Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbia

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I mariti

224616
Torelli, Achille 13 occorrenze
  • 1926
  • Francesco Giannini e Figli
  • Napoli
  • teatro - commedia
  • UNICT
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E sa il cielo quale rimorso io ne abbia, per non essermi opposta...

Pagina 10

- Conservo anch' io una sua, la sola che egli mi abbia scritto...

Pagina 11

Pagina 14

Ma che io abbia tutto l'arcobaleno negli occhi?!

Pagina 19

- No, qui, qui subito; muoio di un colpo, se non so che cosa abbia dentro gli occhi! Osservate!

Pagina 19

Io non so, non so, Filippo mio, da chi abbia preso questo ragazzo!

Pagina 21

Andate a sposare un uomo che non abbia nulla da fare! lo aborro gli oziosi!

Pagina 33

- Perchè non c'è compagnia che una donna equivoca abbia più cara che quella di una donna onesta.

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Bada che tu non abbia a ricordarti del tempo felice nella miseria! Vorrei che tu potessi intendere la rabbia che mi fai!

Pagina 49

Una povera infelice ha paura e si attacca a te, perchè sei il solo che abbia vicino, e tu, tu non le usi nemmeno la pietà di restare... E quando ci sposammo ti fecero ben capire il dovere d'essere il mio appoggio, la mia difesa; e queste cose sono persino scritte nel contratto che firmasti...

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Che mio marito mi abbia prestata la sua gotta?

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Chi credete che abbia il dovere di fare?

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Nel tono de' suoi discorsi vi è tale gaiezza sforzata, nella frequenza dei sorrisi vi è tale splendore sinistro che mostrano subito come quell'anima viva in preda ad un dolore che dovrebbe vincere o dissimulare, e non abbia forza di farlo. Quando rampogna altamente il marito perchè ha osato far baciare la sua figlioletta da una donna disonesta, ella trova una vibratezza così feroce per le sue poche parole, che ti mette i brividi addosso, e ti richiama in mente la leonessa che ruggisce in difesa della prole in pericolo. Le sue mani torcono convulsamente la lettera che le ha svelato l'indegna debolezza del barone: e mentre dal suo labbro escono come tanti dardi avvelenati i suoi giusti rimproveri, le lagrime le gonfiano gli occhi, il singhiozzo sembra voglia vietarle di più proseguire, Ma sopraggiunge tosto una forza maggiore che, quasi rilevandola innanzi a se stessa, le impedisce di dar a quell'uomo corrotto lo spettacolo del suo pianto e del suo immenso dolore! Bisogna vederla poco dopo quando col cuore pieno d'angoscia trovasi da sola a sola col Regoli, l'uomo ch' essa ama in segreto! Allora il suo accento prende una intonazione incerta, affettuosa, piena di pietà come la richiedono il suo stato d'abbandono, di smarrimento, di delirio penoso. Mentre i ricordi della sua giovinezza le si affollano alla memoria, i suoi occhi paiono sprofondarsi lontano lontano, nel passato. La sua voce mormora più che non parli, e con una dolcezza commovente. E grado a grado che i ricordi la sopraffanno, la voce cresce, cresce, cresce d'intensità, finchè non scoppia in quell'esclamazione sublime: lo voglio amare! lo ho bisogno di amare! che fa trasalire tutte le fibre degli spettatori con uno scatto febbrile. Ma ecco: il Regoli ha rammentato sua figlia! Ed ecco quella martire precipita dall'altezza a cui l'aveva spinta il suo sogno d'un momento. Come il suo dolore si concentra ad un tratto! Come da un tratto ritorna al suo labbro l'amara gaiezza di prima, la desolante ironia! Son più giorni che noi non possiamo allontanarci dal pensiero la figura della Pezzana sotto le spoglie della baronessa d'Isola; più giorni che sentiamo al cuore la stretta dell'addio dato da essa all'Emma sul finir della commedia. É una finzione dell'arte; ma noi ne abbiamo parlato senza accorgercene come di caso verissimo! La signorina Campi si è mostrata inarrivabile nella bellissima parte d'Emma. Non solo ha potuto farvi sfoggio di tutte le sue eccellenti qualità che noi già conoscevamo, ma è stata nel caso di rivelarcene delle altre che eravamo certi si sarebbero sviluppate in lei con una più lunga pratica dell'arte. Noi infatti credevamo che ancora le mancasse quella perfetta sicurezza di tocco nella rivelazione d'un carattere che è propria soltanto degli artisti provetti. Invece la Campi ci ha dimostrato il contrario, interpretando il carattere d'Emma con una squisitezza di colorito e di sfumature incantevole davvero. Questa figura così vaga, così gentile, intorno alla quale il poeta ha speso un largo tesoro di grazia e di bellezza, è stata incarnata da lei senza mende, senza incertezze e con una ispirazione felicissima, dalla prima all'ultima scena. Fanciulla bizzarra e alquanto leggiera nell'atto primo; donna esitante, ignara di ciò che realmente prova nel suo petto, e sbalordita della mutazione che intravveda dover fra poco accadere nella sua esistenza all'atto secondo; nel quinto la gioia di sapersi madre la fa quasi ritornare alla ingenuità fanciullesca! E lì la Campi ha indovinato cose che la nostra parola non può rendere affatto, giacchè l'eloquenza de' sorrisi, delle vereconde reticenze e delle riflessioni amorose son lampi di bellezza artistica che solo il ricordo di chi li ha visti può richiamare alla vita. La signora Ciotti (Giulia) sostenne anch'essa la sua parte con molta perizia. Quella povera marchesa di Riva, perseguitata, oppressa, ridotta alla disperazione dalle gelosie del marito, ci fu resa da lei con la comica vigoria possibile e senza esagerazioni di sorta. Biliosa, isterilita negli affetti, recisa ne' gesti, come nelle risoluzioni; tale immaginò il poeta la sua marchesa di Riva, e tale fu la signora Ciotti da cima in fondo. Dopo aver strepitato ed urlato per quasi tutti i cinque atti, che sospirone essa non manda fuor del petto nel momento in cui apprende la prossima rottura della sua funesta catena! Non vanno dimenticate la signora Scarpellini (Sofia) che si è mostrata così piena di rassegnazione e di affetto nelle poche scene dove ha una parte un po' estesa; nè la Sollazzi che disse con molto brio quella bravissima d'Amelia; nè la Bergonzio che, da cameriera della baronessa, comparve una sola volta e non istuonò. Con loro abbiam già saldato il nostro debito verso le attrici. Venendo agli attori, cominceremo da Cesase Rossi (il Duca d'Herrera). Non occorrerebbe nemmen dire ch'egli rappresenti a perfezione questo tipo aristocratico, se non vi avesse spiegato alcune particolari finezze. II Duca è uno di que' caratteri che cominciano a sparire nella nostra società. Possiede tutta la dignità del suo titolo, ma vi unisce una benevolenza ed un'affabilità proprio all'antica. Il suo spirito è afflitto o dall'esser vissuto troppo per provare de' disinganni o dall'averli provati quando non era più in tempo a correggere. La sua casa aveva delle tradizioni. Egli le ha rispettate senza badare che il mondo era affatto mutato; ed ora ne piange, ma invano. Educazione vuol essere, e non sangue! egli esclama con profonda amarezza, vedendo il duchino suo figlio caduto così basso; e coteste parole escono dalle labbra come una verità confessata a malincuore da chi l'ha appresa troppo tardi, e con assai dura esperienza. Rossi ha accentuata questa scena con arte squisita. Era indignato, era commosso, e parlava con una calma che lasciando intravvedere, più che vedere, lo stato dell'animo del duca, accresceva al personaggio simpatia ed interesse. Nell'atto quinto quando il duca, vecchio e gottoso, è risoluto di rivendicare cavallerescamente l'onore della sua famiglia creduto offeso dal Riverbella; quando si lascia trasportare dallo sdegno a rispondere colla voce un po' alterata alla duchessa che rientra nelle sue stanze singhiozzando, il Rossi fu dignitoso, fu agitato, fu affettuosissimo. Non diede nè un tocco di più, nè uno di meno; e fece apparire la figura del Duca tra le più belle del quadro, benchè si mostri due sole volte, nel primo e nell'ultimo atto. Il Ciotti (Fabio Regoli) non rappresentava un personaggio a forti risalti, tale da dargli campo d'adoperare una grande varietà di colorito. Però recitò con giustezza e con diligenza inappuntabili. Sotto quella sua dolce serenità si vedevano la risolutezza, la fermezza e la nobiltà dello stupendo carattere dell'avvocato; e la sua voce seppe trovare inflessioni piene d'affetto gentile, di dignità profondamente sentita ma senza albagia, che improntarono al personaggio una vita dove l'arte pareva affatto estranea, e dove intanto fors'era più grande. II Lavaggi (Di Riverbella) che non potè avere una parte primaria, perchè la commedia non gliene forniva; il Belli-Blanes (barone d'Isola); il Bozzo (duchino Alfredo); il Pagani (Felice, servo del Duca); fin lo Scarpellini (dottore) e il Lavagnino (servo del barone d'Isola) che dissero due parole, tutti, recitarono, secondo le diversi parti, con accuratezza e con amore, e contribuirono a darci lo spettacolo d'una rappresentazione dove non ci fu nulla che potesse dare appiglio alla critica più schizzinosa e più incontentabile. Ci siamo riserbati di parlare all'ultimo del signor Bellotti-Bon, perchè, oltre le lodi che merita per la sua parte assai scabrosa del marchese de Riva, dobbiamo dargliene più larghe come capocomico direttore per la diligenza e la maestria della messa in scena. Egli non ha trascurato niente sia nel concerto dell'insieme, sia nella decorazione della nuova commedia. Ogni cosa anzi è stata da lui ordinata con gusto, con intelligenza, con vero rispetto per l'Arte. Al poeta ed a lui, i quali ci hanno mostrato tutte queste meraviglie assai rare per la nostra Arte rappresentativa, non possiamo quindi far altro che ripetere il motto da noi posto in capo di questa rassegna, con cui vien riassunto mirabilmente il sentimento di tutti:

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