Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il successo nella vita. Galateo moderno.

176104
Brelich dall'Asta, Mario 50 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Non fumate in presenza d'un vostro principale o superiore, sinchè egli non vi abbia invitato a farlo. Fumare in una camera da malato è una sconvenienza ed indelicatezza di sommo grado. In una sala di musica non si fuma mai. Così pure non si può fumare in sale da concerto o teatri. E non, si fuma nemmeno in una sala da ballo privata. In « caffè chantant » in bars ecc., naturalmente il fumare non è vietato. Prima di invitare una signora a ballare tralasciare di fumare, ballare con la sigaretta in bocca o in mano, è indecente. Non si fuma poi neanche in sale da ballo pubbliche. In cimitero ancora meno! Non si entra mai colla sigaretta, pipa o sigaro accesi, in un'abitazione straniera. Andando a fare una visita, prima d'entrare si getta via la sigaretta o il sigaro che si è fumato per strada. Entrando in un salotto, non si tiene in tasca una pipa o un bocchino che abbiano un forte odore. Come invitati si fuma soltanto se si è stati invitati a farlo. Se l'ospite non è fumatore, è meglio di tralasciare il fumare per il tempo della visita. Anche in una visita d'affari, si attende finchè si è invitati ad accendere una sigaretta. Se l'ospite vi offre da fumare, non fate complimenti, accettate o rifiutate cortesemente. Ma in nessun caso tirate fuori la vostra busta di sigarette: questo sarebbe una risposta molto scortese. Soltanto se per ragioni sanitarie fumate una qualità speciale, potete chiedere cortesemente il permesso di poter fumare le vostre proprie sigarette. Altrimenti l'ospite potrebbe sospettare che dubitiate della bontà della qualità ch'egli vi offre.

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Se unicamente la bellezza esteriore affascina un uomo, sappia dominarsi tanto, da non legarsi ad una donna che sia soltanto bella, ma che abbia un carattere non adatto al suo. La bellezza è una cosa passeggera, e svanita essa, non rimane altro valore nella donna. Se dal matrimonio nascono dei bambini, il marito è obbligato verso sua moglie, che è madre dei suoi figli, a un trattamento rispettoso ed affettuoso, ed ha il dovere - naturalmente entro i limiti della possibilità - di assicurare ai suoi figli una casa pacifica, una vita tollerabile. Molti « ragazzoni » - e ci sono tanti che lo restano sempre! - si sentono attirati alla donna più matura la quale possa curarli e viziarli e a cui essi possano raccontare tutte le loro pene e tutti i loro dispiaceri. Simili matrimoni non sono i peggiori. C'è solo da considerare, che la donna più matura invecchia anche prima e che allora si deve considerarla soltanto per le sua qualità d'anima; la sua bellezza non dura molto tempo. La donna collaboratrice, compagna di lavoro, il tipo dei nostri tempi sarà sposata facilmente, perchè non dipende materialmente dal marito. Però, colui che cerca una vera moglie, capace di curarsi soltanto del benessere del marito, e che sia una vera donna di casa, non si potrà sentire felice, col tempo, nell'intimità d'un simile matrimonio. Un punto di vista importante è quello che non capitino insieme due persone con temperamento troppo caloroso, o due altre troppo fredde o calme; un'altra cosa importante sarebbe che la differenza di età non fosse troppo grande tra i coniugi. Ma dove si può trovare delle regole nell'amore? E quante volte un matrimonio, cui non si è augurato niente di buono, riesce bene? E viceversa? Un uomo che ha una posizione ufficiale che ha bisogno d'una moglie molto intelligente e che abbia intendimento per le esigenze della sua carriera, deve scegliere molto prudentemente. La moglie di un tale uomo, deve molte volte, essere pronta a grandi sacrifizi per giovare alla carriera del marito. Chi ha una passione per un certo ramo di sport e non vuole tralasciarla nemmeno col matrimonio, si scelga una moglie adatta; un'artista che è difficilmente trattabile, si prenda in moglie soltanto una donna molto gentile e fine, e che ha la capacità di assimilarsi completamente a lui. Dopo una scelta giusta, molte volte l'uomo si trasforma, e da poligamo diventa un marito affettuoso, anche fedele, a cui il benessere della donna amata è più importante che la propria vita.

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Aprendo una porta, prima di lasciare l'imposta, dobbiamo attendere che la signora che ci segue, ne abbia afferrata la maniglia. Avviene spesso che se due persone cortesi s'incontrano ambidue vogliano lasciar passare prima l'altra e nessuna vuol accettare immodestamente la precedenza; in tal caso, affinchè la gara di cortesie non si protragga troppo a lungo il meglio è, che colui a cui fu offerto il passaggio per la seconda volta, accetti senz'altro ringraziando. Se per caso abbiamo involontariamente urtato o disturbato qualcuno, dobbiamo in ogni caso chieder scusa. Brevi formule di scusa sono, p. e. « Mi scusi! » o semplicemente « scusi », o più cortesemente « La prego di scusarmi » oppure: « Mi perdoni »; molto usata è anche la parola francese « pardon ». La domanda di scusa dell'uno viene accolta dall'altro con un cortese « prego » o con un più gentile « faccia pure » o « si figuri ». E' naturale di chieder scusa nel caso che si debba importunare qualcuno, chiedendogli p. e. di lasciarci passare o interrompendolo nel suo discorso. Le forme più adatte sarebbero: « Scusi se la disturbo » o « mi dispiace veramente di doverla importunare ». Se p. e. a tavola abbisogniamo del sale o di un panino, non conviene passare colla mano avanti al piatto del nostro vicino, o magari allungare il nostro braccio avanti al suo vino. Per lo meno ci si deve scusare, ma in ogni caso più cortese e di chieder l'oggetto che ci occorre, al nostro vicino, senza importunarlo con gesti superflui. Una formula adatta sarebbe: « scusi, signore favorisca passarmi il sale » o « abbia la bontà di passarmi il sale » « per cortesia, mi passi un panino » ecc... L'altro ci passerà l'oggetto chiesto in modo che noi lo possiamo prendere comodamente, p. e. la forchetta o il coltello li dobbiamo prendere sempre dalla parte del manico. In nessun caso è permesso di girare intorno a tutta la tavola per procurarci gli oggetti di cui abbiamo bisogno. Se anche abbiamo il diritto di comandare è preferibile pregare; questo è molto raccomandabile nei rapporti con camerieri, conduttori, portalettere e simile personale pubblico. Comandare si può soltanto a chi ci è sottoposto del tutto, ma anche in tal caso con la cortesia si raggiunge molto più che non con la rudezza. Con persone di rango uguale al nostro siamo deferenti lasciandoli fare o non fare a loro volontà. Se si viene pregato a far qualcosa si risponde con un cortese: « volentieri » o « si figuri, col massimo piacere ». Se non siamo in grado di soddisfare alla preghiera rivoltaci, dobbiamo scusarci motivando ampiamente la causa. P. e. « Mi dispiace, o sono spiacentissimo di non poterle fare questo favore, ma... ».

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darsi il caso che la signora incontri impedimenti, o abbia qualche spiacevolezza, il signore deve andar avanti e lasciarsi seguire della signora. Così p. e. entrando al ristorante, dove sguardi curiosi possono disturbare una signora che entra apparentemente sola, o quando si tratti di cercare il posto al teatro, o di aprirsi un varco in una folla o di scendere d'un tram o da un treno, ecc. ecc. Nel salire scale il signore deve precedere, invece, scendendo, è la Signora che precede il Signore. La prima regola fu creata dalla moda dei vestiti corti delle signore. Se però una signora mostra di voler andare avanti, - ciò che una signora bene educata non farà mai - il signore deve lasciarla passare, ed attendere qualche istante per non salire immediatamente dietro alla signora. Il riguardo generale che dobbiamo avere per i nostri prossimi ci vieta in generale di avvicinarci troppo a qualcuno e di disturbare. Una persona distinta si comporta dappertutto tranquillamente, piuttosto si mantiene un poco riservata, e si muove soltanto tra i limiti concessile. Un importante segno esteriore del rispetto verso il prossimo, è l'uso di levar il cappello in locali chiusi; del resto ci leviamo il cappello anche all'aperto innanzi ad una persona di alto rango. Il trascurare questo uso sarebbe un grande sgarbo, eccettuato il caso che l'uso del locale esigesse il contrario, come nelle chiese ebraiche. Incontrandosi con una signora le si dà il passo in modo sufficente, evitando di sfiorarla; a signore che passeggiano, non si

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Nè d'altra parte si deve trattenere la dama prima che abbia ad accennare ad alzarsi o tenere le mani sopra le sue spalle. I cavalieri sono pregati di distendere le loro braccia lungo i propri fianchi, così, come dice il regolamento militare, chi lo ricorda? « Col pollice disteso lungo la cucitura dei pantaloni ». Eh sì, è la posizione dell'attenti ed attenti state ora, se non volete che l'egregio dottore coi suoi dolci sguardi vi porti via la dama. Si, egregio dottore, prenda coraggio, e faccia i suoi occhi più dolci e più languidi ancora, ma soprattutto più ardenti se vuol riuscire a far comprendere la sua domanda alla dama che sta fissando. L'ingegnere gliela ha trattenuta. Cerchi di fare gli occhi... di triglia a qualche altra dama il cui cavaliere sia meno attento. Forse questo novello Adamo non pensa alla sua Eva che ha seduta dinanzi, ma a qualche altro « serpente » e Lei ne approfitti della sua distrazione, Così, va bene. Ed ora che la ha conquistata stia attento a mantenersela. Ed ora naturalmente è l'egregio avvocato, che è rimasto abbandonato, a dover cercare di attirare a sè un'altra damigella ». E così via. Se dovesse capitare al cavaliere che cerca col suo sguardo di attrarre a sè una dama, che invece di questa gli si slanci un'altra che egli non intendeva, egli può rapidamente voltare la sedia osservando che il suo sguardo non era rivolto a lei. Certo questo rifiuto... poco cavalleresco... non dovrebbe esser fatto che fra persone che ben si può essere convinti che non abbiano a dolersene o ad offendersene e piuttosto il cavaliere farà bene di far buon gioco a cattiva fortuna ed accettare la damigella che gli è piovuta dal cielo piuttosto di scatenare un temporale. Il gioco può essere anche invertito e mettere seduti in circolo i cavalieri, mentre resta alla dama che ha davanti a sè la sedia vuota di invitare con gli sguardi più soavi il cavaliere che consoli la sua solitudine. E qui è ben più facile che la dama abbia a... voltare la sedia... rifiutando il cavaliere non chiesto con i suoi sguardi, poichè i cavalieri in generale sono meno permalosi e non si offendono facilmente per un rifiuto mormorato da due labbra dolci. Chè anche di fronte ad un rifiuto il cavaliere deve comportarsi come tale e far buon viso ad avversa fortuna.

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Oppure si possono scegliere dei motti come ve ne sono tanti in uso nei giochi da bambini, oppure un verso o farsi un detto da soli che abbia attinenza alla riunione. Scelta la persona la si mette nel centro del circolo, le si bendano gli occhi con un fazzoletto e le si pone in mano un bastone, un cucchiaio di legno di quelli in uso in cucina oppure una bacchettina. E' bene che, dopo bendata la persona, si abbia a far scambiare i posti dei componenti e ciò allo scopo di non lasciare alcun punto di riferimento alla persona bendata che sta nel centro. Anzi il direttore del gioco dopo averla bendata, le fa fare qualche giro su se stessa od intorno al centro del circolo perchè abbia a perdere ogni cognizione della direzione e nel frattempo la istruisce sul gioco press'a poco così: Lei ora deve tenere davanti a sè il bastone ed avanzare dal centro verso il circolo, ma adagio per non fare del male ad alcuno. I componenti del circolo staranno fermi e zitti e non appena lei raggiunge un ostacolo col suo bastone, la persona toccata deve emettere un suono con la voce alterata, mormorare qualcosa od imitare la voce di qualche animale. Rimanendo sempre bendato lei deve dire il nome della persona e se ha indovinato prende il suo posto, se non, pazienza, deve ritornare al centro per cercarsi un'altra vittima. Ad ogni modo prego i componenti del circolo di mormorare abbastanza chiaramente in modo che la persona bendata possa percepire chiaramente il suono, in caso diverso ella potrà richiedere di ripetere il mormorio. Ogni volta che vien indovinata una persona e che viene bendata; è bene che i giocatori si dispongano in ordine diverso nel circolo scambiandosi di posto per rendere più difficile l'identificazione. Questo gioco può avere molti varianti. Se lo si fa nel salotto si può munire la persona bendata di un cuscino che deve posare sulle ginocchia delle persone che siedono in circolo. La persona così... onorata... deve dare un suono da cui la persona bendata deve indovinare chi sia. Naturalmente si deve aver cura che la persona bendata non sbagli e vada a cadere a terra. E' quindi bene che quando sta per sedersi sulle ginocchia la si aiuti un momentino a prendere il giusto posto, facendole evitare di sedere sulle ginocchia di due persone. La si può ingannare anche per esempio stendendo sui calzoni di qualche signore una tela in modo da far ritenere si tratti di persona femminile. Alla persona bendata è naturalmente proibito di tastare con le mani e solo deve fare la sua domanda: Chi sei? o qualche altra domanda: « Come miagola il gatto? o come abbaia il cane?

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Sopratutto però si dovrà aver cura di tener sempre occupato il coscritto con domande ed osservazioni in modo che non abbia ad accorgersi del tranello che si sta per tendergli. Quando l'ordinanza chiama uno di coloro che non conoscono il gioco e che, come anzidetto, sono stati allontanati in altra stanza attigua, presidente della commissione ed il medico devono darsi di attorno con ogni domanda possibile e con ogni lusinga al « coscritto » che dovrà diventare un grande difensore della Patria ed al quale sarà illustrato in modo particolare il nuovo importante compito che gli spetta quando sarà dichiarato « abile » dalla commissione militare improvvisata. Dopo il primo fervorino si passerà alla registrazione dello stato di famiglia, dati di nascita, paternità ecc. e sta nella commissione di porre le domande più bizzarre e comiche. Poi il medico inizierà la sua visita, battendo il « coscritto » da ogni parte, esaminandogli la lingua, i denti, gli occhi e l'udito, finchè un po' alla volta il « coscritto » sarà stato fatto avvicinare alla famosa seconda porta e salire con i piedi sul pezzo di tappeto che ne viene fuori e nel quale posto proprio il medico reggimentale vuol prendere le misure, mentre il presidente rileverà le altre qualità fisiche del nuovo difensore della Patria. Il medico misurerà l'altezza col doppio-decimetro enunciando una cifra incredibile, che darà il primo segnale a tutta la commissione di stare attenti allo scherzo, ed alle due persone che stanno dietro alla porta di stare pronte allo strappo. Allora con solennità il presidente enuncerà il sacramentale « abile » ed un improvviso strappo al tappeto sul quale sta il « coscritto », lo farà fare un inchino non del tutto regolamentare andando fors'anche a finire ruzzoloni per terra. Allo scopo di evitare che il « coscritto » abbia a farsi male è bene disporre davanti alla commissione un bel tappeto morbido, mentre tutti i componenti della commissione staranno attenti a che qualche « coscritto » più maldestro degli altri non abbia a provocare qualche malanno, pronti ancora a raccogliere fra le braccia il difensore della Patria. Naturalmente non si esporranno a tale scherzo i signori di una certa età, escludendoli prima dal gioco, oppure nominandoli membri della commissione o se mai dichiarandoli « inabili » alle fatiche di guerra. L'esclusione delle persone di una certa età è più facile in quanto senza obbiezioni si può fissare una età massima per i « coscritti » da sottoporsi alla commissione di leva. Tutte queste cose dipendono sopratutto dal fine tatto dell'organizzatore del gioco. Secondo quanto descritto sopra, verranno sottoposti alla « leva » tutti coloro che non conoscono il gioco e poichè esso si presta ad essere organizzato con comica pomposità e condito di motti e frizzi d'ogni genere, contribuirà certo a rendere allegra una serata di società.

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non ricambia il vostro saluto o non Vi saluta, non dovete pensare subito, che lo abbia fatto appositamente. Per strada non vi guardate curiosamente intorno, e non osservate la gente in modo troppo visibile. Se una persona che stai

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L'organizzatore del gioco prende un anello di tendina oppure altro anello prestato da qualcuno dei giocatori ed un pezzo di spago abbastanza lungo e che abbia a fare tutto il giro dei giocatori e che sia possibilmente senza nodi. I due capi dello spago possono essere cuciti insieme, od intrecciati, o legati con un po' di refe o di sottile filo di ferro, per chiudere il circolo dello spago senza l'ingrossamento di un nodo. Se si tratta però di un nodo solo attraverso il quale non passi l'anello, non fa niente, poichè l'anello può esser rimandato nell'altro senso di circolazione. Si infila l'anello nello spago e lo si tiene nascosto con la mano, e poichè tutti tengono lo spago con le due mani protese in avanti, il giocatore che è messo al centro deve indovinare in quale mano sia l'anello. Se indovina egli prende il posto del giocatore scoperto e questi deve mettersi al centro e cercare in quale mano sia l'anello.

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Certo che anche nel porre le domande si deve tener conto di tutti i componenti il gioco, evitando che uno scherzo possa degenerare in una cattiveria e che l'allegria abbia ad essere rotta da qualche risentimento. Quando il gioco comincia a stancare o quando non si sanno porre altre domande, è meglio passare ad altro gioco. Al posto della bottiglia si può usare anche un altro oggetto atto a funzionare da indice accusatore.

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Se capita che qualcuno abbia dovuto ripetere più volte il gioco per non avere indovinato, è consigliabile di cercare qualche vocabolo semplice e di facile definizione e di essere più precisi nelle risposte.

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Bello riesce anche questo gioco se ad indovinare deve essere tutta la società mentre due persone si sono accordate e tengono un discorso sull'oggetto che deve essere indovinato e che questi sempre abbia due o più sensi.

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Bene è trovare un proverbio che abbia tante parole quante sono le persone che devono rispondere all'indovino, oppure in modo che ogni persona debba rispondere a due domande avendo due parole dello stesso proverbio da indicare, oppure infine che il proverbio sia così breve da ripetersi nel giro dei partecipanti per due o tre volte, di modo che sono due o più i partecipanti che devono indicare la stessa parola. Sia per esempio scelto in un piccolo gruppo di famiglia il detto « Can che abbaia non morde! » il primo partecipante deve citare nella sua risposta a qualsiasi domanda dell'indovino la parola « cane ». Ad esempio: Cosa farai questa sera? - Risposta: Ma mi prendi per una cane? Che debba render conto di quanto farò » e così via ognuno deve ripetere la propria parola assegnatagli nella risposta in modo che tenendo conto dei vocaboli meno usati delle singole risposte e del numero dei partecipanti, l'indovino a poco a poco comprende di qual proverbio o detto od anche verso si tratti.

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Tutti i partecipanti siedono intorno al tavolo nel cui mezzo l'organizzatore pone un grande piatto sul quale vi versa della farina, adagio, adagio, in modo che abbia a disporsi a mo' di montagna il più aguzza possibile. Proprio sulla cima l'organizzatotore pone un anello, meglio se è una vera matrimoniale liscia e bassa, oppure uno stuzzicadenti sul quale sia stato fissato un pezzettin di carta per farne una bandiera. Ed ora attenti! L'organizzatore comincia il gioco. Prende un coltello e spiega: « Ciascuno di Voi deve tagliare via una fettina della montagna di farina spingendola col coltello a margine del piatto. Ma, adagio ed attenti! Poichè chi fa cadere l'anello o la bandiera, deve estrarlo con la bocca. In principio ognuno taglierà con coraggio, non essendovi pericolo che l'anello abbia a cadere tanto presto, ma un po' alla volta ognuno diventa più cauto ad attento, poichè l'anello comincia già a slittare. La sua caduta è seguita da una grande risata, poichè il giocatore che l'ha provocata deve estrarre l'anello con la bocca dalla farina, infarinandosi la faccia, o sbruffando la farina con qualche risata incapace di trattenersi. In ogni modo la pesca dell'anello darà occasione di allegria per tutti.

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Chi ha il sospetto che uno abbia imbrogliato deve gridarlo subito appena messa la carta e prima che il giocatore seguente abbia deposta la sua. Allora si scopre la carta e se non corrisponde a quanto dichiarato dal giocatore che la ha deposta, questi deve riprendersi tutto il mazzo che sta sul tavolo se invece corrisponde alla sua dichiarazione è l'altro giocatore, quello che lo ha accusato, che deve riprendersi tutte le carte che sono già state deposte sul tavolo, e si ricomincia il gioco dal giocatore che ha dovuto riprendersi le carte dal tavolo: uno, due e via di seguito. Questo fatto ha pure la sua importanza in quanto sconvolge ogni calcolo che può esser fatto dagli altri giocatori che altrimenti contando le persone ed i giri, potrebbero lasciarsi in ultimo le carte giuste. Va da sè quindi che chi ha poche carte in mano non possa corrispondere al gioco e debba « imbrogliare » ed è perciò più facile a coglierlo in fallo, facendogli prender su tutto un mazzo di carte quando già sperava aver finito. Il primo che finisce ha vinto, poichè sarebbe troppo lungo far attendere fino all'ultimo. Anche questo gioco, se non giocato troppo spesso ha ottimo effetto e l'allegria non mancherà specialmente fra « imbroglioni » di spirito.

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Tale comportamento è raccomandabile anche in altri casi simili affinchè il passeggero non abbia la sensazione di essere osservato. Non è troppo distinto il costume di affacciarsi alla finestra troppo spesso e per lungo tempo. Naturalmente nulla c'è di sconveniente se si guarda un corteo che passa innanzi alla nostra finestra, o si osserva per qualche minuto il movimento della strada, ma lo stare per ore e ore, quasi « coricati » nella finestra è una cosa orribile e specialmente per una signora un difetto d'educazione. Il guardare dalla finestra con un binocolo tranne il caso d'un corteo di festa o d'una processione, ecc. - è una grave offesa al galateo.- Lunghi discorsi dalla strada alla finestra, o da un piano all'altro, sono assolutamente illeciti. Ancor peggio poi è il gettar giù dalla finestra degli oggetti.

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Allora si chiude la finestrella in alto e si solleva il lenzuolo fino all'altezza del ginocchio, magari mettendo un po' più dietro un altro lenzuolo od un drappeggio, perchè non si abbia a poter vedere le gambe delle altre persone e fare dei confronti per meglio indovinare. Chi indovina ha il premio come sopra.

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Ognuno scrive in alto un aggettivo che si riferisca ad un uomo (bello, grande, forte, fumatore, vanitoso, brutale, bellimbusto ecc.) e poi ripiega il foglietto in modo che non si abbia a leggere quanto ha scritto. Quando tutti hanno scritto, l'organizzatore del gioco dà l'ordine « passate » ed ognuno dei partecipanti quindi passa il suo foglietto al vicino di destra. E' bene che tale passaggio dei foglietti avvenga ad un ordine e contemporaneamente per evitare confusioni. Poi ognuno deve scrivere il nome di un uomo, sia fra i presenti, sia una persona conosciuta da tutti i presenti (il dottor X, l'ingegnere Y, il padrone di un albergo conosciuto, lo chaffeur ecc.) ed all'ordine « passate », dopo ripiegato nuovamente il biglietto, lo passa ancora al vicino di destra, il giro dei biglietti deve cioè essere sempre nello stesso senso. Poi si scrive un aggettivo corrispondente ad una persona femminile e si passa nuovamente. Poi si scrive il nome di una signora o signorina conosciuta da tutti i partecipanti, si piega e si passa. Dove sono andati? (all'albergo, nel bosco, al cinematografo, in soffitta) e si passa. Cosa ha detto lei? (sei matto, ti ho atteso tanto, fatti la barba). Cosa ne è nato? (un bel bambino, un pandemonio, un matrimonio, una baruffa, una coppia infelice). Cosa ne dice il mondo? (pazzi da legare, era ora, era da aspettarsela, dulcis in fundo). Finito di scrivere le risposte alle singole domande e ripiegato sempre il foglio dopo ogni risposta, l'organizzatore raccoglie poi un foglietto alla volta, dalle brevi indicazioni che ne trova compone una storiella. Quali enormità possano saltar fuori lo si comprende facilmente ed il resto viene completato dal brio e dallo spirito dell'organizzatore che in questo caso funge da segretario. Supposto che egli abbia aperto un foglietto con queste indicazioni: Sempre ubriaco - Signor Dottor X - profumata alla violetta di Parma - la mungitrice della latteria di Vallarsa - al Teatro alla Scala - un altro vestito? - vai al diavolo! un matrimonio - amor che a nulla amato amor perdona! ed allora il segretario completa la sua storiella magari infiorandola: Il Signor Dottor X sempre ubriaco e la mungitrice della latteria di Vallarsa profumata alla violetta di Parma sono andati al Teatro alla Scala. Lui le disse sorpreso: un altro vestito? e lei rispose arrabbiata: va al diavolo! del che ne nacque un matrimonio ed il mondo disse: amor che a nulla amato amar perdona ».

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Questi deve affrettarsi ad afferrare il piatto prima che abbia a rovesciarsi in piano per terra. Se non riesce, mette pegno. Ora tocca a lui di far rotare il piatto e chiamare il nome di un altro giocatore che dovrà afferrare il piatto prima che questi si arresti o si rovesci. Il gioco è comico in sè stesso per le mosse dei singoli giocatori chiamati improvvisamente ad afferrare il piatto, che spesse volte sfugge loro di mano. Più di qualche giocatore finità fra le braccia degli altri per lo slancio preso. Mette pegno anche chi si alza o prende il piatto quando non è chiamato. Il gioco è reso più allegro se ad ogni giocatore si dà un nome diverso dal suo ad esempio un nome di animale, il che contribuisce a raggiungere più rapidamente il numero dei pegni voluti.

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Ad un segnale convenuto, i due numeri uno partono di corsa, l'attaccante per prendere la bandiera e portarla al proprio partito, il difensore per toccare l'attaccante prima o dopo che abbia presa la bandiera; ma sempre prima che sia rientrato nel proprio campo. La bandiera è quindi rimessa a posto ed il gioco continua coi numeri due, poi coi numeri tre, ecc. Vince il partito degli attaccanti, se ha più individui che abbiano presa la bandiera, senza farsi toccare; vince il partito dei difensori, se la maggior parte di essi è riuscita a toccare gli attaccanti, prima che abbiano portata la bandiera nel loro campo.

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I mezzi per risolvere il rebus moderno non hanno più nulla di comune con quelli che gli Egiziani devono avere usato per decifrare i simboli delle loro Piramidi, benchè il geroglifico egiziano abbia molta affinità col rebus moderno. I rebus ebbero studiosi e cultori specialmente in Italia nei secoli XVI e XVII, dove Giovan Batta Palatino pubblicò nel 1549, coll'approvazione del santo Padre Paolo III, un « libro nuovo per imparare a scrivere con cifre figurate » (un libro ricercatissimo anche oggi dai bibliofili), le quali figure sono veri e propri rebus; e più tardi (verso il 1690) il solito Mitelli, Bolognese, disegnò e fece incidere la tavola dei rebus che precede questo capitolo. In Francia il rebus ebbe pure cultori nel secolo XVII, tra i quali emerse Mr. Tabourot (Des Accords). La parola rebus, dice il Tolosani, dal quale, come ho confessato in precedenza, tolsi le note per questo capitoletto, pare che sia venuta in Italia dalla Francia dalla frase: de rebus quae geruntur raccolta di satire che gli scribi di Baroche, in Piccardia, leggevano nelle strade i giorni di carnevale, come da noi, in Toscana, il bruscello, al quale specialmente offriva (dico offriva, perchè il bruscello è caduto quasi completamente in disuso) argomento la rivalità tra borgate vicine, o la balordaggine o qualche difetto capitale di un terrazzano. Ma, come non era lecito dire e fare le cose chiaramente, la mascherata e i versi, quasi sempre cattivi, nascondevano ogni volta un pensiero, un rebus, niente difficile ad essere indovinato. Soppressi in Francia gli scribi (una specie di cantastorie napoletani), rimase la parola rebus con la quale continuossi a indicare qualche pensiero colle cose ossequienti all'origine della parola. Il dottor Hochmann nel 1861 in certe sue Indagini sul rebus sostenne che questa forma figurata di nascondere, sia pure per semplice diletto, il pensiero, era anche e forse prima che in Italia e in Francia conosciuta in Germania e in Inghilterra. Io non vo' insorgere contro il dottore Hochmann; me ne guardo bene!... Ma al dottore tedesco potrebbe accadere quanto è successo agli immortali francesi e inglesi, che per due secoli o tre si sono palleggiati l'onore dell'invenzione del biliardo, che il Fanfani provò con documenti essere il giuoco delle gugole, il biliardo di oggi, italiano d'invenzione. Il rebus però visse stentatamente fino all'ultimo quarto del secolo XIX, perchè negli ultimi venticinque anni del secolo passato il rebus illustrato ha raggiunto la perfezione, rappresentando veri e propri quadri, dove un concetto d'arte non manca; mentre quello a lettere sole ha cercato di comporre una frase, la quale abbia un senso determinato, indipendente da quello della frase risolutiva del rebus. Veniamo ad un esempio: Rosa non nota prima dell'Estate Un fiore (rosa) non fa (nota) primavera (prima dell'estate). - Esempio di Albano Usigli. Il rebus moderno è un gioco nel quale varie lettere, o varie parole, o varie figure, oppure: lettere, parole e figure sono disposte in modo da formare uno o tanti gruppi parziali, i quali, tradotti (considerando le relazioni tra le lettere che li compongono) dànno origine a parole o a f rasi intiere o tronche, le quali, riunite, formano la frase intiera che scioglie la questione.

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Una persona che abbia una certa pratica riesce ad aprirla con una mano sola premendo il filo di ferro col pollice. Dopo aver fatto qualche prova sul tavolo si afferma che nessuno è capace di aprire la bottiglia tenendola in tasca e si troverà facilmente chi si afferma capace anche di questo. Allora gli si metterà nella tasca della giacca od in quella dei pantaloni una bottiglia appositamente preparata e piena d'acqua. Se questi osserverà che la bottiglia è piena, si avrà facile gioco a convincerlo che una bottiglia vuota la può aprire chiunque, ma una bottiglia piena no. Ma la bottiglia, come detto è preparata, cioè le si è praticato un foro sulla pancia sia forandola con un trapano, sia con un piccolo colpo secco servendosi di un punteruolo e di un martello. Il miglior modo di riempirla dopo è di immergerla tutta in un recipiente, avendo cura di chiudere il tappo prima di levarla dall'acqua e poi asciugarla bene. A tappo chiuso la bottiglia non spande. Ma quando, chi ha accettata la scommessa apre il tappo, l'acqua comincia subito ad uscire con un allegro zampillo che bagnerà la tasca del malcapitato.

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L'importante ora è di non lasciare che chi prova abbia a premere da solo la moneta sulla fronte, ma di esibirsi, perchè più pratici a premergliela facendo questo in modo di esercitare una forte pressione sulla fronte, ma di togliere, senza che la persona se ne accorga, la moneta dalla sua fronte. La persona non se ne accorgerà facilmente, avendo l'impressione che la moneta aderisca alla sua fronte, effetto ottenuto appunto dalla forte pressione. Essa corrugherà la fronte in mille modi per far cadere la moneta che... non è, sollevando con la sua mimica l'ilarità degli altri, mentre è sorpresa che la moneta non cada ancora.

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Col quarto di fiammifero si sposta leggermente il cavalletto formato dai due fiammiferi fissati tra di loro in modo che il terzo fiammifero appoggiato contro abbia a cadere sul quarto

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sollevata verso l'alto e che il fiammifero abbia a galleggiare. Poi si accende il fiammifero servendosi di un altro e si pone sopra il sottobicchiere il bicchiere rovesciato. Non potendo penetrare aria nel bicchiere per effetto dell'acqua che ne chiude l'orlo il fiammifero ardendo consuma l'aria del bicchiere ed aspira così l'acqua del sottobicchiere.

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Non si facciano però tali giochi in società quando non si abbia la sicura destrezza e sicurezza, poichè ci si esporrebbe facilmente al ridicolo od alla compassione dei presenti. In seguito indicheremo qualche giuoco più semplice che potrà esser fatto con sufficiente destrezza in società quando se ne sia fatto qualche esercizio prima.

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Tutti hanno fatto attenzione alle mani a che non abbia a sparire la carta, ma... l'asso di picche non si trova! E' sparito! Allora l'artista afferma che l'asso di picche è andato a finire nella tasca di uno dei signori e lo designa: difatti nella sua tasca si trova l'asso di picche. Come sparisce l'asso di picche? Nel mazzo non c'è l'asso di picche perchè levato prima dall'artista. Come asso di picche viene invece presentato un asso di cuori, sul quale sia applicata leggermente una cartina nera ritagliata e della forma della picca che copra il cuore. Si presenta così un asso di cuori camuffato in asso di picche. All'atto di iniziare a mescolare le carte, dopo aver presentato l'asso... di picche, si ha cura di togliere con l'unghia la picca, facendola sparire nelle mani e si mescolano le carte, sicuri che l'asso di picche non c'è e non lo si troverà quindi nel mazzo. Come lo si trova in tasca ad uno dei presenti? O questi è addirittura lo stesso compare che lo ha messo in tasca ad uno dei presenti ignaro del trucco, oppure se l'artista non ha compare, egli stesso avrà colta occasione propizia prima per infilare nella tasca di qualcuno la carta che poco dopo farà... sparire.

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E' indifferente con quale pretesto si abbia a ripresentare il mazzo agli spettatori, ma generalmente si domanda se è quella la carta prescelta a cui essi risponderanno in coro di no. Vista la carta si può proseguire il gioco come meglio si ritiene. Sia che si posi il mazzo sulla fronte e fingendo di pensare con tutta intensità, la si nomini; sia che la si presenti subito o che si faccia la ricerca della carta fingendo, sia infine che si finga di fare un'infinità di calcoli cabalistici.

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In caso contrario, anche se si abbia già cominciato una conversazione,

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., fanno passare le minime terze anche se l'avversario ne abbia di più forti, e si accumulano con ciò i punti ch'esse formano, venendo dalla sequenza superiore annullato il giuoco dell'avversario. Se vi è eguaglianza nella più alta sequenza tra i due giuocatori, quello che ne avesse parecchie altre della stessa forza o minima, non ne conterebbe alcuna, essendo eguale la migliore.

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Chi prende più carte di quante ne abbia scartate, o si trova giuocando di averne più di quante deve averne, non conta nulla, e non può impedire al suo avversario di contare tutto ciò che ha nel suo giuoco anche se ciò che ha sia di molto inferiore al giuoco di chi ha tredici carte o più. La giustizia impone ciò, perchè spesso, una carta basta a far valere un giuoco. 4. Chi prende, o si trova meno carte, può contare tutto ciò che ha nel suo giuoco, non essendo un errore il giuocare con meno carte; ma l'avversario conta sempre la ultima, poichè il contrario non gli fornisce la risposta, e per conseguenza non sarebbe cappotto; mentre chi ha meno carte lo darebbe, se il suo avversario facesse le undici prime levate, non avendo di che fornire la dodicesima. 5. Chi incomincia a giuocare e dimentica di contare le carte bianche (il punto e gli assi, i re, le dame, ecc.) ch'egli può avere di buono nel suo giuoco, non gli vengono più calcolate. Questa regola è severa; ma chi cade in tanta dimenticanza fa un errore, che ha da essere punito. 6. Quando, prima di gettare la prima carta, non si mostra il punto che si ha più forte dell'avversario, o qualche terza, quarta, ecc., non si può più tornare indietro, e si perdono i punti non accusati a tempo. Si ammette che debba ricontare i suoi punti, il giuocatore a cui venisse detto che il suo giuoco non è buono, perchè non lo mostra sulla domanda dell'avversario. Questi, essendo in mala fede, potrebbe sempre dire: non vale, nel caso si dimenticasse di mostrarlo prima di giuocare. 7. La distribuzione delle carte deve continuare nel modo col quale incominciò, e sia per due o per tre durante tutta la partita, a meno che prima di mischiare le carte, non siasi avvertito che si danno per due o tre. Allora si può mutar sistema, senza avvertire, al cominciare di ogni partita. 8. Non è permesso di scartare due volte, vale a dire: Dal momento in cui fu toccato il mazzo, dopo avere scartato il numero delle carte voluto, non si può più riprenderlo, e questa regola riguarda egualmente i due giuocatori. 9. Non è permesso ai giuocatori di guardare le carte che devono prendere, esponendole prima di scartare; gli è perciò, che quando un giuocatore, che è di mano, non prende le sue cinque carte dal mazzo, deve dire all'avversario. Non ne prendo che tante, o: ne lascio tante. Questa regola fu stabilita onde togliere al giuocatore che rimane ultimo, di dire che non sa il numero delle carte che rimangono nel mazzo; avendo il primo potuto lasciarne. 10. A chi scartò meno carte di quante ne prende, e si accorge dell'errore prima di averne voltata alcuna, o messa tra le sue, è concesso di rimettere nel mazzo quelle eccedenti, senza incorrere in nessuna pena, purchè l'avversario non abbia già preso le sue. Se questi le avesse prese o vedute, gli sarebbe permesso di fare la giuocata o di rifare le carte, e se la giuocata venisse fatta, la carta superflua verrebbe messa nell'uno degli scarti, dopo essere stata veduta dai due giuocatori. 11. Se chi dà due volte di seguito riconosce il suo errore prima di aver veduto le sue carte, l'avversario sarà obbligato di rifare le carte, anche se abbia veduto il suo giuoco. 12. Quando il primo accusa il suo punto, o che l'altro abbia risposto: è buono, si avvegga di essersi ingannato, purchè non abbia giuocato gli è concesso di contare ciò che ha di buono e di cancellare ciò che il primo ha accusato, quantunque il primo giuocatore abbia incominciato a giuocare. 13. Se avviene che il mazzo di carte sia falso, vale a dire che vi si trovassero due dieci, o due carte di uno stesso genere, o che contenesse una carta di più o ne avesse una di meno, la giuocata soltanto sarebbe annullata. 14. Se, dando le carte, se ne trova una voltata, bisogna rifare le carte. 15. Se nel mazzo si trova una carta voltata, la giuocata è buona, purchè non si tratti della carta di sopra; oppure della prima delle tre che l'ultimo deve prendere; ma, se ve ne sono due di voltate, si devono rifare le carte. 16. Chi accusa falso, vale a dire: tre o quattro assi, re, dame, fanti o dieci, che potrebbero anche avere, ma che non ha, non conta nulla di tutto ciò che ha nel suo giuoco, a meno che non si corregga avanti di gettare la prima carta. S'egli ha giuocato soltanto una carta, e il suo avversario si avvede prima, o durante, od alla fine del giuoco, ch'egli ha contato falso, gl'impedisce non soltanto di contare le carte, ma egli conta ancora tutti i punti che si trovano nel giuoco di chi accuso falso. Lo stesso dicasi pel giuocatore che, invece di contare quattordici d'asso, o di re, ecc., o tre di altra specie, contasse ciò che non avesse, come: invece di assi, contasse dei re. 17. Una carta giuocata che tocca il tappeto non si riprende più. Se però si fosse secondo a giuocare, e che si avesse coperta una carta dell'avversario con una di seme diverso, pur avendo nel proprio giuoco quello domandato, è permesso di riprenderla per cambiarla con quella dovuta. 18. Chi, per vedere le carte lasciate dall' ultimo, qualora ne lasci, dice: Giuocherò tal colore, e che di poi giuocando, non getta il colore detto, può essere obbligato dall' avversario a giuocare il colore che a lui più piace. 19. Chi, per inavvertenza, volgesse o vedesse una carta del mazzo, deve giuocare nel colore che l'avversario vorrà, altrettante volte quante le carte vedute. 20. Chi, avendo lasciata una carta sola del mazzo, la unisce al suo scarto prima di averla mostrata all'avversario, può da questi essere obbligato (dopo che egli nominò il colore col quale incomincia il giuoco) a mostrargliela. Può non essere veduta, nè mostrata, quando non sia stata mischiata allo scarto. 21. Chi riprende le carte dallo scarto, od è sorpreso a cambiarle, perde la partita. 22. Chi lascia la partita prima della fine, perde; a meno di fortissime ragioni; in tal caso si tira la rimessa, dopo mutuo consenso. 23. Chi credendo di aver perduto, getta le carte che vengono frammischiate al tallone, perde la partita, anche se si avvegga d'essersi sbagliato; ma se le carte si trovano intatte ancora, senza esserci mischiate ad altre, può riprenderle, purchè l'altro abbia ancora intatte le sue. Se alla fine di una giuocata, un giuocatore, avendo in mano due o tre carte, e nella credenza che l'avversario le abbia più alte, le getta tutte insieme, e l'avversario lo imita, il primo non può retrocedere, e perde le carte che gli rimangono. 24. Chi, essendo ultimo, scarta e prende le carte prima che il primo abbia avuto il tempo di fare il suo scarto, e le abbia mischiate al suo giuoco, perde la partita, se giuoca ai cento; ed il gran colpo, se giuoca in partita; ma se il primo ha avuto il tempo di scartare, ed ha atteso che l'ultimo, abbia perso le sue carte, credendosi essere l'ultimo, il colpo diviene buono, e chi è per diritto il primo, incomincierebbe a giuocare. 25. Quando si ha in mano un quattordici solamente, che deve valere, non si è obbligati di dire: E' di asso, di re, di dama, ecc.; si dice soltanto: « quattordici »; ma potendone aver due nel proprio giuoco, e non avendone che uno, dopo scartata una carta o due che riduce ad averne uno solo, allora si è obbligati di nominare il quattordici che si ha.

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Se, chi riceve le carte, s'avvede che ne ricevette meno di quante ne abbia domandate, e ciò prima che il distributore abbia vedute le sue, si ripara all'errore, ristabilendo l'ordine della distribuzione. Se le carte sono state vedute dai due giuocatori e che il distributore abbia una o due carte di meno, il suo avversario può, a sua scelta, lasciargli prendere la prima o le due prime del tallone; oppure ricominciare il colpo, rifacendo la mano. Se il distributore ne ha una di più, il suo avversario può, a sua scelta, estrarre dal giuoco suo una carta a caso, o ricominciare la giuocata, perdendo la mano. Se il primo che giuoca ha una o due carte di meno, egli può a sua scelta prendere la prima, o le due prime del mazzo; oppure ricominciare il colpo, perdendo la mano; s'egli ha una o due carte di troppo, egli può, a sua scelta, scartarne una o due, oppure ricominciare il colpo, perdendo la mano. Se fosse provato che l'errore non deriva dal distributore, allora il primo a giuocare perderebbe un punto e non potrebbe contare il re. Chi dopo la distribuzione sopra lo scarto giuoca con più di cinque carte, perde un punto, nonchè il diritto di marcare il re. Se chi dà le carte ne scopre due o più in luogo di una, l'avversario può, o ristabilire lo scoprimento della carta come avrebbe dovuto essere, o ricominciare il colpo.

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Ciò non si applica che al primo a giuocare; il secondo deve sempre annunciare il re prima di giuocarlo; non è tenuto di annunciarlo prima che l'avversario abbia giuocata la sua prima carta. 29. Il colore della carta scoperta si chiama atout; l'atout è superiore a tutti gli altri colori.

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Fatto lo scarto, non si possono chiedere più o meno carte di quante se ne abbia prima domandate, e neppure si può toccare quelle che furono scartate. Avviene talvolta che, dopo vane distribuzioni sopra lo scarto, il primo giuocatore, avendo domandato ancora carte, ed il secondo avendo risposto inconsideratamente: Quante? non ne restino abbastanza per soddisfare le domande del primo. In tal caso, la persona che ha domandato è tenuta a prendere carte; ma siccome non può esigerne più di quante ne abbia il tallone, essa sceglie nel suo scarto, se è fatto, quelle carte che ha scartate in troppo. Il giuocatore che guarda il proprio scarto è obbligato di giuocare a carte scoperte. Quando, dopo la prima distribuzione, chi ha la mano propone, e l'altro rifiuta, quegli che rifiutò perde due punti, se non farà tre mani. Del pari, quando il primo a giuocare giuoca senza avere proposto, egli perde due punti, se non fa tre mani. Il giuocatore che, dando le carte dopo lo scarto, volge come se fosse la prima distribuzione, non può rifiutare un secondo scarto, allorchè il suo avversario lo chiede.

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Del punto e della « vole » Non si può fare più di due punti per volta, a meno che si abbia il re. Fare due punti col re, si chiama fare la vole (cioè fare tutto).

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Però il morto entra a turno nel giuoco in modo che abbia a compagni, sempre a turno tutti gli altri giuocatori.

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Supponendo che il distributore abbia dichiarato senza atout e che il giuocatore seduto alla sua sinistra sia passato e così il compagno del dichiarante, si chiamerà la propria lunga, cioè quel colore dove si desidera che il compagno faccia la prima uscita, e ciò nella speranza di fare qualche presa. La dichiarazione, peraltro, è pericolosa, potendo il primo dichiarante doppiare il giuoco.

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Allorchè il dichiarante giuoca un onore o dalla mano o dal morto, gli avversari di destra o di sinistra in omaggio alla massima « onore su onore » devono sempre superare l'onore giuocato dal dichiarante, a meno che il morto abbia due carte o più del colore su cui si tenta l'impasse si abbia in mano il re o l'onore, che si cerca, quarto. Oppure, quando il giuoco del morto presenta l'asso e la donna soltanto e si abbia il re terzo.

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Fissata la posta o scommessa, il banchiere getta i dadi per fissare i punti da tenersi dalle parti contrarie e ripete il giuoco finchè non abbia ottenuto uno dei seguenti punti: cinque, sei, sette, otto o nove. Il primo dei punti, ora accennati, che sorte per primo, è quello sul quale giuocano gli avversari del banco. Quindi si giuoca per avere il punto da tenersi e che determinerà la vittoria del banchiere, e che ha da essere o quattro, o cinque, o sei, o otto, o nove o dieci. Se, adunque, nella prova sorte primo un sei, vincono i giuocatori se il sei torna; ma se nella seconda sortisse prima un cinque, è con questo punto che vince il banchiere. Quindi il banchiere, ad alta voce, avverte: Signori, comincia il gioco. - E getta i dadi. Se il punto assegnato agli avversari è sei o otto, il banchiere guadagna quando i dadi dànno sei o otto o il dodici (doppio sei); ma perde qualora i dadi dieno due assi, o tre, o undici. Se il punto assegnato agli avversari è cinque o nove:, il banchiere vince se i dadi dànno cinque o nove; perde se dànno, invece, due assi, tre o undici. Se il punto dato agli avversari è sette, il banchiere incassa quando i dadi dànno sette o undici; perde quando dànno due assi, tre o dodici. La vittoria spetta pure al banchiere, quando avendo un punto diverso da quello dell'avversario, i dadi dànno il punto del banco, scoperto prima e di quello dell' avversario. In tutti gli altri casi il banchiere perde.

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Questi due numeri, adunque, sono i soli di vantaggio che abbia il banchiere.

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Il maldicente è ascoltato da tutti, abbia ragione o abbia torto, con quella deferenza benevola della quale tutti sanno d'aver bisogno ad ogni momento. E. De Amicis. Gli amici.

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Manzoni, Del romanzo storico L'uomo di genio il più equilibrato può degenerare ed impazzire più facilmente di colui che non abbia la facoltà di pensar che terra terra. Il primo cammina sull'orlo di un precipizio, il secondo cammina in una vasta pianura. G. Segantini, Scritti e lettere Un monologo in cui parla tutta una nazione o una razza o parla una voce della natura, ecco il genio. C. Bovio, Il genio Il genio è sommo equilibrio e saviezza grande: apparisce nei periodi luminosi della storia; riceve l'iniziativa dalla nazione e dalla razza e la traduce in proprio stile, e nell'unità del suo stile la sua religione, la sua morale e la sua politica si fondono. Lo stesso, Ivi

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Marselli, Avven. del 1870 La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto che ogni parte abbia soltanto dell'uno. Manzoni, Promessi Sposi

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Se tre persone vanno in un'automobile da nolo, anche se questa, oltre ai due posti di fondo, abbia ancora due sedili a molla, per maggior comodità di tutti, uno dei tre occuperà il posto accanto allo « chauffeur », se tra il sedile dello « chauffeur » e quello dei viaggiatori non c'è una parete separatrice, e se non si tratta di un signore che accompagna due signore. In tal caso il signore prenderà posto sul sedile a molla, senza badare alla comodità. In un'automobile per 6 persone, il posto d'onore è in fondo a destra, il seguente a sinistra, a questo segue il posto dirimpetto a quello d'onore; il quarto è accanto a questo ed il quinto sarebbe vicino al guidatore. Naturalmente a seconda delle circostanze vi sono ancora moltissime altre possibilità di distribuzione, quanto fu detto sopra è però una base fondamentale, che potrà sempre servirci a risolvere i problemi del modo di sedere in automobile.

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Sarebbe ridicolo e superfluo pregare la comunicazione con simili parole: « La prego, cara signorina, abbia la cortesia di mettermi in comunicazione col numero 21-5-54 ». Raccomandiamo la cortesia specialmente a coloro che sono impiegati ad un centralino di casa. Sempre la massima cortesia con coloro che chiamano, e se chiamano, anche cinque volte, non dimostrate mai il vostro dispiacere! Se qualcuno sarà accolto già dal telefonista con una voce scortese ed impaziente, talvolta addirittura arrabbiata, potrà facilmente perdere la voglia di entrare con la ditta in più strette relazioni. Invece, una voce gradevole e cortese usata

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vicino a lui che l'apparecchio diventi libero, o se l'altro non abbia eventualmente qualche visita urgente o altro da fare; insomma: non lo potete vedere e perciò non dovete arrabbiarvi. Con una domanda si può facilmente chiarire il motivo di simile comportamento, ma si deve porre la domanda in modo che l'altro possa rispondere con un « sì » o con un « no ». In tal caso potrete apprendere tosto se la persona con cui parlate è impedita di esprimersi apertamente, se anche non potrete saperne il motivo. Attenti ancora una volta all'indiscrezione del filo! Diverse spiacevolezze sono state già causate dal telefono! Spiacevolezze e pettegolezzi! Se non si è capiti, si ripeta pazientemente ciò che si è detto e non si gridi nervosamente, perchè gridando la voce diventa ancora più incomprensibile. Parlate quietamente non troppo vicino al microfono e procurate di parlare lentamente. E' pratico tenere sempre vicino al telefono un libretto con lapis. Ordinazioni, ed incarichi ricevuti telefonicamente, ce li facciamo ripetere, per esaminare se li abbiamo compresi bene. Ricevendo telefonicamente una commissione, sta bene di confermarla tosto con lettera. Chi debba andare in una casa privata al telefono e prendere i messaggi, è una questione che dipende sempre dalle circostanze particolari; se si ha in casa una cameriera brava ed intelligente, non occorre che la padrona o il padrone vadano in persona al telefono. La cameriera va al telefono e dice: « 22-2-34 », o « casa Merlini », poi domanda chi parla: ed annunzia ai padroni che vengono chiamati dal tale o dal tal'altro. Se i padroni non sono in casa deve prender il messaggio puntualmente, ed annotarlo, sul quaderno che deve sempre essere accanto all'apparecchio. Andare all'apparecchio trasformando la voce è poco distinto ed è anche arrischiato, perchè si è sempre esposti al pericolo di venir riconosciuti. Una consuetudine poco distinta è di pregare ogni momento il permesso di telefonare ai vicini; in caso urgente ognuno cederà volontieri il suo apparecchio, ma è un'inurbanità l'abusare di questa cortesia.

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Un signore attento toglierà sempre il cappello con la mano opposta alla persona che vuole salutare per non sbarrare la vista, a meno che non ci si trovi a fianco una signora o si abbia una mano occupata. L'ombrello, il bastone, la borsa o altri ingombri del genere non devono mai occupare tutte e due le mani, non solo per essere sempre pronti al saluto, ma anche per non rendersi goffi. Il cappello duro o il cilindro si prendono alla tesa, mentre il cappello molle si prende a sommo del cappello.

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La signora accompagnata da un signore non si può presentare a un conoscente finchè il conoscente non abbia fatto la conoscenza del suo compagno: questa regola però subisce ai nostri tempi qualche eccezione, subordinata sempre al senso di discrezione o di convenienza posseduto dalla signora. La signora che vuol rimanere in incognito compirà un gesto discutibile, ma non si può dire sgarbato. La presentazione più elegante consiste nel denunciare soltanto il cognome, chinandosi leggermente. E' opportuno denunciare il proprio nome con chiarezza, e senza albagia. I titoli, come dott., prof., ing., è preferibile che siano taciuti, specialmente in società private. Saranno pronunciati, invece, nelle grandi riunioni accademiche o di carattere politico-ufficiale. Perchè il nome rimanga impresso nella memoria di una persona che c'interessa, provvederemo a presentarci col biglietto da visita alla mano: nel qual caso il signore si affretterà a ricambiare il suo proprio biglietto e la signora si dimostrerà onorata di riceverlo. Le signore non daranno mai il loro biglietto da visita in società, anche se il biglietto non porta indirizzo. Non è bello che il signore faccia desiderare il suo biglietto da visita, ma è altrettanto ridicolo il signore che ne faccia una lauta distribuzione.

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