Nell'alveo di un filone giurisprudenziale contrastante, la Suprema Corte con la decisione in commento riconosce, per la prima volta, in capo alla parte civile la legittimazione a proporre impugnazione ex art. 576 c.p.p. avverso il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno. Emerge, pertanto, il tentativo di incrementare i poteri di tale figura. Ci si interroga sulla compatibilità della pronuncia con i principi che permeano non solo il sistema interno ma anche quello europeo e sull'opportunità di limature a livello legislativo.
., contrariamente a quanto statuito dalla Corte di cassazione, ritiene che l'imputato abbia il diritto ad essere giudicato "allo stato degli atti" nel caso in cui il giudice dell'udienza preliminare abbia erroneamente dichiarato inammissibile la richiesta semplice di giudizio abbreviato.
Si distingue fra i danni punitivi in senso formale e sostanziale, osservando come il risarcimento apparentemente compensativo abbia in sé sfumature sanzionatorie. Esso, infatti, sembra influenzato nel suo "quantum" dalla gravità della condotta.
Attraverso la disamina della disciplina delle spese di conservazione, il contributo si propone di verificare se ed a quali condizioni si possa qualificare alla stregua di comodato l'ipotesi in cui il comodatario abbia sostenuto le spese affinché il bene concesso fosse agibile considerando non solo il profilo dell'essenziale gratuità dell'immobile ma anche il riferimento normativo alla necessaria identità tra bene ricevuto in consegna e bene restituito.
., verificando, in particolare, anche e soprattutto in una prospettiva di diritto intertemporale, se il tentativo non riuscito di manipolare un bando di gara abbia acquisito per la prima volta rilievo penale con l'entrata in vigore della nuova disposizione, ovvero se, anche prima di tale intervento legislativo, potesse rilevare a titolo di tentata turbativa d'asta.
Nell'ambito di tali previsioni, si distinguono le norme che tutelano la vittima nel procedimento (offrendole opportunità prima non contemplate dal nostro ordinamento) e quelle che tutelano la vittima dal processo (potendo, infatti, quest'ultimo tradursi in un danno ulteriore per chi abbia subito il reato e sia costretto a ricostruirlo).
Con la sentenza n. 5/2014, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima, per difetto di delega, l'abrogazione del reato di "associazione militare per scopi politici", confermando l'ammissibilità di questioni "in malam partem" nel caso in cui un vizio formale abbia inficiato il procedimento legislativo, che aveva introdotto una disposizione favorevole.
Conseguentemente, per la Suprema Corte è responsabile ai sensi dell'art. 1669 c.c. per i gravi difetti dell'immobile non soltanto l'appaltatore nei confronti del committente, ma chiunque abbia costruito l'immobile, compreso il venditore che si sia assunto la diretta responsabilità dell'opera nei confronti degli acquirenti e dei terzi.
Tale responsabilità può sussistere solo qualora la parte imputata abbia agito con dolo o colpa durante le trattative ingenerando un legittimo affidamento, in seguito venuto a mancare, di cui sarà onere della parte danneggiata dimostrare il necessario collegamento tra il pregiudizio arrecato e l'utilità perduta. A giudicare sarà competente il giudice amministrativo in ragione dell'art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), c.p.a. [codice del processo amministrativo].
Nel commento l'A. esamina, alla luce della riforma degli artt. 125 e 366, comma 2, c.p.c. intervenuta con la legge n. 183/2011, il problema dell'inammissibilità del controricorso notificato presso la cancelleria della Corte di cassazione nel caso in cui nel ricorso la parte abbia adempiuto all'onere previsto dalla legge di indicare l'indirizzo di posta elettronica certificata, in quanto la notificazione presso la domiciliazione "ex lege" deve considerarsi valida solo in caso di inottemperanza del suddetto onere.
[codice del processo amministrativo] del 2010 imponga un dovere di astensione in capo al magistrato chiamato a pronunciarsi sull'impugnazione di una sentenza per revocazione di fatto, allorché questi abbia già preso parte al concepimento della pronuncia impugnata. La decisione, forse mossa da esigenze pratiche, si espone ad alcune perplessità in termini di tenuta logica e di aderenza ai principi costituzionali in tema di giusto processo ed imparzialità del giudicante.
Pertanto: a) da un lato, se tale elemento (sostanziale) è insussistente la sola sottoscrizione di un contratto collettivo non può certamente essere sufficiente per l'attribuzione della suddetta tutela (sentenza n. 244 del 1996); b) d'altra parte, se il sindacato è realmente rappresentativo, la sua decisione di non firmare un contratto collettivo alle cui trattative preparatorie abbia attivamente preso parte, nell'indicata veste, non può sicuramente essere configurata come elemento idoneo a negare la tutela privilegiata stessa (sentenza n. 231 del 2013). Del resto, in base alla Costituzione, le prerogative riconosciute alle organizzazioni sindacali, in sede di contrattazione collettiva, derivano dal ruolo attivo da esse svolto nel processo di formazione del contratto al fine di tutelare gli interessi dei lavoratori che a loro riconoscono la rappresentatività. Tale dato sostanziale non può essere eluso - né in eccesso né in difetto - da elementi meramente formali quali, da un lato, la sola formale sottoscrizione oppure, dall'altro lato, la sola mancata sottoscrizione del contratto (da parte di un sindacato che abbia partecipato alle relative trattative, grazie alla sua rappresentatività).
L'articolo ha ad oggetto la ricostruzione della tutela offerta dal diritto industriale al soggetto che abbia ideato ed, eventualmente, effettuato investimenti economici per incentivare la popolarità di un "hashtag".
Pur ritenendo che la Corte abbia sanato un "vulnus" costituzionale creato dal "referendum" nello Statuto dei lavoratori, l'A. considera non risolti i preesistenti problemi di incertezza sulla titolarità dei diritti sindacali. Ritiene dunque che permanga la necessità di un intervento del legislatore che dovrebbe riguardare sia l'art. 19 dello Statuto dei lavoratori sia il modello di relazioni sindacali in azienda, regolando meglio la contrattazione aziendale - e territoriale - e promuovendo forme più decise di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
La Cassazione, ammessa in linea di principio la simulazione del conferimento connesso ad un aumento di capitale, nega che l'amministratore di società abbia il potere di stipulare accordi simulatori con il conferente.
L'articolo illustra l'evoluzione del sistema italiano di protezione dell'ambiente e del paesaggio, chiarendo anche quale ruolo in tale ambito sia stato riservato al giudice amministrativo e come questo abbia esercitato i poteri che gli sono stati assegnati in materia.
L'A. esamina le modifiche introdotte alla l. 3/2012 dal d.l. 179/2012, convertito nella l. 221/2012, analizzando i due procedimenti di composizione della crisi che oggi possono essere promossi uno dal debitore civile e l'altro dal consumatore e ponendo in evidenza come il legislatore abbia strutturato l'intervento in chiave concorsuale, rivedendo l'originaria configurazione. Nello scritto vengono analizzati i vari momenti che contrassegnato i due procedimenti, sottolineandosi il differente ruolo svolto dal giudice. L'A. critica la scelta di non sottoporre alla votazione dei creditori la proposta del consumatore, lasciando solo al giudice la decisione.
Discostandosi dall'opinione accolta dalla Suprema Corte in un recente arresto, l'A. ritiene che siffatta misura non abbia natura "stricto sensu" cautelare, bensì debba essere annoverata fra le misure coercitive indirette. L'indagine mira a mettere in luce le ragioni dell'inaccettabilità della prima opzione ricostruttiva ed, al contempo, i motivi che inducono ad optare per la seconda; inoltre, ci si propone di delineare il regime procedimentale della misura, dedicando particolare attenzione al profilo dell'impugnazione del relativo provvedimento.
L'articolo parla di come l'Unione europea abbia scelto di sostenere al massimo la lotta alle emissioni in atmosfera, ed abbia di conseguenza accettato il rischio di interferire con la libera concorrenza del mercato. Difatti, le aziende europee sono costrette a tener conto di strettissimi parametri normativi, che rischiano di ostacolare nuove scelte produttive e rendere l'industria dell'auto europea meno competitiva sullo scenario internazionale. Invece, all'interno di molti altri stati, se da un lato si ritiene che l'industria dell'auto debba operare verso la riduzione dei gas serra, dall'altro non si dimenticano le esigenze del comparto produttivo, che per essere competitivo deve offrire auto all'avanguardia e dalle alte prestazioni.
In materia di riscossione coattiva delle entrate, qualora il Comune abbia deciso di affidare a terzi il servizio e quindi di utilizzare l'ingiunzione fiscale, anziché il ruolo "esattoriale", non è legittima la pretesa di pagamento, a carico del debitore, di un importo pari all'aggio spettante all'agente della riscossione, in analogia alla riscossione tramite ruolo. Tanto, sia in ragione della specialità della procedura di riscossione tramite ingiunzione, che non ammette il ricorso all'analogia, sia in considerazione del fatto che il modello comparativo di riferimento, in caso di affidamento a terzi della riscossione, è la riscossione in proprio e non l'affidamento all'agente della riscossione.
Evoluzioni ed involuzioni delle regole probatorie nell'accertamento giudiziale della responsabilità medica (come la legge Balduzzi abbia turbato le acque di "Lake Placid")
Esso mette in rilievo come l'art. 17 TFUE abbia rappresentato un contributo fondamentale alla nascita di un vero e proprio diritto ecclesiastico dell'Unione europea, e come abbia prodotto una politica ecclesiastica, di cui sono protagonisti creativi le articolazioni dell'Unione, i governi, gli attori religiosi, la società civile.
Con la sentenza in commento la Corte europea dei diritti umani ha tra l'altro ritenuto che a) le sanzioni derivanti dalla violazione dell'art. 187 ter, comma 1, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, abbiano natura penale ai fini dell'art. 6 della Convenzione; b) la Consob non offra oggettivamente garanzie di imparzialità e il relativo procedimento non soddisfi le esigenze dell'equo processo penale; c) il procedimento diretto all'accertamento della violazione dell'art. 185 dello stesso decreto legislativo, dopo che vi era stata condanna definitiva per la violazione dell'art. 187 ter, abbia dato luogo a violazione del divieto di "bis in idem" stabilito dall'art. 4 del Protocollo n. 7 aggiunto alla Convenzione.
La Commissione Europea ha affermato che l'agevolazione fiscale concessa alle reti d'impresa non costituisce aiuto di Stato se e in quanto la rete di imprese non abbia personalità giuridica autonoma. Questo limite però riduce l'effetto incentivante della misura.
La circostanza che tale giudizio abbia ad oggetto l'accertamento negativo della pretesa sanzionatoria azionata dalla autorità, pone il problema - affrontato e risolto nel saggio - della applicabilità della disciplina generale in punto di interruzione della prescrizione (artt. 2943 ss. c.c.) in dipendenza della introduzione di un giudizio civile.
Il 31 dicembre 2012 il governo italiano ha adottato il Decreto Legislativo 235/ 2012, che vieta la candidatura al Parlamento a chi abbia riportato determinate tipologie di condanne penali. L'A. si interroga in primo luogo sulla natura della misura in questione; in secondo luogo, si sofferma sulle conseguenze derivanti dalla sopravvenienza di una condanna a mandato in corso. La conclusione è che, da un lato, l'istituto discusso abbia natura sostanzialmente penale; dall'altro, la pronuncia giudiziaria sfavorevole non determina automaticamente la rimozione dall'incarico.
A seguito dell'ordinanza della Corte di cassazione n. 25035 del 2013, la Corte di giustizia sarà chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze dell'omesso "reverse charge", dovendo stabilire - alla luce della sentenza "Ecotrade" - se la mancata registrazione dell'autofattura o della fattura integrata abbia effetti sostanziali, negando cioè l'esercizio della detrazione anche in assenza di un danno erariale. Dato che le ultime pronunce della Suprema Corte hanno fornito risultati contrastanti, le questioni sollevate dai giudici di legittimità intendono impedire il consolidarsi di un indirizzo giurisprudenziale che potrebbe risultare viziato da un'errata interpretazione o applicazione della normativa comunitaria.
Ferma restando la ovvia condivisione del principio affermato dalla Suprema Corte, dalla pronuncia può trarsi un altro e più importante insegnamento, vale a dire che il canone costituzionale di buon andamento dell'azione amministrativa dovrebbe comportare, in casi come questo, l'accoglimento delle ragioni del contribuente già nella fase amministrativa, una volta che l'Ufficio abbia appurato la sussistenza delle condizioni di legge cui è subordinato il riconoscimento del diritto del contribuente (nella fattispecie, il credito d'imposta per nuove assunzioni).
L'A. condivide la decisione della Consulta di estendere l'applicazione della norma di maggior favore contenuta nell'art. 5, comma 5, d.lgs n. 286/1998, anche allo straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato, ora non più limitabile - come invece recita la lettera della norma viziata di illegittimità costituzionale - solo allo straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o al familiare ricongiunto. Suscita tuttavia perplessità l'interpretazione letterale e a parere dell'autore non sistematica, oltre che non costituzionalmente orientata, che il giudice rimettente ha fatto propria, in contrasto con la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato. Non di meno, la pronuncia di accoglimento può essere positivamente accolta in considerazione del contrasto giurisprudenziale già manifestatosi in materia di diritto all'unità familiare tra la giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Cassazione civile, conducendo dunque l'intervento della Consulta ad una più sicura tutela delle relazioni familiari del cittadino straniero.
Con la sentenza n. 191 del 2013 la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia afferma che responsabile per le obbligazioni tributarie di un' associazione sportiva non riconosciuta può essere il soggetto che abbia sottoscritto i documenti inviati all'Agenzia delle entrate, al di là della mera titolarità della rappresentanza formale. La pronuncia offre lo spunto per esaminare le ipotesi di responsabilità di soggetti estranei al presupposto imponibile, tra le quali quella delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta. L'estraneità dal presupposto imponibile di per sé non implica, infatti, incapacità di essere un (ulteriore e concorrente) centro di imputazione degli effetti che esso produce.
Se si accede all'idea che la vicenda corruttiva abbia inciso sulle aspettative di Cir di spuntare, sulla base del responso arbitrale, una soluzione transattiva di relativo favore, determinando il diverso assetto cui le parti sono approdate dopo la "sentenza Metta", e si valuta l'incidenza della corruzione del giudice relatore sulla sentenza stessa, si schiude una traiettoria "probabilistica" alla quantificazione del danno: appunto Euro 191 milioni, o giù di lì.
La sentenza della III Sezione penale della Corte di cassazione n. 45189 del 2013 esclude l'applicabilità della confisca per equivalente al soggetto, condannato per reati fiscali, che abbia sanato, in via amministrativa, le proprie pendenze tributarie. La decisione è giuridicamente condivisibile e, a ragionare diversamente, considerata la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, l'applicazione di tale istituto si configurerebbe come duplicazione della risposta sanzionatoria rispetto al medesimo fatto, in violazione del principio costituzionalmente previsto del "ne bis in idem".
Secondariamente, è necessario che l'ente abbia effettivamente "incamerato" tale "quantum" individuato. Infine, il parametro per valutare la rilevante gravità richiesta dalla norma si desume dalla relazione percentuale (criterio "relativistico-percentuale") con il valore della commessa.
Dopo una disamina dei precedenti giurisprudenziali, il commento mette in luce come il Consiglio di Stato non abbia affatto mutato orientamento, avendo solo precisato che la proroga espressa, ove già prevista da apposita clausola del bando, non contrasta con i principi comunitari in materia di contratti pubblici. La nota mette altresì in rilievo alcuni possibili profili problematici in relazione alle esigenze di tutela dei terzi interessati ad una nuova gara.
Inoltre, il contributo analizza la questione della legittimità (condizioni e limiti) della richiesta di rimborso rivolta dal coniuge che ha effettuato alcune spese "straordinarie" all'altro coniuge, quando quest'ultimo non abbia dato il suo consenso preventivo a tali spese né al loro riguardo sia stato preventivamente informato, anche ai fini di una eventuale responsabilità del coniuge che abbia effettuato autonomamente, anziché condividere, le scelte "di maggior interesse" per i figli, di cui all'articolo 155, comma 3, c.c.
La sentenza tocca il tema delle azioni del cessionario del credito nei confronti del terzo, con particolare riguardo all'azione volta a far valere la responsabilità del "falsus procurator", che abbia dato causa della inefficacia del contratto stipulato dal cedente e costitutivo del credito dedotto in cessione. L'A. indaga gli effetti trasmessi con la cessione del credito, verificando se tra questi sia compreso il diritto al risarcimento del danno acquistato dal cedente nei confronti del contraente privo del potere rappresentativo
Di conseguenza, non è condivisibile l'interpretazione fornita dal provvedimento della Corte d'appello di Torino, con il quale viene invece affermata una pretesa sopravvenuta automatica inammissibilità del reclamo non appena abbia inizio la fase processuale avanti al giudice istruttore.
La sentenza in commento affronta uno degli aspetti più discussi della materia: la tutela dell'interesse dell'adottato di conoscere, ad una certa età, l'identità della madre la quale abbia scelto, al momento del parto, di rimanere anonima. La sentenza costituisce lo spunto per una più ampia riflessione sulla materia.
In questo commento si illustra come la Cassazione abbia interpretato correttamente il proprio ruolo istituzionale, innanzitutto nel riferirsi al principio del rimedio effettivo (per sostenere la piena autonomia dell'azione risarcitoria rispetto ad altre iniziative processuali) e nel confermare la sussistenza del nesso di causa. Si evidenzia, altresì, l'importanza di alcuni chiarimenti forniti dalla sentenza sul fronte della "nuova" causalità civile. Infine, si considerano le statuizioni rese in punto "quantum debeatur", rilevandosi come senz'altro, nonostante l'ingente risarcimento accordato, non si sia dinanzi ad un'ipotesi di danno punitivo (categoria questa, comunque, meritevole di nuove riflessioni).
Rileva altresì come nello scenario attuale la giurisprudenza di merito abbia accordato alla lesione del diritto all'abitazione il risarcimento del danno non patrimoniale, sulla scorta della considerazione dell'autonoma rilevanza di questo rispetto al diritto di proprietà.
La "rivalutazione" dei "beni" dell'"impresa non" è un'"agevolazione" fiscale in senso proprio, in quanto il potenziale risparmio fiscale che ne consegue viene meno se il bene rivalutato viene ceduto prima che la rivalutazione abbia prodotto i suoi effetti fiscali, così come viene meno se il saldo di rivalutazione viene attribuito ai soci. La "convenienza" della "rivalutazione" è stata inoltre "ridotta" dal "decreto IRPEF" (D.L. n. 66/2014), che dispone il "pagamento" dell'"imposta sostitutiva" in un'"unica rata", anziché in tre annualità come originariamente previsto. Per le "società in perdita", inoltre, occorre considerare che, di norma, "non" è possibile giustificare un "valore" d'uso delle "immobilizzazioni superiore" a quello di "realizzo".
Con il provvedimento che si annota, la giurisprudenza colma in via interpretativa il vuoto normativo lasciato (anche) dalla Riforma del 2006, in ordine alla decorrenza e all'ampiezza del termine per impugnare lo stato passivo, quando il curatore non abbia provveduto ex art. 97 l. fall. a comunicare ai creditori dell'avvenuto deposito del provvedimento. La conclusione raggiunta dal Tribunale in epigrafe, che ritiene che trovi applicazione il termine lungo per impugnare ex art. 327 c.p.c., dimostra continuità rispetto all'orientamento giurisprudenziale formatosi nel vigore della legge fallimentare del '42 ed appare senz'altro condivisi bile, nonostante l'opportunità di un espresso intervento legislativo sul punto.
La questione viene decisa sulla base dell'onere della prova, ritenendo che l'Amministrazione fiscale non abbia provato (non tanto il coinvolgimento attivo del soggetto, quanto) la compartecipazione colpevole, sotto il profilo dell'omessa diligenza nel valutare il comportamento della controparte.
., secondo il quale colui che abbia adempiuto ad un dovere morale e sociale non può postulare la ripetizione di quanto pagato. Il discrimine tra l'adempimento dei doveri morali e sociali e l'atto di liberalità va individuato nella spontaneità e nel rapporto di proporzionalità fra i mezzi di cui l'adempiente dispone e l'interesse da soddisfare.
La Corte afferma la libera cedibilità del credito risarcitorio del danno non patrimoniale, escludendo che esso abbia natura strettamente personale, ai sensi dell'art. 1260 comma 1, c.c.
., hanno attribuito all'imprenditore in crisi, che abbia proposto domanda di concordato con riserva o abbia presentato una proposta di accordo di ristrutturazione, di presentare in alternativa alla domanda iniziale la domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o, rispettivamente, la domanda di concordato preventivo, costituisce una della più significative manifestazioni del disegno del legislatore di favorire ad oltranza l'utilizzo degli strumenti di soluzione concordata delle crisi d'impresa. Essa, però, complice la pessima tecnica legislativa, ha dato luogo a seri problemi di interpretazione delle norme oggetto di questo breve saggio, specialmente nella parte concernente la sorte degli effetti prodotti dalla pubblicazione delle domande iniziali contenute nei ricorsi introduttivi nel caso di presentazione, in alternativa, di una domanda diversa.
Si tratta della fattispecie in cui un soggetto acquirente lamenti un danno derivante dall'acquisto di un bene non dal partecipante all'intesa, ma da un operatore non colluso che abbia allineato o avvicinato il prezzo dei suoi prodotti a quello fissato dal cartello. Alla Corte si domanda se sia possibile in questo caso ritenere responsabili i partecipanti all'intesa. Al quesito viene fornita risposta affermativa, dal momento che sarebbe contraria al principio di effettività una soluzione che escludesse a priori il risarcimento del danno subito da chi abbia intrattenuto un rapporto contrattuale non con un membro del cartello; ma con un'impresa che abbia sfruttato l'ombrello di quest'ultimo. Dopo aver esplicitato i motivi per cui il principio espresso dalla Corte europea appare condivisibile, il commento prosegue ipotizzando i possibili risvolti applicativi di quest'ultimo all'interno del nostro ordinamento.
Nonostante la riforma del diritto societario abbia ampliato le ipotesi di recesso del socio e abbia inteso esaltare il valore del recesso quale meccanismo per realizzare, anche parzialmente, il disinvestimento del singolo, permangono difficoltà nell'individuazione degli strumenti di tutela del socio recedente, che rischia di trovarsi stretto tra perdita della qualità di socio e impossibilità di ottenere in tempi rapidi la liquidazione della propria quota, senza neppure certezza sugli spazi per l'ottenimento di misure cautelari a presidio dei propri diritti.
., che abbia ottenuto l'omologazione di un concordato preventivo con cessione dei beni, nell'ipotesi in cui a carico degli organi sociali sussista il "fumus" di fatti di bancarotta fraudolenta, previsti e puniti dall'art. 136, comma 2, l. fall. Nel caso concreto i ricorrenti organi della procedura di concordato preventivo hanno agito ponendo a fondamento del loro ricorso per sequestro conservativo fatti integranti al tempo stesso illecito civile ed illecito penale.