Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Al tempo dei tempi

219372
Emma Perodi 2 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Credo che nessun Emiro abbia mai cavalcato un animale simile. - Costanza, al pari del tesoriere, aveva capito che la vendita del cavallo a condizione che fosse pagato con uno scudo d'oro nascondeva un tranello del re Guglielmo, e poichè non bramava altro che perdere il fratello, si sarebbe disfatta di tutti i suoi monili, che pur le erano così cari, per procurargli quello scudo. Ella attese in giardino che giungesse la sera, e quando il Muezzin, dal minareto della vicina moschea, invitando i fedeli alla preghiera, mandò il solito grido, Costanza ripetè con maggior fervore che mai: - Allah è grande, Maometto è il suo profeta, - e subito aggiunse: - e Cristo è un impostore. - Non aveva terminato di pronunziare queste parole, che il solito uccello nero si appollaiava su un ramo basso di melogranato in fiore e diceva: - Costanza, quello che vuoi domanda. - Domando che a mio fratello sia procurato uno scudo d'oro. - Che lo vada a prendere nella bocca del cadavere del Duca suo padre, dove lo mise un tempo la Duchessa sua madre. - E ce lo troverà? - Ce lo troverà e morrà, e tu avrai le sue ricchezze. - Costanza non volle saper altro. Ella andò nel vasto cortile del palazzo, circondato dal colonnato, in cui l'acqua mormorava nei bacini di porfido e le rose e i gelsomini si avvincevano ai fusti delle palme, e accostandosi al fratello, che sedeva pensoso presso una fontana, con fare mellifluo, gli disse: - Fratel mio; la tua tristezza mi ha tanto amareggiata, e in queste ore trascorse nel silenzio e nella meditazione, la mia mente s'è dischiusa ai ricordi d'infanzia. E ho ricordato d'aver udito dalla bocca della santa madre nostra, che ella stessa aveva messo nella bocca del marito morto uno scudo d'oro. Vai, scoperchia il sarcofago, fruga il cadavere e sarai consolato. - Il duca Roberto s'alzò di scatto, fece sellare il suo cavallo e con una scorta di armati andò al castello di Morvagna, ove nella cappella riposavano a fianco, nei ricchi sarcofaghi, il padre e la madre sua. Vi giunse nelle ore tarde della sera, mentre infuriava un temporale, e subito andò nelle sue stanze e ordinò a tutto il seguito d'andare al riposo. Egli, invece, accesa una torcia, e preso un piccone di ferro, scese nella cappella. La comparsa del lume in quel luogo

Che cosa crede che mi abbia fatto sprezzare il ridicolo? Soltanto il desiderio di vederla e conoscerla. - Nel sentire che il cavaliere era nientemeno che il Reuccio, la bella ragazza cambiò subito tono. - Vostra Altezza sarà stanco, - gli disse - la prego di sedere e riposarsi. Io intanto farò preparare la cena, alla quale spero vorrà farmi l'onore di partecipare. - Naturalmente il Reuccio accettò e la ragazza battè su un timbro d' argento. Subito comparve un bel paggio al quale ella ordinò di chiamare il maggiordomo. Il maggiordomo comparve, e benchè fosse un tantino troppo grasso, pure era bello anche lui. A questo la bella ragazza impartì gli ordini per la cena. Doveva esser servita nella sala di parata, e subito si dovevano diramare gl'inviti a venti dame e a venti cavalieri. Il maggiordomo s'inchinò ed uscì. Frattanto il Reuccio non si saziava, al chiarore della luna, di guardare la bella ragazza, che gli rivolgeva mille domande. Voleva sapere del Re, della Regina, del Duca zio, delle feste che si davano alla Corte, dei tornei cui aveva partecipato, delle guerre; insomma lo assaliva di domande e gl'impediva di rivolgere a lei quelle che tanto gli premevano, cioè chi era, come si chiamava e dove si trovavano. A un certo punto fu annunziato che la cena era pronta, ed allora il Reuccio offrì la mano alla bella ragazza e passarono in una sala già affollata di gente, e quel che colpì il Principe si fu che tutte le signore erano belle quasi come la bella ragazza e tutti gli uomini erano pure bellissimi. Egli si guardò in uno specchio e al confronto degli altri gli pareva d'essere un vero mostro. Il Reuccio ebbe a cena il posto d'onore accanto alla giovane padrona di casa, che pareva non avesse nè padre nè madre, nè zii nè zie, nè sorelle nè fratelli, perchè a tavola non c'erano che le venti belle commensali e i venti bei commensali. Anche i servi che porgevano i vassoi, cambiavano i piatti e mescevano i vini prelibati, erano tutti bellissimi, e tutti, servi e convitati, guardavano il Reuccio con una specie di repulsione, tutti, meno che la bella ragazza che gli rivolgeva continuamente la parola: Altezza qui, Altezza là, ed era per lui tutta sorrisi. La cena terminò e incominciarono le danze, ma la bella ragazza disse al Reuccio di sentirsi stanca e, lasciando la compagnia in sala, lo condusse di nuovo sulla terrazza dove egli sarebbe rimasto sempre a guardarla, se il porco, che era stato dimenticato, non si fosse messo a grugnire per avvertirlo che era tempo di tornare alla capitale. Il Reuccio pensò che tornando di giorno ed essendo veduto a cavallo a quello strano animale, sarebbe divenuto la favola del Regno e risolse di accingersi al viaggio. La bella ragazza si mostrò afflittissima della partenza del Reuccio e si fece promettere che sarebbe tornato. Si dissero addio e il giovane, inforcato il porco, tornò al palazzo del Duca zio in un momento, e di là alla Reggia, senza esser veduto da alcuno. Il giorno dopo era di nuovo dallo zio a chiedergli in prestito il porco. Ma lo zio non l'intendeva di affaticare tanto un animale così prezioso, che lo portava per il mondo a vederne tutte le maraviglie, senza fatica nè pericolo. Sì, no, finalmente il Reuccio tanto disse, tanto si raccomandò, promise tanta gratitudine che, il Duca

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