterà un gesto come aprirle la portiera o alzarsi nel momento in cui lei lascia il tavolo per farsi ricordare a lungo. Insomma, vi verrà perdonato anche qualche sbaglio, se saprete usare qualche galanteria al momento giusto. L'uomo entra per primo in un locale, comunica con i camerieri, versa da bere, si dimostra più interessato alla compagnia che al cibo, conversa e dovrebbe pagare il conto. Uova. Non si usa mai il coltello, in qualsiasi modo siano cucinate. Lo si può usare solo per tagliare il prosciutto o la pancetta che le accompagna. Uva. Va tenuta con la mano sinistra, mentre con la destra si staccano gli acini che andranno alla bocca. Verdure. Non si tagliano mai con il coltello. Vino. Non si versa mai sino al collo del bicchiere. Si stappa sempre davanti agli ospiti, e così pretendete al ristorante. Si fa scegliere alla signora e se questa si rifiuta si prende l'iniziativa chiedendo almeno «bianco o rosso». Chi invita, sia a casa sia al ristorante, propone i vini e chiede se gli invitati sono d'accordo. Il vino non si mescola con l'acqua e non deve essere raffreddato con il ghiaccio. Si lascia in un secchiello di qualsiasi materiale, possibilmente su un tavolino a parte. Zotico. È l'epiteto che si merita chi a tavola pecca di prepotenza e maleducazione. Per neutralizzare lo zotico recidivo è necessaria più fermezza che ironia, la seconda non la coglierebbe. Un seccato richiamo ha più probabilità di venire accolto. Zuppa, zuppiera. Non si soffia sulla minestra o la zuppa. In Inghilterra, il cucchiaio non viene introdotto in bocca di punta, ma appoggiato lateralmente alle labbra. In Italia il cucchiaio viene introdotto in bocca di punta. Ma ciò non vuol dire, beninteso, che lo si debba inghiottire fino al manico. È tollerato che, arrivati agli ultimi cucchiai di minestra, si sollevi appena il piatto inclinandolo verso il centro della tavola. Zuzzurellone. Avete presente quei soggetti che pur essendo adulti si comportano come ragazzini e si divertono a fare i giocherelloni? È il buontempone, il burlone che a tavola gioca con il cibo, estenua i commensali con storielle imbarazzanti, indovinelli, racconti di vita privata e via discorrendo. Basterà ignorarlo senza ridere delle sue battute pesanti per neutralizzarlo.

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Pur essendo noi suoi estimatori, per la straordinaria acutezza nel descrivere i cattivi comportamenti dei suoi contemporanei, è bene capire chi fosse realmente questo signore che ancora oggi è menzionato per il suo Galateo, sebbene dubiti che la metà delle persone che lo cita lo abbia letto realmente. Lo resuscito per dimostrare la sua straordinaria modernità. Giovanni Della Casa da Pandolfo nasce nel Mugello, studia a Bologna e a Firenze materie letterarie per poi dedicarsi alla lettura dei classici latini. Scrive componimenti considerati all'epoca licenziosi ma, nel 1532, intraprende a Roma la carriera ecclesiastica, diventando prima arcivescovo a Benevento e poi nunzio apostolico a Venezia, dove si occupa con zelo di preparare alcuni famosi processi dell'Inquisizione. Diviene amico di illustri personaggi, quali il cardinale Alessandro Farnese, che verrà eletto papa col nome di Paolo III, e prende gli ordini minori. In questa occasione, fa pubblico pentimento per la vita libertina condotta in gioventù e, non contento, lavora alla composizione di un trattatello misogino in latino ciceroniano. Negli anni successivi si dedica con impegno ai suoi compiti di esattore e di tesoriere pontificio utilizzando anche metodi ferrei per recuperare denaro. Verso il 1540, ritiratosi nell'abbazia di Nervosa, sulle pendici della marca trevigiana, si dedica alla scrittura del Galateo. Il titolo del libro è ispirato dall'amico Galeazzo (in latino Galatheus) Florimonte, «a petizion del quale e per suo consiglio presi io da prima a dettar questo presente trattato» (Il Galateo, cap. IV). Chiariamo subito che questo testo non è il punto di riferimento assoluto, semplicemente ci permette di notare come gli esseri umani tendano nei secoli a perseverare nei difetti conviviali. E mi sembra divertente riportarne qualche stralcio, a testimonianza del fatto che le cattive abitudini non si sradicano neppure in quattro secoli. A metà del Cinquecento Della Casa metteva alla berlina gran parte delle odierne cattive abitudini degli italiani. E, se è vero che il comportamento a tavola evidenzia il grado di evoluzione di un popolo, le conclusioni sono facili da trarre. Tuttavia il termine «galateo» richiama qualcosa di repressivo. Della Casa era alquanto prescrittivo, basti pensare al «sereno dominio delle inclinazioni naturali», dove per inclinazioni si intendono tutti quei sani istinti che non vogliamo affatto reprimere, bensì incanalare nella giusta direzione. Meglio essere chiari: conoscere le regole senza operare un controllo eccessivo, per poterle trasgredire quando le circostanze lo permettono. Ribadisco il mio primo comandamento: conoscere il galateo per praticarlo in pubblico e trasgredirlo in privato (e non mi riferisco di certo alle cene in famiglia!). Nel primo capitolo, per esempio, è chiara la premessa; potrebbe anche essere una delle ragioni di questo libro: «Niuno può dubitare che a chiunque si dispone di vivere non per le solitudini o ne' romitorii, ma nelle città e tra gli uomini, non sia utilissima cosa il sapere essere ne' suoi costumi e nelle sue maniere gratioso e piacevole». Che sarebbe come dire: è ovvio che, per chi vuole vivere all'interno di un gruppo con altri esseri umani e non come eremita in clausura, è fondamentale comportarsi in maniera educata e rispettosa. Ma, ancora oggi, non è così ovvio. «Dèi sapere che a te convien temperare et ordinare i tuoi modi non secondo il tuo arbitrio, ma secondo il piacer di coloro co' quali tu usi, et a quello indirizzargli; perché chi di piacere o di dispiacere altrui non si dà alcun pensiero è zotico e scostumato e disavenente». Ancora un accenno alle regole da rispettare, se non lo si fa si rischia di prendersi, giustamente, dello «zotico», entusiasmante aggettivo da ripristinare. «Perciò che non solamente non sono da fare in presenza degli uomini le cose laide o fetide o schife o stomachevoli, ma il nominarle anco si disdice; e non pure il farle et il ricordarle dispiace. E perciò sconcio costume è quello di alcuni che in palese si pongono le mani in qual parte del corpo vien lor voglia. «Sono ancora di quelli che, tossendo e starnutendo, fanno sì fatto lo strepito che assordano altrui; e di quelli che, in simili atti, poco discretamente usandoli, spruzzano nel viso a' circonstanti; e truovasi anco tale che, sbadigliando, urla o ragghia come asino; e tale con la bocca tuttavia aperta vuol pur dire e seguitare suo ragionamento e manda fuori quella voce (o più tosto quel romore) che fa il mutolo quando egli si sforza di favellare. Anzi dèe l'uomo costumato astenersi dal molto sbadigliare». Musica per le mie orecchie. Ecco un elenco puntuale ed efficace di cose da evitare a tavola e non. E quanti se ne vedono, nei locali,che «assordano» e «ragghiano come asini» al cellulare. Ma state seduti, non è finita: «Non si vuole anco, soffiato che tu ti sarai il naso, aprire il moccichino e guatarvi entro, come se perle o rubini ti dovessero esser discesi dal cielabro, che sono stomachevoli modi et atti a fare, non che altri ci ami, ma che se alcuno ci amasse, si dis[inn]amori». Trovo questa descrizione davvero esilarante e non ditemi, psicanalisi a parte, che non abiti gli esseri umani un'insana propensione a osservare ciò che esce dal proprio corpo. E non è finita qui: «Talora a guisa di porci col grifo nella broda tutti abbandonati non levar mai alto il viso e mai non rimuover gli occhi, e molto meno le mani, dalle vivande. E con ambedue le gote gonfiate, come se essi sonassero la tromba o soffiassero nel fuoco, non mangiare, ma trangugiare: i quali, imbrattandosi le mani poco meno che fino al gomito, conciano in guisa le tovagliuole che le pezze degli agiamenti sono più nette? Con le guai tovagliuole anco molto spesso non si vergognano di rasciugare il sudore che, per lo affrettarsi e per lo soverchio mangiare, gocciola e cade loro dalla fronte e dal viso e d'intorno al collo, et anco di nettarsi con esse il naso, quando voglia loro ne viene?» Ebbene, è diffuso vedere in cene formali (di norma, dopo la terza portata) chi trangugia con «il grifo nella broda» e si soffia il naso nel tovagliolo. Mi direte: «Scusa, ma tu chi frequenti, con chi mangi per vedere tali spettacoli?» I miei commensali rappresentano la più varia umanità: giornalisti, scrittori, imprenditori, fanciulle in attesa del ballo delle debuttanti, tronfi dirigenti, signore ingioiellate e gli amici di mio figlio adolescente. Ma vi posso assicurare che mi è capitato spesso di registrare comportamenti simili anche intorno a tavole titolate. «Quando si favella con alcuno, non se gli dèe l'uomo avicinare sì che se gli aliti nel viso, perciò che molti troverai che non amano di sentire il fiato altrui, quantunque cattivo odore non ne venisse». Solo per questa annotazione. Monsignor Della Casa si merita un encomio: è una sorta di anticipazione di tutte le teorie sul linguaggio del corpo e della distanza di sicurezza teorizzate centinaia di anni dopo da Desmond Morris in avanti. E questo principio, lo leggete voi a signori e signore settantenni seduti al tavolo vestiti come i loro figli trentenni? «Ben vestito dèe andar ciascuno, secondo sua conditione e secondo sua età». Al delicatissimo tema della conversazione a tavola, al quale dedico un capitolo, il nostro Monsignore dà il suo onorevole contributo: «Nel favellare si pecca in molti e varii modi, e primieramente nella materia che si propone, la quale non vuole essere frivola né vile, perciò che gli uditori non vi badano e perciò non ne hanno diletto, anzi scherniscono i ragionamenti et il ragionatore insieme. Non si dèe anco pigliar tema molto sottile né troppo isquisito, perciò che con fatica s'intende dai più». Adeguare toni e argomenti ai commensali, ma chi lo fa, oggi? «Vuolsi diligentemente guardare di far la proposta tale che niuno della brigata ne arrossisca o ne riceva onta». Ed ecco che compare il primo comandamento del bon ton: non mettere a disagio mai, per nessun motivo, i propri commensali e ospiti. «Né a tavola si raccontino istorie maninconose, né di piaghe né di malattie né di morti o di pestilentie, né di altra dolorosa materia». L'autore è riuscito a racchiudere in poche righe, pur mettendo in evidenza il suo carattere vessatorio, tutta la letteratura sulla conversazione a tavola. Pensate che si sia dimenticato di quelli che a tavola raccontano della moglie o dei pannolini dei figli? No, affatto. «Errano parimente coloro che altro non hanno in bocca già mai che i loro bambini e la donna e la balia loro. Il fanciullo mio mi fece ieri sera tanto ridere!» Udite... E ce n'è anche per quelli noiosissimi che raccontano i loro sogni: «Male fanno ancora quelli che tratto tratto si pongono a recitare i sogni loro con tanta affettione e facendone sì gran maraviglia che è un isfinimento di cuore a sentirli». «Non istà bene grattarsi sedendo a tavola. Non istà medesimamente bene a fregarsi i denti con la tovagliuola e meno col dito, che sono atti difformi; né risciacquarsi la bocca e sputare il vino sta bene in palese; né in levandosi da tavola portar lo stecco a guisa d'uccello che faccia suo nido, o sopra l'orecchia come barbieri, è gentil costume. E chi porta legato al collo lo stuzzicadenti erra sanza fallo, ché, oltra che quello è uno strano arnese a veder trar di seno a un gentiluomo». Meravigliosa spiegazione per cui è maleducato usare lo stuzzicadenti. Oggi non lo portiamo più al collo, ma non è improbabile vederlo comparire sulle tavole pubbliche e private. «Lo invitare a bere (la qual usanza, sì come non nostra, noi nominiamo con vocabolo forestiero, cioè 'far brindisi') è verso di sé biasimevole e nelle nostre contrade non è ancora venuto in uso, sì che egli non si dèe fare; e, se altri invitarà te, potrai agevolmente non accettar lo 'nvito e dire che tu ti arrendi per vinto, ringratiandolo, o pure assaggiando il vino per cortesia, sanza altramente bere». Ecco che compare la regola che sconsiglia il brindisi con il tintinnio di bicchieri. Abbiamo visto un piccolo squarcio sui difetti degli italiani a tavola ieri. Oggi, sta a voi decidere se intorno a voi sono ancora diffusi. Un altro autore che si occupa dell'argomento è Baldesar Castiglione, con il suo celebre Il Cortegiano. A lui rubiamo la grande lezione del saper far uso del motteggio nella conversazione e usar in ogni cosa una certa «sprezzatura», termine poi mutuato dalla musica, dalla letteratura e ripreso da Leopardi nello Zibaldone. Il trucco è che il perfetto commensale e conversatore «nasconda l'arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi... Da questo credo io che derivi assai la grazia: perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia». Si tratta della spigliatezza e del sano distacco con cui ciascuno nasconderà la propria arte e il proprio talento come se non ci si fosse applicato affatto. Insomma: «Sii intelligente, non esserlo per niente» dice l'amico arguto Aldo Busi nei panni di Zsa Zsa Gabor alle signore con un QI troppo alto. Nel caso specifico, la «sprezzatura» si spiega con quell'adorabile disinvoltura con la quale un anfitrione aprirà la porta agli ospiti sorridendo, senza mostrare di essere distrutto per aver organizzato la cena e una serata perfetta. Possedere il decorum, altro termine desueto che mi piace resuscitare. «Noi dobbiamo prendere per guida la natura ed evitare tutto ciò che può offendere gli orecchi: lo stare in piedi e il camminare, il modo di star a tavola, il volto, lo sguardo, il gesto conservino il più dignitoso decoro» dice Cicerone nel De Officiis. Ancora Baldesar Castiglione aiuta a concludere il capitolo con una saggia riflessione, utile al vero «cortegiano» del nuovo millennio: «E non meritano perdono coloro cui le sopra dette cose paiano di picciolo momento, perciò che anco le leggieri percosse, se elle sono molte, sogliono uccidere». Deliziosa similitudine sul tentativo di minimizzare le regole di buon comportamento a tavola da parte di alcuni: un commensale maleducato può «uccidere» definitivamente il nostro giudizio sulla sua persona.

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Sia che non conosciate assolutamente nessuno, che un'amica vi abbia trascinato a una cena di beneficenza e, alla fine, vi ritroviate soli a un tavolo fitto di sguardi diffidenti e altezzosi. Insomma, può capitare un invito molto formale, e la prima domanda che vi assale è: «E adesso quale posata uso?» Ecco, avevo deciso di iniziare così questo capitolo. Poi, proprio mentre lo stavo scrivendo, mi sono resa conto improvvisamente, come per un'illuminazione, che no, non è affatto vero. Cioè, la drammatica realtà è che pochissimi vengono assaliti da tale dubbio. Al contrario, quasi tutti gli italiani non si pongono neppure la questione, la maggior parte inizia a mangiare, semplicemente. Molti «copiano» come si comporta uno dei padroni di casa, e questo è un buon trucco, ma è utile fare un rapido ripasso. Sarà la padrona (o il padrone) di casa a dare inizio al pranzo con un semplice «Prego». Se qualcuno esordirà con un «buon appetito» si ricambierà l'augurio con un sorriso, senza fare alcun commento. Esistono alcuni commensali che sanno perfettamente che le posate si iniziano a usare dall'esterno all'interno (questa è la regola); ma, a volte, costoro credono di avere esaurito i loro obblighi di comportamento sociale a tavola con tale semplice norma. Ebbene, non basta. Come avevo anticipato all'inizio di questo libro, ma è utile ribadirlo, il comportamento a tavola sottintende alcune regole imprescindibili e altre che, se non vengono applicate, non compromettono il nostro rapporto con il prossimo ledendo la sua libertà. Vedere un ospite che si gratta il capo forforoso mentre mi accingo a addentare la mia costoletta di agnello è una cosa che trovo francamente insopportabile; ma rendersi conto che il vicino di sedia lotta inutilmente con una chela di gambero fa solo sorridere di solidarietà. Infine, bisogna dire che anche nei posti più chic le tavole oggi tendono a essere più lineari e minimaliste di un tempo. Le posate vengono cambiate man mano che vengono usate. Le posatine da dessert non si mettono più in alto, orizzontalmente sulla tovaglia. La tendenza è: poche stoviglie e poco vasellame, anche preziosi, ma funzionali.

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Addirittura il bacio, un gesto tra i più intimi, sembra abbia avuto origine dal costume, comune alle donne di molte tribù, di sminuzzare il cibo per poi passarlo direttamente nella bocca del neonato durante lo svezzamento. Ancora più interessante è pensare che gli uomini hanno cominciato a mangiare insieme in seguito al fatto di cacciare in gruppo. È stata una scelta obbligata, se volevano catturare prede più grandi in grado di nutrire adeguatamente la tribù. Dopo la caccia è stato un processo naturale dividere la preda tra i membri di piccole comunità. Se non comprendiamo a fondo quanto siano ancora vivi alcuni modi di fare istintivi e primitivi non riusciremo a capire molte reazioni e abitudini. Insomma, quando apparecchiate o siete al ristorante pensate sempre che il coperto, cioè l'insieme delle stoviglie (posate, piatti, bicchieri), ha la funzione fondamentale di delimitare il vostro territorio, quindi non varcate i confini a meno che non abbiate intenzioni ben precise.

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. - Usare il metodo self-service o il buffet è molto utile, nel caso si abbiano tanti invitati o non si abbia spazio per tutti. Gli ospiti stanno in piedi e non si prevede il servizio al tavolo. I buffet sono di norma affollati nello stesso istante e ci vuole molta intelligenza nel posizionare i tavoli in maniera che siano accessibili a tutti. Ecco, potete stupire gli invitati con la vostra competenza nel campo del servizio. Ora riassumo ed esemplifico. La regola generale prevede che alla sinistra dell'ospite: - Si portano i piatti colmi di cibo. - Si prelevano dai vassoi le vivande e si porzionano. - Si porgono i piatti di portata quando il cliente si serve da sé (come nel servizio alla francese). - Si serve il pane sull'apposito piattino. - Si tolgono le posate poste a sinistra. Mentre alla destra dell'ospite/cliente: - Si tolgono i piatti. - Si completano o si cambiano i coperti. - Si serve da bere e si mostrano le bottiglie. - Si tolgono le posate poste a destra. Quando il tavolo è messo in una posizione disagevole, le regole cadono tutte tranne una: fare in modo che l'ospite sia disturbato il meno possibile. Temete di fare una terribile confusione? Ricordate solo questo: - I piatti da portata e quelli puliti si porgono alla sinistra del commensale. - I piatti vengono tolti da tavola da destra. Altre cosette da ricordare sul servizio: - I piatti non vanno mai riempiti troppo: la cosa fa subito mensa aziendale. Il bordo del piatto deve essere lasciato libero e non deve presentare traccia di cibo. Spezzo una lancia a favore dei piatti bianchi: sono gli unici che non falsano i colori delle pietanze e permettono di giocare con la presentazione del cibo. - Importante, da tener presente anche al ristorante: piatti freddi per pietanze fredde, caldi per pietanze calde. Sembra banale e scontato, ma non lo è. - Il pane va posto sul piattino alla sinistra ma, se non avete spazio, lasciatelo in un vassoio o cestino e fatelo passare in modo che i commensali si possano servire. - Evitate di mettere grissini confezionati, acqua minerale o peggio bottiglie di plastica sul tavolo: l'unica etichetta ammessa è quella del vino. - Se non c'è personale di servizio ci si serve da soli, sempre dopo che il padrone di casa vi ha invitato a farlo; evitate le porzioni gigantesche. - I piatti di portata passano dal commensale di sinistra a quello di destra. - Sale, pepe e formaggiera devono trovarsi già a tavola. - La formaggiera si porta via dopo i primi piatti. - Olio e aceto vanno portati insieme all'insalata. - Prima si serve il pesce e poi la carne. - Prima il dolce e poi la frutta. - Si servono una sola volta: brodo, minestra, insalata, formaggio, frutta, caffè. - I piatti sporchi non si impilano, ma si portano via uno per volta.

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Meglio non dire cin cin, che, tra l'altro, in qualche lingua orientale pare abbia un significato imbarazzante. Come si sa l'etimologia non è una scienza esatta, ma trovo questa lettura molto affascinante. Il cin cin si fa risalire al Medioevo, quando era diffusa la graziosa abitudine di avvelenare i nemici versando in cibi e bevande ogni nefandezza frutto delle arti degli speziali. Far uscire un po' di liquido (spesso birra) dal proprio bicchiere mentre si battevano i due boccali tra loro, scambiandone una parte del contenuto, era considerato un atto di fiducia reciproca. È probabile che il brindisi derivi dalle libagioni in onore di Dioniso, dio del vino. Sta di fatto che il brindisi nell'antica Grecia avveniva in genere alla fine del pasto con una chiara valenza rituale. Cominciava il momento della convivialità con i sacrifici in onore degli dei: un ospite versa il vino a terra, mentre gli altri convitati pronunciano una preghiera. I latini, alzando e toccando i bicchieri prima di bere, dicevano «Prosit!», dal verbo prodesse, essere di vantaggio, che potremmo rendere con l'odierno «Alla salute!» Il cinese ch'ing ch'ing, invece, significa «prego prego» e pare che i marinai inglesi l'avessero introdotto nei porti della Vecchia Europa, dove fu presto adottato perché ricordava il tintinnio dei bicchieri. Io consiglio un semplice «salute» oppure, ancora meglio, rispondere nelle varie lingue adeguandosi al paese in cui ci si trova. Ricordate sempre che non bisogna peccare di provincialismo o presunzione e pensare che il nostro sia il modo più corretto. C'è chi rompe i bicchieri, chi incrocia i calici, chi getta a terra le bevande in segno di scaramanzia. E, come per il «buon appetito», non farete notare alcun disappunto ai vostri ospiti: aggregatevi al cin cin se le circostanze informali lo impongono. Vale sempre il principio secondo cui il peggior analfabetismo di bon ton è sottolinearne la mancata osservanza. Nelle occasioni ufficiali, invece, è vietato ogni tintinnio di sorta. Il brindisi migliore? Sollevare semplicemente il bicchiere in direzione di un commensale importante accennando un sorriso e uno sguardo pieno di cose non dette. Non c'è strategia conviviale più dirompente. Ultima cosa curiosa a proposito del brindisi: sapete perché è considerato scorretto e maleducato versare da bere tenendo il dorso della mano destra rovesciata all'indietro anziché in bella vista? Durante il Medioevo e il Rinascimento, quando gli avvelenamenti a tavola erano frequenti, il veleno era spesso contenuto all'interno di anelli con coperchietti a scomparsa; nascondere la mano versando da bere faceva nascere il sospetto di mortali sostanze versate nel boccale.

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Onde evitare spiacevoli traumi post cenam il consiglio è quello di procedere all'ordinazione senza fretta, invitando il sommelier a indicarvi sulla carta quale bottiglia abbia in mente per voi. Vi aiuterà a focalizzare il nome del vino e a controllarne il prezzo. Se la cifra vi sembra eccessiva cercate un vino della stessa tipologia a un prezzo più ragionevole, al limite tentate con garbo di portare il consigliere nella vostra direzione con una frase tipo: 'Qualcosa di meno pretenzioso? Magari una perla enologica pressoché sconosciuta?' In questo modo il sommelier si sentirà stimolato a esibire il proprio sapere e chi siede al vostro tavolo non percepirà il vostro disappunto. Qualora la trattativa dovesse protrarsi oltre i limiti della ragionevolezza, la vostra ancora di salvezza potrebbe essere la scelta di una degustazione al calice. A ogni piatto sarà abbinato un vino adatto e questa soluzione potrebbe mostrarsi ideale qualora le esigenze e i gusti di più commensali dovessero rivelarsi inconciliabili tra loro. Anche in questo caso però cercate di essere pratici, ma mai sbrigativi: la scelta del vino non deve generare ansia da prestazione, né insofferenza, ma deve costituire il preludio a uno dei più autentici piaceri della vita. Non siate bramosi di mostrare un sapere che non vi appartiene, lasciatevi guidare invece dalla passione, dalla curiosità e dall'entusiasmo». Ecco invece i consigli di Davide Oltolini, critico enogastronomico ed esperto in analisi sensoriale. - Il vino non va mai ordinato prima di aver effettuato l'ordinazione dei piatti: l'esperto, infatti, sceglierà il nettare di Bacco che meglio si accompagna al cibo che sta per degustare. - Per scegliere il vino chiedete consiglio al sommelier o al cameriere addetto al servizio di questi ultimi. Tale richiesta non è assolutamente segno di incompetenza, in quanto il sommelier del locale è colui che, almeno in teoria, dovrebbe conoscere al meglio i vini che sta proponendo e le caratteristiche organolettiche dei piatti che avete ordinato, e ai quali il vino andrà abbinato. - Quando vi viene suggerito un determinato vino potete chiedere da quali vitigni è ottenuto, ovvero quale tipologia di uva è impiegata per la sua produzione. Se viene impiegata una pluralità di uve questa viene definita uvaggio. Ovviamente si tratta di una domanda assolutamente da evitare per i vini la cui denominazione già comprende il nome del vitigno (come per esempio Barbera d'Alba o Verdicchio dei Castelli di jesi) o per prodotti molto noti, che si suppone conosciuti da qualsiasi esperto (quali Chianti, Barolo eccetera). - Se il vino che vi viene proposto è uno champagne o uno spumante, potete chiedere quale sia stato il tempo di permanenza sui lieviti dello stesso o la sua data di sboccatura. Per gli spumanti, inoltre, è possibile chiedere se si tratti di un metodo Martinotti o di un metodo classico, cioè rifermentato in bottiglia (attenzione, perché gli champagne sono sempre rifermentati in bottiglia). - Il sommelier, prima di servire l'altro o gli altri commensali, versa una piccola quantità di vino a colui che ha effettuato l'ordinazione. Se chi l'ha ordinato siete voi, prima di assaggiarlo portate il bicchiere al naso e annusatene il liquido contenuto (serve a verificare che il vino non sappia di tappo) e, a seguire, sorbitene una piccolissima quantità, prima di dare l'assenso al servizio. - Anche durante la degustazione, prima di bere, portate sempre il calice al naso. Tale gesto permette all'esperto di godere appieno del patrimonio olfattivo del nettare di Bacco. A questo proposito tenete conto che uno dei sentori più comuni tra i vini bianchi è quello della mela Golden, mentre la gran parte dei vini rossi esprime note di frutti di bosco, accompagnate, ma solo nel caso di vini non più giovani, da accenni speziati, insieme a note di frutta sotto spirito e di confettura. Se un vino è stato affinato in legno sarà, inoltre, immancabile l'aroma di vaniglia. Negli spumanti e negli champagne, soprattutto nelle tipologie nature o pas dosé, prevale, invece, il profumo della cosiddetta «crosta di pane». - Se siete al tavolo con più di un commensale probabilmente una sola bottiglia di vino non sarà sufficiente a terminare il pasto. In questo caso tenete conto che, volendo cambiarne la tipologia (magari su richiesta di uno dei vostri compagni), la sequenza corretta inizia con un vino bianco, per continuare con un rosato e/o un rosso e concludersi con un vino dolce o liquoroso. -L'abbinamento cibo-vino rappresenta un tema estremamente complesso e va molto al di là del classico binomio carne-vino rosso e pesce-vino bianco. In ogni caso, se la vostra scelta cade su cibi dai sapori complessi e marcati, dovrete richiedere al sommelier un vino che esprima le medesime caratteristiche, come, nel caso della scelta di un piatto delicato, andrà richiesto un vino più leggero. - Infine, per accompagnare il dessert ricordate di non ordinare mai uno spumante secco bensì, sempre e comunque, un vino dolce e, se qualcuno ve ne chiede il motivo, potete tranquillamente rispondergli che l'abbinamento dei dolci avviene seguendo il principio della concordanza (ovvero il dolce con il dolce).

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Ah, i bicchieri più belli in cui abbia bevuto in vita mia? Quelli dell'enoteca Pinchiorri a Firenze, una delle più grandi al mondo.

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