Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Galateo ad uso dei giovietti

183795
Matteo Gatta 16 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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A riuscire in ciò bisogna avere quella storia o novella bene raccolta nella mente e la parola pronta, sicchè tu non abbia a incespicare, a indugiarti, nè ti convenga tratto tratto dire: « Come si chiama colui ? - Aiutatemi a dirlo.... » o simili cose che nuociono e all'interesse e al calore del racconto. Ometti le circostanze inutili, usa parole chiare e appropriate se vuoi essere inteso e non frainteso, e fuggi i vocaboli meno che onesti per loro significato o pel suono. Tieni a mente i nomi delle persone e non scilinguare e balbutire lungo tempo per rinvenire una parola; e mentre sbadigli, non continuare il discorso. In generale, cui manca lingua spedita e buona voce non dev' essere troppo voglioso di cinguettare. Non istà bene alzar la voce a guisa di banditore, ma neanche si dee parlare così piano che chi ascolta non oda. Ragionando in crocchio o in conversazione, astienti dalla pompa dell' arringare: nè con ciò voglio dire che tu ti avvezzi a favellare come il pescivendolo e la lavandaia. Alcuni hanno il brutto vezzo di soffiar le gote e prostendersi sconvenevolmente, mandando fuori un suono inarticolato che ricorda il raglio dell' asino quando si voltola per terra. Altri invece, favellando, dimenano il capo, torcono la bocca, sputano in viso a coloro coi quali ragionano, e muovon le mani come se ti volessero cacciar via le mosche. Abbiamo già toccato altrove della noia che recano i parlatori eterni, quei malcreati che non vorrebbero mai concedere agli altri di avviare un discorso e di continuarlo, e tirano avanti imperterriti come nave col vento in poppa, mentre il più delle volte colla loro fastidiosa loquacità non sanno che abborracciare vecchie e insipide cicalate. Altro gravissimo incomodo di una conversazione è il favellare, o, dirò meglio, il gridare di molti insieme. Si assordano le persone, non s' intende nulla, o si afferrano malamente le idee. Quando non c' è verso di ottenere che i battoloni e gli interruttori lascino agio ai più discreti di aprir bocca, meglio è tacersi fino a che i loro polmoni non abbian più fiato. È bene astenersi anche dall'allegrezza troppo rumorosa: e se ne guardino le donne, più ancora che gli uomini; giacchè se riesce amabile il loro dolce sorriso, lo sghignazzare sguaiato sganghera sconciamente la bocca e deforma anche il volto più bello e più aggraziato. Gli estremi sono sempre viziosi; è sentenza che non fallisce: e quindi spiacciono in società quei sornioni che non dicono mai una parola; perchè, oltre al commettere la mancanza di frodare del loro contributo la conversazione, la quale è come un desinare, una merenda, dove ciascuno paga il suo scotto, danno materia al sospetto ch' essi, con occhi di lince e non certo benevole intenzioni, stieno spiando ogni parola, ogni atto, la più lieve scappatella per farne soggetto d' ingiuste o troppo severe critiche. E le più volte il sospetto è fondato. Infatti un celebre matematico francese che aveva codesta cattiva abitudine di ascoltare e guardare, senza aprire mai bocca, interrogato del perchè rimanesse così muto, rispose: « Sto osservando la vanità degli uomini per ferirla all' occasione. » - Tante grazie! Se non avete altro movente per condurvi in società, potete restare a casa vostra. » Anche l' irritabilità e la ruvidezza sono due brutte magagne che guastano facilmente la festività dei sociali convegni. L' uomo irritabile s' inalbera per un nonnulla; vede un'offesa nella più piccola negligenza, forse in un titolo involontariamente dimenticato; quindi cipiglio, contegno freddo, ira mal celata, e l' allegria della conversazione sparisce. Il ruvido poi non fa buon viso a nessuno, e volontieri dice di no ad ogni cosa; non sa grado nè di onore nè di cortesie che gli si facciano; ricusa ogni proferta; non si piace nè dei motti nè delle piacevolezze.... Quanti difetti! quante pecche! quante occasioni di sdrucciolare in atti d' inciviltà e di mala creanza! Figliuoli e figliuole mie, badate di camminare, come si dice, con piede di piombo: tesoreggiate de' miei suggerimenti, richiamate spesso alla memoria gli esempi coi quali ho creduto bene di avvalorarli, se desiderate essere posti nel novero delle persone costumate e gentili. Ed ora mi piace soggiungere qualche parola sul contegno della padrona di casa; e però questa conclusione è dedicata alla parte femminile del mio buon uditorio. La padrona di casa è l' anima, il brio, la guida della conversazione, la quale, senza una donna di garbo, non mi sembra nemmeno possibile. Se ella ha le doti necessarie per adempiere al proprio ufficio, la vedete piena di affabilità e di grazia rispondere ai saluti, alle domande di tutti e, direi quasi, moltiplicarsi. Non vi sfugge uno sguardo che essa nol vegga; non formate un desiderio che non l' indovini ; non proferite parola che non ascolti; non v'ha persona ch' ella dimentichi. Se scorge rannicchiato in un angolo un giovine che per timidezza sta muto, essa gli volge con sorriso di confidenza una domanda, e così gli fa rompere il ghiaccio e lo incoraggia a prendere parte ai ragionamenti degli altri. Se avvedesi che il discorso di alcuno comincia ad annoiar la brigata, gli scambia destramente il soggetto. Il vostro avversario vi stringe e v' incalza con tali argomenti che siete lì lì per soccombere ? ed ella, per risparmiarvi l' umiliazione della sconfitta, corre in vostro aiuto con una celia che muta faccia alle cose. Vi sfuggì di bocca una parola che alcuno potrebbe pigliare in sinistro senso? ed eccola farsi innanzi a spiegare dirittamente la vostra intenzione. Cadeste per inavvertenza in uno sbaglio che può riuscirvi di danno? la sua presenza di spirito vi cava ben tosto d' imbarazzo. Voi non ardite aprire una lettera urgente che vi è ricapitata in conversazione ? Ella ne chiede per voi agli astanti il permesso. Volete uscire, e non osate ? Ella vi rimprovera la soverchia delicatezza che vorrebbe indurvi a trascurare i vostri affari per riguardo a lei e agli amici. Insomma, senza pretendere di dominare sulla conversazione, sa dirigerla in modo che vi regnano sempre il buon accordo, la cortesia, la gaiezza, l'amenità. Ella si guarda bene dal mostrare predilezioni o preferenze: ma se voi avete fatta una bella azione che la vostra modestia non vi consente di rivelare, la gentile signora, che la conosce con isquisita delicatezza, in piena conversazione rende il meritato omaggio di lode al vostro cuor generoso....! Ed eccovi abbozzato con rapidi tocchi il tipo di una brava ed amabile padrona di casa.

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Perdita della tranquillità dell'animo, stantechè il giuocatore, abbia propizia od avversa la fortuna, è sempre in uno stato di eccitamento morboso, in preda all'ira, al rimorso, ad una sete di oro che lo consuma. Perdita di quei beni che dovrebbero servire all'onesta agiatezza della famiglia, alla educazione dei figli. Perdita della reputazione e, quasi dissi, della ragione; perchè il giuoco trascina al delirio delle ubbie superstiziose, degli errori più grossolani del volgo, fa credere a misteriose influenze sulla vincita o sulla perdita, e soffoca ogni elevato sentimento di delicatezza e di dovere. E sventura che vi abbiano anche oggigiorno luoghi aperti a siffatti giuochi, sopratutto in alcuni stabilimenti di bagni in Germania. Baden-Baden ha in tale proposito una infausta celebrità. Di giorno, di notte, brillano i mucchi d'oro sui verdi tappeti: e intorno si affollano immobili, taciturni o imprecanti gli avidi giuocatori. Non abilità, non passatempo, ma fremito febbrile; e arbitra la fortuna, cioè il caso. Talvolta quel silenzio, in cui non s'ode che il tintinnio del denaro, è rotto da un forte scoppio: gli è un colpo di pistola. Che avvenne ? Un demente o, se più v'aggrada, un infelice, del tutto rovinato, per disperazione si bruciò le cervella. Era nel fiore della virilità; forse marito e padre! Ma da questo lugubre spettacolo passiamo a più lieto soggetto, ai giuochi di società, i quali offrono il doppio vantaggio di rompere la noia dello stare troppo a lungo seduti e di tenere in esercizio il corpo. Sono quindi graditissimi ai giovani, e con ciò non voglio dire che anche persone mature non possano e non debbano prendervi parte. Ho veduto padri e madri e nonni e nonne dilettarsi e ridere di cuore nelle lunghe serate d'inverno e d'autunno con questi giuochi innocenti. Ve n'ha poi alcuni che offrono l'opportunità di mostrare acume d' ingegno, buona memoria, prontezza di spirito, e in conseguenza vi è un tantino solleticato anche l'amor proprio. Una gran parte del diletto sta nella penitenza: e qui bisogna usare delicati riguardi, non imponendone mai di quelle che offendono la civiltà o la decenza o il pudore femminile. In generale, le penitenze vogliono essere accomodate al sesso, all'età, al grado ed anche all'indole delle persone. Una penitenza che, imposta ad un giovinetto, fa sbellicar dalle risa la brigata, può riescire insulsa e sconveniente in una donna. Anche in codesti giuochi va osservata la solita regola di ogni pulito convegno, di non scappar mai a dire goffaggini, trivialità e, possibilmente, nè sciocchezze, nè freddure. Un mezzo sicuro di non cadere nella noia prodotta dalla sazietà è il variarli.

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Il caffè è luogo dove non si conoscono privilegi, dove c' è perfetta uguaglianza: e siccome leggere nello stesso tempo parecchi giornali è impossibile, il galateo prescrive di accontentarsi di uno solo per volta, anche nello scopo che nessuno abbia a restarne privo. Così pure non vuolsi tener occupato un foglio oltre i limiti della discrezione, specialmente se reca notizie che stuzzicano la generale curiosità. Vanno quindi noverati tra le persone incivili coloro che, non paghi di assaporare adagio adagio dalla prima all'ultima parola un ampio diario, ne interrompono spesso la lettura per confabulare con questo e con quello, avviar dispute, dilungarsi in commenti, come se il foglio fosse di loro proprietà o non avesse a servire per nessun altro. Non tutti hanno i medesimi gusti. Quelli che, invece di squadernare giornali, si piacciono di raccogliersi in crocchio a contar novelle e trattenersi in lieto chiacchierío, se la godano pure a loro voglia: solo abbiano l'avvertenza di non frastornare chi legge con risa incomposte e clamorose, coll'alzar troppo la voce, col parlar tutti insieme. La persona educata, ponendo piede in un caffè o consimile ritrovo, fa un leggiero saluto col cappello e lo ripete nell' andarsene. Inutile dire che il saluto dovrà essere più gentile se vi hanno signore. È debito di quanti sono in caffè il corrispondere all'atto cortese.

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Vi sono certuni che per la più piccola mancanza di riguardo, per l'involontaria omissione d'un saluto, si disgustano e si arrovellano acerbamente e vanno fino a credere che tu abbia avuto l'intenzione deliberata di offenderli. Da minime cause nascono alle volte gravissimi effetti, e non furono rari i casi in cui lievi trascuranze della specie di quelle da noi menzionate produssero scandalose scene di alterchi, di provocazioni, di duelli. È vero che questa gente la quale s' inalbera per così poco e con troppa facilità attribuisce a villano e pensato proposito un' omissione, se non affatto innocente, certo perdonabile, dà prova di debolezza di spirito e di avventatezza non scevra da biasimo nei suoi giudizii, specialmente rispetto ad un galantuomo che altre volte ha dato loro testimonianza di ossequio e di devozione. Ma che volete ? Poichè molti uomini son fatti così e al postutto s' accontentano di un nonnulla, d'un saluto cortese, d'un Come state? non ci sia grave a procurar loro una compiacenza che a noi costa ben poco. L' interesse non dev' essere il movente degli atti di urbanità e di pulitezza: ma se, conservando intatto il nostro decoro e rifuggendo pur sempre dalla menzogna e dalla vile adulazione, noi possiamo con questi giovare a noi medesimi, sarebbe follia non valerci di mezzi

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I doveri fondamentali del galateo non sono un vestito di gala che l'uomo abbia ad indossare unicamente quando esce di casa. O che ? i genitori, i fratelli, i congiunti, gli amici, devono esser trattati senza nessun riguardo ? Oltre a ciò, la vita domestica è come una scuola preparatoria per condursi debitamente in società; e il fanciullo che in casa propria ha l'abitudine di commettere atti contrarii alla buona creanza, difficilmente sapra astenersene al di fuori. E poi, a stringere tutto in breve, l'uomo non deve comportarsi villanamente neppure quando si trova solo e non ha altro testimonio delle sue azioni che sè medesimo. Anche coi compagni di trastulli e di studi il bravo giovinetto non dimentica mai quei gentili riguardi che non escludono nè la schietta famigliarità nè la più cordiale amicizia. E fa di più. Chiesto di un libro, lo presta volentieri e prontamente. Se un condiscepolo è un po' tardo ad apprendere, senza fargli sentire la sua inferiorità lo aiuta del suo meglio, torna con lui sulla lezione della scuola e lo toglie d'impaccio. Se un altro, in causa di malattia, è rimasto indietro, col sussidio dei proprii quaderni e colle spiegazioni a voce fa in modo che possa raggiungere i compagni e mettersi, come si dice, in giornata. È superfluo l'avvertire che nessuno dee, neppure in ombra, menar vanto del proprio ingegno o rinfacciare ad altri la sua poca attitudine agli studi. In altro luogo vi ho posto innanzi, per esempio e per norma, certi atti che diconsi relativamente inurbani. Ora, generalizzando l'idea, tenete ben fisso nella memoria che atti e parole assumono diverso carattere dalla qualità, dal grado, dal sesso delle persone. Un consiglio che piace proferito da un vecchio sarebbe inopprtuno e ridicolo in bocca ad un giovinetto: un'osservazione adatta all'esperienza di donna matura potrebbe suonar male e porgere materia a critiche in una fanciulla: uno scherzo più che lecito alla vivacità giovanile non sarebbe sempre confacente alla dignità dell'uomo grave di anni. E così via. Insomma bisogna guardarsi principalmente dal dottoreggiare, e tener conto eziandio delle relazioni che corrono tra superioni ed inferiori. Discorrendo con alcuno non vi scappi mai detto: « Se voi asserite il vero.... » Come? questo dubbio è un'ingiuria bella e buona. Poniamo ora il piede in un terreno spinoso ; tocchiamo del parlare, della lingua da usarsi. In verità che codesto argomento scotta e, da qualsivoglia lato si consideri, non è meno importante che irto di difficoltà. L' Italia ormai non ha a formare che una sola famiglia; ma com' è possibile una famiglia i cui membri favellando non s'intendano fra di loro ? Sarebbe un fac simile della torre di Babele. Eppure, tolto il parlare toscano, il romagnuolo e in parte il veneto e il napoletano, noi abbiamo una tal selva di dialetti strani, diversi, eterocliti, da disgradarne quella di Dante. Con questo non voglio gittarli tutti nel fango, chè anzi dal più al meno ciascuno ha i suoi pregi. E a quelli poi privilegiati che, oltre ad essere straricchi, sotto la penna di valente scrittore possedono il segreto del riso e del pianto conviene far di cappello. Ma la nostra è un'altra quistione: si tratta d'intendersi. Dio mi guardi dal voler salire in bigoncia a far da maestro e a dettare la legge: vediamo invece che cosa può farsi in proposito. Gridare a tutta gola: « Italiani, non parlate che la nostra bella lingua materna, » è molto facile ; ma dal detto al fatto ci corre. I dialetti sono abbarbicati alle terre e alle popolazioni. Dunque, restando nei limiti del possibile, accontentiamoci per ora che ogni italiano intenda e sappia parlare al bisogno la propria lingua, e le scuole, l'esercizio, l'accomunarsi degli interessi e delle relazioni tra le varie parti d' Italia devono condurre indubitatamente a codesto risultato. Vi sono molti, e non appartenenti alle classi meno educate, i quali non sanno o non vogliono usare che il loro vernacolo anche in puliti convegni e alla presenza di persone d'altre città, che è gran ventura se capiscono una su dieci delle loro parole. Chi non vede lo sconcio grossolano di siffatta abitudine coll' Italia unita, con Firenze, custode e maestra della lingua di Dante per capitale ? Altri, e in gran numero, uomini o donne del così detto bel mondo, si piacciono d'ingemmare il loro discorso con una gragnuola perenne di vocaboli francesi e inglesi ; e se ne tengono come fossero eleganti parlatori. Qui bisogna distinguere come fanno gli scolastici. O trattasi di una invenzione recente, di una nuova macchina, d'una scoperta di storia naturale, e allora ci è forza indicarla col nome di battesimo che ricevette dalle acque della Senna o del Tamigi: o trattasi di cosa che ha in Italia il nome corrispondente, e allora a quale scopo usare la parola forestiera a preferenza della nostra? Io non vi farò osservazioni da pedante, ma vi metto in guardia contro una moda la quale coll'andare del tempo non può che imbastardire la nostra lingua, specialmente perchè il lungo uso fa si che una voce straniera dal parlare trafori nello scritto; e in verità si veggono certe lettere e si leggono certi stampati, originali o tradotti, siffattamente infarciti di forestierume che muovon la bile. Avvezzatevi adunque coll' esercizio, coi buoni libri a parlare e a scrivere speditamente la nostra lingua, ma la schietta, la vera, non quella di falsa lega che è privilegio degli ignoranti e consiste nell' usare parole del dialetto appiccicandovi in fine una desinenza italiana. Oggi è grande la smania di scrivere nei giornali. Vi hanno taluni che, appena lasciati i banchi delle scuole, non si peritano a entrare in una redazione qualsiasi e, con una inqualificabile sicurezza e meglio diremmo temerità, si pongono a sentenziare di politica, di letteratura di belle arti, di tutto. Un valentuomo ha detto: « Il giovane che troppo presto si slancia nella carriera del giornalismo è rovinato. » E perchè ? Perchè, fatta la rara eccezione di qualche forte e distinto ingegno, non avrà più nè tempo nè volontà d'occuparsi d'altro e resterà sempre in una cerchia secondaria con limitato corredo di cognizioni. Dunque, dato il caso che alcuno di voi, miei cari giovinetti, sentisse codesta inclinazione, abbia un po' di pazienza ; aspetti, ci pensi bene e intenda al maturo compimento dei suoi studi. Che se poi ha fermo di cimentarsi nell'arduo e spinoso arringo, vi entri colla persuasione di accingersi a un nobile ufficio e non dimentichi mai che le leggi del galateo si vogliono osservare anche nelle quistioni più ardenti e nella più franca libertà di linguaggio. Vuoi nelle discussioni di politica e delle scienze che le sono compagne, vuoi nell'argomento delle lettere, delle arti della grammatica, della musica, lo scrittore ha il diritto, anzi il dovere di rendere omaggio alla verità. Ma la stessa verità può essere o no offensiva secondo la forma di cui si veste. Le contumelie non sono ragioni, e anche il ridicolo, che è pur condimento così gustoso d'uno scritto, non è spesse volte che l'unica arma rimasta a chi ha spuntate tutte le altre. Non loderai chi non lo merita: anzi è debito del critico onesto e coscienzioso avvertire schiettamente l'autore novizio che si è posto sopra falsa via. Giudicherai con imparzialità gli artisti di teatro, d'ogni categoria, notandone i pregi e i difetti; ma non imiterai la goffa e scortese inurbanità di quel critico che, rendendo canto di una compagnia drammatica, uscì a dire: « Tolta la prima attrice, le donne ponno andar tutte all'ospitale degli invalidi; » nè di quell'altro che a proposito di un dilettante di musica il quale aveva prestato gentilmente l'opera sua in un'accademia di beneficenza, ebbe a scrivere: « Il signor tale ha stonato dalla prima all'ultima nota. » L'acerbezza dell'ironia poi non è lecita che con certi autorelli e artisti presuntuosi e incorreggibili che, lungi dal far loro pro dei consigli benevoli della critica, vere vesciche piene di vento, ostentano a suo riguardo la più fredda indifferenza o il più superbo disprezzo. L' uomo o la donna che sa di musica sia compiacente e s' arrenda subito al desiderio generale della brigata, ricreandola col canto o col suono. Ma se la persona pregata se ne scusa con qualche giusto motivo, sarebbe inciviltà l' insistere oltre misura. Vi sono due parole, convenienza e delicatezza, le quali abbracciano un gran numero di tratti urbani, di gentili uffici, e si potrebbero dire il compimento del galateo. Io ve ne metto innanzi un brevissimo saggio. Voi, poniamo, date una festa da ballo. La convenienza ci prescrive di rendere avvertiti i casigliani ai quali i suoni notturni ponno recare disturbo. Ma la delicatezza vi dice d'invitare la famiglia a cui ballerete sul capo. - Un amico ebbe una promozione, un distintivo onorifico? Il cuore vi spinge a fargliene le vostre sincere congratulazioni. Con un conoscente sarà la convenienza che vi suggerirà quest' atto di cortesia. - Un giornale ha parlato con lode di un vostro lavoro? Bisogna ringraziarne l'autore dell' articolo o, se non era segnato, il redattore del foglio. - Se vi è noto che un amico versi in gravi angustie economiche, e a voi sovrabbondano i beni di fortuna, fate di toglierlo spontaneamente e in modo delicato dalle sue strettezze, risparmiandogli la pena di domandare; e così sarà doppio il valore del servizio che gli rendete. - Il vostro cuor generoso vi muove a soccorrere un operaio e più ancora un artista in bisogno? Dategli una commissione, e la vostra beneficenza non sarà una elemosina, ma il compenso della fatica, il pagamento di un' opera. Un' ultima parola, prima di congedarmi da voi, cari giovinetti e care giovinette che mi avete accompagnato sin qui con tanto buon volere. Non pochi di voi apparterranno al ceto patrizio: ma ponetevi bene in mente che sono passati i tempi dei privilegi di casta, e che oggigiorno la vera nobiltà è posta nell' educazione, nel carattere, nell' ingegno, nella sapiente filantropia, nell' accordo della mente, del cuore e delle opere verso il bene, in quell' efficace amore di patria che pospone il proprio interesse al vantaggio dei più. Non insuperbite adunque di ricchezze e di titoli ereditati, che non vi danno diritto a nessun vanto; e però badate di non assumere una cert' aria di superiorità coi vostri compagni meno favoriti dalla fortuna, e non guardate dall' alto al basso la gente del popolo come fosse formata d' altra carne e d' altro sangue, ma trattate sempre anche i vostri inferiori di condizione con affabilità, con dolcezza, con modestia. Sapete quel che insegna il Vangelo. Di tal guisa crescerete cari a tutti, delizia e ornamento delle vostre famiglie, e coll' andare degli anni concorrerete voi pure, nei diversi uffici che sono assegnati all'uomo e alla donna, alla grandezza di questa nostra Italia, di cui avete salutato fanciulli il prodigioso risorgimento. FINE.

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così facili ed onesti ; e l'esperienza quotidiana dimostra che molti colle piacevoli e graziose maniere sanno cattivarsi la simpatia, la benevolenza di persone autorevoli, e mercè il loro aiuto salgono ad alti e onorevoli gradi ai quali il solo merito non gli avrebbe portati, giacchè pur troppo il merito in società non è sempre il titolo che abbia la preminenza.

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Nol credo: l'istinto del pudore, di questa virtù ingenita nella donna e madre di tante altre, è troppo forte in voi perchè abbia bisogno di raccomandazioni e di eccitamenti.

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Ti picchiano sulle spalle per ricordarti una cosa; ti prendono pei bottoni dell'abito onde tu non abbia a sfuggire dalle loro ugne; passeggiando s' appoggiano di peso al tuo braccio e gli danno strappate da lasciartelo indolenzito; in compagnia credono porgere bel saggio di spirito con un buffetto sul naso a questo, col dare il gambetto a quello, coll'accostare alla mano del vicino la estremità del sigaro acceso..... Non dirò nulla di que' scioperati (e non basta qualificarli con tale epiteto) che d' improvviso levano di sotto via lo scranno a chi sta per sedere, con manifesto pericolo di vederlo stramazzare supino al suolo. Codeste non sono burle, sono attentati alla salute e alla vita delle persone, e i loro autori vorrebbero essere esclusi da ogni onesta brigata. Nelle occasioni di grande concorso poi, quando, in mezzo alla folla costretta all' immobilità, tra migliaia di persone stivate non cadrebbe un granellino di miglio, fa propriamente dispetto la villania di coloro che, armeggiando di mani, di gomiti, di petto, di gambe, vogliono a forza cacciarsi innanzi agli altri per veder meglio e smentire l'antico proverbio. « Chi tardi arriva male alloggia,» credendo rimediare agli urti violenti, alle ammaccature delle vostre spalle, de' vostri piedi, di tutto il corpo, con una scusa biasciata in italiano od in francese. E trovasi anche tale che, sbadigliando, urla o ragghia come un asino; e tale che con la bocca aperta vuol pur dire e seguitare il suo ragionamento, e manda fuori quella voce o piuttosto quel rumore che fa il muto quando si sforza di favellare: le quali sconcie maniere si voglion fuggire come sgradevoli alla vista e all' udito. E dato pure che lo sbadiglio non venga accompagnato nè dal raglio asinesco nè dal mugolo di cui sopra, il giovinetto costumato farà molto bene ad astenersene per varii motivi. Anzitutto perchè non sembri gli venga a noia la brigata e gli rincrescano i discorsi e i modi delle persone che la compongono; poi perchè, quando uno sbadiglia, quasi tutti gli altri, come vi sarà occorso di notare più volte, sentono il bisogno di fare lo stesso e quindi il primo è come la causa indiretta di questo sonnacchioso e generale contagio dello sbadiglio. Il suggerimento vale pei maschi, come per le femmine: ma con voi, buone fanciulle, mi corre anche qui, come in molti punti, l'obbligo di rincarar sulla dose per la ragione che certe cose spiacenti e meritevoli di censura nell'uomo, lo sono in grado superlativo nella donna. Non è egli vero che il vostro sesso è qualificato coll'epiteto di gentile? Ebbene, dee mostrarsene degno. Mi mancherebbe forse prima il tempo che la materia se io volessi enumerarvi ad uno ad uno gli atti che offendono i sensi; ma, dopo il saggio che vi ho posto sotto gli occhi, dopo i varii e speciali esempi che ho recato, sono persuaso che avrete una norma bastante per discernere quanto la civiltà permette da quanto riprova e condanna su questo proposito. Quindi io non vi toccherò nè di rutti nè di altre peggiori indecenze che, solo a intenderle accennare, destano un senso di schifo e di ribrezzo; mi arresterò invece su certe abitudini più comuni, su certe azioni che peccano d' inciviltà e qualche volta anche di egoismo, e che vediamo commesse con troppa frequenza più per sbadataggine che per maligna intenzione. Noi le porremo sotto una sola rubrica denominandole

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V' ha di peggio: in certe case di molti pigionali, ove abbonda l'elemento femminile, al minimo rumore d'un diverbio che venga dalla scala, è un' apparizione di donne su tutti i pianerottoli dal primo all'ultimo, e uno stare in ascolto, un domandare, un ammicare degli occhi, un linguaggio di gesti significativi Ragazze mie, in qualsivoglia classe vi abbia fatto nascere la provvidenza, guardatevi bene da simili curiosità, da ogni sorta di cicalecci e di pettegolezzi; insomma, non vogliate ficcare mai nè occhi, nè orecchi, nè lingua nei fatti altrui. Altri invece peccano per sudiciume e per difetto d' ogni riguardo. Non solo non si danno briga di tener netta la scala, ma permettono che la fantesca ammucchi le scopature in un angolo del pianerottolo in aspettativa dello spazzaturaio ; che dai colmi secchielli spande acqua sugli scalini e sul pavimento, anche d'inverno, con incomodo insieme e pericolo di chi sale e di chi discende; che i male educati figliuoli si prendano il gusto di scombiccherare le pareti con figuracce, con scritte insulse o ingiuriose, e, non paghi dei necessari trastulli e delle oneste ricreazioni della loro età, facciano un baccano da casa del diavolo, quand' anche vi abbia un ammalato pel quale sia fatta in proposito raccomandazione e preghiera.. Non dico nulla di coloro che importunano e spaventano il vicinato, anche di notte, con grida incondite, con bagordi, con villani litigi; nè di quegli altri che, senza nemmeno avvertirvene, nelle prime ore del mattino turbano i vostri sonni coi lavori del falegname, del ferrajo, del conciatetti, del muratore. Passiamo a diversa categoria. Chi siede in un pubblico ufficio, sia erariale o commerciale, ha obbligo di prestarsi colla maggior sollecitudine a vantaggio de'suoi concittadini di qualsivoglia condizione. Mancano adunque insieme ai più elementari principii di urbanità e di carità quegli impiegati che tengono per ore ed ore, il povero operaio, l' inesperto popolano in aspettazione d'una risposta ; che mostrano fastidio delle loro domande non abbastanza chiare e precise; che ne respingono con brutale impazienza le petizioni per il difetto di qualche breve formalità che quei rozzi agenti dello stato o del comune o di istituti di beneficenza non si curano tampoco di suggerire. Se poi taluno di costoro, i quali dimenticano di essere pagati allo scopo di servire il pubblico e con ispeciale premura la classe meno istruita e più bisognevole d'indirizzo e d' aiuto, smarrisse le carte o le lasciasse dormire polverose negli scaffali, allora la negligenza tramuterebbesi in colpa, e colui violerebbe non più le leggi del galateo, ma le ragioni della giustizia e dell'umanità. Potrei seguitare Dio sa quanto, e mi si offrirebbero sempre nuovi esempi di mala creanza e d'inciviltà. Però il fin qui detto intorno agli atti inurbani e molesti ai sensi, alla memoria, agli altrui desiderii, può essere sufficente. Anzi, a voi, giovinetti, non occorrerà di mettere così tosto in pratica tutti gli insegnamenti che scaturiscono dalla lunga serie degli esempi recati. Voi li terrete in serbo per l' avvenire, e non dubitate che la mia lezione saldamente impressa nella memoria, vi tornerà un giorno utile e fruttuosa. È finito il mio còmpito ? No davvero. Voi stessi vi sarete avveduti che io vi ho testè fatta una estesa enumerazione di atti riprovevoli da cui deve astenersi ogni persona educata. Ma ciò non basta, ciò non costituisce che la parte negativa del galateo ; dobbiamo adunque accennare la parte sua positiva, consistente in quegli atti, in quelle gentili costumanze che tra le nazioni incivilite hanno ormai forza di legge. Noi ne faremo soggetto di discorso e di studio quando l'argomento ci condurrà a toccare delle singole circostanze in cui l' uomo e la donna ponno trovarsi in società. Per ora accontentiamoci di un brevissimo saggio. L'uomo pulito è il primo a scendere di cocchio e l'ultimo a salirvi, per agevolare agli altri la salita e la discesa. Esso ha cura sopratutto di aiutare le signore sorreggendole colla mano; e più ancora quando montano in una barca o ne smontano, stantechè il barellare del navicello rende il piede mal fermo, e la persona può facilmente perdere l'equilibrio. In una gita di piacere per monte o collina vuolsi offrir loro il braccio, sollevarle dall'incomodo dello sciallo, del cappellino, ripararle dal sole, sostenerle dove occorra un passo angusto e difficile, e compiacere al loro desiderio di calare giù per un dirupo a cogliere fiori o frutti silvestri, a bevere nel cavo della mano l'acqua limpida e fresca di una sorgente. Viaggiando in una di quelle vetture che, forse per celia e per ironia, si chiamano velociferi e, dopo l'invenzione delle ferrovie, servono quasi esclusivamente alle comunicazioni tra la città e il contado, ciascuno ha il diritto di occupare quel posto che gli è assegnato secondo l'ordine dell'iscrizione ; ma la civiltà domanda anche qui delicati riguardi, e il giovinetto prima di ogni altro dee mostrarsi gentile e cedere il posto alla signora cui ne fosse toccato uno meno cocomodo. Siccome poi vi hanno taluni che, seduti col dorso rivolto ai cavalli, non ponno reggere al moto della carrozza e soffrono di capogiro, di nausea o d'altro malore, sarebbe non solo mancanza di cortesia, ma crudeltà il non toglierli da questo travaglio. Mentre io rivolgeva a' miei giovinetti gli opportuni suggerimenti sul modo di comportarsi col sesso gentile, ho notato che la schiera delle fanciulle sorrideva di compiacenza. Certo alla donna sono dovuti speciali riguardi, ma essa pure deve meritarli e corrispondere con garbatezza, con una schietta parola di ringraziamento, con quell' ingenuo sorriso che è più eloquente della parola ; il tutto però senza affettazioni nè leziosaggini, chè di queste non vogliamo saperne. L'uomo pulito, passeggiando con più persone, lascia ad altri il posto di mezzo, come quello in cui è più facile udire e farsi udire, e non dimentica mai che la destra, per vecchia consuetudine, è posto d'onore e quindi vuolsi riserbare o cedere alle signore ed ai superiori. Giunto all'estremità del passeggio, si volge in modo da presentare non le spalle ma il viso alla persona con cui si favella. Chiesto da un forestiero di una via, di una piazza, di una locanda, non gli è grave indugiarsi un poco e con bella creanza fornirgli le indicazioni di cui abbisogna, accompagnandolo anche un breve tratto onde indirizzarlo, senza pericolo di errare, alla sua meta. Il commerciante che, oltre alla buona merce, avrà belle maniere, vedrà di giorno in giorno crescere le sue pratiche e fiorire sempre più gli interessi del suo negozio: l'avvocato, l'ingegnere e chiunque eserciti una professione liberale, colla pulitezza dei modi si acquisterà una numerosa clientela; e, a questo proposito, mi ricordo di aver inteso da parecchie signore come preferissero pagare un po' di più la stessa mercanzia in una bottega dove padroni e fattorini vi accolgono con gentile premura, che in un'altra da cui vi respingono, al solo vederle, facce burbere e modi ruvidi e bruschi. Insomma, vuoi nella fanciullezza o nella gioventù, nella virilità o nella vecchiaia, l'uomo, qual che ne sia la condizione, non deve mai somigliare nè all'istrice nè al pugnitopo.

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Ma io temerei, all'incontro, che questo precoce sviluppo, non naturale e graduato, sibbene violento e fuor di stagione, abbia a fare infelice prova e somigliare piuttosto a quelle piante che, venute su esili e tisiche per forza artificiale di stufe, non danno che frutta insipide e stentate. Ma tronchiamo la digressione e torniamo al nostro soggetto. Voi adunque, da buoni figliuoli e da buone figliuole, dimostrerete sempre colle parole, e meglie colle opere, il vostro amoroso rispetto ai genitori. Comincio dal modo di rivolgersi ad essi. Userete il tu, il voi o il lei? Ecco sul bel principio una domanda a cui non è dato fare subita risposta, un punto pel quale è impossibile stabilire una regola invariabile e generale. Abbiamo in Italia città in cui si usa quasi esclusivamente il tu; ne abbiamo altre che preferiscono il voi qual giusto mezzo tra la soverchia confidenza del tu e il troppo cerimonioso lei; ve n'ha parecchie invece dove è dominante quest' ultimo; e finalmente in alcune vediamo adoperati, quantunque in diversa misura, due dei suddetti pronomi ed anche tutti e tre. In certe cose l' uso può tutto: ai Milanesi, per esempio, non par vero che si possa chiamare il padre e la madre con quel gretto voi, che per essi non esprime nè affetto, nè riverenza, e non si adopera che cogli inferiori di ultimo grado o in tuono di rimprovero. A Brescia, a Bergamo, e chi sa in quant'altre città? è sconosciuto il lei, raro il tu, usitatissimo il voi. Concludiamo adunque col ripetere quanto abbiam detto: non si può fissare una regola generale in questo argomento, e non importa; il figliale rispetto non cangia natura nè vien meno perchè si usi il primo piuttosto che il secondo o il terzo dei modi sopra indicati. È quistione di consuetudine e di orecchio, non di galateo nè di cuore. Ai genitori tengono dietro i congiunti, i maestri e tutti coloro a cui dobbiamo riconoscenza ; la quale vuol manifestarsi non solo coi sentimenti, ma eziandio, colle gentili maniere che insegna la buona creanza. Guardati bene adunque, o giovinetto, da un contegno ruvido o freddo con chi ti spezza o ti ha spezzato il pane della mente: bada di non attestargli il tuo rispetto col toccare appena il cappello, alla soldatesca, senza neppur il riguardo di cedergli la mano diritta. E gli stessi avvertimenti rivolgo a voi, fanciulle. Guai se per una amorevole ammonizione l' Emilia facesse le spallucce, inchiodasse il mento alla fontanella della gola e tenesse il broncio alla maestra che l'ha dolcemente ripigliata pel suo meglio ! - Ad alcuni sarà parsa un'enormità che io ponessi la balia e il vecchio servitore tra le persone meritevoli di rispetto. E che? il padroncino deve trattare le persone di servizio come fossero superiori ? questo è invertire le parti, è un assurdo. Andiamo adagio: le mie parole vanno interpretate con discrezione e con giusto criterio. Non si vuol dire che il fanciullo, l'adolescente, debba far di cappello o inchinarsi agli individui sopra nominati, sibbene mostrare, anche cogli atti esteriori, la sua gratitudine alla donna che fece per lui quante la madre non volle o non potè fare, all'uomo che gli diede tante prove di affettuosa sollecitudine. Che brutto spettacolo sarebbe mai quello di un petulante ragazzo, di una bisbetica giovinetta, che abbandonandosi a incomposti moti di collera, facessero oltraggio ai bianchi capelli di codeste persone, le mortificassero con acerbi rimproveri, con basse contumelie! In generale usate rispetto ai vecchi quando anche non vi stringa nessun obbligo verso di loro ; fatelo per riguardo all'età, all'esperienza, ai prudenti consigli che ponno darvi; e badate bene di non metterne in canzone certe idee, forse un po' antiquate e non più in consonanza coi costumi del giorno. Esponete francamente le vostre opinioni, ma non mostrate disprezzo per quelle da loro enunciate. Il giovinetto che adempie scrupolosamente a questo dovere di civiltà insieme e di morale fa augurar bene della sua educazione e del suo avvenire. Vogliamo noi affermare con ciò che tutti i vecchi sieno meritevoli di stima e di rispetto? No; pur troppo ve n'ha alcuno che disonora sè stesso con falsi principii e con biasimevole condotta ; ma noi tocchiamo della regola, non delle eccezioni. Se vi trasportate col pensiero ai tempi della vita patriarcale, voi vedete che il capo della famiglia, della tribù, era il più vecchio. Lo stesso dicasi di tanti popoli selvaggi, antichi e moderni. E, a meglio raffermare le vostre idee su questo proposito, vi narrerò un esempio tolto dalla storia greca che fa proprio al nostro caso. La repubblica di Sparta, di cui era stato legislatore Licurgo, insieme con molte strane, rozze e semi-barbare leggi, ne aveva una lodevolissima, sancita e radicata da virtuosa consuetudine, ed era quella che imponeva rispetto e venerazione ai vecchi. La repubblica d'Atene, che per coltura teneva il primato su tutte le altre città della Grecia ed andava superba e gloriosa del nome d'un gran legislatore, Solone, aveva istituzioni civili e politiche assai migliori, ma nessuna legge che prescrivesse come un sacro dovere al cittadino il rispetto ai vecchi. Ora avvenne che, mentre in questa ultima città si dava un solenne spettacolo, un vecchio giunse troppo tardi, e siccome tutti gli scanni erano occupati dalla folla, per quanto cercasse di qua e di là, non gli riuscì di trovare un cantuccio ove sedersi. I giovani ateniesi non si curarono punto del disagio del povero vecchio, anzi fu detto da alcuno che godevano del suo imbarazzo e si divertivano a rimandarselo l'un l'altro. Ma gli ambasciatori di Sparta, i quali, formalmente invitati allo spettacolo, avevano un posto più elevato e distinto, accortisi dell'irriverente contegno della gioventù ateniese, fecero cenno al vecchio di avvicinarsi, si restrinsero un poco e il vollero seduto in mezzo a loro.

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Anzi nel caso che alcuno si faccia a sostenere un assurdo e un falso principio, ripugnante alla logica ed al buon senso, avrete il diritto e qualche volta il dovere di combatterlo con sode ragioni, con calma, con maniere modeste, in guisa che il vostro avversario non abbia a restarne offeso. E così operando, vi riuscirà assai più facilmente di persuaderlo e d'indurlo a riconoscere il proprio errore. I modi villani, anche avendo un migliaio di ragioni, vogliono essere sbanditi, perchè non servono che ad irritare chi è di contraria opinione, e un vecchio proverbio dice: « Chi grida ha torto. »

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Questi atti poi sono doppiamente biasimevoli quando si commettono alla presenza del sesso gentile; e la ragione è troppo evidente perchè abbia bisogno di essere posta in chiaro. Quella rozzezza che è figlia dell' ignoranza, principalmente nelle campagne, senza intenzione di offendere, suol dire lo storpio, il guercio, lo zoppo e perfino il bastardo, ad indicare questo e quello, e non badando neppure a designarli e a chiamarli, anche presenti, con codesti nomi che suonano infortunio. Il bastardo ! Ricordare così a un povero derelitto che per l'altrui sventura o fallo o snaturatezza è solo nel mondo! A questo proposito, non potrò mai dimenticare le parole che udii proferire da uno di questi esseri infelici dell' età di cinque anni. In un piccolo diverbio tra esso ed una fantesca ignorante, questa uscì a dirgli: « Figlio di nessuno! » - « Non ne ho colpa io, » rispose il bambino. Bada bene, o giovinetto, di non ferire la corda dell'amor proprio femminile, quasi sempre più sensibile che quello dell'uomo. Perciò con donna che abbia varcata la prima gioventù non parlare mai di età, e non ricordare nessuna circostanza che possa mettere gli altri sulla via d'indovinarne presso a poco gli anni e persuaderli ch'essa ne conta più che non ne dimostri. Se la gioventù è cara anche all'uomo, quanto maggiormente non dev'esserlo alla donna! Che questo argomento dell' età adunque suoni sgradito al sesso gentile, non ha a recar meraviglia, e tanto meno se non pochi anche del forte provano una gran ripugnanza a confessare i loro anni e ne ascondono parecchi. Come in tutto, abbiamo anche in tal proposito qualche rara eccezione: vi sono alcune donne che, pur passata l'età dei quaranta, non si peritano a declinare la cifra dei propri anni e usano festeggiare il loro dì natalizio. E voi, mie brave fanciulle quando sarete giunte a quel tempo, farete assai bene ad imitare codesti esempi, che non esito a chiamar di coraggio e, per poco non dissi, di muliebre eroismo. L'amor proprio si risente con maggiore o minore vivacità, secondo il carattere degli individui, se negate ad un uomo o mettete in dubbio le qualità inerenti e necessarie alla professione o all'arte sua. Se voi mostrate di trovar falso il metodo di educazione seguito da un istitutore, voi fate grande offesa al suo amor proprio, stantechè il vostro giudizio gli toglie quel merito a cui s'appoggia la reputazione che gode, gli niega quell'attitudine e quel criterio che sono il fondamento della sua professione di educatore. Ditegli che sa poco di astronomia e punto di calcolo infinitesimale, ed esso non vi baderà più che tanto. Il contadino che intende da voi come egli non conosca niente affatto le ragioni dei fenomeni fisici non dà segno di offendersi, ma resterà mortificato e scontento se gli farete rimprovero d'ignoranza in materia di agricoltura. Volete vedere una crestaia montar sulle furie? Affermate che i suoi cappellini mancano di buon gusto e di grazia. Uno stipettaio, un armaiuolo farsi rossi di collera e di risentimento? Ponetevi a sostenere che le suppellettili e le armi di Francia e d'Inghilterra sono più perfette delle nostrali. Lo stesso ragionamento fate per tutte le professioni, per tutte le arti, per tutti i mestieri; giacchè ciascuno si crede e pretende d'essere creduto abbastanza esperto nell'arte o nella professione che esercita. Anche l'età entra in codesto soggetto. Il vecchio a cui si fa accusa di non aver pratica nè degli uomini nè della vita, che si vede arrogantemente redarguito e contradetto da un giovine imberbe in cose che egli dee conoscere e realmente conosce meglio di lui, grazie all'esperienza che è il frutto degli anni, sentesi giustamente ferito nell'amor proprio ed ha la ragione di rimbeccare e di ridurre al silenzio il presuntuoso e malcapitato saputello. Tra le più gravi offese all'amor proprio notiamo quella di volgere la faccia altrove per non corrispondere al saluto di una persona male in arnese, e l'altra di propalare il segreto di un sussidio ricevuto da quell'indigenza che ha bisogno di nascondere i suoi cenci sotto le apparenze d' una miglior condizione. Vi sono atti inurbani che insieme coll'amor proprio offendono anche l'onore, cioè quanto l'uomo ha di più prezioso; ma questi appartengono a un ordine di idee e di fatti che non sono del nostro libro. Ve n'ha altri la cui convenevolezza o sconvenevolezza dipende dalla diversa qualità delle persone. Un uomo maturo potrà dare il ganascino al giovinetto che conosce fin dall'infanzia, ma questi non dovrà mai permettersi altrettanto coi più vecchi di lui. Non parrà disdicevole che un principe, in segno di benevolenza, ponga la mano sulla spalla d'un veterano, e che questi alla sua volta usi lo stesso atto confidente col giovine coscritto. Il figliuolo mancherebbe al rispetto che deve a' suoi genitori, pigliandosi con essi la libertà di uno scherzo che è lecitissimo coi fratelli e cogli uguali. Per la ragione adunque enunciata in principio e spiegata dagli esempi, questi atti si dicono relativamente inurbani, stantechè assumono diverso carattere dalle diverse circostanze che gli accompagnano. Dicemmo altrove che il galateo è maestro di bella creanza per tutti i momenti della giornata, per tutte le occasioni in cui l'uomo si può trovare. Vediamo adunque partitamente come ilgiovinetto debba contenersi a mensa, in conversazione, a teatro e così via. Cominciamo dalla prima.

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Prima di ogni cosa badate di non porvi a tavola che colle mani ben nette e le unghie tagliate, nèmettetevi a sedere fino a che il padrone o la padrona non vi abbia assegnato il vostro posto. E dato pure che questo vi fosse già indicato, aspettate che prima di voi siedano lesignore, le persone di riguardo e i padroni di casa. Non vi ponete nè troppo addosso alla tavola nè troppo discosto; sedete colla persona diritta e in modo naturale e disinvolto, badando che i vostri gomiti non abbiano a incomodare i commensali vicini. Non li appoggiate mai sulla tavola, mafate riposare sull' estremità di questa le giunture delle mani. Spiegate il tovagliolo in guisa che i vostri abiti non possano esser macchiati dalle vivande e che vi sia pronto ogniqualvolta vi occorrerà di pulirvi la bocca e le mani. È atto incivile, specialmente in compagnia, il soffiare sulla minestra per raffreddarla: vuolsi aspettare un poco prima di cominciare a mangiarla, dimenandola intanto leggermente col cucchiaio. Non affrettatevi a presentare il vostro tondo, quasi per far conoscere che volete esser serviti poi primi; ma attendete, senza dar segno d'impazienza nè accompagnare coll'occhio il piatto comune, che venga la vostra volta. Quando vi si porge il piatto, pigliate quel pozzo che si presenta pel primo e non andate in cerca del miglior boccone, il che sarebbe gravissima inciviltà, e tanto più ove sono signore o persone la cui età o il grado vuole speciali riguardi. Non è bene riempirsi le mani di pane, ma dovete accostare alla bocca con due dita quella piccola porzione che vi occorre al momento, astenendovi dal brutto vezzo di mangiare la crosta prima della mollica. Nè avete a mangiare con troppa fretta, perchè ciò dinota avidità e fa anche male allo stomaco; nè troppo lentamente, per non recar noia agli altri, i quali, per pulitezza, dovranno attendere che abbiate finito il vostro tagliuolo prima di distribuire altra vivanda. Non rimpinzate la bocca di troppo cibo: e se mai inavvertitamente vi accade di farlo, guardatevi bene dal parlare a bocca piena, per non disgustare chi vi guarda e chi vi ascolta. È inciviltà, anche in casa propria, pigliare il sale o il pepe colle dita: quel pizzico che vi ùoccorre prendetelo col piccolo cucchiaino adatto a tal uso; e se in tavola non ci fosse, colla punta del vostro coltello, dopo di averlo ben ripulito. Nè metterete il naso sul bicchiere o sul piattello d'altri o vostro per fiutare; nè terrete il viso inchiodato sulla vivanda senza mai levarlo; e parimente avrete cura di non lordare le mani, la tovaglia, il tovagliolo, come fanno alcuni, i quali con questo non si vergognano di asciugare il sudore e di nettarsi il naso. Non toccate vivanda che col coltello o colla forchetta. Non prendete bocconi troppo grossi che gonfino le gote e deformino il volto; nè sorbite brodo o vino in modo che ne senta il gorgoglio; nè divorate, come suol dirsi, a quattro ganasce, con pericolo anche di offrir l'apparenza d' uomo che affoghi e di dover buttar fuori gli occhi dall' orbita pel soverchio cibo accumulato nell'esofago: cose tutte indegne di persona educata e che destano schifo e ribrezzo, Non dite mai nulla intorno alla qualità dei cibi, se sieno buoni o cattivi o mal preparati, eccetto che dal padrone foste richiesti del vostro parere; nel qual caso avrete sempre a rispondere in modo che gli sia gradevole. Se vi accadesse di trovar nelle vivande qualche sporcizia, come capelli o carboncini, traeteli fuori con tanta destrezza che nessuno abbia ad avvedersene, e non come in atto di mostrarli ai vicini. Non dovrete gittar per terra cosa alcuna, nè ossi, nè gusci d'uova, nè scorze di frutta, ma riporrete tutto quello che non si mangia sulla estremità del vostro tondo. Niente v'ha di più disgustoso che il vedere una persona, la quale, mangiando, si lorda le mani, che tocca la vivanda o la salsa colle dita, e poi se le accosta alla bocca per leccarle. Schivate adunque tutte queste cose che sono disdicevoli al sommo; e badate altresì che non vi si vegga colle labbra unte e bisunte, ma abbiate cura di asciugarle e pulirle di spesso, anzi ogni volta che ciò vi parrà conveniente, non che necessario. Non bevete mai colla bocca piena e senza averla prima pulita, ciò che pur farete subito dopo bevuto; nè riempite il vostro bicchiere in guisa che vi sia pericolo di spanderne il vino. Non bisogna bere nè troppo adagio nè troppo in fretta, nè sorseggiando, nè facendo colle labbra uno strepito simile a quello dei bambini che poppano. E, mentre bevete, non girate gli occhi di qua e di là sopra le vivande e molto meno sopra i commensali, ma tenete fisso lo sguardo sul vostro bicchiere. Se siete invitati a bere alla salute di alcuno, a fare un brindisi, toccando vicedevolmente le tazze, conformatevi alla costumanza, facendo prontamente e lietamente quel che fanno gli altri. Sarebbe inurbanità e grettezza il restar muto, immobile, in mezzo a questo slancio generale di allegria, tanto più se oggetto del brindisi è il padrone o la padrona che vi ha gentilmente convitato; ed io vi ho ripetuto più d'una volta che la vera pulitezza consiste nel far ciò che torna gradito agli altri. Durante il pranzo, non guardate mai, neppur colla coda dell'occhio, ciò che il vostro vicino ha sul piattello, quasi per sapere se egli fu meglio servito di voi. Nè dovrete manifestare il vostro desiderio di aver piuttosto quel pezzo che l'altro della vivanda, salvo il caso che ne foste richiesti, e che la vostra età e la gran dimestichezza coi padroni non vi dessero la permissione di rispondere in conformità al vostro gusto particolare. Ma ricordatevi di non ricever mai nulla da chicchessia senza ringraziarlo, inchinandovi, più o meno, secondo il grado della persona, col capo. Ponete poi la massima cura nel tagliar la vivanda sul vostro piattello, per non imbrattare il vicino o voi medesimi colla salsa o con qualche pezzetto di cibo o con altro. Ma in un convito non basta guardarsi dagli atti incivili: fa d'uopo essere disinvolti; mostrare educazione finita, gentilezza, buon umore; prevenire i bisogni dei nostri vicini, e maggiormente se sono signore; offrire e versare acqua, vino; accostar la saliera, sporgere un piatto; rispondere prontamente alle domande, farne alcuna, condire il discorso con qualche opportuna celia ; insomma comportarsi in guisa che la nostra compagnia riesca piacevole e ai commensali vicini e a tutti gli altri. L'ultima cosa che vi raccomando su questo soggetto della maniera di starvene a tavola è la sobrietà, cioè di non mangiare nè bere fuor di misura, a segno di dar nell' occhio ai convitati e risentirne incomodo. La natura, che ha bisogno di rinfrancarsi col cibo, mise in noi un sentimento di soddisfazione nell' atto di mangiare, anche per stimolarci a non trascurare questo bisogno essenziale dell'esistenza; ma insieme ne avvisa colle malattie prodotte dall'intemperanza, cioè dall' eccesso del mangiare e del bere, che noi dobbiamo essere sobrii. Vi ho testè spiegato il senso della parola sobrietà. Le indigestioni pel troppo mangiare portano gravissimi incomodi al nostro corpo, e, causa le relazioni che passano tra il fisico e il morale, anche lo spirito si trova in uno stato di abbattimento e di prostrazione. Dunque, regola generale: comandare alla gola e non lasciarsi vincere dalla tentazione di odorose leccorníe e di squisite delicature. Vi raccomando altresì di non bere oltre il bisogno. Già conoscerete il proverbio che dice: « Il vino è il latte dei vecchi e il veleno dei giovani. » Vino e liquori in troppa quantità mettono il fuoco nel corpo, infiacchiscono l'animo. ùChi nell'età giovanile ne abusa, coll'andare degli anni si fa beone, e diventa per lui un'abitudine quel turpe vizio dell' ubbriachezza, in cui l'uomo affoga la facoltà sublime che lo distingue dal bruto, la ragione. Guardatelo: non ha peranco varcata la virilità, ed è già rotto di salute, ottuso di mente, paralitico. Osservate invece quell'altro che conta più anni di lui, ma ebbe sempre a regola indefettibile la sobrietà; esso gode di verde vecchiezza, robusto di corpo, sereno di spirito, contento di sè, utile e caro ai concittadini, agli amici. La maggiore difficoltà nel resistere alle tentazioni della gola voi la incontrerete in un pranzo d' invito, ove tutto abbonda, dove le molte o varie vivande sono condite in maniera da aguzzar l'appetito, o dove la letizia dei commensali, ravvivata dalla eccellenza dei vini, può far dimenticare le abitudini di sobrietà e di temperanza. Ma la vostra moderazione sarà ancor più lodevale al cospetto di tante e così forti attrattive. E poi tenete ben fisso nella memoria che so la nostra ragione qualche volta è facile ed indulgente, la natura non lo è mai: e quando taluni ci dicono: « Oggi ci è permesso di stare allegri oltre il solito », e noi abusiamo di questa, imprudente, o meglio, chimerica permissione, la natura ci castiga con quelle malattie che sono la conseguenza degli abusi. Non fraintendete però i miei consigli, nè tirate le mie parole a un senso falso. Raccomandandovi la sobrietà, non intendo dirvi che in un giorno di comune allegrezza abbiate a camuffarvi da anacoreti, trasformandolo, per quanto è da voi, in un giorno di penitenza e di malinconia. Tale contegno sarebbe in aperta contradizione coi più elementari insegnamenti del galateo. Delle molte cose dette nella precedente lezione alcune sono generali e applicabili a qualsiasi mensa, altre riguardano specialmente i pranzi d'invito. Ma, quantunque sembri ch' io abbia in certo modo posto il suggello a codesta materia colla soluzione intorno alla sobrietà, mi nasce il sospetto di aver lasciata qualche lacuna. E i tanti e diversi atti d' inciviltà che tuttogiorno, colpa in gran parte la trascuranza o la troppa indulgenza dei genitori, si veggono commessi da fanciulli e da giovinetti in buone famiglie, mi persuadono della necessità di soggiungere, a guisa di appendice e come giunta sulla derrata, poche altre avvertenze che valgono per tutti i casi ; alcuna delle quali dirette particolarmente ai più teneri di età fra i miei ascoltatori e a quelli che per la prima volta sentono parlare di siffatti doveri. Ed eccomi all'opera. Rompete sempre il pane colle mani o col coltello, nè mettetene mai alla bocca tal pezzo che abbiate a distaccarlo coi denti. Non istritolate coi denti nè ossi nè nocciuoli, chè ciò fa ribrezzo e ricorda il mangiare dei cani. Non succhiate gli ossi per estrarne il midollo, nè addentateli per istaccarne la poca carne che vi rimane. Ciò s'ha a fare sul proprio tondo, colla forchetta e col coltello. È gran villania anche al desco di famiglia, l'intingere nella saliera un boccone che si vuol condire a proprio gusto. Guardatevi dal mettere il vostro cucchiaio o la forchetta nel piatto comune o d'altri che vi offra parte di vivanda non tocca. Non porgete mai a nessuno ciò che voi avete assaggiato. Non riponete sul piatto comune quello che fu sul vostro. Non lasciate cader d'alto alcun che di bocca, nè sputate fuori acini d'uva succhiati o altro; ma tutto va preso colle dita e posto sul piattello. Se per vostra negligenza o per la qualità delle vivande vi trovate unte le dita, non le pulite colla tovaglia, sibbene col tovagliolo o con mollica di pane, che porrete sul vostro tondo. Fate il possibile per astenervi a tavola da sputare, da tossire e più da starnutire, onde alla mente d'alcuno non si affacci l'idea di qualche spruzzo, giusto il proverbio che «mai vento non fu senz'acqua.» Anche grattarsi il capo a tavola sta male. Che dire poi di que' malcreati che si fregano colle dita o col tovagliolo i denti, e per pulirli adoperano forchetta e coltello? A quest' uopo serve l'apposito stecco: però non vuolsi usarne dinanzi a persona di riguardo, nè tenerlo sempre in bocca a somiglianza d'uccello che faccia il nido. Non porgete mai ad altri quel bicchiere di vino al quale avrete posto la bocca, salvo che egli non fosse con voi più che domestico. E molto meno si deve porgere pera o altro frutto nel quale avrete dato di morso. Abbiate cura a mensa di masticare senza strepito, cosa molto spiacevole ad udire e contraria ad ogni gentil costume. Nè in palese sta bene risciacquarsi la bocca; e la sconcia moda introdotta, or fa qualche anno, alle tavole signorili di portare ad ogni commensale una ciotola d'acqua tiepida a quest'uso è ormai smessa quasi del tutto per generale riprovazione. Non può essere lecito che intingere nell'acqua le estremità delle dita, e con quelle passar sulle labbra. In quanto all'ora opportuna per recarvi alla casa dove siete invitati a pranzo o ad altro qualsiasi convegno, guardatevi bene, o giovinetti, dall'imitare quegli ineducati che si fanno sempre aspettare e sono l' indugio, lo sconcio, il disagio di tutta la compagnia. Rispetto ai discorsi poi, ricordatevi che nè a festa nè a tavola si vogliono raccontare malinconiche istorie, nè far menzione di malattie, di pestilenze, di morti, nè di altra dolorosa materia: anzi, se alcuno fosse sbadatamente caduto in siffatte rammemorazioni, è bene scambiarli per acconcio modo la materia e mettergli per le mani più lieto è più convenevole soggetto. In certe famiglie di città, e più ancora del contado, i padroni, nei calori dell' estate, insisteranno, con una cordialità schietta, sebbene un po' spinta, perchè abbiate a spogliarvi del soprabito innanzi di mettervi a tavola. Io vi consiglio di ringraziarli della premura, ma non di arrendervi mai a cotesto invito. Siffatta libertà, a mio giudizio, è appena permessa tra amici, e soli uomini, in un'osteria di campagna, sotto il bel verde di una pergola o di un frascato. Nè venite a dirmi che anche in città, e non in bettola ma in buone osterie, avete visto persone della classe civile in manica di camicia. Eh, miei cari, in società se ne vedon di crude e di cotte. Vi hanno certuni che all'osteria, in sala comune e presenti signore, non solo si cavano il soprabito, ma si tolgono la cravatta, il panciotto, rimboccando le maniche della camicia fino al gomito, e mostrando le braccia nude e il petto irsuto, come operai che sudano alla fucina o contadini sotto la sferza del sole. E v'hanno altri che non si accontentano di ciò, ma usano del tovagliuolo per quell'indecente ufficio di tergere il sudore del quale abbiamo toccato più sopra, e se ne servono come di pezzuola pel naso e di spazzola per le scarpe polverose e per nettare il bocciolo del sigaro. Vedete che sporcizie! Eppure ne avrei molte ancora da mettervi innanzi, e potrei dirvi come alcuni puliscono le unghie in pubblico collo stecco e commettono altri atti villani e ributtanti a chiunque abbia dramma di educazione. Ma usciamo da questo fango, e il saggio recato basti a persuadervi che della società non hassi a imitare che il buono e l'onesto. Io vi ho ragionato a lungo sul modo di contenersi a mensa, specialmente in casa altrui, e su questo punto il mio cómpito sarebbe finito. Tuttavia, per le ragioni più volte allegate, non credo fuor di proposito dir quattro parole anche intorno ai doveri di quei che convitano; e sarà, come tante altre, una lezioncina da tenere in serbo per l'avvenire. Anzitutto sarebbe mancare ad ogni principio di pulitezza e di convenienza raccogliere alla stessa tavola persone che si veggono di mal occhio, che sono in aspra lite, oppure divise da freschi rancori o da vecchi dissidii. Ciò non è da farsi che nell'idea di suggellare una riconciliazione già preparata, e in questo caso il pensiero meriterebbe le lodi di tutti gli animi onesti e gentili. Nè il riunire al medesimo desco uomini di opinioni politiche diametralmente opposte è senza pericolo: stantechè nelle quistioni che valgono su tali argomenti anche le persone più gravi e più educate si lasciano talvolta trasportare fuori dai confini della calma e dignitosa discussione. Non è conveniente far aspettare troppo tempo i commensali già raccolti per la ragione che ne manchi alcuno. L'incivile in ritardo non dev'essere causa d'incomodo altrui. Voglionsi però eccettuare due casi: l'uno, quando si aspettano forestieri pei quali è dato il pranzo; l' altro, quando un convitato ragguardevole abbia fatto sapere alla padrona il grave motivo del suo involontario ritardo, e questa ne presenti le scuse alla compagnia. Però non è mai lecito oltrepassare i limiti della convenienza e della discrezione, e chi è sorpreso da subito impedimento può con bel garbo scusarsi del suo non intervenire al convitto, senza recar noia e disagio a nessuno. Sarebbe stranezza peccare di parsimonia, ma non potrebbe piacere neanche una sontuosità esagerata a paragone del censo di chi invita. Sfoggiare un lusso principesco con una rendita non corrispondente gli è un mettersi in ridicolo, fare il passo, come suona il motto popolare, più lungo della gamba. Spiacciono poi sommamente certi padroni strani, bizzarri, meticolosi, che non trovano mai nulla fatto a loro modo, e non rifinano di lagnarsi del cuoco, di sgridare fanti e fantesche al cospetto altrui e a mensa, che è luogo di allegria. Tu chiami gli amici a letizia, e invece li rattristi: poichè come gli agrumi che altri mangia alla tua presenza a te pure allegano i denti, così il vedere che altri si adira, turba anche noi. Il padrone dev'essere il primo a mostrarsi di buon umore, a diffonderlo come corrente elettrica nei convitati; e la padrona dee spandere intorno il tesoro delle sue grazie e del suo spirito. Colle sole persone molto famigliari e domestiche, o con inferiori visibilmente troppo timidi può correre il costume di stuzzicarli a mangiare, quando però si faccia con discrezione; chè altrimenti sarebbe una cortesia ben incomoda quella di costringere un galantuomo a rimpinzarsi di cibi contro sua voglia e a buscarsi una buona indigestione. Siffatta insistenza notasi principalmente nella campagna, in quei banchetti per nozze, per messe nuove, per sagre, nei quali la moltiplicità e la quantità enorme delle imbandigioni ricordano i pranzi degli eroi omerici e renderebbero necessarii i loro stomachi di ferro. Per chiusa di questa lunga lezione, volgo una parola speciale a voi, mie buone fanciulle: prestatemi dunque orecchio. Delle tante rac comandazioni, dei tanti suggerimenti, che avete udito testè dalla mia bocca, io sono persuaso che una parte sia quasi superflua per voi giacchè l'istinto della decenza e del pudore che si sviluppa così precocemente nell'animo vostro è come una salvaguardia che vi rattiene dal commettere non pochi atti contrarii alla buona e bella creanza nei quali cadono facilmente i maschi. Ma, per converso e quasi a bilanciar le partite, certe mancanze che con più larga indulgenza si perdonano a questi, non si vogliono vedere nelle fanciulle, e sono con assai maggiore severità giudicate. Qual'è la causa di tale diversità di pesi e di misure ? È forse una ingiustizia del sesso forte contro il più debole? Nemmeno per celia. La ragione è questa: che siccome il sesso gentile ha diritto ad ogni delicato riguardo, così ha pure l' obbligo di serbar sempre il sentimento d'ogni delicatezza e di non fare il minimo atto che anche impercettibilmente offenda la dignità femminile. Eccovene un esempio: dopo un pranzo, spiace il vedere un giovinetto che, avendo ascoltato più i consigli della gola che quelli della moderazione, si sente aggravato il ventricolo, non dice parola, o pallido e sofferente si lascia cadere sur una seggiola, se pur non gli avviene di peggio...; ma quanto non dispiace di più una fanciulla che si trovi in simile stato! Lo lascio dire a voi stesse, mie care. Un ragazzo che in un dì di festa e d'allegria si mostri un tantino brillo potrà venire scusato pel caso eccezionale, per non essere abituato a vini generosi, e spandere anche il buon umore nella brigata. Ma d'una fanciulla io non vorrei che in nessuna circostanza si possa dire: « Ha bevuto un po' troppo, il vino le ha fatto male. » Anzi il mio consiglio sarebbe di non bere che acqua pura o vino corretto. Dunque, mie buone ascoltatrici, imprimete nella memoria quegli insegnamenti che fanno per voi come pei maschi, e tenete conto di queste ultime osservazioni che in modo particolare vi riguardano.

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