Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La fatica

169784
Mosso, Angelo 17 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Non so più in che libro io abbia letto che qualcuno vide in alto mare degli uccelli, tra i volatori più forti, che avevano sulla schiena qualche uccello piccolo il quale facevasi portare e che a questo modo aveva trovato nella disperazione la salvezza. Una memoria antichissima della stanchezza delle quaglie l'abbiamo nella sacra Bibbia dove nell'Esodo si racconta come gli Israeliti si nutrirono di quaglie nel deserto. La facilità colla quale si lasciavano prendere dimostra che erano esauste dal viaggio. Vi sono degli uccelli che ad ogni primavera fanno più di quindicimila chilometri per andare dall' Africa australe, dalla Polinesia e dall'Australia fino alle regioni polari; e nell'autunno rifanno indietro il medesimo viaggio per ritornare alle loro stazioni d'inverno. Il rondone compie ogni anno il viaggio dal Capo Nord al Capo di Buona Speranza, e viceversa. Le emigrazioni delle gru e delle cicogne le vediamo ripetersi ogni anno. Ma come si orientino a traverso i monti e nel mare, come dall'Africa le cicogne e le rondini tornino al loro antico nido, come siasi sviluppato l'istinto che le guida, non sappiamo ancora. In questi ultimi anni si sono scritti libri assai pregevoli su questo argomento: citerò quelli di PalmènI. A. PALMÉN; Ueber die Zugstrassen der Vögel, 1876, Leipzig., di Weismann WEISMANN, Ueber das Wandern der Vögel. Berlin, 1878., e di Seebohm SEEBOHM,The geographical distribution of the Charadriidoe.. Ora non si contentano più gli ornitologi, contemplando gli uccelli che passano per l'aria, di dire che si tratta di un istinto mirabile. Anche su quest'argornento sono cominciati gli studi analitici. Palmèn dimostrò che gli individui più vecchi e più forti guidano le schiere migratrici, e che la maggior parte degli uccelli che fuorviano e si perdono per strada, sono individui giovani dell'ultima covata, o madri che si fermano e deviano per cercare i figli smarriti. Difficilmente i maschi adulti, se non sono sbattuti da una tempesta, perdono la strada. Palmèn ha pubblicato una carta delle grandi vie delle emigrazioni. I termini miliari di queste lunghe strade sono certi luoghi, dove gli uccelli possono riposarsi e trovare nutrimento abbondante.Palmén dice che sarebbe mancar di criterio l'ammettere che gli uccelli escano dall'uovo portando innata la conoscenza di questi luoghi. L'istinto che posseggono gli uccelli ha bisogno di essere educato. Appena escono dal nido cominciano a studiare lo spazio che li circonda, poi si allontanano in cerca del cibo e la foga del volare li spinge lontano quanto loro serve la memoria. Così sviluppasi rapidamente in essi il senso dei luoghi e della direzione. Quando giunge l'autunno si lanciano intrepidi verso i paesi del mezzogiorno; e, se un uccello nato in quell'anno è così irrequieto che non aspetta i genitori, può riuscire a trovare una via che lo conduca al suo scopo, ma il più delle volte soccombe. E perciò che generalmente viaggiano in stormi e in grandi comitive.Così imparano dai vecchi a conoscere gli accidenti del terreno, i monti, i fiumi e le valli, che sono le grandi vie maestre delle emigrazioni. Ciò che a noi sembra un istinto meraviglioso e cieco sarebbe una conoscenza dei luoghi, che le generazioni degli uccelli si tramandano come una tradizione.

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Torino, 1876, la rigidità, cadaverica nel cuore del cane, ed abbiamo veduto che talora essa comincia prima che il cuore abbia cessato di battere spontaneamente. È probabile che succeda lo stesso nel cuore nostro, e che quando si rallentano i suoi battiti nell'agonia, abbia già cominciato quel processo della alterazione del muscolo, che dovrà, farlo irrigidire. Per farci un'idea di questo fenomeno abbiamo fatto delle esperienze nel cane, dalle quali risultò che nelle quattro prime ore, eccetto dei movimenti fibrillari e delle piccole oscillazioni, il cuore, staccato dal corpo, rimane quasi immobile. Verso la quarta ora incomincia la vera contrazione della rigidità cadaverica, e questa in circa due ore raggiunge il suo massimo.

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Gli annegati che prima di morire si dibattono fortemente nella speranza di aggrapparsi a qualche cosa che li salvi, si trovauo attaccati colle mani rigide agli oggetti, che avevano afferrati, senza che la morte abbia rilasciato i muscoli. Nell'ultimo spaventoso naufragio degli emigranti italiani presso Gibilterra (17 marzo 1891) in cui perirono trecento persone, fra i cadaveri che il mattino dopo furono trovati sulla spiaggia, vi era il cadavere di una donna con un bambino morto stretto al collo. Nè l'agonia ne le onde burrascose dell'oceano, che avevano sbattuto quei cadaveri sulla spiaggia, avevano bastato per allentare l' ultima stretta della morte, per disgiungere la madre dal suo figliolo. Le osservazioni più commoventi sulla rigidità cadaverica le raccolse il professore Rossbach sui campi di battaglia di Beaumont e Sedan, durante la campagna del 1870 ROSSBACH, Ueber eine unmittelbar mit dem Lebensende beginnende Todtenstarre,- Virchow's Archiv B, LI, Fag. 558,.Sopra una collina nelle vicinanze di Floins giaceva in terra una lunga fila di usseri fraucesi. Egli ne vide parecchi che avevano conservato nel volto l'espressione del dolore provato negli ultimi istanti della vita: avevano le ciglia corrugate, le labbra strette, e benchè i cadaveri fossero già freddati, una contrazione convulsa teneva ancora terribilmente sfigurati i muscoli della faccia. Molti stringevano la spada in pugno. Un soldato era nell'atteggiamento di caricare il facile. Alcuni li trovò morti col viso sorridente, forse coll'espressione dell'ultimo pensiero che avevano evocato nel momento della morte. Un soldato era caduto sul dorso tenendo le braccia lunghe e rivolte al cielo: da lontano si credette che non fosse morto e chiedesse aiuto; accorsero e lo trovarono irrigidito a quel modo. Una granata uccise d' un colpo tutta una comitiva di soldati, che si erano riparati in una fossa per fare tranquillamente colazione. Di uno, dice Rossbach, si poteva essere certi che raccontasse qualche storia allegra tanto era viva l'espressione di contentezza che gli rimaneva ancora nel volto benchè l'avesse ucciso una grave ferita del cranio. Un altro di questi soldati teneva colla mano la tazza presso la bocca, ma gli mancava il cranio; e della faccia mutilata non gli era rimasta che la mandibola inferiore. Essendo profonda la fossa, nella quale si erano riparati nessuno pel colpo era caduto in terra ed erano rimasti seduti, o sdraiati, in modo che guardandoli dall' alto parevano vivi, se non era di quel tale colla tazza in mano in atto di bere, al quale mancava la testa. Un caso commovente di rigidità cadaverica descritto dal Rossbach, è quello di un soldato tedesco ferito nel petto, che sentendosi morire volle vedere ancora una volta il ritratto di sua moglie o della sua amata. Egli giaceva di fianco, appoggiato su di un braccio e teneva dinanzi agli occhi, colla mano sollevata e rigida il ritratto che pareva stesse ancora contemplando nella morte.

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Chiunque abbia fatto un’ ascensione sopra una montagna si sarà accorto che l'ultima parte della salita per toccare la vetta, costa uno sforzo assai maggiore che non abbiano costato altri passi più difficili, quando si era meno stanchi. Il nostro corpo non è fatto come una locomotiva che consuma la stessa quantità di carbone per ogni chilogrammetro di lavoro. In noi, quando il corpo è stanco, una quantità anche piccola di lavoro meccanico produce degli effetti disastrosi. La ragione l'ho già accennata nel precedente capitolo, ed è che le prime contrazioni, il muscolo le fa consumando sostanze differenti da quelle che consumerà in ultimo quando è stanco. Per servirmi di un esempio dirò che anche per il digiuno nel primo giorno si consumano dei materiali che abbiamo nel corpo, i quali sono diversi da quelli che spremeremo per così dire dai nostri tessuti negli ultimi giorni della inanizione. Ho detto che il nostro corpo risente un danno maggiore per il lavoro che fa quando è già stanco. Una delle ragioni di questo fatto è che un muscolo avendo consumata nel lavoro normale tutta l'energia della quale poteva disporre, si trova obbligato per un soprappiù di lavoro ad intaccare per così dire, altre provvigioni di forza che teneva in riserbo; ed a far questo occorre che il sistema nervoso lo aiuti con una maggiore intensità dell'azione nervosa. Ma quantunque lo sforzo nervoso sia più cospicuo, il muscolo stanco si contrae debolmente. Quando solleviamo un peso vi sono due parti che si affaticano: l'una è centrale, puramente nervosa, cioè la parte impulsiva della volontà, l'altra è periferica, ed è il lavoro chimico che si trasforma in lavoro meccanico dentro alle fibre muscolari. Kronecker aveva già detto che il peso non stanca ma che l'eccitamento stanca. Ho voluto provare se questa legge trovata nelle rane è pure vera per l'uomo. Adattai all' ergografo una vite, V (fig. 5. capitolo IV). Girando questa vite che passa dall'altra parte del montante I fra le due sbarre d' acciaio, nelle quail si move il corsoio N, si dà al peso un punto di appoggio più vicino alla mano: e il dito medio viene esonerato dal peso nel principio della sua contrazione. Se mentre il muscolo si contrae per fare un tracciato della fatica, noi giriamo avanti la vite V dell' ergografo, possiamo far sì che il dito lavorando, prenda il peso ad altezze successivamente minori. Scaricandolo a questo modo del peso, vediamo che nel principio quando il muscolo è riposato non si accorge della differenza. Il muscolo pare dunque indifferente al peso che solleva quando è nella pienezza delle sue forze. Una volta dato l'ordine al muscolo di contrarsi, questo produce il massimo del suo raccorciamento sia che il peso debba sollevarlo per tutta la contrazione, o solo durante una parte della medesima. In questa prima parte delle mie esperienze venne confermato quanto Kronecker aveva osservato nelle rane. Quando l' energia del muscolo è diminuita per effetto della fatica, il muscolo sente un beneficio se lo si scarica, dandogli un appoggio che lo liberi da una parte del peso. Chi dopo essersi affaticato solleva con stento 50 chilogrammi, troverà che uno di più è troppo pesante. Ma se non è stanco e ne solleva 80 o 100, uno o due di più oltre il cinquantesimo passano inavvertiti. Avremo occasione di esaminare meglio questo fatto, intanto possiamo, da quanto ho detto, paragonare i movimenti alle sensazioni. Vediamo ripetersi qui ciò che tutti abbiamo provato in un concerto, dove non ci accorgiamo se nell'orchestra vi sono 35 o 40 violini. Entrando in una sala sfarzosamente illuminata, non ci accorgiamo se le candele accese solo 90 o 100, ma quando non vi sono più che due candele accese, o due violini che suonano, ci accorgiamo subito se uno cessa di suonare o l'altra di splendere. Così noi intravediamo una prima legge della fatica e delle sensazioni, che cioè l'intensita loro non è del tutto proporzionale all'intensità della causa esteriore che le provoca.

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E tutti deploriamo che la necessità di concentrare le industrie e le macchine negli opifici, abbia distrutto il consorzio e la vita serena e libera degli operai, e creato delle condizioni igieniche e morali malsane: che la necessità ferrea di far lavorare le macchine, e di sfruttarle la notte e il giorno, esaurisca e corrompa la natura umana. È certo che la società subisce ora una evoluzione rapida e profonda, intorno alla quale è impossibile ogni previsione. Ma non sarà mai che si trovi un organamento della società, nel quale gli uomini non abbiano a faticare, nel quale non si distinguano quelli che lavorano colle braccia da quelli che lavorano col cervello. Gli uomini sono già, nascendo, fisiologicamente diversi. Per quanto si risalga in alto nella leggenda e nella storia si trovano gli uomini che per vivere faticano, e gli uomini che per accrescersi il godimento della vita fanno faticare. Anche se una legge ci mettesse tutti nella medesima condizione, sarebbe presto infranta: perchè la legge non potrebbe mai vincere la natura; e gli uomini si dividerebbero subito secondo le attitudini particolari che hanno avuto nascendo. È una legge della natura che i deboli obbediscano ai forti, e i più forti siano guidati da coloro che sono più abili e più astuti. Chi nasce con più ingegno, e squisitezza di senso, sarà sempre colui che comanda: perchè l'oculatezza, la perseveranza, la prudenza, la temperanza, l'attitudine ad adattarsi e la svegliatezza della mente, non sono doni che la natura regali a tutti gli uomini, e chi nasce con essi saprà farsi obbedire. La scomparsa delle differenze sociali è sfortunatamente un sogno, più assai che non sia la fratellanza universale dei popoli. Però in mezzo all'agitazione che va crescendo, e che alcuni vorrebbero affrettare verso la rivoluzione sociale, bisogna ammettere che il benessere del proletario è cresciuto da per tutto, o che almeno in nessuna parte è peggiorato. In questo secolo la popolazione si è raddoppiata nell'EuropaNel 1810 la popolazione dell'Europa era calcolata a 180 milioni, nel 1886 a 347 milioni., e la vita dell'uomo è divenuta più lunga. Per il vitto, per l'istruzione e l' igiene, da per tutto è progresso. Il timore che aveva l'operaio che gli mancassero i mezzi di sussistenza, perchè le macchine lo avrebbero sostituito, non si è verificato. La richiesta del lavoro invece di scemare è cresciuta. E la macchina ha messo alla portata del popolo gran parte di ciò che prima era riservato al ricco. Le pretese maggiori che ora accampano gli operai, nascono da ciò: che essi hanno un ideale più elevato della loro esistenza, e che la civiltà ha loro creato dei bisogni, che prima ad essi erano affatto sconosciuti. Tutto oggi nobilita la fatica. La civiltà crescendo, crebbe il desiderio del lavoro, come il mezzo di soddisfare ai cresciuti bisogni, e mitigare le ingiustizie e la disparità della fortuna. Il mondo antico poggiava sulla schiavitù del lavoro, e nessuno dei grandi pensatori della Grecia e di Roma, si oppose mai a quella; perchè la fatica materiale dell' uomo era messa alla pari di quella delle bestie, e lo schiavo non era un cittadino, ma una cosa. Fu il cristianesimo che proclamò l' eguaglianza degli uomini, e ci fece intravvedere per la prima volta la comunanza dei beni. A mano a mano che crebbe il progresso civile, gli uomini si andarono uguagliando sempre più, fino a che la nobiltà ed i privilegi sono caduti. Ma l'umanità non si arresta nei suoi progressi, ed oggi siamo travagliati dal problema grave e pauroso di un' eguaglianza più radicale. Questa è la grande difficoltà, della quale si preoccupano tutti coloro cui stanno a cuore la libertà ,e la dignità umana. E non è più una questione di partito, non è più un' agitazione che si faccia con intenti sovversivi; è una convinzione profonda, è un sentimento sacro di moralità, che ci spinge a studiare i mezzi, perchè la proprietà si divida senza fare violenza, senza spargere il sangue, perchè chi dà il lavoro lo conceda in virtù di leggi umane, perchè chi lo riceve non diventi uno schiavo, perchè la razza umana non degeneri sotto l'usura della fatica.

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Basta fiutare i vapori del nitrito di amilo per produrre una forte iperemia del cervello; ma chiunque abbia fatto questa esperienza si sarà accorto che non per questo diventa più fervido il lavoro delle idee. Anche nelle ghiandole succede un fatto identico, non basta a promuovere una secrezione che cresca l'afflusso del sangue alla ghiandola, bisogna che vi sia un eccitamento dei nervi secretori: anzi questa è la condizione fondamentale, l'iperemia è un fatto secondario. La civilà differente delle razze umane, l'attitudine maggiore o minore che hanno i vari individui di una medesima razza, al lavoro intellettuale, dipenderebbe dalla facilità e dalla intensità colla quale per mezzo di quest'azione riflessa si riesce a modificare i processi chimici della vita ed ottenere che nelle varie parti del cervello, le sue cellule lavorino più attivamente e restino più impressi nelle medesime i fenomeni del mondo esterno. II nostro cervello è tanto più forte quanto più possiamo bruciarlo e distruggerlo rapidamente, e con altrettanta rapidità, ripristinare le condizioni della sua energia. Questi supposti nervi dell'attenzione avrebbero come i nervi secretori la potenza di attizzare i processi distruggitori nelle cellule degli emisferi cerebrali, per trasformarne l'energia e produrre il pensiero. L’attenzione sarebbe, come la funzione periodica delle ghiandole, un meccanismo diretto a risparmiare l'energia degli organi, che devono funzionare solo nel giusto momento in cui il loro consumo è necessario.

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Per poco che uno abbia fatto attenzione si sarà accorto che dopo una passeggiata troppo lunga, o dopo un esercizio violento di ginnastica o di scherma o di canottaggio, siamo meno atti allo studio.Se qualche volta dopo un esercizio moderato ci sembra che diventi più facile il lavoro del cervello, ciò dipende dall'azione eccitante del lavoro muscolare, della quale avremo occasione di occuparci estesamente più tardi. Dove si vede meglio l'incapacità dell'attenzione per effetto della fatica muscolare è nelle ascensioni alpine. Saussurre sul Monte Bianco poteva fare appena con grande stento un piccolo lavoro intellettuale. "Lorsque je prenais de la peine, ou que je fixais mon attention pendant quelques moments de suite, il fallait me reposer et haleter pendant deux ou trois minutes." In me osservai che la grande fatica muscolare toglie ogni attitudine all'attenzione e leva la memoria. Ho fatto parecchie ascensioni. Sono stato sulla vetta del Monte Viso e due volte sul Monte Rosa, e non mi ricordo più nulla di ciò che ho visto da quelle sommità. La memoria mia e la ricordanza degli accidenti della ascensione, va come sfumando a misura che mi elevo nello spazio. Sembra che avvelenandosi il sangue coi prodotti della fatica, e consumandosi l'energia del sistema nervoso, diventino meno favorevoli le condizioni fisiche del pensiero e della memoria. E questo è per me tanto più singolare, in quanto che ho una memoria felice dei luoghi. Parecchi alpinisti che ho consultato in proposito, furono d'accordo meco nell'ammettere che l'ultima parte di un'ascensione rimane poco impressa nella memoria. L'avvocato L. Vaccarone, noto per le sue intrepide ascensioni, uno degli scrittori più autorevoli del Club alpino italiano, mi raccontava di essere obbligato a prendere degli appunti durante la marcia, perchè la séra ritornando da un'ascensione non si ricorda quasi di nulla. Il giorno dopo, cessata la stanchezza, gli ritornano alla memoria molti particolari che credeva aver dimenticati completamente. La incompatibilità che esiste tra il lavoro del cervello e quello dei muscoli, lo studio dell'azione eccitante dell'esercizio, il limite massimo fino dove questo può spingersi conservandosi utile, e il danno che ne proviene all'attività cerebrale, quando si eccede col moto, sono dei fatti che meriterebbero di esser presi in maggior considerazione, da quanti stabiliscono gli orari dei collegi e degli istituti d'istruzione. Il professor G. Gibelli mi disse che nelle escursioni botaniche gli scema la memoria appena egli comincia a stancarsi. Anche delle piante più comuni gli capitò spesso di non trovare più il nome. Riposandosi scompare rapidamente questo fenomeno della stanchezza. Delboeuf nel suo studio pregevolissimo sulla misura delle sensazioniDELBOEUF, Eléments de Psychophysique. Paris; 1883, pag. 52. rammenta che i miopi mettono gli occhiali per sentire meglio, perchè cosi diminuiscono la fatica che viene dalla visione confusa.

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La fatica quando è molto forte, sia che ci siamo stancati in un lavoro intellettuale od in un lavoro muscolare, produce un cambiamento nel nostro umore e diventiamo più irritabili, sembra quasi che la fatica abbia consumato ciò che vi era di più nobile in noi, quell'attitudine per la quale il cervello dell' uomo civile si distingue da quello dell'uomo primitivo e selvaggio. Non sappiamo più dominarci quando siamo stanchi, e le passioni hanno degli scoppi violenti che non possiamo più trattenere e correggere colla ragione. L'educazione che teneva compressi i moti involontari rallenta i suoi freni, e succede di noi come se discendessimo alcuni gradini più in basso nella gerarchia sociale. Ci manca la resistenza al lavoro intellettuale, e la curiosità e la forza dell' attenzione, che sono le caratteristiche più importanti dell'uomo superiore ed incivilito. Le persone che soffrono di malattie croniche del sistema nervoso, sono generalmente irascibili. Vedremo più tardi che l'isterismo è uno stato del sistema nervoso paragonabile a quello che producesi per effetto della fatica. La fisonomia espressiva, il gesto vivace, la potenza dello sguardo, e lo stato nervoso che caratterizza gli artisti, la melanconia, o l'eccessiva allegrezza, e certe abitudini e modi che possono ad alcuni sembrare strani, dipendono in loro, per grande parte, dalla diminuita resistenza del sistema nervoso, da una specie di esaurimento e di isterismo, prodotto dalla fatica continua del cervello. A questo eccitamento che si nota in alcuni, fa riscontro in altri una depressione della sensibilità. È come il cavallo stanco che non reagisce più alla frusta. Molti avranno provato uno stato simile dopo una lunga marcia. La stanchezza, passato il primo periodo della eccitazione, si trasforma poco per volta in un esaurimento che ci rende insensibili, che ci procura una emozione piacevole, e si è meravigliati di non più sentire lo sforzo del camminare, quasi andassimo innanzi per la sola forza acquistata. Nel giornale dei GoncourtJournal des Goncourt. T. 1, pag. 219. è descritto questo fenomeno: "L'excès du travail produit un hébétement tout doux, une tension de la tête qui ne lui permet pas de s'occuper de rien de désagréable, une distraction incroyable des petites piqûres de la vie, un désintéressement de l'existence réelle,une indifference des chores les plus sérieuses telle, que les lettres d'affaires très pressées, sont remisées dans un tiroir, sans les ouvrir."

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Alcuni suppongono che il nostro corpo abbia molte provvigioni di forza, diverse una dall'altra, e da usare secondo i vari bisogni della vita, e che questi magazzini di energia possano consumarsi l'uno indipendentemente dall'altro. Essi credono, ad esempio che, se abbiamo disponibile una certa quantità di forza, la quale serva a far muovere i muscoli, questa potrà esaurirsi nelle marcie o nelle contrazioni muscolari, lasciando intatta quella provvigione di energia che il sistema nervoso tiene in serbo per il lavoro del cervello. E questa, provvigione d'energia possa rimanere distinta dall'accumulo di forza che serve alle funzioni genitali e via dicendo. Io non credo che il nostro organismo sia fatto a questo modo. Vi è una provvista unica di energia nel sistema nervoso; e sebbene dobbiamo ammettere delle localizzazioni, queste non sono però tali che funzionando un organo con molta attività, non ne risentano danno anche gli organi prossimi. L'esaurimento della forza è generale: e possono consumarsi tutte le provviste dell'energia, esagerando un' attività, qualunque dell' organismo. Dalle esperienze che ho fatto sulla fatica, risultò che esiste una sola fatica, la nervosa; questa è il fenomeno preponderante, e anche la fatica muscolare è nel fondo una fatica ed un esaurimento del sistema nervoso. La complicazione più grave nello studio della fatica, nasce da ciò che non in tutto l' organismo si consuma allo stesso modo. I prodotti generatisi nella fatica alcuni li sentono più ed altri li sentono meno. Studiando la forza dei muscoli prima e dopo la lezione su varii miei colleghi ho potuto convincermi della grande differenza che esiste in tale riguardo. Nel professor Aducco, per esempio, la lezione produce un eccitamento nervoso che gli dà una forza maggiore dei muscoli. Avevamo osservato questo aumento parecchie volte quando egli mi suppliva nella scuola, ma trattandosi di pubblicare un tracciato di queste esperienze, lo pregai di lasciarmi un ricordo della sua prima lezione. Quando fu nominato professore di fisiologia nell' Urniversità di Siena, egli cominciò tre giorni prima della sua prolusione a scrivere coll'ergografo la curva della fatica del dito medio della mano sinistra, sollevando tre chilogrammi col ritmo di due secondi. Questi tracciati egli faceva quattro volte al giorno, alle 9 e alle 11 ant., poi andava a far colazione e ritornava all'1 e alle 4 a fare un altro tracciato. La figura 17 rappresenta la serie delle contrazioni

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E il mio foglietto lo rammento così bene, quantunque io l' abbia in tasca, che so quando arrivo nel parlare in fondo alla pagina e devo voltarlo nella memoria. Finalmente vengono i professori che qualche volta improvvisano la lezione su quei capitoli della scienza dove essi hanno fatto degli studi speciali. Sono le ore più deliziose nella carriera dell'insegnante queste dove uno può esporre dei concetti proprii, e abbandonarsi quasi in balìa dell' onda corrente di cose lungamente meditate. La sola incertezza che si prova è che non si sa come andrà, a finire la lezione. Ma l'uditorio capisce subito che avete abbandonato il terreno volgare dei manuali per lanciarvi nelle sfere superiori della scienza; e ve ne accorgete dal fatto che tutti gli occhi vi guardano più intenti e che la scolaresca è divenuta più immobile. Chi vi ascolta partecipa alla vostra emozione, perchè egli sente che attinge alla fonte donde scaturisce una nuova dottrina. Egli comprende che la trepidazione vostra non nasce dalla incertezza del pensiero, che anzi vi anima e vi trascina la foga delle idee, e che cercate solo la forma più esatta per rivestire i vostri concetti, per abbellire colla parola un pensiero lungamente accarezzato. Sono queste le ore che vi ringiovaniscono, in cui sentite il fuoco sacro della scuola; in cui avete la certezza che nessun trattato, nessun libro può supplirvi ed eguagliarvi nell'efficacia dell'educare. I concetti, le idee nuove espresse da voi in quel momento, dalla voce che sentite risuonare nell'aula, dischiuderanno nuovi orizzonti nelle menti dei giovani che vi ascoltano, e dureranno in alcuni di essi come un ricordo affettuoso per tutta la vita, e vi rallegra la speranza, che forse da una di quelle fronti giovanili irradierà la gloria, alla quale voi avete aspirato invano.

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Credo non abbia torto, perchè egli si lagnava con me di aver provato qualche volta una leggera vertigine, e un senso di vuoto nella testa. Un mio collega, che qualche volta dimentica l'ora, come dice lui, sente una debolezza grande della vista dopo aver fatto una lezione troppo lunga. Questo fenomeno lo avverte specialmente nel principio dell'estate, quando il caldo eccessivo gli altera un po' la digestione. Allora basta un piccolo strapazzo del cervello, e specialmente una lezione di un'ora e mezzo per annebbiargli la vista, tanto che dopo non può più leggere. È un'astenopia che viene dall'esaurimento del sistema nervoso, e scompare poche ore dopo finita la lezione.

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Può però anche capitare a degli insegnanti provetti e celebri, di esaurirsi in seguito ad un corso di lezioni che uno abbia fatto con maggiore impegno e maggiore studio. Di parecchi nomi che potrei citare mi limito a ricordare due uomini celebri come insegnanti, intorno ai quali ho avuto dei dati positivi, Huxley e Mantegazza.

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Vedendo questa diminuzione tanto considerevole della forza muscolare, in seguito ad un lavoro del cervello, il primo pensiero che viene alla mente è che la fatica qui osservata abbia un'origine centrale, che sia cioè la volontà che non può più agire con eguale forza sui muscoli, perchè la fatica dei centri psichici si è diffusa ai centri motori. L'esperienza seguente mostra che la cosa è molto più complessa.

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Solo che opera con una prodigiosa rapidità e sicurezza e novità di risultati; per cui questi uomini stanno più in alto di tutti, e a chi li contempla di sotto, sembra che la loro altezza sia inarrivabile, e che un miracolo li abbia spinti fin lassù. Neppure Raffaello aveva, se così è lecito esprimersi, il dono soprannaturale del genio, che trova nella immaginazione la forma sublime del bello e lavora seguendo ciò che gli detta la voce arcana della coscienza. Questo tesoro della inspirazione non credo che la natura abbia concesso ad alcuno. Anche per Raffaello la fatica in la base della fama immortale, e lo disse prima di tutti Michelangelo che certo fu giudice competente: Raffaello non ebbe quest'arte da natura ma per lungo studio.CONDIVI, Vita di Michelangelo Buonarroti, pag. 82, I pregiudizii che corrono intorno alla forza del genio sono molti, e dipendono in grande parte dall'amore che abbiamo noi del meraviglioso e dal desiderio che hanno il maggior numero degli uomini celebri di nascondere la loro fatica, per parere dappiù di quello che sono. Alcuni errori biografici sono veramente singolari, come l'esempio celebre del pomo di Newton che veduto cadere, inspirò al grande filosofo l'idea della gravitazione universale. Ora Newton, come Galileo, come Darwin, fu precisainente uno dei pensatori più infaticabili. "Non perdo mai di vista il mio soggetto, diceva lui, aspetto che i primi albori aumentando a poco a poco, diventino una piena luce raggiante ". Un solo uomo mi parve un tempo facesse eccezione a questa regola, il Göthe: per la sterminata vastità del suo ingegno, e l'altezza della sua mente. Avevo letto la sua autobiografia, le sue lettere, la vita interessantissima che ne scrisse il Lewes, e non perchè il Lewes sia un fisiologo, ma, perchè è ammesso da tutti, devo dire che anche a me parve essere la migliore. Ma per quanti studi biografici io abbia letti intorno a Göthe, mi parve sempre più che fosse un uomo cui il lavoro non dovesse aver costato fatica. Più che tutto me lo faceva credere ciò che Schiller disse di lui con queste parole: "mentre noi altri dobbiamo raccogliere e provare tutto con fatica per produrre lentamente qualche cosa di tollerabile, egli non ha bisogno che di scuotere leggermente l'albero per far cadere i suoi bellissimi frutti maturi e pesanti " Während wir Andern mühselig sammeln und prüfen müssen, um etwas Leidliches langsam hervorzubringen, darf er nur leis an dem Bäume schütteln, um sich die schönsten Früchte, reif and schwer, zufallen zu lassen. - 21 Juli 1797. Ma però ebbi più tardi a ricredermi, quando nell'opera Zur Farbenlehre del Göthe, lessi nell'ultimo volume, questa, sua confessione: "I miei contemporanei fino dal primo apparire dei miei tentativi poetici si mostrarono abbastanza benevoli verso di me, o per lo meno riconobbero che io aveva talento poetico ed inclinazione. Eppure i miei rapporti coll' arte della poesia, erano meravigliosamente strani e del tutto pratici, in quanto che io, un soggetto che mi colpisse, un modello che mi eccitasse, un processo che mi attirasse, lo portavo così lungamente nell'interno del mio sentimento, fino a che ne risultasse qualche cosa che potesse considerarsi come un mio prodotto, e dopo che per anni lo avevo formato silenziosamente; finalmente tutto d’un tratto, e quasi istintivamente come se fosse maturo, lo mettevo sulla carta ".Opera citata, tag. 277. Flaubert lavorava quattordici ore al giorno, e tutti sanno che in questo scrittore la ricerca della perfezione dello stile era divenuta una malattia. Di lui si raccontano tanti aneddoti; fra gli altri che si alzava la notte per correggere una parola; che rimaneva immobile per delle ore colle mani nei capelli, chino sopra di un aggettivo. Lo stile lo tiranneggiava, era una passione per lui l'affaticarsi cercando insaziabile la legge misteriosa di una bella frase, e finalmente questa disperazione dell'anima finì per diventargli un ostacolo insuperabile al lavoro. Nella vita del Flaubert vi sono alcuni lati originali che interessano il fisiologo. Flaubert disse penser c'est parler e nessun altro scrittore forse lo ha superato nello studio dei rapporti fra il pensiero e la parola. Egli provava il ritmo dei suoi periodi sul registro della propria voce. Una frase cattiva, diceva, è un peso al torace e si trova fuori delle condizioni della vita se non va d' accordo colla fisiologia del linguaggio, se armoniosamente non si puo recitare ad alta voce .Journal des Goncourt, pag. 277. Stricker ha fatto degli studi fisiologici intorno a questo argomento, e dimostrò che mentre pensiamo ad una parola la pronunciamo silenziosamente e che possiamo sentire i movimenti della laringe, come se parlassimo senza dar suono alle parole. Tutti abbiamo visto le mille volte nella strada, delle persone che parlano ad alta voce, e passando loro vicino si chetano , e quando abbiamo fatto pochi passi innanzi riprendono a parlare. La presenza nostra li distrasse dal loro pensiero, e poscia subito vi ritornarono involontariamente e ricominciarono a parlare. Del legame indissolubile che unisce il pensiero colla parola, offrono begli esempi le biografie dei grandi scrittori, quelli specialmente che lasciarono nelle opere loro un'impronta più evidente delle forti passioni che agitavano il loro animo. Alfieri ritornato a venti anni dall'Olanda, col cuore pieno traboccante di malinconia e di amore, sentì la necessità di applicare la sua mente a qualche forte studio. Si mise a leggere Plutarco."Le vite di quei grandi, egli dice, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato ".Vita di Vittorio Alfieri, Capitolo VII. Balzava in piedi agitatissimo e fuori di sè, e lagrime di dolore e di rabbia gli scaturivano dagli occhi. Balzac Onorato, il celebre romanziere, che ebbe una tale fecondità, da non essere paragonabile che alla maravigliosa vivacità della sua, fantasia, produsse tanti libri, che non si crederebbe essergli potuto avanzare il tempo per correggerli tutti. Pure c' è qualche cosa in lui che fa stupire più della sua facilità ed è appunto la faticosa ed improba difficoltà del suo modo di lavorare. Ecco come egli componeva i suoi libri: meditava a lungo il suo argomento, poi ne buttava giù un abbozzo informe in poche pagine. Quest' abbozzo mandava alla stamperia; di là gli rimandavano in larghi fogli le prime bozze di stampa. Egli riempiva queste bozze di aggiunte e di correzioni per tutti i versi, cosicchè tali correzioni parevano un fuoco d'artificio venuto fuori da quel primo suo getto. Si rifacevano le bozze, e già nelle seconde era scomparso tutto il testo delle prime: egli lo rimaneggiava ancora, lo modificava, lo mutava instancabilmente e profondamente. Alcuni romanzi furono tirati sulla dodicesima prova di stampa, altri toccarono la ventesima. I compositori si disperavano quando avevano che fare con un suo manoscritto; gli editori si rifiutavano di sopportare le spese delle sue giunte e correzioni.

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Il primo fisiologo che abbia espresso chiaramente il meccanismo della contrazione muscolare, è stato Alfonso Borelli. Nel suo libro sul moto degli animali, alla proposizione XXII, egli dice BORELLI, De motu animalimn. Vol. II, pag. 56. : "Per produrre la contrazione dei muscoli occorrono due cause delle quali una esiste nei muscoli stessi e l'altra viene dal di fuori. L'impulso al moto non può trasmettersi dal cervello per altra via che per i nervi; in ciò tutti sono d' accordo e lo dicono del resto in modo evidentissimo le esperienze; fu pure rigettata la supposizione che qui si tratti dell'azione di una facoltà incorporea, o di spiriti aerei; percio è necessario di ammettere che una qualche sostanza corporea si trasmetta dai nervi ai muscoli, o che si comunichi una commozione la quale possa in un batter d' occhio produrre il rigonfiamento dei muscoli." Tutto questo è giusto e anche oggi non sapremmo dirlo meglio. Borelli ammise che l'incitamento alla contrazione del muscolo fosse dato da un'azione chimica, da una acredine pungitiva che si diffonde alla estremità del nervo per irritare il muscolo Aut acredine pungitiva principia fibrarum alicuius nervi; et sic eam irritent, et titillent. Vol. II, pag. 59.. "Il rigonfiamento, dice Borelli, la durezza e la contrazione non succede nei nervi, cioè nelle vie su le quali si diffonde, e dove esiste la facoltà motiva, ma fuori di essi, cioè nei muscoli. Perciò la sostanza o facoltà che i nervi trasmettono, presa di per sé, non è capace a produrre una contrazione: ma è necessario che vi si aggiunga qualche cosa d'altro che si trova nei muscoli stessi, o che loro viene somministrato abbondantemente, dalle quali sostanze insorge qualcosa che è simile alla fermentazione od all'ebollizione e la quale produce il subitaneo rigonfiamento dei muscoli." Il concetto che dovremo farci della fatica dei nervi, dipende in grande parte dalla natura dei processi che hanno luogo dentro il nervo stesso. Questo è perciò uno dei punti capitali. Borelli emise fino dal principio due ipotesi, ed i fisiologi si trovano ancora nell'alternativa di scegliere fra l'una o l'altra di quelle, senza saper decidere con sicurezza quale delle due sia la vera. La trasmissione dell' eccitamento nervoso ai muscoli, ossia l'ordine che va, per esempio, dal cervello nei muscoli della mano, può essere un cambiamento chimico, che ogni molecola trasmette alle molecole vicine nella sostanza del nervo. Per servirci di un paragone grossolano, si potrebbe dire che i nervi sono come una miccia, o come una fila di granelli di polvere, messi l' uno accanto all' altro dal cervello fino al muscolo. L'atto della volontà consisterebbe nell'accendere il primo granello nei centri nervosi, e quando brucia l'ultimo granello, questo fa cambiare stato al muscolo e si produce la contrazione. Questo concetto nello stato attuale della scienza è quello che ha le maggiori probabilità di essere vero. Ma disgraziatamente non conosciamo ancora quali siano i cambiamenti chimici che succedono nel nervo che funziona; ed alcuni fisiologi avendo osservato che i nervi non si affaticano, o che almeno si affaticano molto meno del cervello e dei muscoli, sostengono che la trasmissione dell'agente nervoso lungo i nervi, non succeda per una trasformazione chimica paragonabile a quanto si vede nella miccia. Secondo questi fisiologi l'agente nervoso sarebbe di natura meccanica, cioè una specie di vibrazione delle molecole, che si trasmette lungo il nervo senza alterare la sua composizione chimica. Quest'eccitamento meccanico che possiamo paragonare alla trasmissione del suono a traverso le molecole di un corpo solido, arrivando dal centro nervoso al muscolo, produce una decomposizione esplosiva, cioè il cambiamento chimico della contrazione. La prima idea di questo meccanismo appartiene pure ad Alfonso Borelli e citerò le sue paroleProp. XXIII, p. 57. Vol. II.: "Ora ci rimane a cercare cosa passi per i nervi, quale sia questa forza, in che modo sia spinta nei nervi, e per quali canali. È chiaro che il nervo, quantunque piccolo come un capello sottilissimo, è composto di molti fili fibrosi, legate insieme da un involucro membranoso; ciascuna fibra è cava internamente come le canne, benchè alla nostra vista troppo debole, appaiano solide e ripiene. Non è impossibile che le fibre nervose siano dei tubetti cavi pieni di una sostanza come la midolla del sambuco." E strano che Borelli affermando una cosa che non aveva veduto, perchè gli mancavano i microscopi che abbiamo ora, siasi tanto avvicinato alla verità. Ranvier dimostrò pochi anni fa che la guaina che protegge ciascuna fibra, ha dei nodi e degli stringimenti che formano degli spazi come nelle canne o nel sambuco; e questi spazi sono pieni di una sostanza liquida o quasi liquida che chiamasi mielina. La mielina è come un inviluppo che serve a proteggere ed isolare il filamento centrale che chiamasi cilindro dell'asse. E gli strozzamenti che ha scoperto nei nervi il Ranvier, servono ad impedire che le sostanze liquide le quali entrano a comporre il nervo producano un' alterazione del nervo stesso col loro spostamentoRANVIER,Leçons sur l'histologie du sistème nerveux. Paris, 1878, pag. 131. Tom. I.. Da ciò vediamo che col paragonare il nervo ad un ramo di sambuco Borelli ha indovinato il vero. Poscia Borelli soggiunge Opera citata, p. 58.: "Dobbiamo imaginare che le cavità spongiose delle fibre dei nervi siano sempre piene fino alla turgescenza di un succo, o spirito che proviene dal cervello. E come vediamo in un intestino pieno di acqua e chiuso alle due estremità, che se una delle sue estremità viene compressa, o leggermente percossa, subito la commossione e la percossa, si manifestano all' estremo opposto dell' intestino, in quanto che le parti fluide che stanno contigue disposte in lungo ordine l'una accanto all'altra, dando un impulso e percuotendosi l'una coll'altra, diffondono il moto fino alla parte estrema; così qualunque leggera compressione o colpo od irritazione fatta nel principio dei canalicoli delle fibre nervose che esistono nel cervello si diffonde sino ai muscoli." Per dimostrare come nell' azione del nervo sul muscolo, non vi sia un impiego grande di forza e che basta una causa minima per produrre la contrazione, egli dice che dobbiamo rammentarci che il contatto leggerissimo di una piuma nelle narici, o nell' orecchio o nella gola, può produrre delle contrazioni e delle convulsioni molto forti nei muscoli dell' organismo. Ciò che Borelli tentava di indovinare, o forse aveva veduto confusamente, ora possiamo osservare facilmente e con maggior evidenza nei muscoli degli insetti, che mettiamo viventi sotto il microscopio. Facendoli contrarre si vede partire dal punto dove il nervo tocca il muscolo un ingrossamento che percorre la fibra muscolare a guisa di un'onda, la quale si propaga verso le parti del muscolo che sono più lontane dal nervo. Sono passati due secoli, e dobbiamo confessare che in questa parte della fisiologia si è fatto poco progresso, perchè non sappiamo ancora dire con sicurezza quale sia l'intima natura del processo nervoso. Parlando del meccanismo col quale noi eseguiamo dei movimenti volontari, Borelli diceProposizione XXIV, pag. 59.: "Nella quiete profonda e nel sopore degli spiriti animali noi non possiamo comprendere l' esistenza di un atto volontario, né la passione della facoltà sensitiva, ma è necessario che nel cervello si agitino questi spiriti per una qualche mozione locale, come lo esige l'indole della loro virtù a muoversi. Noi possiamo quindi comprendere come i succhi del cervello agitati dagli spiriti, o per mezzo di una trasmissione di movimento, o per un acredine pungitiva irritino e solletichino le origini dei nervi." Se questo modo di esprimersi del Borelli per spiegare i movimenti volontarii, può sembrare oscuro, nessun fisiologo oserebbe fargliene rimprovero, perchè anche oggi non sappiamo dire nulla di più intelligibile. L'origine dei movimenti volontari è sempre stato lo scoglio maggiore della fisiologia, e disgraziatamente è un problema così importante che devono occuparsene tutti e specialmente i filosofi. Darwin parlando dei movimenti involontari, diceCH. DARWIN, The expression of the emotions, pag. 39: "è probabile che alcune azioni le quali si eseguirono prima colla coscienza, siansi per mezzo dell'abitudine e dell'associazione trasformate in movimenti riflessi e che ora siano fissati e divenuti ereditarii nel sistema nervoso. Sarebbero dunque i movimenti automatici dei movimenti che prima erano prodotti dalla volontà e dopo cessarono di esserlo". Tale è il concetto che sostiene anche Spencer, nei suoi Principii di psicologia H. SPENCER, Principes de Psychologie. Tome II, pag. 608.: ma Borelli aveva già formulato questo arduo problema quasi colle stesse parole che adoperano i filosofi moderni. "Non è impossibile, dice Borelli, che sia stata un'azione volontaria quella che ora si fa per abitudine, e noi che non avvertiamo più di averla voluta, crediamo di non volerla. Così è dei movimenti del cuore che nulla osta si compiano senza l'assenso della volontà, e malgrado che non li vogliamo. Noi vediamo del resto che molti altri movimenti delle estremità che senza dubbio cominciarono ad esegnirsi sotto l' impero della volontà, ora si fanno senza che ce ne accorgiamo, e qualche volta anche senza che lo vogliamo " Opera citata. Prop. LXXX. Tomo II, pag. 158. Di questa proposizione del Borelli dovettero occuparsi i filosofi spiritualisti e combatterla, perchè Borelli alterava il concetto ortodosso della volontà, e ne attribuiva una parte anche ai movimenti del cuore, dicendo: "il movimento del cuore si fa dunque per una facoltà, senziente ed appetente non per una ignota necessità, organica". Come si vede, si tocca qui ad uno dei più gravi problemi della filosofia. L'abate Antonio Rosmini rimproverando al Borelli di aver confuso il principio sensitivo coll' anima razionaleA. ROSMINI Psicologia. Libri dieci, pag. 192., disse che in questa, dottrina del Borelli "si può vedere l' origine del moderno sensismo".

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Io non so se l'amor suo per l'Italia fosse rimasto sempre così grande da desiderare che qui avessero pace le sue ossa, o se l'intolleranza religiosa di quei tempi gli abbia negato il riposo che ognuno spera di trovare nella terra dove è nato. Cosimo dei Medici fece condurre con grandi onori la sua salma a Firenze e le spoglie dell'immortale fisiologo riposano in San Lorenzo sotto la cupola grandiosa della cappella medicea, vicino ai monumenti con cui Michelangelo rendeva immortali le tombe di quei principi benemeriti delle scienze e delle arti. Un giorno sono stato a visitare la tomba di Stenone nei sotterranei di San Lorenzo: per giungervi bisogna passare sulla pietra che copre le ossa di Donatello, il grande maestro del verismo nell'arte. Di fronte vi è la cripta di Cosimo padre della patria, e a destra contro un pilastro una lapide dice:

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Basta che uno digerisca o dorma male o faccia qualche eccesso, perchè subito la curva cambi non solo per la durata del lavoro, cioè per il numero delle contrazioni ma nel tipo stesso della sua curva, così che uno che abbia una curva come quella del professor Aducco, può sotto l’ influenza di cause debilitanti, dare una curva che rassomiglia a quella del dottor Maggiora. Le differenze si riferiscono non solo alla quantità del lavoro meccanico ed alla figura della curva, ma anche al tempo che è necessario al ristoro dei muscoli, così che dovrà aspettarsi un tempo più lungo del normale perchè il muscolo si reintegri nella sua forza. Vedremo cioè che dopo un esaurimento della forza due ore non bastano più, ma ci vorrà un tempo più lungo per dare nuovamente una curva normale. Una differenza notevole nella forza si produce col cambiare delle stagioni: di questo mi convinsi con ripetute esperienze sopra il professor Aducco nel quale il calore della state modifica d' assai la nutrizione del suo organismo. L'esercizio, di tutte le cause che modificano le condizioni del corpo, e quello che aumenta di più la forza dei muscoli. Lo vediamo nel tracciato 10 del professor Aducco, che è quasi lungo il doppio del precedente, perchè qui fa 80 contrazioni, e la loro altezza totale è di 2m959 -. Questo tracciato fu scritto mentre il cilindro si moveva più rapido che nel tracciato della figura 7 : perciò le linee sono alquanto più staccate l’ una dall'altra: ma il ritmo delle contrazioni è sempre di due secondi. Il lavoro meccanico compiuto in questo tracciato per esaurire la forza dei muscoli flessori del dito medio è di chilogrammetri 8.577. Vediamo cioè che dopo un mese di esercizio fa

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