Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245442
Grazia Deledda 5 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Pagina 151

E faccio alcuni passi: rasento ii muro: tocco la persiana: la persiana cede, viene a me; ho l'impressione che abbia tenuto il segreto, che voglia aiutarmi: spingo l'imposta, l'imposta cede, va in là, come scostandosi per farmi largo: e i vetri hanno un vago bagliore misterioso: riflettono la mia ombra, hanno qualche cosa di vivo, come occhi che vedono ma capiscono il perchè delle cose e compatiscono; il diavolo mi aiuta e mi spinge: la stanza è chiusa, illuminata solo dal chiarore della strada, dal biancore della culla. Io ho un'ultima esitazione; mi chino, sento l'odore tiepido del latte, delle piume calde; mi viene da piangere, ho paura di rompere la bambina col solo toccarla.... Poi la presi quasi con violenza, strappando con lei la coperta e avvolgendola rapidamente perchè non sentissero se si metteva a piangere. E fuggii.

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Sebbene mi abbia dato tanto fastidio, stanotte: non ho chiuso occhio, e adesso ho la schiena rotta. - Perchè siete tutti senza cuore, in questa casa; non volete bene che a voi stessi. - Intanto, tu sei tenuto qui come uno di famiglia. Se non ti si fa dormire a letto è perchè tu non vuoi; ma cosa ti manca, d'altro? - Niente mi manca, è vero; ma chi mi vuol bene, qui? Albina non rispose subito; sentiva che egli aveva ragione. - Loro padroni mi tengono qui perchè la gente dica: come sono benefici! E voi serve, mi date da mangiare come si dà al cane: del resto non vi amate neppure fra voi: tu pensi alla vita eterna, Elisabetta pensa al suo vecchio corpo; i padroni pensano al figlio che non c'è più. Neppure fra loro si vogliono bene: lui solo, Elis, era il ben voluto: tutto l'amore era per lui: lui solo esisteva in questa casa, per lui il padre e la madre si dimenticavano persino di Dio: per questo il Signore l'ha fatto sparire. -Taci! - disse Albina atterrita; ma egli proseguì: - È vero però che lui solo sapeva amare. Quanto non mi ha voluto bene? L'ho veduto nascere e crescere. L'ho portato in braccio più che suo padre stesso. E se ho spento il fuoco l'ho fatto per lui, perchè lui solo mi voleva bene. Mi diceva sempre: Michele, quando morrai ti chiuderò gli occhi io. E lui me li ha chiusi. E se rimango qui, Albina, sai il perchè? perchè credo che lui non sia morto. Dopo tutto, il suo corpo non è stato trovato. Disperso! per dei mesi lo si è creduto disperso o prigioniero: poi è venuta la notizia della morte: ma nessuno lo ha veduto morire. Albina lo ascoltava turbata. Gli chiese, un po' timida, se voleva una tazza del caffè che aveva preparato per i padroni: egli torse la bocca e non rispose. Dopo i primi giorni della sua infermità nessuno gli aveva più usato tanta gentilezza. E Albina non insistè: cominciò le sue quotidiane faccende, con l'apatia solita che non le impediva di farle con accuratezza; ma di tanto in tanto un senso di angoscia la distraeva; pensava al bambino: andò a vederlo, gli rimboccò le coperte, gli toccò la fronte e le orecchie: scottava meno ma aveva sempre la febbre. Anche Elisabetta si alzò, a suo comodo, e pareva non si ricordasse neppure del bambino perchè attraversò la camera di Albina senza fermarsi, e andò dritta dritta a prendersi il caffè preparato per i padroni; poi mise sul vassojo le tazze per portarlo a loro. - Dirai loro che la creatura ha avuto tutta la notte la febbre: e l'ha ancora, - avvertì Albina. Elisabetta non credeva se non coi propri occhi: depose dunque il vassojo e andò ad osservare il bambino. E il bambino aprì gli occhi e la fissò: lo stesso sguardo pensieroso e profondo rivolto a Davide quando questi l'aveva sollevato dalla strada. Elisabetta ebbe una strana impressione: le parve di riconoscere quello sguardo; ed esaminando meglio gli occhi del bambino si convinse che rassomigliavano a quelli di Bona, quando ancora il dolore non li aveva appassiti. Poi andò a portare il caffè ai padroni. Appena si avvicinò al letto vide che anche Bona teneva gli occhi aperti, che l'aspettava - non per il caffè, certo - e che il suo sguardo profondo e ancora innocente, rassomigliava, sì, a quello del bambino. II padrone, invece, dormiva ancora, di un sonno pesante che neppure la voce delle due donne turbò. - È stato agitato tutta la notte, - disse la moglie. - Parlava e parlava, litigava col prete a col brigadiere che non volevano incaricarsi del bambino. Poi è stato sveglio a lungo: adesso lasciamolo dormire. - Il bambino ha avuto ed ha ancora la febbre; devo dargli qualche cosa? - Fa come vuoi. - La farina è già lievitata: dobbiamo impastarla? - Fa come vuoi. Fa come vuoi! Un tempo Bona s'alzava prima delle serve e dava loro gli ordini e le sollecitava: tutto il giorno su e giù affaccendata a custodire la roba e far economia: adesso non si curava più di nulla: neppure l'oro, neppure il tempo avevano più valore per lei. S'attardava a letto, la mattina, andava a coricarsi dopo il pasto del mezzogiorno: sì, una cosa ancora aveva valore per lei: il sonno; e un'altra: i sogni; perchè sognava sempre di lui, vivo, fiore e anima della casa; e lo vedeva tornare, in sogno, per non ripartire più, ed egli le diceva: ma perchè vi siete tanto disperati? ero disperso, ero prigioniero, ma vivo: come potevo morire quando sapevo che mi aspettavate? Quella notte, il bambino smarrito si era mischiato ai suoi sogni un po' febbrili: portava una lettera nascosta sotto le vesti: ma il sangue l'aveva tanto macchiata da renderla illeggibile. E oltre questo, egli aveva da dire qualche cosa a Bona: un segreto che doveva dire a lei sola; e aspettava che fossero soli per parlare; Davide, però, le serve, altra gente venuta di fuori non li lasciavano mai soli, e lei non osava prendere il bambino e portarlo nella sua camera o nel cortile, in un angolo ove nessuno potesse ascoltare il segreto. Non osava; per timore di apparire meno indifferente a ogni altra cosa che non fosse il suo dolore: e aspettava che la gente se ne andasse, ma altra gente invece veniva; tutta la casa ne era piena, ed erano soldati, erano donne malate, erano parenti di militari in guerra; tutti venivano per vedere il bambino, perchè s'era sparsa la voce ch'egli operava miracoli: guariva gl'infermi, sapeva dire dov'erano i soldati dispersi; e a tutti parlava, fuori che a lei. Ma in fondo ella sapeva già il misterioso segreto ch'egli doveva dirle; era il segreto stesso del suo cuore, la vana speranza che ancora teneva fresca la radice della sua vita. Che il figlio non fosse morto.

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Non pare che il destino ve lo abbia mandato apposta in casa come un regalo, per compensarvi di quello che vi ha tolto? Ma la donna stava ferma, premendosi sulle ginocchia il vassoio; solo scuoteva la testa china, accennando di no, di no. Non voleva piccoli compensi dal destino, lei; nulla poteva compensare il danno che le era stato fatto. Ma rimasta sola cominciò a ripensare alle parole del dottore. E per la prima volta la spiegazione della morte del suo figliuolo le apparve chiara alla mente: non la convinse e tanto meno la consolò, ma le apparve chiara. Di là il bambino piangeva: quanto la sera prima era stato quieto, adesso era agitato: pareva sentisse l'ostilità della gente intorno a lui. La stessa Albina, un po' stanca per la cattiva notte passata, sembrava non se ne curasse più. Elisabetta diceva: - I bambini bisogna lasciarli piangere: fa loro bene ai polmoni. Bona però ricordava che quando Elis piangeva, la vecchia serva correva a porgergli un dolce o un fiore, per farlo chetare: e di nuovo ella ricadeva nei suoi ricordi, nella sua pena, e il pianto del bambino non riusciva che ad irritarla. Poi vennero delle visite: donne curiose, che nella loro fantasia trovavano mille spiegazioni alla oscura avventura del piccolo sperduto: e lo volevano vedere, e trovavano che rassomigliava a questo, o a quest'altro: qualcuna malignò accennando anche alle fattezze di Davide; ma Elisabetta, nonostante i suoi dubbi, difese il padrone. - Ma non vedi piuttosto che rassomiglia alla padrona? Gli stessi occhi, lo stesso modo di guardare. Allora dovrebbe essere suo! La cosa era così assurda che fece persino ridere le donne: una tentò di scherzare: andò da Bona e le battè la mano sulla spalla: - Ah, avevi l'amico, ti sei fatta un figlio di nascosto, poi l'hai fatto mettere in mezzo alla strada perchè Davide te lo riportasse a casa! Ma Bona non rise; e neppure si offese: più che mai le vane chiacchiere delle donne le sembravano il rumore del vento. Una vecchia signora ricca, vedova e senza figli disse: - Se tu non lo vuoi, come dicono, me lo prendo io. Allora Bona si animò un poco: anzitutto perchè la signora era amica del preti, eppoi perchè una cosa ancora sopravviveva in lei: il senso della dignità. - Chi dice che non lo voglio? - Tutti lo dicono. Eppoi si vede: non ti commuove neppure il suo pianto. Bona non discusse oltre; ma andava via quella e sopraggiunte altre donne, come il bambino non cessava di lamentarsi, si decise d'andare a vederlo. Era anche lievemente curiosa, dopo l'accenno di Elisabetta, di osservare se i loro occhi si rassomigliavano davvero, ma non le riuscì, perchè il bambino volgeva il viso contratto dal pianto verso la parete e pareva volesse nascondersi. Ella stette umiliata a guardarlo: non ne provava pietà, ma non s'irritava più. Poi d'un tratto, mentre lei e le donne stavano di nuovo riunite in cucina, il bambino si chetò: Albina andò a guardare: tornò presso la padrona. - Sa una cosa? Michele sta presso di lui e gli mormora delle paroline e la creatura lo guarda incantato, e non piange più.

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. - Ebbene, ti muovi, o non ti muovi, malanno abbia tua madre che ti lascia andar così? Ma nè questa nè altre maledizioni riuscirono a scuotere l'innocente: solo i suoi occhi pensierosi fissavano un po' inquieti l'uomo irritato: finchè l'uomo irritato lo prese e lo tirò su afferrandolo per l'involto di pelo come un animaletto. Allora le imprecazioni e le bestemmie raddoppiarono, così terribili che pareva oscurassero le cose intorno. Perchè Davide vedeva alcune goccie di sangue cadere dalle gambe scure e dai piedini scalzi del bambino; e ne provava un senso inesprimibile di raccapriccio; quel sangue innocente gli faceva tornare al pensiero Gesù, e il ricordo del suo figliuolo quasi ancora bambino ucciso dall'odio degli uomini. Si piegò in mezzo alla strada e tenendo davanti a sè dritto il piccolo sconosciuto gli tolse la sciarpa di pelo: e gli pareva davvero di scorticare un agnellino, tanto il vestitino d'un bianco sporco era macchiato di sangue e ricopriva un corpo strano: non era il solito corpo dei bambini sani, polposo e voluttuoso con le sue pieghe e i suoi pomi di carne: era quasi un corpo maturo, nella sua piccolezza, con la pelle aderente alle ossa sottili; quasi limato da una lunga sofferenza interiore: due larghe echimosi violette venate di rosso fiorivano sulle piccole ginocchia, e in mezzo ad un'altra, a metà della gamba destra, una ferita dava sangue. Davide però s'avvide subito che questa ferita non era grave nè prodotta da arma: gli parve piuttosto che il bambino fosse caduto dall'alto, da un cavallo o da un carretto, o vi fosse stato buttato giù. Gli fasciò alla meglio la gamba col fazzoletto pulito che teneva sempre di riserva in saccoccia: poi lo riavvolse nella sciarpa, e lo prese in braccio tentando ancora d'interrogarlo. E gl'indicava i punti estremi della strada chiedendogli dond'era venuto: di su o di giù? Il bambino, che non s'era lamentato neppure nel sentirsi toccare la ferita, seguiva con gli occhi il movimento del dito del suo salvatore, ma non apriva la bocca pallida. Veniva voglia di batterlo, di rimetterlo per terra e abbandonarlo al suo destino: e per qualche momento Davide non ebbe altra idea. Ma non si decideva, ostinandosi a guardare su e giù per la strada in attesa che qualcuno apparisse. Nessuno appariva. La strada saliva dolcemente tra due bordi di rovi e di ginestre fiorite, di là dei quali, in quel punto, neanche a farlo apposta, mentre il resto del versante era coltivato a grano e ad oliveti, si stendeva una zona pietrosa, nuda, deserta. Cadeva dunque la supposizione che il bambino fosse stato lì deposto da qualche donna che lavorava nei dintorni. Una stizza pungente finì d'irritare Davide: gli pareva che qualcuno, lì nascosto fra i rovi, lo vedesse col bambino in braccio e si beffasse di lui, ma nello stesso tempo gl'impedisse di rimettere il piccolo sperduto sulla polvere della strada, e abbandonarlo di nuovo. Cominciò allora a gridare, come chiamando quest'uomo nascosto; l'eco sola rispondeva. Non c'era altro da fare che prendere il bambino e condurlo in paese e consegnarlo al parroco o ai carabinieri o tenerselo in casa fino a ritrovarne i parenti. E Davide rimontò sul calesse, adagiandosi bene contro il fianco perchè non avesse a cascare un'altra volta quel fagottino nero del quale avrebbe volentieri fatto a meno. - Andiamo, - disse al cavallo, e il cavallo si rimise a trottare rapido per riacquistare il tempo perduto. Davide adesso lo frenava: voleva esplorare la strada, in cerca di qualche traccia che gl'indicasse la provenienza del bambino; ma su quel tratto di strada pietrosa non si vedevano neppure le impronte delle ruote dei veicoli: quando la strada pianeggiava un poco pareva di camminare attraverso un mare pietrificato, tanto le distese di roccia erano nude, ondulate, argentee al crepuscolo. Ma ecco la vita ricomparire: alberelli con le foglie nuove che tremolavano di gioia bevendosi l'ultima luce del giorno s'inseguivano lungo l'orlo della strada, su, su, da una parte e dall'altra fino a confondersi nella svoltata: e attraverso i loro fusti sottili si vedevano le pallide distese del grano, e casupole e capanne nereggiare qua e là, come grandi nidi fra le siepi: di tanto in tanto un sentiero sbucava curioso sulla strada fermandosi a guardare e invitare il passante. Davide conosceva i luoghi e quasi tutte le persone che l'abitavano; ma l'idea di fermarsi e cominciare un'inchiesta forse inutile lo annoiava; era tardi, e la moglie lo aspettava. Tirava dunque dritto senza incontrare nessuno. I lumi del paese già apparivano, su, in una insenatura quasi in cima alla collina; pochi lumi rossastri che non riuscivano a illuminare le cose intorno a loro: solo uno brillava vivo come un faro, in alto, sopra il paese: e il cavallo lo fissava, riconoscendolo con gioia: era il fanale che il padrone teneva acceso a sue spese davanti al portone della sua casa, Il bambino intanto si era addormentato, con la testina appoggiata alla coscia del suo salvatore; e questi lo sosteneva con cura, ma si difendeva sempre da ogni commozione e non vedeva l'ora di deporlo in qualche posto. La sua prima idea di condurlo alla caserma dei carabinieri e consegnarlo al brigadiere, adesso però gli sembrava poco umana; o forse aveva paura di sembrare poco umano lui, facendo così. Meglio andare dal parroco. Ma egli era geloso del parroco, e dei suoi pretini che volevano governare da soli il paese, e in certo modo vi riuscivano. Consegnare a loro il bambino, che l'avrebbero subito preso come il ragno la mosca nella sua tela, era diminuirsi di autorità. II cavallo, intanto, per conto suo proseguiva a trottare verso casa: ecco passata la caserma del carabinieri, ecco passata la casa comunale, ecco passata la parrocchia, tutte e tre, del resto attaccate l'una all'altra sull'alto della piazza come tre sorelle rivolte d'intesa a sorvegliare e dominare il paese, disteso umilmente ai loro piedi con le sue case basse, le sue stradette ripide, i suoi orticelli umidi, triste anche nel sonno. Ma la strada non si fermava lì, e anche Davide non si fermò lì. Chi era al di sopra di ogni potenza del paese era lui; giusto, quindi, che la sua casa fosse al disopra di tutte, anche della chiesa. Solo un'altra potenza dominava la sua, ma era una potenza morta; la torre in rovina di un antico castello. La strada si faceva sempre più ripida, Illuminata dal chiarore che il fanale versava dall'alto spandendolo anche sulle siepi e gli alberi intorno. Un odore di erica, un silenzio sempre più fitto dànno l'impressione di andare su in cima a una montagna. E la casa lassù, sul suo spiazzo di pietra, col muro di cinta ricoperto d'edera, il portone ferrato, che dà luce col suo fanale, ma rimane nell'ombra a spiare come con una Ianterna cieca, ha più della fortezza che del palazzo. Un cane abbaiò dentro; poi tacque riconoscendo il rumore del calessino: tuttavia Davide dovette battere tre volte al portone e far sentire anche la sua voce perchè qualcuno si decidesse ad aprire. E chi apriva non si dava fretta: lo si sentiva levare i ganci che assicuravano meglio i battenti del portone, e tirare il paletto e il catenaccio e girare con cautela la chiave nella serratura. Finalmente uno dei battenti si aprì un poco: apparve, nel vano misterioso, una figurina di vecchia: piccola ma diritta e dura, col viso tutto a punte aguzze circondato da una specie di cappuccio nero, e un mazzo di chiavi in mano, pareva la custode di un luogo di leggende. I suoi occhietti neri lucenti come quelli di un uccello distinsero subito l'insolito fagotto che Davide senza lasciarle tempo di domandare di che si trattava, le gettò fra le braccia, quasi di sorpresa e come con l'intenzione di spaventarla un po' per burla e un po' sul serio. - È un bambino, sì, è un bambino, - egli disse, aprendo tutto il portone per far entrare il calesse. - L'ho trovato smarrito nello stradone: bada che è ferito. Scostati, Elisabetta! - gridò poi; ma la vecchia rimaneva come impietrita sulla soglia, palpando il misterioso fagotto, e tentando di vederlo meglio alla luce del fanale. Pareva non prestasse fede ai suoi occhi: non domandava spiegazioni, però, e una volta accertatasi che quello che teneva in braccio era proprio un bambino, e che non c'era altro da fare che portarlo dentro, richiuse il portone riassicurandolo col gancio, i catenacci e i paletti, e mentre il padrone staccava il cavallo ella rientrò nella cucina. Cucina che sembrava una sala; alta, a volta, col pavimento di legno, e cassepanche e madie antiche che parevano mobili di sagrestia. Una donna ancora giovane ma con gli occhi incavati sotto le palpebre livide e tutto il viso fino scarno come succhiato in dentro da un'angoscia insaziabile, stava seduta sulla panca davanti al camino acceso: teneva le mani in grembo e anche quelle mani lunghe, pallide, parevano solcate da cicatrici di dolore; tutta in sua attitudine era di chi aspetta pur sapendo che la sua attesa sarà lunga e forse vana. Era la madre che pensava al suo figliuolo morto.

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