Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Narco degli Alidosi

214035
Piumini, Roberto 4 occorrenze
  • 1987
  • Nuove Edizioni Romane
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Spero soltanto che tu abbia brindato alla mia impresa, e che mi giovi un brindisi così abbondante...» Lo scudierò abbassò il capo, e Narco tornò alla sua fatica. L'albero, fermo, aspettava. Aspettava ma, in tutta verità, non proprio fermo. Quel tremito di foglie era diventato una specie di oscillazione, di molle scompigliamento di foglie e rami. Il braccio sinistro segnava, non so come, una linea meno netta e verticale... E forse, io non giurerei, dalle due nodosità del tronco-testa correvano giù piccole gocce di rugiada... Il fatto è, come molti hanno indovinato, che Blabante non aveva brindato né tanto né poco col vino delle ampolle: ma da tutte e cinque lo aveva sparso attorno alla pianta, fino all'ultima goccia, tingendo l'erba un poco di rosso. E dall'erba alla terra, dalla terra alle radici, il vino era entrato nell'albero, e quel tremare e ammollarsi proveniva da lui. Se questo vuol dire che l'albero era uomo, io non so e non dico: quel che si vedeva l'ho detto, e quello che dopo accadde si stia a vedere. Spingeva dunque Narco con la destra, il pugno sinistro dietro serrato, i piedi piantati in terra come durlindane. Il braccio di legno era fermo e solido, ma Narco sentiva che la forza di ora non era quella di prima: era più risentita e voluta, meno totale. E allora spingeva, spingeva, soffiando fuori il suo misero fiato come fa la balena quando sgorga dal mare. E all'improvviso, con un sussulto trepido di tutte le foglie, con un brivido soporoso del gran corpo incortecciato, l'albero di Kronof cominciò a cedere. Piano piano, continuamente, e mano a mano sempre di più: finché il braccio di legno si appoggiò vinto al macigno e vi rimase, con la mano aperta ad aspettare, sembrava, una pioggia dal cielo. Sfinito e felice Narco rotolava nell'erba della valle, strappava manciate e le lanciava in aria, ridendo e gridando: «Altro vino berrai, Blabante! Altro vino berremo!» Andarono via, e lasciarono l'albero nella sua nuova forma, che è quella di oggi. E io lo dico, ma non lo giurerei, che sulla faccia del tronco c'era una nuova piega di corteccia, un fisso e quieto sorriso. Chi poi, per dubbio, andrà a Kronof a constatare, vedrà da sé quel che accadde: la mano aperta, sul masso, mise presto foglie verdi, una bellezza di foglie. Come se fossero quelle, da dentro venute, il dono che aspettava.

«È possibile, amico mio» disse lamentosamente arrancando all'indietro sull'erba della sponda «è possibile che l'acqua del fiume abbia creato quella figura d'incanto? E non è apparsa però a me e a te nello stesso modo e tempo, come alle visioni non usa fare?» Trattenendo i cavalli, che a quelle micidiali domande di Narco tiravano a scappare, con le briglie di pelle, e se stesso con le briglie del rispetto e della volontà, Blabante rispose: «È possibile, mio signore... Quella scomparsa non è da donna vera: e non è cosa troppo rara che creature incantate, abitanti vicino alle acque, si divertano a spaventare i pellegrini, e ad ingannarli». «Inganno forse sì, amico mio, ma non spavento», disse Narco rimettendo l'elmo, poiché già vedeva piegarsi i fiori intorno. «Questa, semmai, mi ha convinto d' amore !» E ripartirono con nuovi pensieri: avvolti per Blabante nella sciarpa, per Narco nel metallo dell'elmo. Ma mentre allo scudiero, per le mosse dell'aria e le viste diverse, quei pensieri passarono assai presto, nella chiusa scatola dell'elmo quelli di Narco rimasero a lungo, come una specie di dipinto luminoso, di silenziosa canzone.

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Chissà se il segreto della bella dama non abbia relazione con questo? Ciò forse non ti consola, ma potrebbe servire se, come è avvenuto due volte, una terza volta la incontrerai...» Narco interruppe di bombardarsi il cranio e dichiarò: «E che altro segreto vuoi che fosse, Blabante, se non il terrore per il mio fiato maledetto? Che altro fu l'una e l'altra volta a dissolverla come un sogno, se non la pestifera aria che dal corpo mi muove? Questo ha disgregato quel corpo felice, che disgregandosi disgregò la mia felicità!» «Io sono lontano dal togliere al tuo fiato il suo nero potere, mio signore» disse Blabante. «Ma come spieghi che, se così fosse, non si disgregano attorno a te le

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«Perché, signore, mi duole che la cura non solo non abbia fatto miracoli, ma nemmeno opera buona... Eppure è rimedio provato e riprovato, valido dagli anni antichi, giurato dai più sapienti...» «E si vede che il mio malanno è più grave!» sospirò Narco. «Ma perché cadi ora in ginocchio, Terpione?» «Mio signore, per chiedere a Dio pietà, e buona ispirazione!» A quel punto Blabante, che aveva a giusta distanza seguito la visita, mandò la voce a dire: «Buon conte, costui non è l'ultimo scannacani del contado: se ha fallito, occorre una sapienza più grande della sua, e non ne so di vicine. Ma è certo che in Turingia, oltre le alpi e le foreste, vive un mago, un gran guaritore di nome Antolfo, celebre per le più difficili guarigioni». «Anch'io ne ho sentito i miracoli!» entrò a dire Terpione. «Vanno da lui i più inguaribili, e ne tornano salvati!» Così fu deciso il viaggio: Narco e il fido Blabante sarebbero partiti per la Turingia. La cosa si seppe, e il contado ebbe un respiro di sollievo: il fiato del conte era ormai a tal punto di pestilenza che al suo cavallo occorreva, oltre al paraocchi, il paranarici, e la gente si scostava al suo passare più degli Egiziani al passaggio del divino faraone.

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