Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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Elementi di genetica

421073
Giuseppe Montalenti 25 occorrenze
  • 1939
  • L. Cappelli Editore
  • Bologna
  • biologia
  • UNIPIEMONTE
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Vedremo in appresso come questa ipotesi d’una distribuzione ineguale di sostanze diverse nel nucleo, che qui s’affaccia alla nostra mente, abbia acquistato grande importanza nelle teorie dell’eredità.

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La materia esaminata in questo capitolo ci porta alle seguenti conclusioni: dalla considerazione dei fenomeni della cariocinesi, dal fatto che i gameti maschili e femminili hanno quantità e qualità di citoplasma sommamente ineguali, ma nuclei eguali, appare molto probabile che il nucleo abbia grande importanza nei fenomeni della eredità; gli esperimenti di merogonia ibrida e altri affini non hanno potuto portarne la prova assoluta. La concordanza fra il mendelismo e il movimento dei cromosomi è perfetta: basta supporre che i fattori siano localizzati nei cromosomi per intenderne chiaramente la distribuzione nella eredità. Vi sono particolari cromosomi — i cromosomi sessuali — che si distribuiscono in modo definito e costante, secondo i sessi.

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Se una donna figlia di un daltonista — portatrice — si coniuga con un uomo normale, la teoria prevede ch’essa abbia figlie femmine tutte fenotipicamente normali: metà veramente sane, e metà portatrici

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Vediamo come il Morgan abbia girato questa difficoltà.

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Ha poi una notevole importanza teorica, per la legittimità delle deduzioni che verremo esponendo, il conoscere se la percentuale di scambio fra due fattori abbia un valore costante, o variabile, e questo argomento è perciò stato oggetto di accurate ricerche. Si è potuto constatare, nella Drosofila, che la percentuale di scambio fra due geni, studiati in ceppi diversi, manifesta una notevole costanza, e si è potuto concludere, dall’esame statistico, che le variazioni che si notano rientrano nell’ambito della variabilità casuale. Ad esempio la percentuale di scambio fra i geni h (hairy, presenza di setole sulle nervature delle ali) e D (Dichaete, forma di certe setole), del terzo gruppo, in nove allevamenti, su un totale di 4297 individui, varia fra 12,3 e 16, con media = 13,4 %. La percentuale fra b (black, colore nero) e c (curved, ali ricurve) del secondo gruppo, in sette allevamenti, su un totale di 51.136 individui, varia fra 18,1 e 22,3 con media = 19,9 %.

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Questo fatto banale non è sfuggito, fin dai tempi antichi, a chiunque abbia avuto un po’ di dimestichezza con gli animali e con le piante. E non ne è sfuggito neppure un altro, che, tuttavia, sembrava ai più antichi naturalisti passibile di qualche eccezione, che cioè ogni animale e ogni pianta sempre procrea figli simili a sé.

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La celebre definizione di Linneo: tot numeramus species quot a principio creavit infinitum Ens , non è, evidentemente, una definizione che abbia valore pratico: anche quando si volesse ammettere per vero il principio, sarebbe impossibile controllare oggi quali e quante erano le specie di che Iddio popolò la terra. Il grande morfologo fondatore dell’anatomia comparata G. Cuvier, propose un criterio fisiologico per la distinzione delle specie, e dichiarò che due animali devono considerarsi appartenenti alla stessa specie quando son capaci di riprodursi e di dare prodotti simili ai genitori e completamente e indefinitamente fecondi; in caso contrario appartengono a specie diverse. Questo criterio è tuttora considerato valido, in linea generale, ma, come molte delle cosiddette «leggi» della biologia, è applicabile soltanto approssimativamente, perché si conoscono varî casi di specie che i sistematici considerano distinte, e che danno ibridi fecondi, specialmente nel mondo vegetale. Le teorie evoluzionistiche, poi, considerano le specie ben altrimenti: non come un qualche cosa di stabile e ben definito, ma come un insieme d’individui in via di evoluzione, e quindi, per ciò stesso, a limiti non ben precisi. La difficoltà dell’esatta definizione della specie non sarebbe quindi effetto di una insufficienza o inadeguatezza dei nostri mezzi d’indagine, bensì l'espressione di uno stato di cose realmente esistente in natura: una certa plasticità e indeterminatezza, dei confini fra le specie (cfr. cap. XXIV).

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Egli ammetteva che ogni organismo — per intenderci, ogni uomo — abbia in ciascuno dei suoi elementi o cellule germinali un piccolo omiciattolo provvisto di tutti gli organi propri alla specie umana, ridotti a minime proporzioni, che, dopo la fecondazione, si accrescono e si evolvono gradatamente. Questo piccolo individuo perfettamente formato avrà dunque a sua volta i propri elementi germinali, e in essi racchiusi i piccolissimi esseri, che saranno suoi figli, e così di seguito, di modo che negli elementi germinali di Adamo ed Eva dovevano essere nascosti tutti gli uomini nascituri «emboîtés» l’uno dentro all’altro come bussolotti: tale singolare teoria è la più spinta espressione delle teorie cosiddette «preformiste», le quali ammettono che l’organismo sia preformato completamente nel germe. Le teorie «epigeniste» invece sostengono ch’esso si forma ex novo da materiale primitivamente indifferenziato.

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Così ad esempio una data quantità di un veleno, mortale se propinata tutta in una volta, può essere tollerata benissimo se frazionata in tante piccole dosi, che vengano somministrate di tempo in tempo, in modo che l’organismo abbia modo di reagire, di eliminare il veleno, e di restituirsi alle condizioni primitive. Invece, per le mutazioni, avviene il fenomeno opposto: le mutazioni indotte da una piccola dose sono acquisite definitivamente e non v’ha alcun processo di restituzione: esse si sommano con quelle prodotte dalle dosi successive, talché il numero totale è uguale a quello che si otterrebbe con l’applicazione in una sola volta di una dose eguale alla somma delle dosi refratte. Questo comportamento è piuttosto paragonabile a quanto avviene in alcune reazioni fisiche, che non in quelle biologiche.

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Varî problemi si pongono a chi consideri questi varî modi di essere della sessualità: se e come la sessualità si sia originata in individui primitivamente asessuali; se l’ermafroditismo abbia nella evoluzione preceduto il gonocorismo (sessi separati) e altri di natura generale. Ne considereremo due, che sono quelli intorno a cui oggi ferve l’indagine sperimentale: la determinazione del sesso, cioè le cause che fanno sì che un individuo appartenga all’uno o all’altro sesso, e la determinazione dei caratteri sessuali secondarî, cioè le cause che determinano il differenziamento morfologico e fisiologico dei sessi, che spesso conduce a un dimorfismo sessuale molto notevole.

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Quale importanza abbia il nucleo dell’uovo, prima e dopo la fecondazione, nel determinare le localizzazioni citoplasmatiche, ancora non si sa. Occorrerebbe potere incrociare razze, o specie, a localizzazione precoce e tardiva, esperimento che non sembra facile a realizzare.

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Tale regione che, nella gastrulazione, viene invaginata e portata sotto l’ectoderma, ha la capacità di indurre la formazione del sistema nervoso dall’ectoderma che la sovrasta, sia questo destinato a divenire sistema nervoso, come avviene nello sviluppo normale, o abbia destino diverso, come nei casi sperimentali. Se il labbro dorsale del blastoporo viene trapiantato in un’altra gastrula in posizione diversa dalla normale, per esempio su di un fianco, si vede che esso induce nell’ectoderma sovrastante, che avrebbe normalmente tutt’altro destino, la formazione del sistema nervoso. Tale centro si può considerare dunque come il principale direttore, o organizzatore dello sviluppo embrionale. Infatti, come per primo dimostrò lo Spemann, se si taglia un uovo in due, in modo che ciascuna metà contenga una parte di quella regione del citoplasma dove ha sede l’organizzatore, si formano due embrioni completi. Ma se lo si taglia in modo che la regione dell’organizzatore rimanga tutta in una metà e l’altra ne sia priva, soltanto la prima forma un embrione; l’altra forma un ammasso di cellule incapace di organizzarsi in embrione, e, in particolare, mancante degli organi assili (corda dorsale, sistema nervoso). Anche qui si vede come il destino di un frammento di uovo non dipenda dal nucleo, che è sempre provvisto di tutti i geni, ma dal citoplasma.

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Il Dobzhansky fa giustamente osservare come questo fatto abbia grande importanza teorica. Innanzi tutto può costituire un meccanismo di evoluzione, tanto quanto le mutazioni, e non è impossibile che riassettamenti del genoma costituiti da rotture e riattaccamenti dei cromosomi siano in natura più frequenti di quanto si creda. Inoltre: « sia il gene modificato ogni volta che la sua posizione è cambiata, oppure siano soltanto certe trasposizioni a produrre questo effetto, certo è che il cromosoma non può più essere considerato come una semplice aggregazione di una moltitudine di unità indipendenti. I geni, d’altra parte, non sono entità isolate racchiuse in un sacco, il cromosoma. Il cromosoma è un sistema armonico, che ha un’architettura definita, ed è costituito da geni intimamente associati. Un cambiamento di tale architettura produce effetti che rassomigliano agli effetti delle mutazioni ».

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Ma sono tutte prove indiziali convergenti verso un’unica dimostrazione, e poiché è vano attendere l’unica testimonianza possibile — quella di chi abbia assistito allo svolgersi del processo dell’evoluzione — è pur necessario accontentarsene. Ci troviamo presso a poco nelle condizioni di chi, non avendo visto mai né conosciuto lo sviluppo di un anfibio, si trovasse dinnanzi ad una serie di tubetti contenenti, fissati in alcool, alcuni stadi dello sviluppo d’una rana. Certo un tale osservatore, che non avesse modo di assistere con i propri occhi allo sviluppo della rana, stenterebbe a persuadersi che il girino si è sviluppato dall’uovo così tondo e omogeneo, che la ranocchia è sorta dalla trasformazione del girino, privo di arti, fornito di lunga coda e provvisto di branchie. E soltanto si arrenderebbe all’evidenza dei fatti quando avesse dinnanzi agli occhi una serie completa, in cui tutti gli stadi di transizione fossero bellamente rappresentati. Tali serie complete, purtroppo, sono tutt’altro che frequenti nella documentazione paleontologica della evoluzione, e perciò dobbiamo accontentarci di indizi. Questo esempio, del resto, non è puramente ipotetico, perché è ben noto che le forme larvali di molti animali furono spesso considerate come specie differenti e soltanto quando fu possibile osservarne lo sviluppo e le trasformazioni, si riconobbe la loro vera natura.

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È oltremodo difficile immaginare come, sia pure nel corso di milioni e milioni di secoli, per azione di pure cause meccaniche e casuali la materia vivente abbia potuto compiere un cammino così prodigioso, e l’ameba sia divenuta vertebrato. Quindi molti autori ritengono necessario ammettere, almeno entro certi limiti, che gli organismi viventi abbiano in sé la potenza dell’evoluzione.

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Sono frequenti i casi ottenuti sotto il controllo sperimentale, e molti fatti — alcuni dei quali abbiamo già ricordato — osservati in natura sembrano indicare che tale processo abbia avuto larga applicazione nella storia filetica di molte piante.

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E tuttavia non abbiamo desistito dal tentativo di accennare a queste ricerche, soprattutto con lo scopo di dimostrare che, nonostante il pessimismo di alcuni autori, il problema dell’evoluzione è ancora oggi uno dei problemi più vitali della biologia moderna e che proprio in questi ultimi anni è sorto un nuovo fervore di indagini sperimentali, che ha già dato frutti notevoli e promette più ampi e fecondi sviluppi. Se siamo ancor lungi dall’avere chiarito ogni aspetto di questo grande problema, soprattutto nelle sue linee maggiori, non per questo si deve ritenere ch’esso abbia perduto d’importanza o di attualità, né che la genetica lo abbia trascurato. Nelle opere citate in bibliografia il lettore che ne abbia interesse potrà trovare più ampia documentazione di queste affermazioni.

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Importa stabilirne fin dal principio la diretta filiazione dalla zoologia e dalla botanica, per affermare fin d’ora com’essa abbia preso lo spunto da problemi zoologici e botanici, e li abbia poi sviluppati in modo mirabile, così da rendere preziosi servizi non soltanto a quelle discipline, ma anche a molte altre, e ancora a molti rami della tecnica. Il problema fondamentale della zoologia e della botanica, il problema della specie, delle differenze specifiche, nel senso che abbiamo or ora cercato di delineare, è pur sempre il problema primo ed essenziale della Genetica.

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La quale, seppure abbia oggi raggiunto uno sviluppo tale da giustificarne l’elevazione al rango di disciplina autonoma, non si può concepire, nel quadro delle scienze biologiche, se non come una parte delle discipline zoologiche e botaniche. E la connessione con esse discipline rimane e deve rimanere intima e profonda, non soltanto per quella comunanza essenziale di problemi e di indirizzi, a cui abbiamo dianzi accennato, ma anche perché tanto i problemi, quanto i mezzi per risolverli possono esserle forniti solo dalla zoologia e dalla botanica, largamente intese. Tutte

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La capacità di reazione della P. s. alba è invece diversa, perché i fiori sono sempre bianchi, a qualunque temperatura, e due piantine, una di alba e una di rubra che abbia fiori bianchi per esser stata tenuta al caldo, benché simili fenotipicamente, per quel carattere, sono ben diverse genotipicamente. La differenza sta appunto nella capacità di reazione ai fattori esterni, cioè in quella che i genetisti chiamano «norma di reazione» (Woltereck).

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Nulla di strano quindi che, in qualche raro caso — se pure ve ne sono di bene accertati — un cane che abbia avuto la coda mozzata, abbia partorito un cucciolo senza coda; l’avrebbe fatto anche se non avesse subito quell’operazione. E così, per una semplice coincidenza, sembra che quest’operazione sia stata causa della anuria del suo discendente.

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Ad esempio è certo che una donna che, durante la gravidanza, abbia sofferto per denutrizione o per altre cause, metterà al mondo un bimbo meno florido che non una madre che sia stata ben nutrita e in normali condizioni di salute. E questa precoce denutrizione di cui il piccolo ha sofferto può anche ripercuotersi gravemente sulla sua costituzione, così che esso non potrà più riaversi completamente. Ciò è stato sperimentalmente provato anche sugli animali, e non solo sui vivipari, ma anche sugli ovipari, in cui la quantità di tuorlo immagazzinata nelle uova — che dipende in certa misura dall’abbondanza del nutrimento di cui è stata fornita la madre — può influenzare la statura e la robustezza dei figli che ne nascono. Anche la temperatura a cui è stata sottoposta la madre durante la gestazione o la ovificazione può notevolmente influenzare la costituzione della prole.

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Non ha importanza, dunque che i caratteri siano combinati in modo che un genitore abbia i due dominanti, l’altro i due recessivi, o, viceversa, uno il dominante di

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La purezza dei gameti è quindi una illazione dalla dissociazione della progenie degli ibridi, e, poiché la costanza o la generalità di questa è ormai assodata da migliaia di esperimenti, si può ritenere che il principio della purezza dei gameti abbia valore universale. È anzi la più costante e generale legge dell’ibridismo, che non soffre eccezioni.

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Essa è adatta anche alle esigenze di chi non abbia una cultura biologica specifica, e non tralascia di indicare anche i problemi e i risultati di ordine pratico. Non v'ha dubbio perciò che questo libro può contribuire a far meglio conoscere ed apprezzare questo ramo della Zoologia e della Botanica, che ha assunto tanta importanza teorica e pratica.

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