Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Una peccatrice

249797
Giovanni Verga 5 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
  • UNICT
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. - Mi permetta, signora contessa R***, - disse il barone con il garbo di un uomo di società, - che abbia l'onore di presentarle il signor Pietro Brusio, il giovane autore di cui le feci parola. Pietro s'inchinò in silenzio, mentre la dama originale l'esaminava con tutta flemma, attraverso gli occhiali, dal capo alle piante e gli faceva i complimenti d'uso. Anche Narcisa esaminava il nuovo arrivato con una curiosità che andò a finire nella maggior sorpresa. Ella stentò a riconoscere il giovane incognito che a Catania incontrava ad ogni passo, divorando degli occhi il suo sguardo, e che passava le notti sul marciapiede dirimpetto alla sua casa, in quel giovane che le stava dinanzi colla fronte nobile, quantunque solcata dalle febbrili emozioni della creazione, e dai delirii sublimi del pensiero; coi lineamenti sbattuti dalle fatiche del lavoro, dalle lotte ardenti dell'idea, che aveva sentito immensa, colla forma, che spesso non sentiva abbastanza. Egli avea l'occhio brillante della confidenza che dà la giovinezza e l'avvenire, quando si affaccia ridente; il suo vestito irreprensibile sviluppava la forte e maschia eleganza del corpo; si presentava con tutta la grazia di un abituato alle più aristocratiche riunioni. Ciò che più di ogni cosa servì a farglielo riconoscere, meglio che l'altiero portamento della fronte, ch'egli non avea saputo rendere grazioso in quel momento come il sorriso a cui aveva forzato il suo labbro sdegnoso nel presentarsi alla contessa R***, fu questo: La contessa gli parlava con la famigliarità che dà la parentela del genio, e gli stringeva la mano. Il cerchio degli ammiratori di lei gli si affollava d'attorno, e lo guardava con occhio invidioso. Tutt'a un tratto ella lo vide diventar pallido come un cadavere, e dirizzarsi sulla persona con un movimento macchinale che non seppe padroneggiare; e ciò fu quando il barone (che era rimasto al suo fianco frapponendosi tra di lui e Narcisa) si allontanò. Pietro aveva veduto la contessa di Prato, alla quale il sottotenente dirigeva un complimento ch'ella non ascoltava. Brusio rimase un momento immobile, senza poter parlare, cogli occhi, che si erano fatti di una sorprendente lucidità, fissi su quelli di lei, mentre una leggiera convulsione faceva tremare sul suo labbro superiore i baffi castagni. La signora R***, che gli parlava in quel momento, fu sorpresa di non avere risposta, e lo guardò con curiosità. Pietro staccò quasi con isforzo gli occhi da quelli di Narcisa, che lo fissavano col loro sguardo limpido e chiaro, per volgerli all'ufficiale che anch'esso lo guardava sorpreso, arricciandosi le basette. Egli fu freddo, distratto, impacciato tutto il tempo che rimase a discorrere colla donna celebre. Quando questa gli parlava dello splendido avvenire che la riuscita della sua produzione l'autorizzava ad aspettarsi, rispose tristamente: - Forse, signora contessa, giammai in tutta la mia vita potrò compiere un lavoro come quello che scrissi in otto giorni, e al quale il publico ha avuto la bontà di fare buon viso. - È sola modestia che le fa dir ciò? - No, signora; forse è presentimento. - Bisognerebbe, in tal caso, non ammettere questo dramma come parto del suo ingegno, ma piuttosto... - Del cuore? - interruppe il giovane: - sì, signora! - Ella ha ragione: in un momento di passione si possono oprar miracoli che parrebbero impossibili a tentarsi un minuto dopo. Pel bene del suo avvenire voglio augurarmi che tale non sia il suo Gilberto. - Chi lo sa?... E lo sguardo del giovane, che s'inchinava per allontanarsi, incontrò quello di Narcisa fisso su di lui con un'espressione che dimostrava più della semplice curiosità. Si ordinavano le coppie per un valtzer; e l'ufficiale venne a presentare il suo braccio a Narcisa, che vi abbandonò il suo corpo flessibile, splendida di tutta la sua strana bellezza; coi capelli, intrecciati di perle; cadenti sulle spalle bianchissime e vellutate; col bel seno anelante sotto il velo ed il merletto che lo copriva; col suo sorriso indefinibile sulle labbra, e gli occhi che, senza esser brillanti, avevano un'onda di voluttà nei loro raggi. Ella si avanzò lentamente, mollemente, come immedesimandosi al corpo dell'uomo a cui si accompagnava, con un inimitabile movimento del suo collo da cigno, quasi le perle e i fiori che s'intrecciavano ai suoi capelli, e il volume di questi fossero troppo pesanti per quella piccola testa; presentendo nello sguardo sorridente e scintillante tutto quel torrente d'impetuose voluttà che il valtzer, questo ballo degli innamorati, dovea darle; come appoggiando tutti i delicati tesori del suo corpo al braccio del suo cavaliere per trarne quella foga d'esaltazione che la musica, l'eccitamento, il contatto del corpo dell'uomo elegante doveano darle. Nulla varrà a riprodurre, ad accennare soltanto, l'impressione voluttuosamente affascinante di quel corpo leggiero da silfide, che librava, direi, le ali coll'espressione del suo sguardo, per abbandonarsi a tutto il trasporto di quel ballo. Le coppie cominciarono a girare; la musica eseguiva il Bacio di Arditi. Dopo il primo giro, quando la contessa si fermò, anelante, come cullandosi al braccio del suo splendido cavaliere, sfiorandogli un'ultima volta il viso cui suoi capelli; colle guance accese, il petto anelante, gli occhi umidi di languore e di piacere, incontrò un altro sguardo, umido ancor esso di una indicibile espressione d'angoscia e quasi di cruccio, che brillava su di una fronte alquanto calva e pallida di una spaventosa pallidezza. Ella fissò un lungo sguardo su quello che si fissava su di lei. - Vogliamo ricominciare? - le susurrò all'orecchio l'ufficiale passandole il braccio - attorno alla vita da bajadera. - È inutile... mi sento stanca... Non ballo più... Ella cercò cogli occhi un'altra volta quello sguardo supplichevole e nello stesso tempo minaccioso: era scomparso - Oh! questo Bacio! questo Bacio!... avrò da sentirlo dappertutto... - mormorava Pietro delirante scendendo le scale. - Domani ai Fiorentini si darà un dramma che ha fatto furore, a quanto si dice; avrete la compiacenza di accompagnarmivici? - domandò Narcisa al marito. Questi s'inchinò in silenzio. L'indomani infatti, alle 9 e mezzo, la contessa, che non si ricordava di essere entrata in teatro a tal ora, era in un palchetto di seconda fila sul proscenio: Il sipario non era ancora alzato e la sala era affollatissima. La contessa recava in mano un magnifico mazzo di viole bianche che posò sul parapetto insieme all'occhialetto. Il dramma fu recitato in mezzo ad una di quelle ovazioni che sembrano strappate agli spettatori quando l'autore ha saputo scuotere tutte le corde dei cuori colla sua mano potente: era una di quelle opere spontanee, tutte di un sol getto, che sono belle perchè sono vere, che sono inimitabili perchè sono semplici e comuni. Narcisa rivide quel giovanetto che passava le notti sotto i suoi veroni; lo rivide nel protagonista di quel dramma, con tutti i suoi fremiti d'amore e i suoi disinganni disperati; ella sentì che quel dramma parlava di lei, era scritto per lei, in tutte quelle sfumature di rimembranze che l'accennavano ad ogni passo... L'ufficiale, che avea battuto le mani quando l'aristocrazia aveva applaudito, osservò con sorpresa che ella rimaneva indifferente alle sue sollecitudini, tutta assorta in quel Gilberto che ad ogni parola destava in lei una reminiscenza e le svelava quale amore quasi sopranaturale avea saputo destare. Nel mezzo della scena che l'avea commossa dippiù, ella, coll'ispirazione improvvisa e adorabile della donna leggiera e capricciosa, s'era tolto dal dito un magnifico anello di brillanti e l'avea legato al nastro del mazzetto. Alla fine del second'atto l'autore, chiamato fragorosamente dal publico, venne sulla scena. Egli non ebbe che uno sguardo, in mezzo al turbine di quegli applausi frenetici, in mezzo all'agitazione di quella folla che si levava gridando il suo nome, in mezzo all'inebbriamento di quell'ovazione quasi delirante: uno sguardo che andò a posarsi su di un palchetto di proscenio al second'ordine. Egli vi vide la contessa... verso della quale si chinava sorridendo il biondo giovanotto dalla brillante divisa di ufficiale degli usseri. Pietro dimenticò quegli applausi, quelle corone che gli cadevano ai piedi, quei fiori che lo coprivano come in un nembo, quelle acclamazioni al suo nome; egli non badò più neanche ad un mazzo di viole bianche che gli era caduto ai piedi dal palchetto di Narcisa e che avea raccolto, per fuggire come un delirante, come un uomo che teme d'impazzire, poichè tutti questi applausi non potevano dargli quello sguardo ch'era venuto a cercare sino a Napoli, che avea voluto comprare a prezzo delle ispirazioni del suo genio, e che avea visto rivolto sul giovane sottotenente. La folla chiamò invano replicate volte l'autore. - Che ne dite del dramma? - domandò la contessa all'ufficiale, dopo l'ultimo atto, approfittando del tempo in cui il conte era uscito per fare ordinare la carrozza dal jokey che aspettava sul corridoio. - Molto bello, in verità; e anche assai applaudito. - E dell'autore? - Che volete che ne dica?... ch'è un autore come tutti gli altri; - soggiunse colui con il supremo disprezzo degli uomini di spada. - Eppure quest'uomo è celebre! - aggiunse la contessa avvolgendosi nella sua vespertina di cachemire bianco. - Sarà anche questo. - Sento che amerei quest'uomo come una pazza! - esclamò Narcisa punta dal freddo motteggio del suo vagheggino, colla viva schiettezza del suo carattere mobile ed impetuoso. - Confessate almeno che questa franchezza è odiosa!... - rispose ridendo il sottotenente, poichè non sapeva se dovesse prendere la cosa sul serio, sebbene l'espressione affatto nuova della contessa gli desse molto a pensare. - Ha però sempre il merito della franchezza! - replicò con tutta flemma Narcisa: - quest'uomo io l'amo... poichè la sua celebrità è opera mia!... opera di cui posso andare superba! ... Partite per la guerra, signore, a farvi uccidere per me o a ritornare generale d'armata, e allora... ma allora soltanto... forse... io vi amerò come sento che amo in questo momento quell'uomo! - Signora! - esclamò l'ufficiale coi denti stretti, facendosi pallido. - Non mi accompagnate sino alla mia carrozza? - disse senza scomporsi Narcisa, dandogli la busta dell'occhialetto da recarle nel momento che suo marito rientrava nel palchetto. Brusio era ritornato a sua casa agitatissimo, e passò la notte senza dormire. Ella! Narcisa! avea assistito al suo trionfo, avea palpitato dei suoi sentimenti, gli avea gettato quel mazzetto che avea fatto appassire a furia di baci!... Ma ella non era sola!... quel giovane, quel soldato, sì giovane, sì bello, sì splendido! che le parlava sì da presso... che le sorrideva in quel modo!... Tutt'a un tratto i suoi diti incontrarono l'anello che era legato al mazzo; un dubbio atroce lo fece impallidire: quei fiori, che la donna adorata avea lasciato cadere su di lui, invece di essere l'espressione della simpatia non dimostrava piuttosto uno di quei volgari applausi, uno di quegli splendidi regali con cui si paga l'abilità di un istrione?... Quest'idea lo martellò a lungo; e l'indomani, ancora sotto questa impressione, scrisse il seguente biglietto a Narcisa - sarcasmo pungente ed amaro velato dalla forma più delicata:

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Pietro Brusio, l'uno dei due (ricorriamo al pseudonimo per questo come per quasi tutti i nostri personaggi, viventi ancora la maggior parte e molto conosciuti) è, come abbiamo accennato, un giovanotto alto; di circa 25 anni; alquanto magro, ciò che non impedisce che abbia delle belle forme, le quali sarebbero più eleganti, se avesse il segreto, come l'hanno molti, di saperle fare spiccare; ha i capelli assai radi, di un castagno molto più chiaro di quello dei suoi pizzi e dei baffi; pelle bruna; occhi piccoli e vivissimi; labbra alquanto grosse e sensuali; narici larghe e dilatantisi sempre più alla minima aspirazione del suo carattere impetuoso; piedi e mani piccolissime in rapporto alla sua statura. Nell'assieme figura energica e maschia, che può avere anche i suoi riflessi di bellezza, messa sul suo piedistallo, nella sua giusta luce, al suo posto insomma. È un giovane quale se ne incontrano molti in Sicilia: sangue arabo in vene andaluse: orgoglioso come un Cyd egli non dissimula menomamente le sue pretensioni di superiorità, che nulla sembra autorizzare nel suo esteriore. Vivo ed impetuoso come tutti i meridionali, egli scenderebbe sino alla lotta di piazza pel minimo sguardo un pò dubbio che s'incrociasse col suo. Natura generosa del resto, elevata, con molte aspirazioni al superiore, troppo nobile forse per trovarsi in contatto colla società del giorno senza risentirne gli urti, egli passa colla maggior facilità dall'estrema confidenza nella sua stella, nel suo avvenire (poichè egli avea dato due o tre drammi al teatro di Siracusa, dei quali si era parlato il giorno dopo soltanto, o non si era parlato affatto) allo scoraggiamento massimo, alla disillusione più completa di tutti quei sogni rosati, che pur riempiono un gran vuoto, rispondono ad un gran bisogno in quell'età in cui il cuore e l'immaginazione vivono anch'essi la loro vita. Il compagno che gli passeggiava allato è molto più piccolo; biondo, piuttosto grasso; uno di quei caratteri che non servono sovente ad altro che a far spiccare una individualità superiore a cui si accompagnano, di cui sentono e subiscono l'influenza come un satellite. Raimondo, il biondo, ha però il merito di essere come il compimento del carattere infiammabile, sovente del soverchio, del suo amico. Egli non ha la superiorità d'ingegno di lui, ma molta maturità di giudizio, ciò che lo fa ragionare calmo ed assennato, ed impedisce a Pietro di commettere mille pazzie, poichè Raimondo ha la voce dolce ed insinuante ed il carattere conciliativo; sembra infine che l'ardente carattere dell'amico suo subisca a sua volta l'influenza della pacata indole di lui. Entrambi appartengono a due buone famiglie di Siracusa. Raimondo è già laureato in medicina da quasi un anno, e Pietro studia legge per studiare qualche cosa che non gli rendesse soltanto strette di mano dei comici, che per altro si misuravano dal numero dei rinfreschi offerti e mai rifiutati, e qualche applauso, assai freddo, della platea, che avea il valore di un biglietto gratis. Abbiamo insistito, forse di soverchio, su questi dettagli fisici e morali, d'uso per alcuni, per noi resi indispensabili dalla necessità, che abbiamo peculiare, di far sentire, diremmo, i caratteri che presentiamo prima di agitarli nelle scene di un racconto intimo. Scopriamo sin dal principio il meccanismo, per non attirarci la taccia, poscia, di aver fatto agire delle marionette, da chi non ne vedesse il filo motore ch'è il cuore. Cinque giorni dopo, all'ora solita, noi incontriamo i due amici, che passeggiano, colla stessa sbadataggine, sotto gli alberi de Rinazzo; l'uno, il biondo, chiacchierando quasi sempre solo; il suo compagno col capo basso e le mani dietro le reni. - Mio caro, - diceva il biondo, guardando l'amico negli occhi in aria di malizia, - risponderai almeno questa volta a quella piccina? - Io? - rispose bruscamente Pietro, come destandosi di soprassalto, - e perchè fare? - Bella risposta! che pure non avrebbe avuto l'opportunità, di venir fuori oggi, se tu l'avessi data a te stesso il giorno, o piuttosto la sera, che ti venne in mente di accalappiare colle tue commedie quella poveretta. - Credo che tu abbi ragione in quanto alla risposta; e che tu dica una bestialità, ciò che fai spessissimo, in quanto a quello che mi vai cantando di accalappiamenti e di poverette... - Pietro... - Lasciami tranquillo, ti dico!... Ci credi sul serio dunque che a quest'ora Maddalena, la piccina, come la chiami, pianga e si disperi perchè non le scrivo più, perchè la sera, onde aspettarla sotto il verone, non rischio più di farmi gettare delle immondezze sul capo da qualche serva maligna, che finga di non vedermi, e perchè non do più lo spettacolo ai vicini, che si mettono ad origliare dietro le imposte, di quelle freddure che si ricantano sempre sullo stesso tuono: buona sera; come stai? mi ami sempre? non quanto me... ecc. ecc. poichè le varianti sono pochissime!! ln fede mia che ne ho abbastanza di tali amori da quindici anni!!.. se mi avesse permesso di salire un momento sulle scale... pazienza!... - Sì, Pazienza per altri otto giorni! la sarebbe finita come tutte le altre... Eppure ti assicuro che se tu l'avessi veduta piangere come io l'ho veduta; se ella ti avesse abbracciato i ginocchi come li ha abbracciati a me, per indurti ad andarla a vedere, a scriverle almeno... se tu avessi udito le parole ch'ella mi diceva!... - Parola d'onore! - esclamò sghignazzando Pietro, - che tu ne sei innamorato cotto. Va, Raimondo, amico mio, tu farai il tuo cammino, coi tuoi ventidue anni, i tuoi capelli biondi, e il tuo volto fresco e roseo. Il biondo prese quegli scherzi come li prendeva sempre, dalla parte che lasciano ad un uomo di spirito, ch'è quella di riderne pel primo, e riprese: - Se così fosse, confessa che mi saresti molto obbligato di averti sbarazzato di una noia, senza i ritornelli soliti di traditore, Iddio è giusto, ecc. Pietro ne rise esso pure, e strinse con effusione la mano del suo amico. - Sentimi, caro Raimondo; - diss'egli alquanto gravemente; - io non son di quelli che dicono: fo così perchè così fanno gli altri. Mi sento troppo superiore a questi altri per seguirne l'esempio. A diciott'anni è permesso credere ancora all'amore, alla fedeltà, alla donna tipo, eroina, come impastocchiano gli sfaccendati nei romanzi... A ventiquattro (è desolante quello che dico, ma non è men vero) si è scettico come lo scetticismo, quando cento volte si sono ascoltate le più appassionate proteste, fatte colle lagrime agli occhi, dalla donna che ha in saccoccia la lettera del rivale. - É curiosa! - interruppe Raimondo. - Che cosa? - Come ti hanno guastato i romanzi di Sue; tu, accannito avversario dell'esagerazione della scuola francese, e che ora mi copii sì bravamente l'Uomo stufo a ventun'anni, lo Scipione del Martino il Trovatello... - Non copio io! - disse Pietro quasi con asprezza; - ti dico soltanto quello che penso. Ti dico anche che darei qualche cosa del mio avvenire per possedere ancora le illusioni sì care de' miei diciassette anni... Tu conosci la mia vita, Raimondo!... Ti ricordi di una giovanetta che amai alla follia... Che fece quella giovanetta per la quale avevo pianto... ne ho vergogna anche a pensarci... pianto dinanzi a te... come un fanciullo... come un vile?! ... Ella m'ingannò per un mercante; poi; poi per un nobile, per un uomo ammogliato... E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poichè temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poichè s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi... Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita... Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora... e le espressioni appassionate di lei, che egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore... In seguito amai una fanciulla... pura siccome un angiolo: come direbbe il il signor Darmont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti... Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei... Scesi persino alle puerilità del collegiale... passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa... Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso... E dopo questo, dopo innumerevoli esempi, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più averi fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto o giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolare di primo anno? - Ti rispondo colle tue parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione. - Può essere anche questo; - rispose sorridendo il giovane; - del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio. Infine vuoi una parabola per convincerti? - Fuori la parabola! - Ecco! - e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero. Acceso il foglietto, cominciò accenderne tranquillamente il sigaro. Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali. - Hai veduto? - gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro. - Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia. - È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura piú di cenere di carta, o biglietto amoroso... o sigaro regalia. Spero di farmi nome almeno coi proverbi... giacchè non l'ho potuto con opere di maggior lena... Ma guarda laggiù, imbecille!... - Che c'è? - Cospetto!... la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa! - È vero. - Che donna... Perdio!... - Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando... - Non ho parlato di maraviglie. Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il suo pardessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pince-nez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole. Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide, o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava. - Hai udito che bella voce! - esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; - all'accento mi parve torinese... lo adoro tutto il Piemonte in questo momento... - Eppure veduta dappresso non è bella... - È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti. Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce cha sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suo magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poichè rubato a Dio, della sua beltà... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poichè non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e di incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poichè sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena... - To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?... - lo! - rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, - sei pazzo! - Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero. Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

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Ho assistito al più strano duello ch'io abbia veduto, ed ho l'onore d'assicurarle che me ne intendo un poco di questi giochetti. Tutto questo mi autorizza a creder poco nelle sue parole, in questo momento, e molto nella sua discrezione e nella sua modestia. - Signore! - E che!... forse che andiamo in collera perchè vengo a recarle i ringraziamenti della contessa. - La signora contessa nulla mi deve e nulla ha a ringraziarmi. - Stamattina, molto prima di partire pel Vomero col conte, ho veduto un biglietto così concepito in sostanza: Io non mi ritratterò, ma posso assicurare la signora di Prato che non le ucciderò il marito: Se la contessa avesse avuto la bontà di cedermi per un quarto d'ora quel biglietto, come io ne l'avea pregata, non avrei avuto la sfortuna, a quest'ora, di esser sì poco creduto. Brusio arrossì impercettibilmente e chinò la testa. - Ella ha letto questo biglietto?... - disse esitando. - Letto propriamente no; poichè è stata la contessa che ha avuto la bontà di leggermelo. Pietro respirò. - Ebbene? - Ebbene! io so tutto... La contessa istessa mi ha tutto rivelato! - aggiunse con enfasi napoletana l'interlocutore di Brusio. - Ella?!... - La prego di credere, prima di farsene le meraviglie, ch'io ho l'onore di trovarmi molto innanzi nell'amicizia della signora contessa di Prato, e che ella ha la bontà di mostrarmi tutta la fiducia... Non so se ella m'intende... - Non molto, veramente. - Eppure è sì chiaro! - aggiunse il vecchietto con un sorriso malizioso. - È adorabile quella contessa!... peccato che lei non abbia la fortuna di conoscerla intimamente... - Me ne rincresce di cuore. Sicchè?... - Sicchè ho saputo dalla Valderi, ieri sera, - seguitò colui, assumendo completamente l'aria misteriosa e gonfia del vecchio ganimede che si crede sicuro del fatto suo, - che lei, signore, ha voluto, non so perchè, rimandare alla signora un mazzo che questa le avea gettato sul proscenio la sera che si rappresentava il suo ***; cosa che il conte ha preso in mala parte, per cui n'è seguito lo scontro di stamattina... Quello di più delicato, che la contessa non volle, non seppe nascondermi, è che ella stessa avesse fatto pregare lei, signore, di venire ad un accomodamento, onde il sangue non fosse sparso per una causa sì futile; e le venne risposto con quel biglietto ch'ella mi lesse. Pietro sorrise involontariamcnte nel vedere la pazza persuasione e le galanti pretensioni del vecchietto. - La contessa, - seguitò colui, - ed io stesso non avevamo capito perfettamente quello che volessero dire quelle parole: Alla signora contessa di Prato posso assicurare che il conte, suo sposo, non correrà alcun pericolo: e che la sua nobile condotta di stamattina ha spiegato intieramente. Nella mia premura di presentarmi alla Prato con qualche cosa che le fosse gradevole, io son corso a ringraziar lei di cuore, a stringerle la mano per la contessa o per me, essendo sicuro di prevenire il desiderio della signora. - Mi permetta di farle osservare che questa sicurezza è, per lo meno, molto arrischiata. - Per bacco! dopo aver veduto Narcisa agitata, come ieri sera l'ho veduta; dopo che stamane prima di partire con suo marito, ella mi fece chiamare misteriosamente... segretamente, capisce?... per scongiurarmi colle più calde preghiere, colle lagrime agli occhi, chè facessi di tutto onde venire ad un accomodamento, non c'è bisogno di gran sale in zucca per capire che la contessa dev'essere contentissima dell'esito fortunatissimo di questo affare (poichè, scusi, ma la sua ferita al braccio non può chiamarsi una disgrazia) e che io, dopo aver fatto il possibile per venire all'aggiustamento che ella mi raccomandava, vada ad annunziarle di aver accomodato benone le cose, o aver perfino ringraziato lei. - Sarei dispiacentissimo però, signore, ove ella, senza volerlo, le avesse reso un servigio che sarà male accolto dalla signora. - Male accolto!?.. e perchè? - Giacchè il conte n'è uscito illeso, cosa deve importare di me, di uno sconosciuto, a quella signora? E come dovrà accettare che lei vada a dirle: Ho stretto da parte vostra la mano a quell'uomo che ha avuto la scortesia di rifiutarvi un sommo favore (poichè non è provato ch'io abbia risparmiato il conte) e che è andato a scaricare la sua pistola contro il petto di vostro marito? ll vecchietto rimase un momento confuso, come colpito da quella riflessione; ma poco dopo riprese vivamente, quasi trionfante: - No, no! son sicuro del fatto mio. Lei non conosce la bell'anima di Narcisa; ella sarebbe desolatissima se il minimo accidente le fosse accaduto... L'ho udita con questi orecchi esclamare, torcendosi le braccia: Mio Dio! se quel giovane morisse... per me!... - Ella ha delle questo?! - esclamò Pietro quasi fuori di sè... - Ma sì! Diavolo... che c'è? Le reca sorpresa che una donna abbia paura del sangue che potrebbe venire sparso per cagion sua? - Al contrario... È che... in tal caso... essendo sicuro... essendo certo di rendere a lei un servigio... di farle un buon ufficio presso qella signora... io le darei un attestato di quanto ella ha fatto per scongiurare il pericolo di questo duello... di come ella si è adoperato per far piacere alla contessa... - Mio amico! mio caro amico! - esclamò colui, abbracciandolo; come le ne sarei grato!... - E se lei crede che due righi potrebbero esserle utili presso la signora di Prato... - Ella è la bontà in persona, ed io le sono devotissimo anima e corpo. Senza aspettare che il suo interlocutore fornisse il compito dei suoi enfatici ringraziamenti Pietro si appressò al tavolino da albums, aprì una cartella che conteneva foglietti da lettere, e scrisse: «Un'uomo che ha molto a farsi perdonare dalla signora contessa di Prato, sarebbe fortunatissimo ove ella volesse indicargli un'ora della giornata in cui potesse venire ad implorare questo perdono ai suoi piedi». Piegò il foglio e fece mostra di rimetterlo così aperto all'amico della Prato. - Non occorre di suggellarlo, se lei avrà la bontà di recapitarlo personalmente alla signora contessa. - Anzi! anzi!... suggelli, suggelli pure! Voglio fingere di non sapere di che si tratti... Quest'attestato del quale sembrerò non essere informato, mi gioverà molto presso la mia cara contessa. Ella sarà contentissima di me... poichè... capisce... ella ha molta bontà per me... non dico per vantarmi... - Non perda tempo adunque. - Replicò Brusio, spingendolo verso la porta. - Un altro abbraccio, amico carissimo, un altro abbraccio. Lei troverà sempre in me un uomo tutto suo, un amico vero e riconoscente sino alla morte. Tratti d'amicizia come i suoi, che non si fanno aspettare... che vengono da sè... non si dimenticano... Poichè ella ha avuto la gentilezza d'indovinare... che io per quella cara Narcisa... capisce?!... - Addio, caro signore. - Oh, come mi sarà grata la contessa! come creperanno d'invidia quegli altri giovanotti, quell'ufficialetto di cavalleria pel primo!... Addio, caro amico. Uscì a ritroso, inchinandosi; e Pietro, lasciando cadere la portiera dietro di lui, non potè fare a meno di ridere della trista figura che la sciocca presunzione faceva fare a quel seduttore di 58 anni. A mezzogiorno il conte rientrò in casa e domandò della moglie. - La signora contessa è uscita in carrozza; - rispose il suo cameriere. - Uscita diggià! - esclamò il conte con qualche sorpresa. - Ed ha lasciato pel signore questo biglietto. Il conte non dissimulò un movimento di collera, ed esitando ad aprire la lettera, disse bruscamente al domestico: - Va bene! lasciatemi. Il biglietto di Narcisa era semplicissimo: «Lascio questa casa perchè sento che è impossibile rimanere uniti più oltre. - Sento troppo altamente i motivi che mi spingono a tal passo per nasconderlo - Non mi cercate adunque: sarebbe inutile - Vi so troppo ricco e troppo generoso per supporre che possiate far conto della mia dote: vi prego quindi di passare, su questa, 8 o 9 mila lire all'anno al mio incaricato d'affari a Torino, signor Treveri. Credo che basteranno». Era quanto vi ha di incisivo nell'ardire portato all'audacia, nella franchezza spinta sino al cinismo della donna volubile e galante, appassionata ed impetuosa. Quasi nell'ora istessa un elegante calesse si fermava dinanzi il portone di una graziosa casa a due piani nella Strada Nuova. Un palafreniere, che serviva anche da portinaio, venne ad aprire alla signora abbigliata con distinzione, che era discesa dal calesse, e le additò una scala a sinistra, della quale gli scalini di marmo erano fiancheggiati di vasi di fiori. In fondo alla corte, legati alle sbarre di un cancello che chiudeva un giardino di piacevolissimo aspetto, scalpitavano tre bellissimi cavalli inglesi. Nell'anticamera, ad un domestico che incontrò, la donna domandò se il signor Pietro Brusio era in casa. - Sì, signora; ma non è visibile, poichè è nel suo gabinetto di lavoro. - Ditegli che c'è una signora che desidera parlargli. - Domando scusa, signora; ma la prego di avere la bontà di ripassare verso le sei, o di lasciare il suo biglietto; poichè quando è nel suo gabinetto il signore non vuol essere disturbato assolutamente. - Fategli tenere questo biglietto in tal caso; - insistè la signora con una lieve tinta d'impazienza, prendendo da un elegante porta-biglietti una carta di visita e piegandola: - ditegli che aspetto. Non vi sgriderà certamente per questo. Il tuono di sicurezza e di superiorità con cui parlava la bella signora, vinsero le esitazioni del cameriere, che si decise a fare quanto ella diceva. - Si dia l'incomodo di seguirmi in sala, - diss'egli sollevando la portiera di un uscio; - il signore ci sarà a momenti. Per giungere al salotto si attraversava una piccola serra a cristalli, che occupava uno dei lati di una terrazza assai vasta, della quale s'era fatto un giardino pensile, sporgente su quella spiaggia incantata della Marinella che ha il bel golfo di Napoli per orizzonte, e in fondo Capri e Sorrento. Quella specie di stufa, dove vegetavano le più belle piante esotiche, circoscriveva come in una atmosfera separata dalla città clamorosa, il salotto ed il gabinetto da studio che vi era contiguo. I rumori esterni sembravano estinguersi sulla sabbia finissima del viale, come il più lieve alitare di vento moriva sulle grandi foglie di quelle piante immobili nelle loro masse svariate. Il salotto era addobbato con lusso; ma quel pensiero tutto originale che avea disposto lo stanzone dei fiori prima di giungervi, e il giardino sulla terrazza, sembrava aver presieduto nei minimi dettagli alla situazione di tutti gli oggetti che lo decoravano. Le porte vetrate, che si aprivano sulla terrazza, erano nascoste, alla lettera, da persiane di pianticelle rampicanti; ciò che unito alle pitture dei vetri, e alle doppie tende di raso e di velo faceva penetrare soltanto nella sala quella mezzaluce, che, col lasciare indistinte le forme degli oggetti, vi crea mille nuove immagini, e ne popola la semi-oscurità di quei mille sogni incantati, di quelle sfumature voluttuose che tanto piacciono alle signore galanti; il passo si arrestava sui tappeti vellutati, come se temesse di destare un eco che potesse strappare dalla deliziosa preoccupazione che faceva nascere quell'atmosfera. Il cameriere scomparve senza far rumore per uno degli usci dirimpetto, nascosto dalla stessa tenda di raso celeste. La signora si sprofondò in una delle poltroncine che erano vicine ad un elegante tavolino da albums, piccolocapolavoro nel suo genere; subendo anch'essa, senza accorgersene, il fascino che esercitava sui sensi quel luogoo ricco di dorature, di sete, di specchi e di profumi: fascino al quale forse ella era disposta. Poco dopo la tenda si aperse, e comparve un uomo, vestito del rigoroso abito nero, come se volesse dare a divedere di apprezzare tutto il valore della visita che riceveva; ancora pallido, ma di quel pallore che ci fa brillare gli occhi, quando la gioia troppo potente della felicità sembra chiamare al cuore tutto il sangue. Una benda di seta gli teneva al collo il braccio sinistro. Un momento però egli sembrò ondeggiare indeciso, mentre fissava i suoi occhi scintillanti su quel corpo da fata (che accennava appena le sue seduzioni sotto le linee quasi vaporose delle vesti, voluttuosamente disteso sulla poltroncina) e su quegli occhi che lo fissavano del loro sguardo piú bello, mentre il sorriso più dolce errava sui labbri di lei. Come se avesse temuto di rompere l'incanto di quel sogno troppo bello per lui, esclamò, quasi impaziente, verso un testimonio che gli stava vicino, ma che però non si vedeva: - Non ci sono per nessuno. Quando vi voglio suonerò. Andate. Non si udì sul tappeto, molto spesso, il passo del cameriere che si allontanava. Pietro si avanzò lentamente verso la dama, come se avesse voluto assaporarne con una voluttuosa economia d'analisi, tutte le emanazioni inebbrianti. Ella, nella sua positura da sirena, lo fissava sempre senza parlare. Il giovane non pensava neanche a proferire la più semplice formola di civiltà. Una parola sola le irruppe spontanea: - Lei!... lei, signora!... da me! - Che c'è di strano? - rispose ella con un indefinibile sorriso. - Non ha ella rischiata la vita per me, perchè io venga a rischiare quelli che il mondo chiama riguardi per lei?... Gli stese la destra, dopo essersi tolto il guanto; egli esitò a prendere quella mano, che forse, per fargli provare in tutta l'intensità il brivido del suo contatto, gli si metteva nuda fra le sue. - Ho ricevuto il suo biglietto dal signor Briollii. Se lei ha molto a farsi perdonare, io ho molto a ringraziarla... Ho verso di lei uno di quei doveri di gratitudine dinanzi a cui le convenienze sociali scompaiono; e son venuta a ringraziarla, signore, della sua azione sì nobile, sì generosa sino al sacrificio!... Invece di rispondere, Pietro seguitava ad ammirare, come si fa di un oggetto prezioso, quella manina bianca ed affilata che si teneva fra le sue senza osare di stringerla, come se temesse di farne appassire la delicata bellezza. - E questa ferita!... Dio mio!... continuò la contessa commossa vivamente. - Nulla... una scalfittura. Narcisa si avvide forse allora della tacita ammirazione con cui il giovane si teneva quella mano sulle palme, e, arrossendo impercettibilmente, fece un movimento per ritirarla. - Oh! la lasci!... - mormorò egli come un fanciullo che parli in un sogno delizioso. - È così bella!... La contessa, ancor più rossa di prima, ma sorridendo cogli occhi e le labbra del suo sorriso inebbriante, con un movimento rapidissimo e quasi istintivo di grazia squisita, o di sopraffina civetteria, gli porse l'altra, lasciandole in quelle di lui e guardandolo fisso negli occhi. Pietro volle baciare quelle mani da fata; ma gli parve un peccato, come gli era sembrato lo stringerle, di sfiorare coi suoi labbri quella pelle rasata. Dopo un momento di silenzio la contessa riprese: - Uno dei testimoni di mio marito, il signor Briolli mi ha fatto conoscere tutta la generosità della sua condotta... Se io avessi potuto sospettare che alla mia preghiera ella doveva rispondere con tal sacrificio, io avrei inorridito di avanzarla... come ora ho rimorso... - Non mi parli di ciò! - interruppe quasi brusco il giovane, come se avesse temuto di destarsi. - Noi abbiamo torti reciproci, - aggiunse Narcisa col suo sorriso ammaliatore; - siamo franchi in tal caso dall'una parte e dall'altra per poterceli perdonare scambievolmente... - Reciproci torti? - interruppe Pietro come trasognato. - I miei saranno più gravi; - rispose Narcisa, - ma ho la buona fede di confessarli e la risoluzione di espiarli... E voi? - Io non me ne trovo che uno!... ma sì grande... che io non oso rammentarlo senza arrossire in faccia a voi... - Confessatelo allora; forse vi verrà perdonato. - Contessa!... - È molto grave adunque perchè non abbiate il coraggio di questa confessione? - Le vostre parole me lo danno; io ho commesso l'indegnità d'insultarvi rimandandovi il mazzo e l'anello, e poco fa anche il biglietto... - Avete avuto torto nell'ultimo caso, non l'avevate nel primo... - Perchè? - Perchè nel primo caso quello che a voi pare colpa, mi provava piuttosto... - Narcisa!... - Che voi... - Che io vi amo come un pazzo!... come un uomo che non è più conscio di quello che fa, poichè voi gli avete tolto la mente e la ragione, Narcisa!... Così dicendo Pietro divorava coi baci quelle mani che si teneva fra le sue. - Ora che la vostra confessione è fatta, - diss'ella, non rispondendo direttamente, - veniamo alla mia. Pietro si accosciò sul tappeto ai piedi della contessa, tenendo sempre le sue mani. - Vi scrissi di aver conosciuto a Catania un giovanetto generoso sino al sacrifizio, nobile sino all'eroismo... Perdonatemi, non m'interrompete. Allora non sapevo chi fosse, non conoscevo che un giovane come se ne veggono tanti, inferiore fors'anche a quei giovani eleganti che mi facevano la corte. Anch'esso mi faceva la corte alla sua maniera, come la fanno i provinciali e gli adolescenti... Guardai qualche voltai costui che incontravo sempre sui miei passi in istrada, sulla porta del Teatro, uscendo e rientrando in casa... Qualche volta, quando paragonavo il suo stato a quello di coloro che mi amavano come lui ma che potevano dirmelo o almeno provarmelo, aspirare almeno ad un mio sorriso, ad una mia parola... mentre costui doveva sacrificarsi giorni e notti intiere per vedermi scendere da carrozza o per passarmi d'accanto al ritorno di un ballo ebbi un momento di curiosità, ed anche di riconoscenza sì lontana da sfumare nella compassione, per questo giovane che mi amava in tal modo, e mi amava senza speranza... Poi, non ci pensai più... - Poco tempo fa lo rividi in una festa: - riprese la contessa: - era l'uomo in voga; l'alta società avea per lui le più squisite cortesie, le donne più belle e più nobili gli sorridevano... Un vero trionfo! lo ammirai quella fronte larga e pallida, e mi sembrò di scorgervi qualche cosa di nobile che non vi avevo prima notato; mi parve di leggere un mondo intiero nei suoi occhi, sebbene alquanto malinconici. Lo sguardo ch'egli mi volse mi fece pensare al giovanetto sconosciuto... e provai una viva commozione a quel pensiero: C'era trionfo ed orgoglio soltanto in quel punto. Oh! io sono schietta, signore, per farmi credere quello che ho da dire in seguito. Quest'uomo avea fatto un miracolo pel mio amore - un miracolo di genio... lo l'ho veduto in quell'opera, come egli non ha veduto che me creandola, prendermi la mano, sorridendo del suo triste sorriso, e farmi passare in rassegna il suo cuore coi suoi palpiti, le sue speranze e le sue lagrime... e trasportarmi ai giorni delle vaghe aspirazioni e dei sogni ineffabili. Poi mi ha fatto piangere del suo pianto disperato a quelli spasimanti di passione... e si è arrestato anelante, spossato, colle braccia stese, nel punto in cui sentiva sfuggirsi questo fantasma a cui incatenava la sua esistenza... Oh, in quel momento, signore... s'io avessi veduto dinanzi a me quest'uomo, come l'ho veduto nel suo sogno, nel suo dramma... gli avrei stese le braccia ad incontrare le sue... - Narcisa!... - mormorò soffocato Brusio, sollevandosi sino ad inginocchiarsi. - Qualche volta, quando penso a quest'amore sì ardente e sì immenso che non avrei saputo immaginare, se non l'avessi ispirato, io che ho sorriso e folleggiato fra le ancor più folli proteste di mille galanti, io stordita da quest'incenso d'adulazioni e di corteggio che gli uomini più eleganti, più ricchi e nobili si affollano a bruciarmi ai piedi... io ho un movimento d'incerto terrore;... mi pare che debba essere terribile, divorante questa passione quando è giunta a tal grado;... mi pare ch'essa debba assorbire la vita in un bacio di fuoco.. ma in un bacio di tale ebbrezza da sembrare troppo piccolo compenso la vita, e troppo corti i giorni per avvelenarsene... - Narcisa!!... - ripetè Pietro colle lagrime agli occhi, prendendole le mani con violenza, mentre avea ascoltato sin allora cogli occhi spalancati e fissi, come pazzo di felicità, e coi gomiti appoggiati sulle ginocchia di lei. La fata si curvò mollemente verso di lui, e gli posò le braccia sullo spalle... poi lo sollevò lentamente, con quell'abbandono inimitabile e seducente che le era particolare; e guardandolo sempre col suo sorriso da sirena gli susurrò, quasi sulle labbra, colla sua voce più bella e più carezzevole: - Son venuta a vedere il tuo gabinetto da studio... Pietro... Quel soffio passò come un vento ghiacciato sul sudore che inondava la fronte di lui, che, impotente a più contenersi, la sollevò, prendendola fra le braccia, come un caro fanciullo, e la divorò dei baci, singhiozzando in un sublime delirio: - Tu sei il mio Dio! ed io non avrò mai forza per amarti come vorrei!!!... La portiera ricadde ondeggiante dietro di loro. Pochi giorni dopo, verso il tramonto, due giovani che s'avvincevano colle braccia allacciate, come le rampicanti che coprivano i fusti dei grandi alberi del giardino pensile, appoggiati alla ringhiera di pietra della terrazza, guardavano il sole che tramontava dietro quel mare azzurro che si stendeva immenso ai loro piedi ed ove si specchiavano Ischia e Procida. Narcisa teneva appoggiata la testa sulla spalla di Pietro, e di quando in quando si aggrappava al collo di lui colle sue candide braccia per passare i suoi labbri sulla fronte e gli occhi di lui con mille baci muti della sua bocca tremante che ne formavano un solo. - Che vita!... mio Dio! che vita!!... - mormorava ella soltanto qualche volta. - Eppure, mio dolce angioletto, quando io bacio questa tua fronte, e mi premo fra le labbra questi capelli, e ti chiudo gli occhi colle mie mani, e mi sento fremere fra le braccia questo tuo corpo da fata... io non credo, no... malgrado che io chiuda gli occhi, malgrado che io torturi disperatamente il mio cervello, per crederlo, che ciò che io provo di sì immenso, di sì convulso, di sì spasimante nella voluttà del piacere, nel delirio del godimento, mi viene da te;... che tutto ciò non è uno splendido sogno della mia fantasia, come ti sognai nel mio dramma... e ti sognai delirante, stringendomi la testa infuocata fra le mani, premendomi il cuore che sembrava scoppiarmi, seduto sul marciapiede di faccia ai tuoi veroni!... No... io non posso credere che quella donna che incontravo al passeggio, al braccio di un altr'uomo, fra l'ammirazione di quanti la vedevano, facendo palpitare il mio cuore col fruscio del suo strascico sulle vie;... che quella donna che vidi al Teatro; che mi passò da presso senza guardarmi; che seguii come un fanciullo, come un cane;... che non mi stancai a vedere dalla strada, per due mesi intieri, sotto la sua casa, ascoltando il minimo rumore che mi venisse da lei, che mi accennasse la sua presenza facendomi trasalire;... che quella donna che proferì quelle parole... quella notte... dal verone;... che mi torturò il cuore colle note strillanti del suo valtzer, quando mi parve che il mio cuore fosse rotto;... che quella donna ch'io non osavo avvicinare per non rompere il cerchio luminoso che la circondava d'aureola, per non rapirle un atomo di quella atmosfera profumata della quale si circondava, che faceva il suo prestigio;... che quella donna che adorai infine come un pazzo, spaventandomi di adorarla in tal modo, è mia!... mi ama!... mi è fra le braccia!!... che io posso chiamarla ogni giorno, ad ogni ora, ad ogni minuto;... che io ad ogni ora, ad ogni minuto posso udire quella voce che proferì: quell'uomo è pazzo: che mi dice che m'ama!... che io posso ad ogni ora, ad ogni minuto vivere la sua vita e suggergliela coi baci dalle labbra... Oh, no! Narcisa... per credere a ciò bisogna che noi ritorniamo a Catania, che noi abitiamo quella stessa casa, che io guardai con più venerazione della casa di Dio; che io respiri l'aria istessa di quelle camere; che mi metta a quel verone, con te, al posto che occupavi seduta sulla poltrona; e che io ti legga, seduto accanto alle tue ginocchia, come quell'uomo... Bisogna che mi metta con te, di notte, a quell'ora, a quel verone; e che tu ripeta quelle parole infami che io annegherei sulle tue labbra coi miei baci; bisogna che le tue mani ripetano su quel pianoforte le note di quel valtzer che m'inseguirono spietatamente quando fuggivo delirante come se fuggissi il cuore che sanguinava dirotto; bisogna che io mi segga su quel marciapiede, colla fronte fra le mani, come allora; e che io ascolti lo stormire di quegli alberi, il suono di quell'orologio, il murmure lontano di quel mare, il fruscio della tua veste;... e che io vegga il lume che rischiara la tua camera;... e che la tua voce sopratutto, la tua voce inebbriante, mi ripeta ad ogni ora, ad ogni minuto, che quello non è un sogno, che io non son pazzo;... e che i tuoi labbri, posandosi sulla mia fronte, mi scaccino questo turbine affannoso che mi sconvolge la mente, che mi fa dubitare della mia felicità... - Andiamo a Catania! - mormorò Narcisa, dandogli un lungo bacio e bagnandogli la fronte di due lagrime di voluttà.

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il più nobile cuore ch'io abbia conosciuto: era il suo sguardo ardente di passione, e la sua voce che recava l'accento del cuore. «Singhiozzante gli gettai le braccia al collo, come per non lasciarmelo sfuggire mai più, e nascosi la testa nel suo petto. « - Che vuol dire questo pianto? - domandò egli asciugandomi gli occhi coi baci; - son molto colpevole adunque?... « - Oh, no! no!... - singhiozzai; - è che... quello che provo vedendoti... «Egli mi abbracciò, muto, senza rispondere, quasi pentito. «Per otto o dieci giorni non mi lasciò più un minuto. «Sentivo che questa felicità sovrumana mi logorava lentamente, e mi dava ogni giorno forze novelle per sopportarne la piena. «Il giorno che ci fu recato un invito per una serata che dava C***, Pietro mi disse: « - Vi anderò soltanto a condizione che ci venga anche tu. « - Perchè piuttosto non uscire assieme, a farci una delle nostre passeggiate sì belle?!... Sai bene che per me i godimenti che dà la società, il gran mondo, non hanno più attrattive... - gli risposi. « - Bisogna forzarti; non puoi vivere sempre come vivi. Tu sei un angelo di bellezza, ed io sono orgoglioso di te; voglio godere del tuo trionfo. « - Giacchè lo vuoi... - gli dissi reprimendo un sospiro. « - Una sera, - seguitò egli tenendosi le mie mani fra le sue, - una di quelle sere in cui ti cercavo come smaniante, avevo perdute la speranza d'incontrarti; quando vidi passare, al braccio del conte, una donna vestita di bianco, con un semplice bournous bianco sulle spalle, di cui il cappuccio era tirato sulla testa: aveva il corpo svelto ed elegante, l'andatura molle ed incantevole, il sorriso affascinante, alcuni ricci neri scappanti dall'orlo del cappuccio bianco sulla fronte di un candore più puro e direi più rasato. Eri tu!... che parlavi a quell'uomo, che sorridevi a quell'uomo... che non potevi sapere quel che provava quell'incognito che ti passò d'accanto senza che te ne avvedessi. Sentii stringermi il cuore da una mano di ferro... Ti seguii trepidante, divorando degli occhi il tuo passo, i tuoi movimenti, il tuo minimo gesto; reprimendo i battiti del mio cuore per udire l'insensibile fruscio della tua veste... Ti seguii senza speranza che tu ti rivolgessi a vedermi... Andavi da S***. Ti aspettai in istrada sino alle tre, ora in cui la tua carrozza venne a prenderti, vedendo passare i fortunati che andavano a quella festa, che dovevano vederti ed esserti vicini; guardando la luce abbagliante che scaturiva dai veroni aperti, le allegre coppie che si aggiravano per le sale; ascoltando il suono di quella musica festante. Due o tre volte mi sembrò di vedere la tua figura, l'ombra tua, che girava fra le vorticose coppie di un valzer... e piansi lagrime ardenti, disperate;... e passeggiai delirante come un pazzo, sotto quella casa... Ora voglio che tu ti vesta di quegli abiti, Narcisa; che quel cappuccio bianco copra i tuoi capelli. Io non posso esprimerti quegli atomi, quelle percezioni di sensazioni ineffabili che provo in queste reminiscenze; cercando d'illudermi spesso sino alla realtà del dolore che provai, per sentire più viva l'ebbrezza della felicità che tu mi dai ora! «E mi abbracciava, e mi baciava frenetico, ardente. «In mezzo a quelle parole che mi facevano piangere di gioia una frase mi era rimasta fitta dolorosamente come una spina nel cuore: egli avea detto. Non puoi vivere sempre come vivi!... «Quella vita che aveva formato il mio paradiso, adunque, quella vita che noi non avevamo vissuto che per amarci, che per comunicarcela l'un l'altro coi baci, non poteva sempre durare... non era stata che la luna di miele!... «Quando pensai al come vivere un sol giorno senza tal vita, fremetti di terrore, e corsi a vestirmi per nasconderlo a lui. «Uscimmo a piedi lungo la cinta esterna della città, per godere di un magnifico lume di luna. Pietro si mostrò sì allegro, sì contento della nostra felicità, che per qualche tempo riuscì a scacciare anche i miei tristi presentimenti. Non seppi nascondergli la penosa impressione che mi avevano lasciato le sue parole: Non puoi vivere sempre come vivi. « - Sì, - mi rispose egli, - i piaceri, lo feste, ti sono necessarii, poichè ti fanno brillare come un diamante messo in luce... sono necessarii al mio istesso amore per provare quello che provavo d'indefinibile nel fascino che ti faceva abbagliante fra tutte le pompe del tuo lusso. « - Queste parole mi fanno male, Pietro! - supplicai stringendomi contro il petto il suo braccio. « - Perchè? - domandò egli sorpreso. « - Perchè mi provano che tu non potrai amarmi sempre come mi hai amata, come ormai è necessario che tu mi ami perchè io viva! « - Sei pazza! - esclamò egli, baciandomi sulla bocca. «Rimasi fredda, muta a quel bacio; fissando i miei occhi nella luna per dissimulare ch'erano umidi di pianto. Le lagrime che solcarono le mie guancie mi tradirono. « - Ma che hai dunque? - esclamò Pietro fermandosi, vivamente commosso, e abbracciandomi: - che ti ho fatto, Dio mio?!... « - Oh, perdonami... perdonami! - singhiozzai, ponendomi le sue mani sulle labbra; - son io che son folle!... perdonami, Pietro!... tu puoi farmi felice con una parola... Mi ami ancora?... mi ami sempre... come mi amavi?... «Pietro soffocò quelle parole sulle mie labbra coi baci, suggendo avidamente le mie lagrime. « - Oh! che ti ho fatto io per meritarmi questo?! - mi diss'egli colla voce tremante, dominando a stento la sua emozione. Non ti adoro come sei degna di essere adorata?!... Amarti ancora!... ma ogni giorno che passa è un affetto nuovo che si aggiunge all'immenso affetto di cui ti amo!.. « - Grazie! grazie, amico mio! Tu non sai qual bene mi facciano queste parole... come io ne aveva bisogno!... E... e... se qualche giorno... se mai... - ed io stentavo a proferire fra i singhiozzi che mi soffocavano, - tu non mi amassi più, tu non mi amassi come prima, come io voglio essere amata da te... tu me lo dirai... dammi parola che me lo dirai!... meglio questo che I'agonia dell'incertezza... Tu non sai mentire, Pietro!... tu me lo dirai!... « - Narcisa!... « - Oh! fammela questa promessa, Pietro!... tu puoi farmi felice con questa parola... « - Ma sei pazza... calmati, amor mio... « - Oh no! te lo chiedo ginocchioni... promettimi... promettimi che tu mi dirai... che me lo dirai quando non mi amerai più!... «E le mie ginocchia, senza avvedermene, si piegarono. « - Mio Dio! Narcisa... lo non so quello che tu abbi stasera; ma se ciò può farti piacere quantunque io senta tutta l'inutilità di tale promessa... se ciò può servire a calmarti... ebbene!... io te la do. « - Oh! grazie, grazie! - esclamai baciandolo in fronte, con un doloroso trasporto; - grazie!... Io sarò più tranquilla!... potrò almeno godere senza sospetto questi giorni di felicità che puoi darmi... « - Narcisa!... per pietà!... « - Oh, no... Pietro! non vedi che son felice ora?!... «Egli rimase triste e pensieroso lungo tutta la strada. «Io provavo un inenarrabile godimento nell'appoggiarmi al suo braccio, nel sentire palpitare contro il mio polso quel cuore che ancora palpitava per me. Tre o quattro volte alzai gli occhi su quel volto maschio ed energico che adoravo, che divoravo dello sguardo, come se fossi avara del bene che possedevo ancora di saziarmene. « - Confessiamo: - disse Pietro nel salire le scale della casa ove andavamo, sorridendo ancora con una lieve tinta di mestizia, come per scacciare la penosa preoccupazione che ci aveva invaso ambedue; - confessiamo che siamo pure i gran fanciulli, e che i nostri discorsi sono stati ben singolari per due innamorati che vanno ad una festa da ballo. «Respirai più liberamente quando la carrozza ci trasportava rapidamente verso la nostra abitazione: mi parea d'essermi levato un gran peso dal cuore col togliermi quella maschera di convenienza che la società esige, e che, quella sera, in mezzo a quella splendida folla, mi era sembrata odiosa. «L'indomani Pietro si rimise a studiare di lena, come non l'avevo mai veduto lavorare. Io passavo i giorni nel suo gabinetto di studio, disegnando o sfogliando i fiori dei quali era sempre piena la giardiniera che contornava il suo tavolino e dei quali spargevo le foglie sulla carta in cui egli scriveva; o, quand'egli lo voleva, andavo al pianoforte e gli suonavo il pezzo che domandava. «Egli usciva sempre la sera per darsi un poco di distrazione, che le occupazioni assidue del giorno gli rendevano necessaria. Qualche volta l'accompagnavo. Una sera volli rimanere in casa per vedere ciò che avrebbe fatto: uscì solo. «Quattro mesi prima sarebbe stato più avaro del tempo che avrebbe potuto passarmi vicino. «Di tratto in tratto egli si mostrava preoccupato, quasi triste... sembrava staccarsi con isforzo alle sue penose meditazioni per prodigarmi ancora quelle sue ferventi carezze, che mi fanno obliare in un bacio tutti i terrori dell'avvenire. «Non potevo esser gelosa... Alla festa, ove l'accompagnai, avevo veduto le più eleganti e belle dame sorridergli con quella grazia che dà diritti a sperare, prodigargli le più obbliganti attenzioni, e l'avevo veduto rimaner freddo e cortese innanzi a quelle attrattive, cercando avidamente il mio sguardo e il mio sorriso. Egli è troppo generoso e nobile per potermi parlare come mi parla e guardarmi come egli lo fa se il rimorso di un altro affetto lo facesse arrossire. No! il mio Pietro è troppo elevato per scendere sino alla dissimulazione... egli avrebbe piuttosto la forza brutale di abbandonarmi. «Eppure questa certezza, che per molte sarebbe una consolazione, per me è il più crudele disinganno, perchè mi toglie persino la speranza dell'avvenire... Quello che scrivo mi scotta le mani, come mi brucia il cuore... Avrei sempre la speranza di riavere il cuore di Pietro che si allontanasse da me per un'altra donna, poichè egli dovrebbe, tosto o tardi, accorgersi che giammai, giammai donna potrà amarlo come lo amo io, giammai simile amore potrà suggerire alla donna tutti gli incanti più raffinati per fargli bella la vita, per fargli sentire tutte le infinite percezioni di questo amore colle pulsazioni violente delle sue arterie... ma Pietro stanco del mio affetto, di me... Pietro disilluso del prestigio che mi faceva bella ai suoi occhi... io non l'avrò più!... mai... mai più!!... «Dio! Dio mio!... la morte... piuttosto la morte!... «Alcune notti egli è rientrato assai tardi... Ho udito che raccomandava di non far rumore per non isvegliarmi... come se avessi potuto dormire, io!... mentre soffocavo i singhiozzi nascosta dietro la portiera dell'uscio. «Oh, egli ha potuto pensarlo ch'io dormissi... prima che egli fosse ritornato!... «È desolante, è spaventevole tutta questa insensibile gradazione che ogni giorno sempre più assopisce nel suo cuore tutte quelle sensazioni minime, delicate, squisite, che la passione suscita e sublima, e che muoiono con essa... «È dunque morto il suo cuore per me... Dio mio?!... «No! egli mi ha parlato ancora di quelle parole, tenendo la mia mano fra le sue, fissandomi sempre del suo sguardo, che avea tutta l'espressione d'allora... Ma ciò non è durato sempre!... sempre!... a dissetarmi di questo bisogno ardente che ne ho!... «Quand'io gli parlo della sua tristezza, della sua preoccupazione, della sua freddezza sin'anche, egli si mostra qualche volta come impaziente, e dissimula appena una lieve tinta del dispetto che prova di non saper meglio nascondere le sue impressioni. Io leggo chiaramente nel suo cuore: egli ha ancora la generosità d'imporsi per me un sentimento che non prova, di nascondermi quelle illusioni perdute che egli si rimprovera come una colpa sua, colpa che però non ha, di cui il pentimento gli dà la forza di stordirsi nelle mie carezze sino alla febbrile e quasi ebbra eccitazione che può scambiarsi coll'esaltazione della passione. «Un giorno era uscito prima ch'io fossi levata, e avea mandato a dirmi che, invitato da alcuni amici, avrebbe desinato fuori. La sera non era ancora venuto a vedermi; verso le 9 feci attaccare, impaziente d'attendere più oltre, e andai a cercarlo dove sapevo trovarsi ogni sera. «Feci fermare il legno dinanzi il Caffè di Sicilia e mandai il piccolo jokey a cercarlo; egli si alzò subito da un crocchio d'amici, fra i quali era seduto, e venne a mettersi in carrozza con me. « - Ti chiedo mille scuse, mia cara, della noiosa giornata che ti ho fatto passare; - mi diss'egli; però distinsi nel suo accento una sfumatura d'impazienza. Io gli strinsi la mano, poichè ero assai commossa, e non risposi. «La carrozza attraversò tutto il corso Vittorio Emanuele e prese la stada d'Ognina. Fuori l'abitato volli scendere e prendere il braccio di lui. Il calesse ci seguì ad una cinquantina di passi. «Entrambi sentivamo di avere un penoso discorso da intavolare, che non avevamo il coraggio di incominciare, e che perciò ci faceva rimanere in silenzio. «Provava il bisogno però di parlargli, di aprirgli il mio cuore; per averne la forza pensai alle sere istesse passate al fianco di lui... sere di cui le rimembranze erano ancora palpitanti di piacere, e a misura che il mio pensiero le vedeva più vive, che il mio cuore batteva più forte, che i miei occhi si velavano di lagrime, io mi stringevo al suo braccio come fuori di me, come se avessi voluto con quella stretta attaccarmi a quel passato che idolatravo; infine non potei più frenare i singhiozzi. «Pietro si fermò in mezzo alla strada, commosso profondamente, ma non sorpreso da quella scena che forse si aspettava. « - Che hai dunque Narcisa? - esclamò egli, prendendomi le mani. « - Oh, Pietro! - esclamai infine, - tu non sei lo stesso di prima! No! tu non mi ami come prima!... « - Narcisa, tu sei folle coi tuoi dubbi penosi... Se non ti amassi come prima, potrei fare la vita che faccio?... «Queste parole, che cercavano di esprimere un pensiero consolante, erano dure per me: esse parlavano di quella vita che avea fatto la nostra felicità come di un sagrifizio. « - È vero adunque, - proseguii, - questa vita ti è penosa?!... tu sei stanco di farla?!... « - Ascoltami, Narcisa! - interruppe egli, stringendomi le mani, quasi avesse voluto infondermi forza per ascoltare quello che avea a dirmi, e raddolcire quanto vi poteva essere di amaro; non si può sempre vivere di questa vita che noi abbiamo fatto, che è la mia più dolce memoria, senza avere delle ricchezze, che io non posseggo, e neanche tu, e le possedessi, io non potrei accettarle da te; bisogna che io mi faccia una posizione, che risponda alle aspettative che si son potute basare sul mio primo lavoro, che è bello del tuo riflesso soltanto. Per ciò fare bisogna piegarsi un poco a tutte quelle convenienze che la società esige rigorosamente. Io ho dimenticato tutto per te, sei intieri mesi: gli amici, il mio avvenire, gli impegni assunti; anche una madre che adoravo, la più buona, la più santa fra le madri, che aveva pur diritto all'amore del figlio suo, e che sei intieri mesi non ha avuto una parola da lui, non l'ha abbracciato una volta... Oh, credimi, Narcisa... è colla più viva commozione, colla più profonda riconoscenza anche, che io rammento questi sei mesi d'amore... Ma perchè quest'amore istesso duri con tutti i suoi incanti bisogna che esso sia assaporato lentamente: in fondo all'ebbrezza che stordisce si trova presto la disillusione che uccide l'amore... ed io voglio amarti sempre, mia Narcisa! «Soffocai i miei gemiti col fazzoletto, e rimasi muta, pietrificata dinanzi a lui che mi stringeva ancora le mani, e mi fissava quasi avesse voluto leggere nei miei occhi. «Dio mio! quello che soffersi in quel punto, credo che non potrò soffrirlo mai più... neanche al momento... «Quand'ebbi la forza di parlare gli dissi tristemente, divorando tutta l'estensione del mio dolore per nasconderglielo: « - Se mi amassi ancora, come dici, non avresti mai proferito ciò... « - Narcisa! - replicò egli, tradendo una viva impazienza, - non son uso a mentire... mi pare... « - Oh no! tu non mentisci... o piuttosto tu vuoi ingannare te stesso, perchè hai pietà di me... Grazie, Pietro! « - Io avrei dovuto parlarti da qualche tempo su questo proposito, - mi diss'egli; ho temuto sempre di farti dispiacere, ed ho indugiato. Tentai di lavorare per adempiere in parte agli obblighi impostimi, ma ti confesso che nulla mi è riuscito.... Mia madre mi ha scritto molte volte le più calde preghiere perchè io vada ad abbracciarla... «Egli aveva esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una risoluzione decisiva. «Mi aggrappai al suo braccio, poichè sentivo le gambe piegarmisi sotto. « - È giusto, - mormorai quindi a metà soffocata: - tua madre ha ragione!... «Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. « - Mi accorderai almeno quindici giorni prima di partire? - gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in silenzio. « - Oh! amor mio! - esclamò Pietro quasi con le lagrime agli occhi: - non credevo di essermi meritate tali parole!... « - Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere tua madre!... «Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo colle mani giunte di non farlo. «Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. «Egli rimase colpito e sorpreso da quell'apparente freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. « - Grazie! - mi rispose freddamente. «E rimase muto... E non una parola di più... Come se avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. «Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare, mentre non avevo la forza di strascinarmi. Lo guardavo: era freddo, pensieroso, quasi cupo. « - Oh,Pietro - gridai quindi singhiozzante, non sapendo più frenarmi, avvinchiandogli Ie braccia al collo; - mi ami?... mi ami come prima?!... Oh, Pietro!.... una volta mi promettesti, mi giurasti... che mi avresti confessato quando tu non mi avresti amato più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!... « - Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno male! - m'interruppe egli impallidendo. « - Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me, l'hai promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi ami più! «Invece di volere questa conferma al mio doloroso sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che avesse potuto farmi gettare nella sue braccia, delirante di passione. Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come combattuto da un'interna tempesta. « - Non ha dunque cuore quest'uomo! - gridai come una pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta. Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle parole. « Quelle parole però mi perdettero. « Pietro non capì il vero senso appassionato, addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato, proferendole; egli capì soltanto tutte quello che vi è di duro, di sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile! mentre avevano detto: Non avete pietà di me? «Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi; egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calma ed incisiva: « - È meglio forse che ci separiamo, Narcisa. «Ebbi paura di lui. «Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma ed inflessibile decisione della mente. «Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi strascinò quasi sino alla carrozza. «Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. «Ora che ci penso a mente più serena, io non risento tutto il pentimento di quelle parole delle quali gli chiesi perdono a mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella risoluzione. «Era finita dunque per me!... per sempre!... Ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione che mi avevo fatto promettere in un delirio d'amore, come se le parole avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. «Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. «Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello: volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. « - È alzato il signore? - domandai alla cameriera che veniva a prendere i miei ordini. « - Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia nemmeno andato a letto; poichè l'ha udito passeggiare tutta la notte. «Fui commossa profondamente; dunque anch'egli aveva provato tutta la lotta di quella disperata passione! «Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli aveva tanto ammirato in me; e passai nelle sue stanze. «Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. «Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui particolari di dolci malinconiche rimembranze. «I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera, situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me, erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicchè eravi quasi buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed un cuscino sul tappeto accanto ad una poltrona rovesciata. «Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiala fra le mani; aveva dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente. « - Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora. « - Non ho dormito, Pietro... - gli risposi colle lagrime agli occhi. «Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nascondermi il disordine; li abbassò, e rimase muto. «Non aveva voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto: sentii stringermi il cuore dolorosamente. «Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo.. quasi triste.. « - Tu scrivi? - gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace. «Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. « - Scrivi a tua madre, Pietro... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?... «Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra. «Mi portai l'altra al cuore, per comprimerne i battiti, dei quali il rumore mi spaventava. «Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!... egli!.. non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. «Un impeto cieco, disperato mi spingeva. « - Son venuta a chiederti una grazia, Pietro, - gli dissi; - questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo al 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai. «Speravo ch'egli soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... « - Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino: - mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; - e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi? «Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poichè non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. «Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: « - No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata... «Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una duchesse, annichilata. «Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno, per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. «Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio. «Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più. «Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinchiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento. «Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... «L'indomani partimmo per Aci-Castello. «No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare lo mie lagrime; soffocare gli urli disperati del mio cuore, perchè m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontani dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, vadano morendo in lui... lo non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche, il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... lo l'ho veduto quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... «Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante! «Dio!... Dio mio!... se impazzissi! «No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano! «Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più, la pietà istessa che risento di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le suo forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera... «Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime... «Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. «No!.. tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. «Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!... «Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma quì, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perchè mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui. «Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza suI mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano Ia loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. «L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini di una volta che l'hanno abitato coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna. « - Non sarai tu con me? - gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo, dividendolo con lui. «Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. «Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca. «I muri della torre principale che guardano il paesetto, sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare di un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. «Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. «Se cadessimo,qui, abbracciati! - esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. «Mi pareva più dolce quella morte; e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui. « - Quale pazzia! - mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garantire la mia vita ch'eragli sospesa. «Egli non ha detto: Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... «Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocatoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato... «Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance. « - Che guardi? - mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perchè piangi? « - Catania! - risposi colla voce ancora tremante. «Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poichè soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: « - Vuoi che ritorniamo a Catania? «Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava. « - Dov'è Siracusa? - domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. «Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passaro che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale. « - Perchè non mi conduci a Siracusa piuttosto? - gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: « - Se lo vuoi... « - No! Io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me... « - Partiamo! - soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poichè mi sentivo morire. «L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi. «Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più... « - No! no! gridò il mio cuore gemente: no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizi che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!... « Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato... «Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. «Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione, speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempia fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità, minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!... «Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... «Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. «Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia. «Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano. «Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo di più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. «Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. « - Pietro! - esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza; - ieri ti pregai di condurmi a Siracusa!... con te... «Egli non potè più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente. « - Impossibile! - mormorò con un soffio appena intelligibile. « - Impossibile?... - ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; - e perchè, Pietro?!... « - Oh! grazia! grazia, Narcisa! - singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto: - grazia!... io sono molto vile!!... «Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. « - Sì, io son vile! io son colpevole! io sono infame!... - seguitò con voce delirante: - oh! grazia, Narcisa!... «L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. «Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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Abbia la bontà di aspettarmi qui. Raimondo, indossato in fretta un abito, prese il cappello ed uscì. Dando campo ad un sospetto che gli era balenato in mente mentre la signora Brusio si disperava per l'inusitata e straordinaria tardanza dl figlio suo, e per la notizia che il domestico le avea rapportato, egli si diresse per la strada Stericorea ed indi per quella Etnea, verso la casa ove abitava la contessa di Prato. Giungendo sotto i veroni, sul marciapiede di faccia, gli sembrò di vedere qualche cosa di nero immobile sul lastrico. Si avvicinò esitante e lo chiamò per nome a voce bassa. - Che vuoi? rispose una voce rauca e ancora tremante, come se inghiottisse delle lagrime, che Raimondo avrebbe stentato a riconoscere, nel suo accento duro e quasi cupo, se gli fosse stata meno famigliare. Si appressò ancora, e vide il suo amico seduto sullo scaglione del marciapiede, coi gomiti sui ginocchi e il mento fra le mani. - Tu qui!... a quest'ora! - esclamò Raimondo. - Che vuoi, ti dico?! - replicò con maggiore asprezza Pietro. Non son forse più padrone di fare quello che mi piace?!... Raimondo capì che quello non era il momento di parlare al suo amico: e sospirando tristamente, poichè allora soltanto scoperse lo spaventoso abisso del precipizio su cui egli si cullava, sedette silenzioso al suo fianco. Pietro rimase muto, come non avvedendosene, cogli occhi, di una sorprendente lucidità, fissi sul lume che brillava dietro le tende di seta del verone. Qualche volta, a lunghi intervalli, egli trasaliva, ed una gocciola, come di sudore, che partiva dall'orbita, luccicava un momento solcando le sue guance. Ad un tratto egli afferrò con violenza il braccio di Raimondo. - Guarda!... guarda anche tu! - disse egli con la voce stridente ed interrotta del delirante o del pazzo. E si alzò, come se avesse voluto elevarsi sino al verone per meglio osservare. - Io non vedo niente, mormorò Raimondo che si fregava gli occhi inutilmente. Pietro, senza rispondergli, gli porse la busta del suo occhialetto che trasse dalla saccoccia del soprabito. - Guarda, ti dico!... c'è da diventar pazzo! Coll'aiuto dell'occhialetto Raimondo vide la contessa, presso le tende del verone, di cui le invetriate erano aperte, sdraiata nella sua favorita posizione languida e voluttuosa, su di una poltrona, ancora colla veste del teatro, coi capelli ancora intrecciati di fiori; ed un uomo, il conte, ritto dietro la spalliera della poltrona, che si chinava verso di lei, e le divideva coi baci i ricci da sulla fronte. Ella gli sorrideva del suo riso da sirena; e di quando in quando, allorchè il conte rimaneva come stordito nel fascino di quelle seduzioni mirabili di voluttà, ella gli prendeva le mani colle sue manine affilate e bianchissime, e se ne lisciava la fronte, e le nascondeva fra il setoso volume dei suoi capelli, e se le posava sugli occhi e sulle labbra, ma lentamente, con quel suo abbandono ch'era irresistibile, come se avesse voluto dare il tempo a tutte le emanazioni inebbrianti che scaturivano dai suoi pori di penetrare in lui sino al midollo delle ossa. Raimondo, quasi spaventato, pel suo amico, da quella vista, fu scosso dai singhiozzi di lui che prorompevano soffocati come singulti; e, riponendo tristamente nell'astuccio l'occhialetto, disse con tuono di chi prende una risoluzione: - Via, Pietro, è tempo di partire! Tua madre ti attende a casa mia! - Mia madre!... - esclamò il giovane con un sussulto che dimostrava come quella corda vibrasse ancora potentemente nel suo cuore; mentre tutte le altre erano allentate e sconvolte. - Sì, tua madre, spaventata dalla tua estraordinaria tardanza, che ti cerca da me come una pazza. - È tanto tardi dunque? - domandò egli come parlando io sogno. - Son le tre fra poco. - Non credevo fosse sì tardi... Hai ragione, andiamo via... bisogna essere uomini! Poscia si fermò in mezzo alla strada, quasi non avesse avuto la forza di staccarsi da quel punto. - Ben dicesti: bisogna essere uomini e non fanciulli! - replicò Raimondo, dando al suo accento la possibile espressione e strascinandolo in qualche modo per forza, mentre Pietro si lasciava condurre a capo chino come un ragazzo.

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