Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Passa l'amore. Novelle

241507
Luigi Capuana 5 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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- C'è mancato poco che la gran ruota del suo mulino non lo abbia sbalzato per aria e sfragellato! - La mano di Dio!... E ancoral... Ancora!... - Me l'ha raccontato uno del vostro paese. E, in pochi minuti, ogni cosa si è sfasciata, è andata in frantumi per troppa violenza di moto. Son crollati due solai.... - Crollerà l'intero palazzo! Vedrete! - Non fate il profeta del malaugurio! Infine sono figli vostri. E quella povera baronessa! È malata, quasi moribonda.... Andate colà, perdonate tutti, siate generoso! Vi occorre danaro? Due oncie? Sono le ultime. Fra qualche mese avrete le casse piene di scudi non saprete che farne.... E in gennaio non dimenticate di mandarmi le ulive nere salate, quelle di Cento-Salme. - Non c'è ulivi a Cento-Salme. So io dove trovarle. - E perdonate. Perdonare è dei grandi - concluse don Emanuele. No, non poteva perdonare! Ora che la lite era vinta, ora che la ricchezza tornava a far rifiorire il nome dei Zingàli, tutte le sofferenze, tutte le umiliazioni patite gli risalivano alla gola, gli attossiccavano la bocca, quasi gli fossero rimaste indigeste da più di due anni. E quel tanfo di cui più non si accorgeva, e quel sudiciume della biancheria e del vestito a cui più non badava, e dei quali aveva spesso tratta materia di orgoglio pel suo carattere, ora, soltanto ora, quel tanfo gli mozzava il fiato; ora, soltanto ora, quel sudiciume che portava addosso gli dava nausea! E la mattina dopo montò sul carretto di un compaesano, come un miserabile portato per carità, e si sfamò assieme col carrettiere in un'osteriaccia di campagna. Il sole lo cuoceva, le scosse del carretto gli indolenzivano le ossa. Ma, steso quasi bocconi su le dure tavole di abete di cui il carretto era carico, egli pensava al giorno che sarebbe rientrato nel suo palazzo da vero padrone, da vero barone di Fontane Asciutte e Cantorìa; lui che n'era uscito con quattro piastre in tasca e un mazzo di scritture sotto braccio! Lui che volevano far interdire perchè rovinava la famiglia! Lui che era stato abbandonato dalla moglie, dalle figlie, dai figli come un rognoso, come un appestato! - Ah, certamente già si apprestano a rappresentare la commedia! Ora che non sono più un matto da interdire, ora che non sono più un rognoso, ora che non sono più un appestato, ora verranno a chiedere perdono, si umilieranno, commetteranno tutte le viltà. - C'è Cento-Salme in vista. Ci sono diecimila onze per colui del mulino.... e dieci per l'avvocatino don Felicianino.... l'ipocrita, il gesuita!... Via! Via!... Non sono più marito, non sono più padre!... Sono soltanto don Pietro-Paolo Zingàli, barone di Fontane Asciutte e Cantorìa.... no, anzi, barone di Cento-Salme; otterrò un decreto pel nuovo titolo.... Era già sera; il mulo trascinava stancamente il carretto per lo stradone polveroso. Il carrettiere cantava. Il barone rizzò la testa; vide, lontano, spiccar neri sul cielo rossiccio, i campanili, le cupole, del paesetto da cui mancava da tre anni e un'inattesa forte commozione lo invase. Durante il viaggio aveva scambiato poche parole col carrettiere; ma in quel punto sentì il bisogno di parlare con lui, d'interrogarlo. - Che dicono di me? - Dicono che voscenza ha vinto la causa. Ora don Marco non penserà più al mulino.... - Forse.... - È stata una pazzia. I signori debbono fare i signori, ed io che sono un carrettiere, il carrettiere; dico bene, voscenza? - Ferma; scendo qui. Non far sapere a nessuno che mi hai portato. - Come vuole voscenza. E si arrampicò lentamente pel viottolo che saliva a destra su per la collina. I cani abbaiarono poco dopo, un contadino s'affacciò dal ciglione: - Zitto! - gli disse. - Sono stanco; la salita è ripida.

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Che vale che il mio letto abbia tre materasse di lana scelta, e morbide e ben sprimacciate? La testa mi va per aria! Mi rivolto di qua e di là.... Sì, sì!... Guai se dormissi come te, russando la grossa! Chi penserebbe alla mietitura, alla trebbia? Chi alla vendemmia? Rifiato forse? Tu ridi, bestione, quasi io dica delle sciocchezze.... Ed io ti dico che cambierei volontieri il tuo stato col mio! - Cambiamolo, Eccellenza! - Mi malediresti l'anima cento volte al giorno! - Ma, infine, da qui a cento anni, voscenza non si porterà tutto nell'altro mondo. Per chi lavora? - Lo so io? È la mia croce, non lo capisci? Ne godo forse di tutta questa ricchezza?... Perchè, tu lo sai bene, ce n'è grazia di Dio, ce n'è! Il magazzino del grano è pieno come un ovo; la cantina non ha una botte vuota; la dispensa ha quaranta coppi ricolmi fino all'orlo.... E poi, e poi!... Se ti dicessi quel che mi deve il barone Pitulla? Con belle ipoteche.... Eh! Eh!... Ma che vale? Lui se la spassa a Napoli, a Roma, a Torino, a Parigi con le donne.... Ed io sono stato a Roma, una volta sola, col pellegrinaggio, per vedere il Papa!... E se non tornavo sùbito, addio mietitura! Posso prendermi uno svago io?... Niente, niente! La mia croce è questa. Sia fatta la volontà di Dio! E don Pietro d'Accurso, detto il Gobbo, era invecchiato, mangiando bene, bevendo benissimo, grasso, roseo, tondo col suo eterno lamento su le labbra, predicando sempre che non c'è peggiore miseria di quella di esser ricchi; non facendo mai carità a nessuno, neppure a suo fratello che aveva otto figli e non sapeva come sfamarli col suo misero soldo di guardia campestre; dando da campare però a tante persone, pagando puntualmente tutti fino all'ultimo centesimo, mai però un centesimo di più, come neppure uno di meno. Egoista, sì, ma sincero nei suoi lamenti e nel suo aforismo prediletto: Non c'è peggiore miseria della ricchezza! E questo si vide benissimo nell'ultima sua malattia. Quando si accorse che l'ora sua era arrivata, mandò a chiamare il fratello: - Senti, Nanni; ti càpita una gran disgrazia: stai per diventare ricco, ricco assai. Il Signore abbia pietà di te. Pensa al funerale. Sarai costretto a spendere qualche migliaio di lire. Che vuoi farci? I quattrini sono là, in quel cassetto. I poveretti vanno all'altro mondo senza torce, nè preti, nè concerto; io sono ricco e debbo pensare a queste miserie anche in punto di morte!... Senti, Nanni: una bella cassa di noce scura, foderata di raso.... Ti costerà parecchio.... Ma che vuoi farci? Tu, se fossi morto guardia campestre, avresti dovuto contentarti della cassa del comune.... Te la saresti cavata, senza darti nessun pensiero, senza un soldo di spesa. Basta; io me ne vado. Mi dispiace di averti procurato questa disgrazia, questo gran guaio di lasciarti ricco.... Fa' la volontà di Dio, come l'ho fatta io!... Io vò a rendere i conti lassù!... Chi sa come andrà? Speriamo bene. Pensa a quel che ti ho detto di provvedere: cassa, funerale, concerto.... E.... spìcciati, spicciati.... Màndami qui il confessore!

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Questo convento è mio, - riprese, - nessuno ha il diritto di entrarvi, quantunque esso non abbia uscio alla porta.... Perché dovrei mettercelo? La gente ha paura di venire tra queste rovine. Io.... Oh, per me è un'altra cosa! Sono uomo di abitudini, e non ho mai voluto mutare il posto della mia passeggiata pomeridiana di ogni giorno.... Devono averglielo detto. Mi credono un po' matto. Eh! eh! Faccio il comodo mio, faccio quel che mi pare e piace, senza curarmi di quel che pensano e dicono gli altri. Lei, probabilmente, è venuto qui per accertarsi coi propri occhi.... Vede? Passeggio. Il luogo ha una grande e speciale attrattiva; non saprei però spiegargliela.... Abitudine. Ho dovuto comprarlo. Volevano farne una specie di caserma pel caso di arrivo di soldati in certe circostanze. Non avrei più potuto farvi la mia passeggiata.... Per ciò questo mucchio di macerie mi costa seimila lire; male spese, dirà lei. Ma una sera io l'ho trovato invaso dalla truppa arrivata la notte avanti. La sentinella non voleva farmi entrare. Dovetti parlamentare col tenente che aveva il comando, dare spiegazioni, pregare, insistere. Il corridoio era ingombro di paglia, di soldati sdraiati per terra, di soldati che ripulivano armi; il fumo dei fornelli del rancio toglieva il respiro. E passeggiai quella sera e le due sere seguenti, sotto gli occhi dei soldati che mi guardavano stupiti e motteggiavano, e ridevano. Ma la settimana dopo il convento era mio. - Se avessi saputo.... - dissi. - Non importa. Soltanto mi permetta di continuare. E m'invitò con la mano ad imitarlo. Aveva non so quanti altri giri da compire; li compì seguitando a parlare. Mi accorsi che li contava, aprendo e chiudendo i diti di una mano. - Ah, lei è felice! - lo interruppi. - Può cavarsi qualunque capriccio. - Felice? La mia vita è un continuo tormento, caro signore. L'idea che qualche incidente possa disturbare anche per un istante la regolarità, l'ordine che mi sono imposti, non mi dà pace un momento. Sto sempre come in attesa.... Ecco, sono le sette meno tre minuti; se dovessi rimanere qui fino alle sette e un minuto.... lei non può immaginar quel che soffrirei; così se arrivassi a casa mia dopo le otto. È ridicolo, è assurdo; ma che farci?... Ho trecento sessantacinque vestiti da casa, numerati, per ogni giorno dell'anno. Ho provato due o tre volte a indossarne uno diverso da quello destinato per quel giorno; ero come tra le fiamme; ho dovuto svestirmi. Io invidio, creda, gli sporcaccioni; ma se scopro un granellino di polvere sopra un mobile.... Rida pure; invece dovrebbe compiangermi. Darei tutte le mie ricchezze per fare l'opposto di quel che fo.... - Chi la costringe? - Io, io stesso! Qualche cosa che è nel mio sangue, ne' miei nervi, nel mio cervello.... Il mio destino! Sono solo; ho un figlio che fortunatamente.... o disgraziatamente - si corresse - non mi somiglia affatto. Chi lo sa? Forse è bene che io sia come sono; sarei, forse, più infelice di quanto sono adesso. Mio figlio.... S'interruppe, guardò l'orologio e si avviò: - Buona sera, signore! Rimane? - No; se mi permette l'accompagno. - Grazie; io vado di fretta. Buona sera! Doveva essere davvero un grande infelice colui, se due giorni dopo, quando gli riportarono morto, ucciso da uno de' suoi campieri in campagna, l'unico fìglio, invece di indossare un abito di lutto, dovette indossare un abito di filo bianco, candidissimo, perchè il calendario dei suoi vestiti gl'imponeva così!

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Ma io litigo senza dolori di capo, e lui deve metter fuori più pezzi di dodici tarì, che non abbia capelli in testa. Intendeva di dire che lei aveva ottenuto il gratuito patrocinio e che non le importava niente di andare fino in Cassazione. Quel gratuito patrocinio era stato un affaraccio. Il sindaco la menava per le lunghe; non voleva farle la fede di povertà. Povero Sindaco! Don Basilio lo spauriva con la minaccia di abbandonarlo nelle prossime elezioni municipali; donna Mita lo minacciava di ricorrere al Sotto-prefetto, al Prefetto, al Ministro, a Vittorio Emanuele in persona. E temporeggiava: domani, domani l'altro. Ora mancava il segretario, ora la Giunta non s'era potuta riunire. E i giorni, le settimana, i mesi passavano, tra le imprecazioni di donna Mita che andava a sbraitare al Municipio, e i brontolii di don Basilio che andava a fargli ressa di tener duro, a casa, ad ora tarda, per non essere veduto. Ma un giorno, donna Mita s'era buttata su la prima carretta che andava a Caltagirone per ricorrere dal Sotto-prefetto. Per via le era capitata addosso una pioggia torrenziale che l'aveva inzuppata fino alle ossa. Il Sotto-prefetto, spaventato dalla vista di quella figura di strega che spandeva acqua dalle vesti e allagava il tappeto della stanza, e che strillava e imprecava contro il Sindaco, rispose che avrebbe scritto a quel funzionario una lettera un po' aspra. Donna Mita avrebbe voluto portarla lei, e già aveva cavato fuori il fazzoletto da involtarla per mettersela in seno, e già si sganciava il corpetto sotto gli occhi del regio funzionario che la guardava stupito. Ed era ripartita con la pioggia, senza curarsi di prendere un malanno. Infatti fu ad un pelo di andarsene all'altro mondo; ma, mezza morta, a chi veniva a farle visita, ripeteva: - Dite a don Basilio che devo prima seppellire lui e vederlo all'inferno. E cercava con lo sguardo le figliuole. Non vedeva Rita. - Dov'è Rita? - È malata anche lei. Le risposero così finchè stette a letto. Ma quando si levò e volle vedere la figlia, non fu possibile nasconderle che Rita era in casa del massaio, e che mancava solo il consenso della madre perché quei due si mettessero in grazia di Dio. Donna Mita allibì. Il suo consenso? Mai e poi mai! Già potevano farne a meno. Se quella disgraziata aveva disonorato la famiglia, lei, moglie di don Paolo Cuti, figlia del dottore Rinaldi, lei non si sarebbe prestata, mai, a legittimare quel disonore! E s'ingolfò nelle liti, nel codice, nelle procedure, ora che le cause erano già messe a ruolo, come dicono i curiali, e bisognava scaldare i ferri e non lasciar dormire gli avvocati, e spalancare tanto d' occhi per sorvegliare le mosse di quel ladro di don Basilio, che il Signore castigava, quasi per darle ragione: Debbo seppellire prima lui! Ma no, non voleva rallegrarsi perchè lo sapeva in pericolo di vita. No, lei non desiderava la morte di nessuno. - Se il Signore lo leva da questo mondo, sia fatta la sua volontà! Lo perdoni ed anche se lo porti in Paradiso; io non voglio entrarvi per niente. Le pareva che se si fosse rallegrata della disgrazia del suo avversario, Domineddio avrebbe dovuto punirla. Non desiderare agli altri il male che non vuol fatto a te stesso. Non si è cristiani battezzati per niente. Se il Signore però voleva levarlo via da questo mondo, poteva lei forse dirgli: Signore, lasciatelo stare qui? Doveva lei dar consigli a chi sa benissimo quel che fa e che è il padrone della vita e della morte? Questi buoni sentimenti intanto non le impedirono di sentirsi un po' seccata e di mordersi leggermente le labbra il giorno che si vide davanti, in Tribunale e poi in Corte di appello, don Basilio grasso e roseo, quasi non fosse stato malato, che portava sottobraccio un fascio di carte, accompagnato da tre avvocati, tanto doveva essere convinto anche lui che uno solo non sarebbe bastato a dare apparenza di ragione alle sue storte pretese! - E la sentenza? - ella domandò all'avvocato, dopo la discussione. - Fra otto, dieci giorni. Potete andarvene. Vi spedirò un telegramma. Il telegramma invece arrivò quella stessa sera dal paese: "Quarinta sta molto male, con una polmonite! Venite subito„. - Ah queste benedette figlie - esclamò donna Mita, torcendosi le mani, quasi la povera Quarinta si fosse ammalata a posta per farle un dispetto in quel punto. Fu un gran colpo! Le parve che la casa si fosse vuotata, che con Quarinta le fosse venuta meno l'aria, la luce, tutto! E non poteva guardare nè sentire Rosa che la esortava a rassegnarsi alla volontà di Dio! In quei primi giorni di dolore si sentiva diventata turca, com'ella diceva: Non c' erano più, per lei nè Madonna, nè santi. Aveva pregato, aveva fatto dire tre messe, aveva promesso una collana d'oro alla Madonna degli Ammalati, un paio di orecchini a Santa Agrippina!... Niente! La Madonna era rimasta sorda; Sant'Agrippina più sorda ancora! Rosa si turava gli orecchi udendola parlare a quel modo e scappava per chiudersi nella sua cameretta. Ma c'era da occuparsi degli affari: notificare a quello scellerato di don Basillo la sentenza, spogliarlo, come si meritava, di tutto il mal tolto; donna Mita così si rabboniva, riprendeva la sua attività. E parlando con Rosa si dichiarava più rassegnata alla volontà di Dio; doveva pero rassegnarvisi anche lei. Rosa non la intendeva a quel modo, e glielo fece capire col silenzio. Povera donna Mita! Che le importava ora di aver vinto le liti e d'essersi messa in possesso del palazzo Cuti, delle terre, dei giardini di aranci? Per chi avea lavorato, stentato? Per la Scellerata, disonore della famiglia, e pel villano di suo marito, poichè quella stupida di Rosa si ostinava a rimanere monaca di casa e non pensava più al mondo? - Non voleva saperne delle persone di questa terra! Si era sposata con Gesù! - Dove? Quando? Chi era stato il sindaco che l'aveva sposati, chi era stato il parroco che li aveva benedetti? Se il Signore si era preso Quarinta - la migliore, la più buona delle figlie! voleva dire che destinava tutto per lei, Rosa: palazzo, terre, giardini! Era dunque d'accordo con la scellerata, e col villano, per riempire la pancia a loro con tutte le sostanze dei Cuti? Era dunque d'accordo? Rosa, che aveva preso il nome di suor Veronica, non rispondeva niente; e usciva di casa per la messa o pel vespro, e andava a raccomandarla al Signore, o a raccontare tutto al confessore e a pregarlo di parlare lui con la madre perchè la lasciasse tranquilla. Donna Mita lo interruppe prima che finisse di spiegarle il motivo della sua visita: - Di che vi mescolate, signor canonico? Vorreste forse papparvi voi le duemila onze? Già, finchè campo, l'usufrutto è mio; e non sono disposta a morir presto. E poi bisogna levar via la mia dote e quel che mi spefta per successione, articolo 753.... E disporrò della roba mia come mi pare e piace; la darò ai poveri, al diavolo anche, ma non alla Scellerata! Urlava, gesticolava come un'ossessa, sciatta e mal vestita, quasi se non avesse vinto le liti. Il povero canonico era andato via balbettando scuse. Scena peggiore accadde la mattina che il notaio Crisanti, notaio di famiglia, venne a farle l'imbasciata che Rita e suo marito volevano venire a baciarle la mano e chiederle perdono del mal fatto: - Ormai, cara donna Mita! - Oramai un corno! — Anche perchè voi avete bisogno di un braccio pratico delle cose di campagna! No, non aveva bisogno di nessuno! Dopo aver fatto dieci anni la litigante, ora si metteva a fare la massaia meglio dell'assassino che le aveva rubato la figlia! Non gli dava altro nome a massaio Cudduzzu. Infatti, ella andava in campagna a sorvegliare i contadini, nel tempo delle messi, con un cappellaccio di paglia, tra i seminati, dietro i mietitori; durante la trebbia, per l'aia notte e giorno come un campaio, perchè quei ladri dei contadini non le rubassero il grano; in novembre, sotto gli ullvi, tra le donne che raccoglievano le ulive bacchiate, risparmiando una coglitrice, facendo per due; o nel frantoio, quando cavavano l'olio. Oggi qua, domani là, a cavallo della mula morella, piombando addosso ai contadini quando meno se l'aspettavano, facendo miglia e miglia sotto la sferza del sole, per valli e pianure, come una tregghia che va scavizzolando tirata dai buoi; e per ciò i contadini le avevano appiccicato il nomignolo di donna Stràula, che significava la stessa cosa e le stava a cappello. Ma una sera, tornando dal giardino di aranci, dove aveva intascato cinquecento lire dagli aranciai messinesi venuti a incassare la produzione, aveva trovato in casa Rita e Cudduzzu che le si buttarono ai piedi. Si sentì vinta, tutt'a un tratto. Era la volontà di Dio! Brontolò, però, ripetè cento volte che la padrona assoluta era lei, e citò solennemente l'articolo 753 del codice civlle. Una settimana dopo, massaio Cudduzzu cavalcava allato di lei, per accompagnarla in campagna come un garzone, rispondendo sempre dimessamente; Eccellenza, sì; Eccellenza, no! Era il meno che potesse fare; dopo di essersi imparentato per violenza, per tranello, con la nobilissima famiglia Cuti. Donna Mita lo trattava d'alto in basso, per fargli intendere che non era diventato con questo un galantuomo, e che c'era una bella distanza fra lei e lui, quantunque suo genero. Gli teneva broncio specialmente perchè, dopo tre anni, non era riuscito ad avere un flgliuolo. Non sarebbe stato un Cuti - ahimè, pur troppo no - ma un po' del sangue dei Cuti, insomma lo avrebbe avuto nelle vene, giacchè il Signore aveva voluto così! - Che fate dunque, se non fate un figliuolo? - gli diceva spesso. E massaio Cudduzzu una volta le rispose: - Ah, voscenza, se sapesse con che buona volontà!... Donna Mita gli aveva rotto la frase fra le labbra: - Non dite porcherie, villano che siete! E siccome un giorno, lagnandosi con suor Veronica di quel figliuolo di Cudduzzu che non veniva al mondo, e tornando ad assalirla perchè si decidesse finalmente a prender marito lei, che era ancora in tempo, suor Veronica le aveva detto: - Gesù Cristo vuole così; sia fatta la sua santa volontà! - Donna Mita perdette la pazienza: - Gesù Cristo! Gesù Cristo! Qualche volta nemmeno lui sa quel che fa!... M'è scappata! FINE

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A meno che lei non abbia interesse di riaverla in casa.... È una bella ragazza, la conosco. - Per la mia età, brigadiere, non c'è più nè belle nè brutte ragazze. E non ci sono state mai neppure prima. - Se vuole, per farle piacere, chiamerò Tinu Mèndola, cercherò.... tenterò.... - Bravo! Bravo! Io la ringrazio, brigadiere. E uscendo dalla caserma, don Pietro pensava: - Non si può fare una buon'azione, sinceramente, senza che la gente non ci vegga sotto un secondo fine!

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