Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Ricordi d'un viaggio in Sicilia

169022
De Amicis, Edmondo 5 occorrenze
  • 1908
  • Giannotta
  • Catania
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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Perché è ancor vivo nell'anima di tutti quegli che diede all'amore alla mestizia il linguaggio della più dolce melodia che abbia mai intenerito il cuore umano; e possono mutar scuole e gusti ,possono passar torrenti di nuove musiche e aurore e soli di nuove glorie, ma la parola divina che egli ha parlato al mondo rimarrà eterna, ed eterno il suo caro nome: caro nome che, mezzo secolo dopo la sua morte, noi non possiamo pronunciare ancora senza un sospiro di rimpianto, come se a noi stessi fosse stata rapita innanzi tempo la consolazione celeste della sua voce. Catania, con le sue strade diritte lunghissime, arieggia Torino, ma ha aspetto più vario e più gaio per il color più chiaro degli edifizi e per il dislivello del suo suolo, composto in buona parte di vecchie lave vulcaniche; il quale ascende verso l'Etna, sovrastante alla città e visibile da ogni punto. Chi la vede per la prima volta in una giornata serena non si può capacitare che in una città così splendidamente lieta possano infuriare tante tempestose passioni di parte, combattersi tante accanite battaglie politiche. Essa ha l'incanto della gioventù, a cui brilla in viso la coscienza della forza e la fede nell'avvenire. E' infatti la città più florida della Sicilia. E nonè di fresca data la sua prosperità crescente. Dopo il memorando terremoto del 1693, che la distrusse tutta quanta, Catania rifatta venne prosperando continuamente, e dal 1860 in poi è quasi raddoppiata la sua importanza. Per giungere a questo essa non ebbe che ad aiutare la sorte e la natura che l'hanno privilegiata d'ogni favore. Situata quasi nel punto di mezzo della costa orientale dell'isola, al Lembo della più vasta e più fertile delle pianure siciliane, alle falde del gran vulcano fecondatore, intorno a cui fioriscono le più svariate colture, essa accoglie in sé e manda fuori dal suo porto profondo in grande abbondanza ogni specie di prodotti agricoli e minerali, e alimenta fra le sue mura, oltre alle generali industrie cittadine, una quantità d'industrie speciali, che danno una straordinaria attività al suo commercio e attirano Greci, Inglesi, Tedeschi ad accrescerle senza posa con nuovi sfruttamenti e nuove imprese. Ma non è città industriale e commerciale soltanto: è ricca d'Istituti di beneficenza, possiede biblioteche cospicue, è sede d'una delle maggiori Università d'Italia, in cui sono laboratori rinomati di chimica e di fisica, d'anatomia e di zoologia, e rinomatissimi di geologia e di mineralogia; ed è fra i primi d'Europa, visitato da scienziati d'ogni paese, il suo Osservatorio Astronomico, in specie per riguardo alla fotografia stellare, a cui è propizia la maravigliosa limpidità atmosferica , e agli studi geodinamici, ai quali appartiene una collezione di fotogrammi sismici, forse la più preziosa del mondo.

E' una successione di golfi e di seni dalle curve graziosissime, dominati da alti promontorii dirupati, che si specchiano nel più maraviglioso azzurro marino che abbia mai sorriso al sole. Si percorre il primo tratto, lungo il mare, in vista delle diciassette isole dell'Arcipelago Eolio, che par che sorgano l'una dopo l'altra dalle acque, con le loro belle forme vulcaniche, ardite e leggere, tinte di colori soavi, d'un'apparenza quasi vaporosa. E le pianure verdi, solcate da innumerevoli corsi d'acqua, succedono alle pianure verdi, i boschi ai boschi, i vigneti ai vigneti, e vaghe città biancheggianti sulle alture, e monti scoscesi coronati di chiese aeree e di castelli spagnuoli e normanni e d'avanzi di colonie greche e romane. E fuggono accanto al treno i boschetti d'aranci, le siepi di fichi d'India, le spalliere di áloi, i gruppi di palme, tutte le varietà di piante di tutte le terre italiche, accarezzate e mosse da un'aria imbalsamata che vi delta nel sangue e nell'anima un sentimento delizioso della vita. E quante grandi immagini del passato vi sorgono dinanzi da ogni parte! Su quel ridente azzurro del golfo di Spadafora fu distrutta da Agrippa la flotta di Sesto Pompeo; su quell'altre acque luminose, fra il Capo Orlando e la foce della Zapulla, fu sconfitta l'armata di Federico dalle armate riunite di Catalogna e d'Angiò; laggiù riportò Duilio la prima vittoria navale di Roma; su questa pianura l'esercito cartaginese di Amilcare fu sbaragliato dall'esercito greco di Gelone e di Terone. A grandi lampi vi passa dinanzi tutta la storia dell'isola fatale, intorno a cui gravitò per secoli la vita storica e sociale di tre continenti, e d'in fondo al passato immenso vedete sorgere l'albore d'una speranza: poiché se l'Italia peninsulare, come fu detto con felicissima immagine, è un braccio teso dall'Europa nella direzione dell'Africa, la Sicilia è pur sempre la mano di quel braccio; ed è ancora una grande verità quella affermata dal Fischer, ch'essa possiede una stoffa di colonizzatori di primordine "atta a metter radici sopra ogni terra, a prosperare sotto ogni cielo". Chi sa che nell'avvenire dell'Africa non sia il risorgimento dell' "organo prensorio" d'Italia? Ed ecco Monte Pellegrino, ecco la Conca d'oro, ecco Palermo!

Non credo che ci sia al mondo altra grande città decaduta che abbia dinnanzi a sé una così maravigliosa immagine del suo grande passato; non credo che esista un altro così ampio, così magnifico, così solenne cimitero istorico com'è questo dei quattro quartieri siracusani scomparsi; appetto al quale scompare alla sua volta la città vivente, o quasi si dimentica. Dico "Cimitero" poiché le poche ville sparse, i due o tre alberghi, le due piccole chiese di Santa Lucia e di San Giovanni e le case rustiche qua e là disseminate sono come perdute nell'amplissimo spazio. Le rovine colossali lo dominano intero. Dovunque volgiate il passo, anche per i piani erbosi e fra i vigneti, dove le rovine non sono visibili, voi le vedete ancora. Vedete le gradinate grandiose del teatro greco e dell'anfiteatro romano, scavate nella roccia, in gran parte ancora intatte, immagine d'un lavoro quasi sovrumano, che vi sgomenta e le pareti scoscese delle latomie profonde, e le vaste gallerie delle necropoli, e gli acquedotti enormi, e gli avanzi delle antiche mura dell'Acradina; e da tutti questi frammenti della sua ossatura gigantesca la visione della città intera vi sorge dinnanzi, con la sua sterminata cinta merlata e turrita, coi suoi porti affollati di navi, coi suoi templi superbi, coi suoi arsenali, i ginnasi, i mercati, i bagni, i giardini; immensa, bella e terribile, qual'era ai tempi di Dionisio il vecchio. La più maravigliosa delle rovine è il forte d'Eurialo, posto verso la punta del triangolo rivolta ad occidente: una delle più ammirabili opere di architettura militare dell'ingegneria greca: chiave della difesa di Siracusa; dove le muraglie del lato sud si congiungevano. Dovrebbero risonare e scintillare le parole come colpi di scalpello nella pietra per descrivere l'aspetto di quelle quattro torri poderose, di quei fossati profondi scavati nel macigno, di quel cortile interiore dove si riconoscono ancora i ricetti dei cavalli e delle macchine, di quella rete di passaggi sotterranei, dove s'ammassava la cavalleria per le sortite improvvise. Tutto questo è così forte, cosi fiero, così formidabile, così vivamente ed eloquentemente antico, che il primo senso d'ammirazione vi si muta a poco a poco in stupore, e in qualche momento vi scote un brivido come se la vostra vista intellettuale, per un miracolo, penetrasse a traverso i secoli trascorsi, e le palpitasse davanti di vita vera la storia, che non era prima per essa se non una visione di larve.

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Chi può maravigliarsi che davanti a un tale spettacolo l'Imperatrice di Germania abbia lasciato cadere a terra un diamante senza avvedersene? Questo mi disse quello stesso custode del Teatro che trovò il diamante fra i ruderi vicini alla porta e che lo riportò all'Augusta Signora. Ed egli stesso mi riferì con alterezza di cittadino taorminese un motto che aveva udito il giorno innanzi da una bizzarra signora straniera incantata del panorama: motto ch'io metto qui come suggello al mio povero tentativo di descrizione. - "Credo poco all'Inferno; ma credo al Paradiso perché l'ho visto... ed e questo".

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Così caldamente innamorati d'ogni bell'ideale che amano ed onorano anche chi ne abbia fatto loro balenare appena un vago riflesso con poca arte e con malsicura coscienza; cosi ingenuamente generosi che ingrandiscono e abbelliscono con l'immaginazione uomini e cose, credendo che sia loro virtù intrinseca quello che essi mettono in loro di proprio! Ma v'erano altri sentimenti delicati in quelle dimostrazioni. Tutta quella gioventù sapeva che quel suo ospite aveva sofferto dei grandi dolori, e lo festeggiava per consolarlo; pensava, vedendogli i capelli bianchi, ch'egli non aveva più lungo tempo da vivere, e voleva che la sua vita fosse coronata da una delle più profonde e dolci soddisfazioni ch'egli avesse potuto mai desiderare, gli voleva lasciar nell'anima un ricordo che gli desse impulso a lavorare ancora infaticabilmente fino agli ultimi suoi anni; prevedeva che in quella cara terra egli non sarebbe ritornato mai più, e voleva che gliene rimanesse una immagine più bella, più cara ancora di quella che n'aveva riportata quarant'anni innanzi, al tempo della sua prima giovinezza. O cari fanciulli del popolo, operai, studenti, buoni amici sconosciuti d'ogni età e d'ogni ceto, ospiti affettuosi e giocondi, come egli ha ben capito e sentito la gentilezza del vostro intento, e che profonda gratitudine ve ne serberà in cuore fin che gli anni e l'infermità non gli abbiano spento l'ultimo barlume di memoria delle giornate luminose e felici che ha trascorse sotto la bellezza incantevole del vostro cielo e in mezzo alle vestigia gloriose della vostra storia!

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