Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le tre vie della pittura

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Caroli, Flavio 3 occorrenze

Per inciso, vuole la cronaca dei tempi che Antonello da Messina, che lavora in questi anni vicino a Giovanni Bellini, abbia importato dal Nord Europa la tecnica della pittura a olio, fornendo così al veneziano lo strumento risolutivo per far scintillare i colori come non poteva fare la pittura a tempera.

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Poiché sappiamo che Bazzani non si è mai mosso dalla sua Mantova, è sorprendente come abbia saputo captare le arie più innovative, e le abbia lui stesso influenzate, soprattutto in area mitteleuropea.

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La sua posizione, come sa chiunque abbia un cane, è quella della vigile tranquillità, del piacere di dormicchiare vicino ai propri amati padroni, steso con il muso fra le zampe, il che permette, all’occorrenza, di aprire e muovere gli occhi all’istante, per seguire ciò che avviene senza dover muovere la testa.

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L'arte contemporanea tra mercato e nuovi linguaggi

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Vettese, Angela 10 occorrenze

Un altro pregiudizio è che l’arte contemporanea abbia abbandonato la figura. Al contrario, anche grazie alla nascita della fotografia (che in effetti ha consentito la libertà di lavorare anche in senso astratto), gli artisti hanno spesso utilizzato sia la fotografia medesima sia altri materiali per realizzare quadri e sculture di un realismo inquietante. In qualche modo, possiamo addirittura ipotizzare che il realismo sia una delle strade maestre dell’arte che ha fatto scandalo: dai posatori di parquet di Gustave Caillebotte alle ragazze del primo Renoir; dall’arcigna giornalista ritratta da Otto Dix seduta al tavolino di un bar e dalle donne dipinte da Antonio Donghi e Ubaldo Oppi a tutto il Realismo Magico; da Edward Hopper a Grant Wood nel realismo americano la figura si è perfezionata e anzi ha imparato ad adagiarsi nella realtà quotidiana, ricopiandone posture e vestiti. Un quadro di Chuck Close da lontano sembra una fotografia, ma visto da vicino è fatto di mille tasselli colorati che sono composizioni astratte complesse; una scultura di Duane Hanson, magari quella di una donna obesa e oppressa che legge una lettera scritta a mano forse di un figlio in Vietnam? è fatta di abiti reali e di materiali acrilici, tale da metterci di fronte a una copia anche troppo fedele del vero. John De Andrea ha riprodotto coppie di amanti o corpi nudi accasciati in modo talmente veritiero, da generare quasi un senso di voyeurismo: vi sono riprodotti in modo maniacale anche i più piccoli dettagli come peli, unghie, rughe, capelli, capezzoli, pieghe dei tessuti, con un colore della plastica che li riveste in tutto simile a quello della pelle e delle mucose. Ron Mueck ci ha mostrato il corpo di una neonata, con il cordone ombelicale non ancora legato, vecchieggiante come tutti i feti appena giunti alla luce, facendone sculture in resina ingigantite o estremamente piccole ma sempre impressionanti e tragiche, quasi versioni letterali di quell’«essere gettati nel mondo» di cui parlò il filosofo Martin Heidegger: nulla a che fare con i Gesù bambini dei presepi, che sono raffigurati paffuti e rasserenanti.

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L’idea che Fontana abbia creato prima di altri opere d’arte ambientale e che le sue opere gestuali e all over siano coincise, in termini di date, con quelle di Jackson Pollock è troppo difficile da accettare. Un simile trattamento critico è stato anche alla base di un enorme divario nel destino economico delle sue opere, che hanno raggiunto quotazioni molto alte ma che, se paragonate agli artisti americani suoi pari, restano al limite del ridicolo.

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Ernst Gombrich afferma che l’arte in sé non esiste, esistono soltanto gli artisti con le loro opere; Larry Shiner è convinto che la storia dell'arte abbia iniziato a esistere nel XVII secolo, mentre non solo nel Medioevo, ma persino nel Rinascimento, gli artisti erano considerati solo dei buoni artigiani; Morris Weitz afferma che qualsiasi definizione di arte renderebbe impossibile la creatività artistica.

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Nelle pratiche artistiche i dubbi sul fatto che ci potesse essere ancora spazio per la poesia non sono sorti soltanto in seguito al vulnus provocato dalla più grave manifestazione di odio che l’uomo abbia saputo dare verso se stesso una ferita che si rinnova ogni volta che si ha notizia di una nuova guerra o di un nuovo genocidio nel mondo; ma si sono esacerbati con la riduzione ai minimi termini del supporto fisico dell’opera. Eppure i cambiamenti nella tecnica non hanno prodotto un calo di forza espressiva; hanno agito al contrario come potenti artifici retorici confermando la vitalità della prassi artistica oltre ogni tecnica e ogni radicalismo concettuale. Facciamo subito qualche esempio.

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• Il rilievo che dadaisti e surrealisti iniziarono a dare al processo del fare, più che al risultato finito, e quindi anche al non-finito; aH’inserirsi nelle opere della variabile temporale, e quindi anche del movimento, secondo le teorie dei futuristi italiani e di chiunque abbia insistito sulla performance.

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L’opinione corrente tende a identificare l’arte contemporanea con l’astrazione, ma sarebbe un errore pensare che abbia abbandonato la figurazione. Al contrario, come abbiamo visto, quest’ultima ha continuato a rimanere viva, anche se spesso incline alla deformazione dell'immagine. In ambito scultoreo, ricordiamo Henry Moore con le sue forme antropomorfe; Alberto Giacometti con corpi spigolosi e sofferenti; Giacomo Manzù, Marino Marini e Arturo Martini con la retorica del monumento. In pittura, torniamo a Francis Bacon, Graham Sutherland e Lucian Freud, che hanno lacerato il corpo umano fino a creare figure al limite del mostruoso; a Klossowski e Balthus, che hanno ripensato il surrealismo con risvolti erotici ed esoterici; al folto gruppo di coloro che, da Edward Hopper a Richard Estes, hanno esasperato a tal punto l’immagine fotografica in pittura da arrivare a una rappresentazione iperrealista. E ancora ricordiamo le figure ritratte tra tragedia e commedia umana nei quadri, distanti per geografia ma non lontani nello spirito, di autori come Maria Lassnig, Marlene Dumas, John Currin.

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Ma l’idea che tutta l’arte abbia a che fare con il soggetto e le sue peripezie è molto dubbia, tanto che gli studiosi Rudolf e Margot Wittkower hanno liquidato quanti attribuiscono troppa importanza all'inconscio come motore dell’opera definendoli «manipolatori faciloni del materiale storico [che# sanno giungere a vertici di cecità e stortura».

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La maniera in cui entrambi gli artisti hanno sottolineato l’importanza dei progetti ideativi non può che essere ritenuta geniale, se pensiamo a quanto l’epoca digitale li abbia elevati a protagonisti di ogni scambio importante e a vero motore dell’economia oltre che dell’arte: via web ci si scambiano contenuti mentali, la cui attuazione pratica o trasformazione in elementi materiali viene dilazionata e demandata.

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Non capiamo perché Mona Hatoum abbia realizzato un mappamondo di biglie, in cui i confini risultano scivolosi ed è meglio non camminarci sopra perché potremmo facilmente inciampare, se non sappiamo che l’artista è nata in Libano da genitori palestinesi, che la sua vita è trascorsa a Londra per anni perché non le era concesso di ritornare a Beirut, che la geopolitica ha profondamente toccato i suoi affetti e la sua poetica.

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Questo non significa che l’artista non abbia più parte nel processo creativo. Spesso è l'idea a prendere il sopravvento, come per i wall drawings di Sol LeWitt, dove il compito dell'autore si esaurisce nel progetto preparatorio su carta per poi essere proseguito da un’équipe di aiutanti, che, seguendo dettagliatissime indicazioni, riproducono il disegno sulla parete indicata dall’artista. Proprio perché i linguaggi artistici hanno subito un’apertura senza precedenti, l’idea iniziale richiede una realizzazione formale impeccabile, attentamente pianificata a priori e adeguata allo scopo e al luogo prescelti.

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L'arte di guardare l'arte

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Daverio, Philippe 2 occorrenze

Si dice pure che Benito Mussolini, visitando qualche anno dopo la cappella espiatoria di Monza abbia scritto col sasso sulla parete «monumento a Bresci». Verrà preso per anarchico l’imbianchino Vincenzo Peruggia, già da tempo residente in Francia, che ruba la Gioconda nel 1911. Andrà, dopo una mite condanna, volontario in guerra. Verranno, negli anni Venti, condannati e giustiziati negli Stati Uniti gli anarchici Sacco e Vanzetti.

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L’opera d’arte può generare stimoli stilistici, può suscitare voglie interpretative, può segnare la strada evolutiva delle tecniche della percezione e della restituzione di questa percezione, può limitarsi all’evoluzione delle pratiche materiali della sua realizzazione, oppure può riassumere tutte le contraddizioni o tutte le combinazioni di questi vari percorsi per diventare il più attraente campo d’indagine per chi abbia interesse nei suoi simili, gli altri uomini, o addirittura la specie che governa il nostro permanere sulla terra.

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L'arte è contemporanea. Ovvero l'arte di vedere l'arte

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Sgarbi, Vittorio 9 occorrenze
  • 2012
  • Grandi Passaggi Bompiani
  • Milano
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Nella bella casa di questo mio compagno di scuola, vidi le opere del primo artista che abbia sentito davvero tale, nato esattamente un secolo fa e oggi completamente dimenticato: Neri Pozza. In lui, che fu anche poeta, scrittore, editore e grafico, c’è il binomio letteratura-pittura/ scultura come condizione naturale. Guardando le sue meravigliose acqueforti con le vedute di Vicenza (la Vicenza di Palladio, ma anche la Vicenza del suo bel fiume, il Bacchiglione) ebbi il primo sussulto di chi avverte di essere di fronte a qualcosa che si chiama “arte”.

Poche cose sono più sorprendenti e ammirevoli di questa grotta, che appare come l’opera di un artista d’avanguardia che abbia utilizzato quello che la produzione alimentare gli ha consentito. Si vedono cinquemila culatelli, disposti in una sorta di volta ideale, che coronano gli spazi della cantina dell’Antica Corte Pallavicina, a Polesine Parmense, vicino a Zibello, l’area del culatello. Sono i culatelli prodotti e destinati ai grandi ristoratori del mondo ma anche a eminenti personalità del mondo politico, culturale, internazionale e nazionale. Chi vede un culatello lo considera un cibo prelibato; se, però, ne vede cinquemila ne ha un effetto che potremmo definire manieristico. Ma nella “grotta del culatello” non c’è alcuna finalità artistica. Non è un conchiglia montata per creare una coroncina. No. I culatelli sono appesi così come sono e come devono essere, come art brut, senza alcuna intenzione di sorprendere, eppure, nella loro quantità, determinano un effetto di horror vacui, potentemente barocco e straordinariamente fantasioso. Entrare in questa grotta dà la sensazione che si potrebbe avere quando si vedono i sacchi di carbone di un artista molto amato dalla critica, Jannis Kounellis. Sennonché in Kounellis c’è l’artificio, l’intenzione, la volontà di fare qualche cosa che abbia un significato, nell’accumulazione dei culatelli no: c’è un culatello a fianco dell’altro, un Jannis Kounellis, Senza titolo, 2002. salame a fianco dell’altro (perché vi sono anche salami e forme di parmigiano), in una composizione che dà senso di infinita sovrabbondanza. In questa architettura, o decorazione di interni, fatta di culatelli si respirano, naturalmente, anche odori che, insieme all’umidità del luogo, creano un’aura, un effetto che dà ulteriori suggestioni.

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Sicché, posto che in un determinato periodo la quotazione massima per un artista coincide con la quotazione massima per una singola opera di qualunque artista, avviene che in tutte le aste internazionali nessun artista antico né Mantegna né Antonello né Raffaello abbia mai raggiunto la cifra pagata per van Gogh. Il che induce alcuni giornalisti, in qualche modo testimoni dello scandalo per cui un artista importante ma “pur sempre” moderno costa più di un artista antico, a telefonare all’esperto per chiedergli se non lo scandalizzi il fatto che van Gogh costi più di Raffaello. Io non mi scandalizzo, e non perché reputi Raffaello meno grande di van Gogh, ma perché so che è così che vuole il mercato. Oggi Cézanne ha “battuto” van Gogh. I suoi Giocatori sono stati venduti a duecentocinquanta milioni di dollari.

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Il dipinto impressionista non è fatto per nessuno ed è fatto per tutti; e, come terminale di questa libera produzione, ecco che nasce la figura del mercante, al quale spetta il compito — ma solo dopo che l’emozione autonoma dell’artista abbia prodotto l’opera di trovarle un destinatario. L'artista si autodetermina e il mercante accoglie tutto ciò che egli liberamente produce; Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, La famiglia di Filippo IV (Las Meninas), 1656. è raro che il mercante dia indicazioni all’artista: una volta che ne abbia considerato il valore, lo lascia in larga misura libero, riservandosi la sola funzione di diffondere le sue opere.

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Eravamo intorno al 1965, quindi in tempi ormai remoti, e da allora, nonostante abbia prevalentemente guardato l’arte antica, non ho mai smesso di Neri Pozza, Veduta di Vicenza, 1974. occuparmi di arte contemporanea. Eppure sono perseguitato dalla leggenda nefasta e maligna di essere persona che non ama l’arte contemporanea. In realtà, non amo quello che non mi sembra degno di essere né contemporaneo né antico: le “croste” ci sono fra gli artisti del nostro tempo come fra gli artisti del passato. Quindi la volontà di decidere cosa potesse piacermi ha governato le mie scelte nell’ambito della cosiddetta “arte contemporanea”, che non è una definizione ideologica visto che non c’è un artista più contemporaneo di un altro bensì un dato cronologico: contemporaneo è chi lavora e vive nel mio tempo, e, anziché ripetere in modo meccanico cose già fatte, propone idee nuove (“Nuovo! La parola che fa trasalire gli artisti e tremare i poeti”, come scriveva Saba 1. E in tal senso il mio problema, e il problema di ogni critico, è capire quanto queste idee siano nuove.

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La coincidenza fra stile e immagine crea in questo modo un rapporto abbastanza automatico nonché anche per chi abbia attenzione e sensibilità artistica una certa resistenza al godimento dell’arte contemporanea. Essa, infatti, è infinitamente ripetitiva, quindi preclude facilmente il passo alla pittura figurativa, giacché tagli, sacchi, linee sono soggetti più facili da ripetere rispetto alla figura. La pittura astratta, la pittura informale, viene spesso identificata con lo stile di un autore che si riproduce nello stesso soggetto anche perché se applicasse lo stesso concetto alla figura rischierebbe di diventare insopportabilmente ripetitivo, come è accaduto per esempio ad artisti come Bueno.

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Di un’opera cubista, per esempio, dovremo intendere quanto sia compiuta, quanto abbia raggiunto la propria “entelechia”, la propria armonia, ovvero l’armonia delle sue forme in riferimento al suo tempo. Lo stesso vale in generale per l’arte cosiddetta “astratta”, così come più recentemente per l’arte informale, con cui spesso si identifica con qualche ragione la cosiddetta arte contemporanea.

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Il destino vuole che a fine 2011, contemporaneamente alle mostre di López García a Madrid e a Bilbao, il museo Guggenheim di New York abbia dedicato una mostra retrospettiva a Maurizio Cattelan, al dichiarato compimento della sua carriera di artista. Cattelan è un artista crepuscolare, un nostalgico. Per quanto le sue opere siano state lette come espressioni di una flagrante contemporaneità, la sua visione manifesta tutta la nostalgia per le avanguardie storiche, dalle quali egli non può prescindere, che si manifestano secondo la convenzionale e prevedibile opzione delle provocazioni. L’ansia di Cattelan e la caratteristica inerente alle sue opere sono di far parlare di sé, di costringere che la guarda a prendere posizione, a esaltarsi o a indignarsi, in una coazione a ripetere che è tipica delle avanguardie e che ha i suoi campioni più rappresentativi prima nei dadaisti, poi nei surrealisti alla Salvador Dalì. Cattelan è figlio di quest’epoca e della sua necessità di manifestarsi in una dimensione pubblicitaria (e in tale discendenza ha certamente rilievo anche una personalità apparentemente anomala, ma perfettamente coerente, come quella di Oliviero Toscani, sulle cui invenzioni pubblicitarie Cattelan si è indubbiamente formato).

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Per loro è importante che si percepisca il dramma, l’emozione: come in van Gogh, che dipinge con colori che sembrano passare direttamente dal tubetto alla tela, e che non ha una pittura compiuta, finita, maturata in un disegno che abbia una ragionevolezza, bensì una pittura molto spesso impulsiva, irrazionale. Se invece consideriamo una scultura di Fidia o un capolavoro di Canova - oppure, più in generale, un’opera classica o neoclassica abbiamo la sensazione di un pulsare della carne che viene congelato nel marmo, sentiamo la passione della carne in composizioni “finite”, in cui emozione e ragione stanno insieme, e in cui la ragione finale del disegno riesce a stringere l’emozione dell’artista in una forma chiusa e compiuta.

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