Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Nuovo galateo

190121
Melchiorre Gioja 16 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Abbiamo eziandio data la traduzione italiana di alcuni luoghi latini o francesi, citati dall' autore; parendoci soverchia pretesa in chi scrive l'obbligare i suoi lettori a conoscere altre lingue, oltre quella in cui il libro è scritto; ed è strano che il GIOJA, riprovando quest'uso in altri, ne abbia poi egli stesso in varie sue opere fatto uno smodato abuso. Infatti non è possibile di gustare appieno il suo classico Trattato del Merito e delle Ricompense a chi sia ignaro della lingua francesi ed anche della latina. Per le cure da noi adoperate in questa che osiamo chiamare edizione meglio che ristampa, speriamo di esserci acquistata la benevolenza del Pubblico, e particolarmente di quelli che nella lettura delle opere dei filosofo piacentino più si dilettano. A perfezionarla di vantaggio avremmo volentieri approfittato di certe postille inedite dell'Autore medesimo; ma chi le possiede se n' è mostrato così avaro che abbiamo dovuto accontentarci del desiderio; ciò nulla ostante ci sembra che codesta nostra edizione possa tuttavia aspirare al vanto di essere la più integra, la più compiuta e la più conforme all'originale dell'autore, di quante finora ne furono pubblicate.

Non ispiegare la tovagliuola nè mettere mano ai piatti, avanti che il padrone o il personaggio più rispettabile non ne abbia dato l'esempio. V. Aspetta che gli altri si servano prima di te, senza però volere a tutta forza restar l'ultimo, se essi si oppongono; i quali contrasti non succedono, allorchè si suole mandare in giro il piatto comune, affinché ciascuno, dopo essersi servito, lo faccia passare al vicino. VI. Accetta di buona grazia e senza smorfie, riserbandoti il diritto di mangiare sol quanto ti abbisogna, non quanto ti é dato; giacchè in nessun caso ti corre l'obbligo di esporti ad una indigestione per far piacere agli altri. Non farai passare ad altro convitato la vivanda, il liquore, il caffè che a te direttamente viene offerto dal padrone o da chi ne fa le veci; giacché altrimenti adoperando gli fai tacito rimprovero di violata convenienza o mancanza di riguardi. VII. Prendi quanto t'abbisogna in una sola volta, non a più riprese. VIII. Non mostrar predilezione particolare per una vivanda o per un'altra; né parlar molto di esse, il che sa troppo di sensuale e di voluttuoso. La storia non ha sdegnato di ricordare che l'imperatore Claudio, assistendo alle pubbliche aringhe in non so quale causa , interruppe gli oratori con un elogio della carne di porco, di cui era ghiottissimo. Un'altra volta l'odore d'un pranzo che da' sacerdoti Salii preparavasi nel tempio di Marte, essendo giunto alle sue narici, egli abbandonò il tribunale e andò a porsi a mensa con essi. IX. Non censurare le vivande, se non ti vanno a genio, o se qualche sbaglio successe per inavvertenza del cuoco. Certo Valerio Leone avendo invitato Cesare a pranzo in Milano, comparvero sulla mensa degli asparagi, nel condimento de'quali, in vece d'olio d'ulivo, altro olio era stato frammisto. Cesare ne mangiò senza dar segno d'essersi accorto dello sbaglio, e censurò i suoi amici che se ne mostravano offesi, dicendo loro che doveva bastare ad essi di non mangiarne, se ciò recava loro nausea, senza farne vergogna all'albergatore; e soggiunse che chi di questa inciviltà lagnavasi, dava prova d'essere più incivile egli stesso. X. Non scegliere i bocconi migliori , e soprattutto non istendere le braccia ai piatti più distanti. XI. Non magnificare i pranzi che ti furono dati in altra casa, essendo che il subito confronto può offendere il padrone. XII. Non movere sovente e senza bisogna i piedi o la testa da una parte o dall'altra. XIII. Tossire, sputare, pulirsi le nari, meno che sia possibile; e guardarsi bene di prendere tabacco. XIV. Non piegare il capo sulle vivande; ma solo un poco la testa quando dovrai portare alla bocca le cose liquide; e non imitare que' filosofi di cui parla Luciano, i quali s'abbassavano, e con tanta attenzione, sui piatti, come se vi cercassero la verità , e mostravano di volere

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Sotto dunque' condizioni fisiche del discorso una buona voce; non troppo sottile o molle come da femmina; né ancor tanto austera ed orrida che abbia del rustico, ma sonora, chiara, soave e ben composta con pronuncia spedita; modi e gesti convenienti, i quali in certi moti del corpo consistono, non affettati né violenti, ma temperati con garbo; un volto accomodato e un mover d'occhio che aggiunga grazia alle inflessioni della voceo colle parole s'accordi, cosicché l'attenzione e l'affetto di chi parla vi sembri pingersi sulla sua fisonomia mentre li sentite nell'animo.

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Il corpo de' medici di Parma disse nel primo giorno d'un anno al cessato duca: » il migliore augurio che possiamo fare a Vostra Altezza, si è che in quast'anno Ella non abbia bisogno di noi. »

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.° L' uso di non sedere, finché il padrone non ne abbia fatto cenno, tende a titillare in lui il sentimento del comando e della padronanza, e a ricordargli che aspettiamo i suoi ordini. Nell' isola di Sumatra se non volete essere tacciato d' inciviltà, vi è forza portar seco qualche regalo, allorché visitate qualcuno; il qual costume, venendo praticato anche co'superiori, ha l'apparenza del tributo, non dell'omaggio.

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.° D'andare incontro a quelli che vengono a visitarci, ed anche scendere le scale se gli aspettiamo da molto tempo o sono persone alquanto ragguardevoli; Perciò io avvisa che abbia torto Montaigne allorchè dice che sarebbe inciviltà in un gentiluomo il partire di casa sua per andare incontro alla persona che va a visitarlo , per quanto grande sia il di lei rango, e ohe di maggiore rispetto e civiltà si dà seguo aspettandola in casa. Montoigne, dissi, ha torto per le ragioni addotte nel fusto. 2.° D'accompagnarle allorchè partono, e non rientrare io casa se non, se dopo che le abbiamo perdute di vista; 3.° Dopo questi due usi è quasi inutile di ricordare che fa d'uopo accorciare, a chi viene a visitarci, la dimora nell'anticamera, e dare il braccio alle signore se non ci sono molte superiori di grado. All'avvicinarsi del piacere l'animo s'apre all'allegrezza; si esprime l'allegrezza anche col canto; quindi gli antichi Caledoni andavano incontro, cantando, agli ospiti più distinti e più cari: rendo ragione d'una usanza senza dirvi, imitatela. 4.° Un piacere molto intenso c'induce ad abbandonarne un altro d'intensita minore; perciò l'uso ci impone l'obbligo di sospendere tosto le nostre occupazioni per accogliere una visita. 5.° L'uomo colpito da inaspettato giubilo non sa contenere sé stesso, e sente un impulso ad estendere la propria sensazione piacevole; quindi abbraccia e bacia quasi egualmente l'amico, il conoscente e perfino le cose inanimate. Quindi le donne dotate di maggiore sensibilità che l'uomo, e talora più destre a fingerla, corrono ad abbracciarsi e baciarsi quando si visitano; alla quale ragione fa d'uopo aggiungere quella dell'uso. 6.° L'inaspettato e inteso giubilo fa nascere la riconoscenza a favore di chi lo produce; la riconoscenza consiglia le pronte esibizioni di riposo a chi è venuto da lontano per visitarci ; di cibi graditi secondo le ore del giorno, di vino e di liquori in tutte le ore nelle classi sociali meno elevate. - L'urbanità de'popoli del Brasile consiste nel far coricare il forestiere che giunge; quindi le donne e le figlie della casa, sparse i capegli e colle lagrime sugli occhi, compiangono le sue fatiche e i suoi perigli. Dopo questo piangisteo, rasserenano il volto, s'abbandonano all'allegrezza, e gli offrono da mangiare e da bere. Al Madagascar l'allegrezza unita alla riconoscenza, e non diretta dalla civilizzazione, ha creato un dovere d'urbanità che i popoli inciviliti non ammettono e che la morale condanna. Il padrone di casa esibisce al forestiero quella tra le sue donne che gli è più cara; e sarebbe impulitezza nel forestiero il non accettar l'uso dell'offerta. 7.° II piacere risultante da una visita impone l'obbligo di restituirla alle persone uguali, e lo impone molto più alle inferiori relativamente alle superiori, quando il motivo di chi ci visitò, non fu bisogno, ma stima od affezione. 8.° A Roma le visite alle persone cui erasi o volevasi mostrare affezionato, erano continue e numerose a segno, che spesso il padrone usciva di casa per una porta opposta al vestibolo ove lo aspettavano i clienti. A'nostri tempi, per liberarsi dalle visite importune il padrone fa dire che non è in casa: il che, oltre l'inconveniente della menzogna, dà luogo a replicati inutili ritorni. Invece di ciò che segue la 2.° e 3.° edizione hanno: » Sarebbe miglior consiglio negare francamente la » visita, giacché se coll'uno o coll'altro metodo si » salva la propria indipendenza, col secondo la si » salva senza altrui danno ». Altri, fingendo affari, occupazioni, indisposizione, tolgono più tinte alla menzogna. Vorrei pur farle sparire affatto; e mi sembra che, nel presente stato dei nostri costumi, una manifesta freddezza in chi riceve una visita importuna tolga la voglia di replicarla. ll nostro tempo non può restare nè interamente a disposizione altrui, né interamente a disposizione nostra: egli vuol dunque essere diviso in tre parti; la prima appartiene ai nostri doveri, la seconda ai bisogni altrui, la terza alle convenienze sociali,

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L'uso vuole che la lettera nel caso accennato abbia una sopraccoperta, a fine d'allontanare dal personaggio distinto le marche di sucidume che la lettera contrasse nella censegna e nel trasporto.

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Se non fossero note le contraddizioni umane, farebbe maraviglia come la nazione più galante della terra, la francese, abbia escluso le donne dal trono, mentre queste vi sono chiamate in Inghilterra ove il marito ha il barbaro diritto di condurre sua moglie sul mercato colla corda al collo, e venderla come una pecora o una giumenta: vi sono chiamate in Russia ove sono tuttora schiave.

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Non v'è casa civile in Germania, » in Francia, in Inghilterra, in Olanda, in » Russia, la quale non abbia una stanza pel bagno; » e in ricompensa , rarissima e quasi sconosciuta è » in que'paesi la rogna , come tanti altri malanni » di cute cosi familiari da noi, e proveriienti per lo » più da negligenza e sordidezza » Fa sorpresa che si abbia voluto scorgere qualche ombra di santità nel sudiciume: sarà stata pregevolissima per le qualità dell'animo la celebre Silvania sorella di Ruffino, la quale passò la vita a Gerusalemme nello stato monastico; ma certamente non le si doveva dar vanto, perchè all'età d'anni 60 poteva accertare di non essersi mai lavate le mani, né il volto, né altra parte del corpo. Darebbe quindi prova di zelo per la salute pubblica quel principe il quale stabilisse bagni gratuiti pel popolo, ad imitazione di Carlomagno il quale ne fece stabilire ad Aix-la-Chapelle, ove, unitamente alla sua armata, bagnavasi. Era un uso più che villano, benché conservato per tanti anni, principalmente da coloro che pretendono d'essere modelli di gentil costume, era un uso villano quello che permetteva il deposito del letame cavallino nelle cantine che hanno finestre verso strada. Parini diceva di Milano al suo tempo:

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» Oltraggio chiamo io l'alterigia, i modi » Superbi, usati a me dagli insolenti » Ministri, o amici, o consiglieri, o schiavi, » Ch' io ben non so come a nomar me gli abbia » Quei che intorno ti stanno. E oltraggi chiamo » Quanti ogni giorno a me si fan; del nome » Appellarmi di re, mentre mi é tolto, » Non che il poter, per fin la inutil pompa » Apparente di re; vedermi sempre » Più a servitù, che a libertà, vicino ; » E i miei passi, i miei detti, opre e pensieri » Tutto esplorarsi, e riferirsi tutto; » E ogni dolcezza togliermi di padre; » E il mio figliuol, non che a mio senno il possa » Educar, né il vederlo essermi dato » E a me solo vietarsi ».

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E se la leggiadria si apprezza » negli animali e amo nelle cose che anima non » hanno né sentimento, come noi veggiamo che due » cose egualmente buone e agiate non hanno però » uguale prezzo, se l'una avrà convenevoli misure, » e l'altra le abbia sconvenevoli, quanto si dee ella » maggiormente procacciare e apprezzare negli uomini ? »

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.° » Sono alcuni che in andando levano il piede » tanto alto come cavallo che abbia lo spavento, » e pare che tirino le gambe fuori d'uno stato. Altri » percuotono il piede in terra si forte, che poco » é maggiore il rumore della carra ». In somma si debbono evitare tutti que'movimenti che essendo straordinari, ci espongono all'altrui, ridicolo, perché dimostrano o eccessiva pretensione o non comune negligenza.

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Infatti una vettura, per esempio, la quale stia aspettando d'essere caricata o scaricata, benchè abbia il muro alla sua sinistra, costringe quelle che vanno o che vengono a scostarsi dalla loro linea, e talvolta a retrocedere; giacchè se ella dovesse moversi, a misura che un'altra sopraggiunge, si renderebbe talvolta il carico e lo scarico impossibile. Se si riduce la pulitezza a pratiche arbitrarie e convenzionali, più inconvenienti ne emergono: 1.° La pulitezza perde qualche grado di pregio; 2.° Riesce più difficile ad appaiarsi e ritenersi; 3.° Sorgono dubbi in ogni nuova combinazione di cose; 4.° Mancano le norme per giudicare gli usi e le consuetudini. Per le cose dette è chiaro che la pulitezza, considerata nel suo scopo e ne'suoi mezzi, non differisce dalla morale, fuorchè nella gradazione. Chi, per esempio, dà un bicchiere di vino a persona assetata, eseguisce un atto di misericordia; chi dà la chiave del suo palchetto a chi brama d'assistere ad una rappresentazione teatrale, eseguisce un atto di pulitezza. Nell'un caso e nell'altro v'è cessazione d'un dolore o soddisfacimento d'un bisogno; ed è questo dolor cessato che costituisce il principal merito dell'azione. Nel 1.°caso v'è un dolore più forte; men forte nel 2.°: ma il più e il meno non cambiano la specie. Voi che mi negate 20 lire di cui mi siete debitore, venite accusato d'ingiustizia, perchè mi private de'piaceri che colle 20 lire potrei procacciarmi. Voi scrivete senza motivo ragionevole cinque ponderose lettere ad un povero uomo , e lo costringete a pagare 4 lire per ciascuna, sicchè il danno ch'egli ne sente sale in tutto a lire venti; ciascuno vi taccerà d' indiscrezione, d'inurbanità, non già per convenzione, ma pel danno suddetto che nell'uno caso e nell'altro è uguale; anzi suoi essere maggiore nel secondo, giacchè il dispiacere di sborsare, in parità di circostanze, è maggiore del dispiacere di non ricevere. Le virtù vincono in grandezza e, per cosi dire, in peso la pulitezza; ma questa vince quelle nella frequenza de'suoi atti. Non è possibile nè a tutti nè sempre d'essere generosi; ma è possibile a tutti e sempre d'essere puliti. L'occasione d'esercitare modi gentili si rinnova parecchie volte alla giornata, sicchè la frequenza all'importanza supplisce. In somma la pulitezza è il fiore della morale, la grazia che l'abbellisce, il colore che amabile la rende ed amena. Fa d'uopo confessare che la pulitezza non sempre si presenta abbracciata alla morale; e l'uomo più pulito non è sempre il più morigerato. Il popolo chinese è il popolo più cerimonioso, e nel tempo stesso il più falso tra quanti vivono sulla terra; e, senza andare alla China, ciascuno giornalmente s'avvede che con gentilissimi complimenti sanno titillare l'altrui amor proprio anco gli scroccatori di professione. Quindi un illustre scrittore italiano dice: « Altro infine non è » la pulitezza che l'arte d'ingannare sè medesimi » coll'apparente sacrifizio della propria all'altrui » volontà, talchè non è raro che gli uomini » più puliti siano i più perfidi. Alle quali lagnanze si può andare incontro colle seguenti considerazioni: 1.° Una bella pittura può sussistere sopra un muro fracido, sdruscito, cadente: questa combinazione di cose scema forse il pregio generale della pittura? Le monete false, che non di rado sulla piazza appariscono, distruggon forse l'utilità e la necessità delle monete legittime? Perché la vipera s'asconde talvolta fra l'erbe e i fiori, cessiamo noi di pregiare i fiori e l'erbe? Spogliandoci de' modi gentili, e l'apparenza assumendo o la realtà della rozzezza, ci allontaniamo noi dalla perfidia? Un vizio divien forse manco nocivo, a misura che con maggiore sfacciataggine ed impudenza si mostra? 2.° Parecchi de'nostri sentimenti, se compariscono alla luce, offendono gli astanti, o ci fanno scopo all'altrui motteggio: l'arte che c'insegna a velarli non sarà ella un'arte stimabilissima? Infatti molti litigi che dividono le famiglie, molti odii che covano nell'animo i cittadini, la maggior parte de'duelii che alla giornata succedono, da un detto offensivo, da un atto impulito, da una semplice mala grazia traggono non di rado origine.

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Si può perdonare alle nazioni settentrionali l'uso di sciorre e intiepidire al fuoco nel verno l'acqua che serve di bevanda; si può dire che la natura ne fa loro un obbligo; ma non si comprende sì agevolmente come in paesi temperati abbia potuto introdursi il costume di bere acqua calda tutto l'anno, il che durò più secoli presso più nazioni, ed in ispecie in Francia. Sembra anco che gli antichi non bevessero che vino caldo; i Giapponesi presentemente bevono soltanto birra di riso e sempre calda. Nell'antica Roma, ne'di festivi, la sala in cui mangiavasi era sparsa di gigli e di rose; i convitati ed i servi stessi avevano sul capo una corona di fiori cui pazzamente attribuivano il potere di reprimere colle loro fragranze i vapori del vino. Noi mangiamo le carni cotte e ben condite; i Tartari le divorono crude, persuasi che la cottura le privi di sapore e le renda indigeste. * In Atene a mediocrissimi pranzi succedevano magnifici desserts. * Il re di Loango, in Africa, pranza in due case diverse, egli mangia in una, e beve nell' altra; è proibito, sotto pena di morte, vederlo a bere od a mangiare. Sembra che quest'uso tenda a far credere che sua maestà negra non alla specie umana appartenga, ma a quella degli Dei. - In Inghilterra ne'secoli barbari i cortigiani servivano i loro re in ginocchio. - Al Giappone il servitore che porta le vivande, s'inginocchia ogni volta che pone un piatto sulla mensa e lo riprende. - Ho citato questi fatti per ricordare che l'orgoglio, come tutte le altre passioni, giunge al grado massimo nell'uomo non anco incivilito; il che é confermato da'pazzi titoli che assumono i re barbari e semi-barbari dell'Africa e dell'Asia, titoli che sono sprezzati da' re d'Europa. Più documenti dimostrano che al XII e XIII secolo la nobiltà francese ne'giorni solenni faceva apportare i piatti sulla tavola da persone a cavallo ed armate. I gran signori a cavallo servivano a pranzo i re nel giorno della loro incoronazione. Questa apparenza di pompa militare mista alle funzioni tranquille della mensa riusciva gradita ad una nazione guerriera che il suo principale piacere coglieva nell'armi, e in esse poneva tutto il suo onore. Vi sono de'popoli che danno un pranzo alle mosche; e questo consiste in un piatto di latte e zucchero mischiati insieme. Si dice però che non siano ugualmente cortesi co'loro simili se questi me abbisognano. In Atene ciascun convitato, in un pranzo d' invito, poteva torre alcuni piatti e spedirli a'suoi amici. Sembra ancora che i commensali, finito l'ordinario pranzo, trasportassero seco quanto rimaneva: specie d'indiscrezione lontana da'nostri costumi. L'uomo selvaggio è il solo, nella specie umana, che non conosca pe'suoi pasti un'ora determinata. Sottomesso, come i bruti, ai soli bisogni della natura egli mangia, come essi, quando la fame glie lo ordina, ed aspetta per mangiare di nuovo un nuovo ordine. Non succede lo stesso nello stato incivilito. Dacché supponete una famiglia riunita, delle vivande preparate, e quindi una spesa, degli uomini che ritornano dal lavoro dopo certe ore, finalmente degli amici che si raccolgono insieme, è necessario un tempo fisso, e sono anco necessari più pasti. L'agricoltore, il muratore, il facchino ecc., ne esigettero quattro, che servirono a dividere in quattro epoche la giornata. Le professioni meno laboriose poterono diminuire i pasti e alterarne le epoche giornaliere secondo la durata degli affari, la ricchezza delle società, ad anco i capricci della moda. L'uso generale del Giappone si è di mangiare tre volte al giorno, cioè alle ore otto del mattino, alle due dopo mezzodì, ed alle otto della sera. Sino al XVI secolo in Francia si pranzò alle ore dieci antimeridiane, e si cenò alle sei pomeridiane. Un vecchio proverbio diceva: » Lever a siz, disner dix, » Souper a six, coucher à dix, » Fair vivre l'homme dix fois dix Levarsi a sci, desinare a dieci, Cenare a sei, coricarsi a dieci, Far viver l'uomo dieci volte dieci. Sul principio del secolo XVIII, Luigi XIV pranzava alle 12 ore. Verso il 1750 si fece una colazione più copiosa, onde poter ritardare il pranzo dopo d'avere seguito il corso degli affari pubblici , divenuti più numerosi e complicati. Il pranzo fu ritardato in modo che in più capitali europee cessò il bisogno di cenare, e si pranza attualmente all' ora in cui cenavasi per l'addietro. Infatti nel XV secolo la maggior parte degl'Italiani, dice Machiavelli, avevano per consuetudine di cenare di giorno. L' uso di bere nello stesso vaso, richiesto dapprima dalla ristrettezza delle finanze, motivo per cui sussiste presso le famiglie povere, divenne poscia un segno d'affezione. In Grecia e a Roma, allorché facevasi un brindisi a qualcuno succhiavasi un sorso dalla tazza, quindi gliela si trasmetteva, acció ne bevesse, egli pure. Era questo un favore segnalato quando dal labbro del sovrano la tazza passava a quello del suddito. Non dimenticò quest'uso l'imperatore Massimo, allorché (nel IV secolo) ammise alla sua mensa S. Martino. Se non che erasi già introdotto il costume di far passare la tazza da un commensale all'altro, e ciascuno v'applicava il labbro in segno di comune affezione ed allegrezza. A Nicaria (isola greca) conservasi tuttora quest'uso: la padrona di casa beve per la prima nel bicchiere, quindi lo manda intorno, come fa Didone in Virgilio. In generale i Greci bevono tutti nella stessa tazza e si fanno molti augurii di salute. Questa usanza, che l'autorità di Didone non basta ad ingentilire, sussiste in Inghilterra nelle case che gli usi più antichi religiosamente conservano: la birra va in giro, non in distinti bicchieri, ma in un solo fiasco, e ciascuno vi appone la bocca. Due negri d'Adra, quando vogliono darsi segni non fallibili di calda amicizia, bevono insieme nello stesso tempo e nella stessa tazza.L'usanza di toccare a vicenda i bicchieri coi bicchieri, e quindi bevere, fa circolare ne' commensali il sentimento dell'affezione e dell'allegrezza comune, senza frammischiarvi immagini schiofose e ributtanti. Del costume di bere alla salute de'commensali scorgesi traccia nella più remota antichità, e differenti origini gli si assegnano. Qualcuno l'attribuisce al desiderio di levare l'intemperanza nel bere; si ebbe vergogna, dicesi, di bere oltre misura, e, a colorire questo vizio s'inventò la falsa pulitezza di bere alla salute del vicino, quindi degli assenti, pratica che dagli Inglesi e dai Francesi chiamasi toaser. Altri additano un'origine religiosa. Gli antichi, dicesi, collocavano presso alla mensa le immagini de' loro. Dei domestici e tutelari, facevano loro delle libazioni, e bevevano salutandoli. In processo di tempo bevettero alla conservazione e prosperità delle persone più care, parenti, amici padroni, ecc. I Franchi, divenuti cristiani, credettero di fare un atto di religione bevendo in onore de'morti, e soprattutto in onore di quelli che erano saliti in fama di santità. Ma quest'uso fu riguardato come un'idolatria, una profanazione; un concilio di Nantes anatematizzò; Carlomagno lo proibì ne' suoi Capitolari. Le persone allegre in Francia conobbero facilmente che era cosa ragionevole d'abbandonare i morti, e siccome credevano pure ragionevole l'uso d'onorare il merito bevendo, quindi i viventi rimasero oggetto delle libazioni, e particolarmente gli amici e le amanti. I moderni Greci, volendo far onore ad una persona, bevono tre o quattro bicchieri in suo nome. I Greci suddetti tra un servizio e l'altro s'abbandonano al canto. L'uso di cantare ne'pranzi sale in Francia ai tempi della cavalleria, e continuò sino a Luigi XV. Se non che i Francesi negli ultimi tempi non cantavano che al dessert: ciascuno intonava una canzone allegra, della quale ripetevasi in coro il ritornello. Dal XVI al XVIII secolo regnò in Francia l'uso d'accumulare molte vivande sul medesimo piatto ed in modo da formare una piramide. L'altezza di questa essendo divenuta la misura dell'abilità di chi la costrusse e delle lodi che gli tributavano i commensali, la faccenda si complicò; si posero sulla stessa base vivande e piattelli, confetture e porcellana, frutti e figure, sicché ne risultavano de'campanili si alti che, giusta l'espressione di madama Sevigné, fu talvolta necessario alzare le porte. Per lo passato, allorchè avevate ricevuto un pranzo da qualche amico in una città della Gran Bretagna, eravate sicuro di ritrovare, partendo, disposti a spalliera nell'anticamera o lungo le scale tutti i servi che vi avevano servito a tavola, cominciando dal maggiordomo sino al guattero, e dovevate porre nelle mani di ciascuno una moneta proporzionata al suo ufficio. Quest'uso che riscoteva un dazio sul commercio dell'amicizia, che poneva ostacoli all'ospitalità, che nella casa d'un amico faceva pagare un pranzo al prezzo quadruplo di quello che si sarebbe pagato in casa d'un locandiere, quest'uso incivilissimo obbligava molte persone a dichiarare che non erano abbastanza ricche per accettare pranzo da tale o tal altro milord. Questo dazio, che era in vigore nello scorso secolo anche in Olanda, si pagava sotto gli occhi del padrone, il quale non s'accorgeva o non voleva accorgersi che era cosa sommamente inurbana il volere alimentare de'servi con contribuzioni forzate imposte all'ospitalità ed all'amicizia. Gli Scozzesi furono i primi ad abolire quest'uso nel 1760, con grande scandalo de'servi, i quali non mancarono d'invocare le venerate pratiche de'maggiori, e declamare contro la corruzione del secolo, e ripetere nel loro gergo » Declina il mondo e peggiorando invecchia ».

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Nuovo galateo. Tomo II

194254
Melchiorre Gioia 7 occorrenze
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Estendetevi sopra tutte le conseguenze nocive della misura proposta o dell'opinione ch'egli difende; dimostrate che saranno funeste allo Stato, che favoriranno la tirannia o l'anarchia, ma non fate giammai supporre che egli abbia prevedute o volute queste conseguenze. Rigorosamente parlando, l'accennata regola è fondata nella giustizia; poichè se é cosa difficile il conoscere i veri e segreti motivi che agiscono sul nostro animo, è cosa temeraria il pretendere di ravvisare quelli che muovono l'altrui; e ciascuno sa per propria esperienza quante volte i nostri sospetti diano in falso in queste ricerche. La riservatezza imposta dalla suddetta regola é utile a tutti, perché é sostegno alla libertà delle opinioni, è schermo contro le ingiuste accuse. Ne' dibattimenti politici come nella guerra ciascuno deve astenersi da que' mezzi che ragionevolmente non vorrebbe usati contro di sè. Ma soprattutto poi l'accennata regola è conforme alla prudenza. Infatti, voi credete che il vostro antagonista s'appigli al torto; ora egli non sarà forse restio ad abbracciare la vostra opinione, se gliela presentate nella sua nudezza scortata solo dagli argomenti che la dimostrano. Ma se cominciate dal rendere sospette lo sue intenzioni, voi l'offendete, voi lo provocate, voi non gli lasciate la calma necessaria per ascoltarvi con attenzione. Egli diviene parte contro di voi. Il calore si comunica dall'uno all'altro, i suoi amici s'interessano per lui; e quindi nascono non dì rado de' risentimenti che, estendendosi al di là della discussione associano all'opposizione politica tutta l'asprezza degli odii nazionali. Un uomo di carattere benevolo, modesto nella sua superiorità , generoso nella sua forza , confida solo ne' suoi argomenti, e sdegnerebbe di dovere la vittoria alle intenzioni supposte prave del suo nemico. 3.° Guardarsi dal perdere tempo e parole nel confutare cose palpabilmente false. In questi casi è meglio troncare il discorso e rimettersi all' opinione degli astanti, giacché la discussione recherebbe noia ad essi, senza riuscire a persuader l' avversario. Zenone negava l'esistenza del moto; Diogene, senza spendere parole, si mise a passeggiare: Zenone persistette nel suo paradosso, e Diogene continuó il suo passeggio. Allorchè Didone s' incontra negli Elisi con Enea, da cui era stata sì ingiustamente e sì barbaramente abbandonata, s'arresta ella per argomentare con lui e convincerlo ? Enea cerca di riacquistare il di lei animo, ella gli volge spregevolmente le spalle senza dir verbo. Badate bene che nei caso pratico l'orgoglio potrà ingannarvi ed indurvi a supporre palpabilmente false le altrui idee, o palpabilmente vere le vostre. La noia o l' approvazione che vedrete sul volto degli astanti, vi servirà di norma per troncare la discussione o continuarla. 4.° Non rispondere alle ingiurie che nel calor della disputa sfuggono di bocca all'avversario. Batti, ma ascolta, diceva Temistocle ad Euribiade, il quale alzava il bastone per provar la sua tesi. Questa fermezza d'animo in un uomo che era tutt'altro che vile, ci dice che si devono lasciar cadere GIOJA. Nuovo Galateo. Tom. Il. 9 a terra le ingiurie come nè dette nè sentite, e difendere le proprie con tutto il sangue freddo della ragione. Infatti da un lato nel calore della disputa fuggon di bocca parole che si ritrattano, appena cessato; dall'altro l'altrui caduta non giustificherebbe la nostra. In questi casi una risposta urbana che dimostri serenità d'animo, fa più impressione che non un torrente di villanie. Perché mi dite voi delle ingiurie in luogo di ragioni? Avreste voi preso le mie ragioni per ingiurie? diceva l'amabile Fénélon all'impetuoso Bossuet. Il padre Bouhours, assalito da M.r Menage con una batteria d'ingiurie, ne raccolse un centinaio delle più villane, quindi vi scrisse sotto queste poche parole: E forza convenire che questo sig. Menage é un uomo molto pulito.

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Che nel riso abbia luogo la sorpresa, è dimostrato da' seguenti notissimi fatti: 1.° Ridono più spesso gli ignoranti che gli uomini colti, poiché i primi, non conoscendo i rapporti che uniscono le cose, a maggiori sorprese soggiacciono. 2.° Il saggio appena sorride mentre lò sciocco s'abbandona a riso sgangherato, giacché il saggio trova presto le idee intermedie che uniscono l'ordine abituale delle cose col fatto inaspettatamente successo e che sembra smentirlo. 3.° Di molte cose ride il saggio, di cui lo sciocco non ride; e questo accade quando il contrasto non é immediatamente espresso, ma dietro rapporti finissimi di idee s'asconde, e qualche momento di riflessione per essere sentito o riconosciuto richiede. 4.° Gli uomini faceti e lepidi dicono e sanno ritrovar cose che fanno ridere gli altri, senza che ne ridano essi. Non ridono essi perchè veggono il modo che unisce le idee in apparenza contrastanti; fanno ridere gli altri perché hanno l'artifizio di nasconderlo ai loro occhi. 5.° Il riso che eccita una facezia sentita la prima volta, é molto minore alla seconda, e poscia diviene nullo, perché le cose note non lasciano luogo alla sorpresa. II. Che al riso non basti una sorpresa qualunque, ma si richiegga l'aggiunta di sensazione piacevole sembra risultare da' seguenti fatti: 1.° *Noi non ridiamo se viene a visitarci una persona indifferente, o sentiamo una notizia che non c'interessa; all'opposto ridiamo rivedendo un amico, o ricevendo una buona novella.* Noi ridiamo ricordando le nostre passate follie, ove non abbiano annessa l'idea del disonore, perché questa ricordanza dà risalto al sentimento della nostra attuale saggezza, e, quasi dissi, le accresce pregio. 2.° Noi ridiamo all'udire le altrui goffaggini: il che forse deriva dall'amor proprio, il quale gioisce nello scoprire in altri de' difetti de' quali egli si crede esente. 3.° Noi ridiamo alle sventure de' nostri nemici, allorchè non sono sì forti da interessare la nostra compassione; poiché le accennate sventure adescano piacevolmente il sentimento dell'inimicizia e della vendetta. 4.° I beffardi ridono nello schernire questo o quello; giacché il loro orgoglio coglie tanti gradi di piacere, quanti gradi di depressione ed avvilimento fa subire agli altri co' suoi motteggi. 5.° Noi ridiamo nello scoprire somiglianza tra oggetti che credevamo non ne serbassero alcuna, come ridiamo in generale sentendo ingegnosi tratti di spirito; 1.° perchè il facile esercizio della nostra intelligenza nel rapido passaggio da un'idea ad un'altra, i cui rapporti lontani non erano ben noti e distinti, é per sé stesso piacevole com'è piacevole un moderato passeggio, il respirare aria nuova, la comparsa d'un lume nell'oscurità e simili; 2.° perché quella cognizione diviene argomento della sagacità nostra, la quale ha saputo cogliere un elemento che, restio all'analisi, al comun guardo ascondevasi. III. Acciò la sorpresa e il piacere cagionino riso, vogliono essere prodotti da lievi contrasti o da finissime analogie; ecco qualche fatto: I.° Alla vista, per es., d'un bel quadro, all'udire una bella musica, noi proviamo sorpresa e piacere, ma non ridiamo; dite lo stesso allorchè al vostro occhio si presenta l'arcobaleno od altro simile grandioso ed innocente fenomeno. 2.° Vi cagionerà sorpresa e piacere senza farvi ridere la vista d'un animale selvaggio non mai veduto prima, per es., la grossa scimia chiamata ourang-oatang. Ma se la scimia vi si presenta con berretto da cardinale in testa, voi non potrete comprimere il riso: v'é qui un contrasto. Osservate bene che non tutti i contrasti fanno ridere, ma solamcnte i contrasti lievi, e son quelli che escludono la compassione e l'orrore. Se un uomo millantandosi di poter saltare un fosso vi cade in mezzo come un animale, voi ridete sgangheratamente, ma se, cadendo, si rompe una gamba od altro, voi non ridete più; qui il riso é compresso dalla compassione. Dire con Aristotile che il riso è prodotto da una deformità senza dolore, è ristringere di troppo, secondo che io ne giudico, il campo del ridicolo; poiché spesso noi ridiamo saporitamente senza che alcuna ombra di deformità al nostro spirito si appresenti. Infatti ci fa ridere la scoperta di finissima analogia non prima supposta (p. 162, nota 1), l'unione di qualità che sogliono essere disgiunte (p. 253, nota I), la disgiunzione di qualità che vanno ordinariamente unite insieme. Il Castiglione racconta come un dottore vedendo uno che per giustizia era frustato intorno alla piazza, e avendone compassione perchè 'l meschino, benchè le spalle fieramente gli sanguinassero, andava così lentamente, come se avesse passeggiato a piacere per passar tempo, gli disse: Cammina, poveretto, ed esci presto di questo affanno. Allora il buon uomo, rivolto, guardandolo quasi per maraviglia, stette un poco senza parlare, poi disse: Quando sarai frustato tu, anderai a modo tuo; ch'io adesso voglio andar al mio. Vediamo in questo caso disgiunte due qualità che sogliono essere unite; cioè, sotto l'azione delle percosse non scorgiamo né i segni del dolore, né lo sforzo a liberarsene. Abbiamo dunque da un lato una forte sorpresa, dall'altro un sospetto che quel paziente o non soffrisse, il che fa tacere il sentimento penoso della compassione, o riuscisse a dominare il dolore, il che dà luogo ad ammirazione scevra d'invidia. Io non saprei come innestare sulle azioni e sul discorso di quest'uomo l'idea della deformità, mentre vi veggo chiarissimo un bel contrasto con quanto succede comunemente.

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.° Siccome non v'ha passione che non abbia tentato di giustificare i suoi eccessi, vestendo anco, per rendersi rispettabile, le apparenze religiose, perciò forse non recherà maraviglia che Gastone Febo conte di Foix (XIV secolo) abbia proposto la caccia non solo come mezzo di felicità in questa vita, ma anco di salute nell'altra. Nel suo trattato sulla caccia egli dice che elle sert à faire fuyr tous les péchez mortels. Or qui fuyt les sept péchez mortels, selon notre foi, il doit ètre sauvé. Donques bon veneur aura, en ce monde, joye. lèesse et deduit; et, aprés, aura paradis encore. « Ella serve a far fuggire tutti li peccati » mortali. Ora chi fugge li sette peccati mortali, » secondo nostra fede, deve essere salvato. Dunque » buon cacciatore avrà in questo mondo gioia, » letizia e spasso, e dopo avrà il paradiso ancora». Ciò non ostante nel corso dell'opera sembra che il pio conte venga assalito da qualche scrupolo, poiché modifica un poco quel suo bel ragionamento, e conviene che i cacciatori potrebbero non essere, per questo merito, collocati nel bel mezzo del paradiso; ma egli pretende che au moins ils seront logiez aux faux-bourgs, et basses-cours; « Almeno saranno alloggiati ne' sobborghi e » ne' cortili». quindi conchiude: c'est pourquoi je consente à toutes maniéres de gens, de quelque état aiment les chiens. Vie privée des François, t. I, pag. 393. - Code dea chasses, t. I, pag. 35. - * » Per la qual cosa io consiglio a tutte le qualità » di genti, di quale stato essi siano, che amino li cani ». * Questo disordinato amore della caccia produsse i mali che ne sono l'ordinario risultato: 1.° Indolenza attiva che disprezzó tutte le professioni; 2.° Spirito d'oppressione contro il contadino; 3.° Ostacoli alle migliorie agrarie. Infatti abbattere le foreste, asciugare le maremme, distruggere gli animali malefici che le abitano, sono i primi oggetti che reclamano i lavori dell'uomo che vuole sottomettere la natura a' suoi bisogni. Ora tutti questi lavori erano interdetti da un'aristocrazia territoriale che reprimeva a suo piacimento i progressi dell'agricoltura, e non aveva ancora imparato a sacrificare i suoi piaceri alla sua avarizia. Quindi le più belle contrade d'Europa dal V al XIV secolo rimasero, ove più ove meno, sterili e deserte. Il selvaggiume ugualmente che i boschi custoditi da, leggi feroci fecero prevalere il principio e che per la conservazione delle foreste il re non era obbligato a rispettare le regole della giustizia. Così i divertimenti de' signori tendevano alla distruzione dello Stato, e sostituivano de' cervi agli agricoltori, come i regolamenti di Pio IV, delle mule agli artisti (pag. 23). » Oggigiorno, diceva Giovanni di Salisbury » nel XII secolo, i nobili riguardano la caccia come » l'occupazione più onorifica e il talento più desiderato. » Essi fanno più spese per disporsi a questi divertimenti, » che per prepararsi alla guerra, e inseguono » con maggior furore le bestie selvagge » che i nemici del loro paese. Abbandonandosi continuamente » a questo genere di vita, perdono a » poco a poco ogni sentimento umano, e divengono » selvaggi come gli animali che inseguono. Gli agricoltori » colle loro gregge sono cacciati da' » loro campi, prati e pascoli, acciò possa il salvaggiume » crescere ed estendersi. Se qualcuno di » questi grandi e barbari cacciatori passa dinanzi » alla vostra porta, portategli tosto tutti i rinfreschi » che avete o potete ottenere da' vostri vicini, » se non volete vedervi rovinati, ed anche » accusati dall'alto tradimento». Le abitudini selvagge s'introdussero nelle feste. Allorchè Enrico II re di Francia (XVI secolo) entrò solennemente in S. Giovanni di Maurienne, fu ricevuto da cento uomini vestiti di pelli d'orso: essi avevano esattamente l'apparenza di orsi naturali, ad eccezione d'una spada che portavano sulle spalle. Dapprima essi accompagnarono il re facendo mille salti e cavriole; e per meglio imitare gli orsi s'arrampicavano sulle muraglie delle case, sui pilastri de' mercati, e mandavano gridi simili a quelli che echeggiano ne' boschi. Finalmente diressero al principe una salva seguita da urli sì orribili, che i cavalli spaventati, rotte le redini e le cigne, si diedero alla fuga. - Non vi par egli nobile e gentile questo modo di divertirsi che fa spavento ai cavalli? Se i nobili alla corte volevano mostrare somiglianza cogli orsi, forse non recherà meraviglia se i re vollero mostrare domestichezza coi leoni. Don Giovanni re di Castiglia ricevette nel 1434 gli ambasciatori francesi seduto sopra magnifico trono, avendo a' suoi piedi un grosso Lione ch'egli aveva ammansato. I divertimenti corporei prevalenti negli scorsi secoli ci danno adunque i seguenti risultati generali: 1.° Conquiste, aggressioni, saccheggi, soperchierie proclamati come azioni onorifiche; 2.° Gli animali salvatici più apprezzati degli uomini; 3.° I grandi apparentati coi cani, coi cavalli, cogli orsi, coi lioni; 4.° Distruzione de' lavori agrari ed ostacoli ai loro progressi. Si potrebbe dire distruzione d'ogni civiltà; infatti Carlo IX re di Francia, nella seconda metà del eccolo XVI, eccessivamente passionato per la caccia, avrebbe voluto, se prestasi fede allo storico Mathieu, passare la sua vita ne' boschi, e chiamava il soggiorno nelle città il sepolcro dei viventi. Il quale sentimento non sembra discordare gran fatto dai titoli che furono dati a più sovrani: per es: troviamo come segue: X secolo, Enrico l'uccellatore, imperatore. XII - , Enrico il Lione, duca di Sassonia. XII - , Alberto l'orso, elettore di Brandeburgo. XV - , Filiberto il cacciatore, duca di Savoia, ecc. Paragonate questi titoli con quelli che i sovrani ambiscono ne' tempi, attuali, ed anche questo confronto vi dimostrerà il felice cambiamento dei costumi.

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Se taluno vanta un bel libro, un letterato vi accerterà tosto che lo possiede, benché forse non lo abbia mai veduto né anche pe' cartoni; se si tratta d'un grande uomo, questi vuol essere suo parente, e quegli lo vide a Parigi o a Londra, o viaggió con lui nelle stesso vascello, e ne trae vanto come l'asino della favola, il quale portando delle reliquie s'immaginava d'essere adorato. Orazio si vantava d'urtare impulitamente chiunque incontrava per istrada, purché potesse giungere a Mecenate: vedete l'astuzia o sia il contratto dell'amor proprio; egli vi dà una parte della sua reputazione, cioé vi concede d'essere impulito, affinché lo crediate in lega col ministro d'Augusto. In somma quasi ad ogni istante si scorge che gli uomini nelle loro pretensioni sono più irragionevoli di que' facchini che, sentendo a lodare le belle sonate d'un organista, si gloriano d'avere levato i mantici. Acciocché i giovani non prendano abbaglio, farò osservare che il vantarsi d'essere l'amico di qualche persona virtuosa od altrimenti stimabile, quando lo si é veramente, non è un vanto irragionevole come gli antecedenti; giacché le persone virtuose e stimabili non concedono la loro amicizia se non a persone ch'elle stimano. 5.° I pregiudizi comuni. Questa sorgente di ridicolo non ti puó mancare, se ti trovi in compagnia di donnicciuole; giacché se per es. farai oggetto del discorso un male o l'altro, esse ti spacceranno tosto de' rimedi simili a quelli del medico Quinto Sereno, il quale, per guarire la quartana, poneva sotto il capo del febbricitante il quarto libro dell'Iliade. Continua tu la storia delle malattie, ed esse continueranno a spacciarti dei recipe che ti farebbero ridere, fossi anche moribondo. Mi é stato dimandato se è come si può intrattenersi e ridere colle pinzochere. Veramente il problema è un po' difficile, ma se il lettore promette di non tradirmi, gli affiderò il mio segreto. Le pinzochere chiamano chiunque al loro confessionale; e il loro contento cresce in ragione delle persone che condannano. Quando adunque mi trovo in compagnia d'una di queste signore, le caccio avanti una ventina di peccatori per lo meno, e tutti colle loro colpe sulla fronte: qui si legge mode, là teatro, più lungi passeggi, suoni, canti, ecc. La vista di questi piaceri, a cui per motivi rispettabili madama ha rinunziato, riscalda la sua bile; quindi eccola assisa pro tribunali, e scrivendo sentenze da Radamante, colle mani e coi piedi caccia all'orco questi poveri profani. Appunto perché so che la pinzochera é inesorabile, io m'interpongo e chieggo pietà ora per l'uno ora per l'altro: tento l'apologia della moda, dimando qualché tolleranza pel teatro, il concerto delle sfere mi serve a difendere i suoni, gli augelli vengono in soccorso de' canti, ecc.; succede dunque una contesa tra il giudice e l'oratore, e così la sessione criminale continua, giacché le obbiezioni ragionevoli ed a proposito sono uno stimolante della conversazione. E siccome lo zelo di madama è scevro di malizia, quindi riscaldandosi ella facilmente, mi permette di leggere nel fondo del suo animo; io ravviso allora sotto tinte superstiziose quelle false idee che leggo in alcuni libri sotto tinte poetiche, ed imparo a stimarne profondamente gli autori! Crescendo il calore di madama, io diminuisco l'opposizione, e lascio assaporare il piacere d'avermi persuaso e vinto: in questo modo usciamo della conversazione soddisfattissimi entrambi, ella di me ed io di lei. 6.° Gli sforzi per comparire ricchi; del che vedi un cenno alla pag. 85, § 4 del tomo I. Basterà qui, il dire che il ridicolo in questi casi cresce in ragione della dilferenza che passa tra l'apparenza e la realtà, sicché il massimo ridicolo ci verrebbe offerto da coloro che imitassero i comici di campagna, i quali dopo d'avere rappresentato Cesare e Pompeo, muoiono di fame. 7.° La saccenteria, la quale si é di due specie: appartengono alla prima quelle persone che, non facendo mai uso del loro giudizio, spacciano le idee altrui senza discernimento e come proprie.

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Poi entrare in ogni » ragionamento tanto animati, e tanto a bandiera » spiegata, da far credere che quello che si dice » abbia proprio la radice nell'intelletto, e sia studio » di tutta la sua vita. Qualche picchiata agli » autori può ancora giovare. Verbigrazia, se un » dice: Come vi piace l'opera del tale? Non ho avuto » pazienza di leggerla. Dante? E' rancido. Il » Petrarca? Troppo lavorato; e poi malgrado gli » so, perché ha fatti tanti Petrarchisti, che sono » mia noia. L'Ariosto? Divino; ma molte volte dà » nel basso, che m'uccide. Il Tasso? Semper chorda » oberrat eadem. Insomma ell'é come disse il Leopardi:

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