Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Scritti giovanili 1912-1922

264405
Longhi, Roberto 50 occorrenze

Sono nomi; ma per chi abbia intelligenza sufficente nelle arti figurative, l'averli puramente raggruppati, può bastare per intenderli concretamente come storia.

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Chi sia riescito a sfrondare dal tronco dell'opera caravaggesca tutto il frascame dei discepoli e a spartirlo poco a poco nei fastelletti delle loro individualità, si trova tuttavia incerto per un esiguo numero di opere fra le quali è il Davide*[figura 54] che nella Galleria Borghese (n. 2) reca il nome di Caravaggio, sebbene altri abbia già riconosciuto che di Caravaggio non è 4.

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Che meraviglia se non avendo saputo imprimere di mollezza opportuna la sedicente natura morta, egli ne abbia cercato - in uno dei due esemplari - un surrogato per mezzo del colore?

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Io credo che lo stesso Pater non abbia mai inteso di far critica estetica, ma più tosto critica generale come la definisce lui stesso nel suo saggio su Botticelli.

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Immaginate un artista che si diparta dotato profondamente per il senso della deformazione organica, cioè già intimamente alle fonti del dinamismo; che d'altra parte abbia, passato prossimo, dietro di sé, la fanghiglia superficiale dell'impressionismo e la deformazione inorganica - dall'esterno - del cubismo. E vedete che cosa egli ne sappia fare.

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Ma non è propriamente Boccioni che abbia bisogno di esser messo in guardia. Esprimevo le deviazioni possibili di questo stile che come tutti gli stili altissimi ha un suo equilibrio tragico. Boccioni - ch'io vorrei chiamare un Van Gogh che sente i volumi - non può rischiare una caduta verso il serpentino: non può permettere che l'ambiente stravinca; l'esaltazione del senso organico sempre all'erta nella forma è forse il suo massimo titolo di gloria, forma il nucleo più concreto dell'arte sua, e basta da sola per non farci temere di nulla.

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Il Luzio ha già detto come dai nuovi documenti recati innanzi da questolibro la figura storica del Moro s'illumini più giustamente e appaja in aspetto più simpatico di quello che non abbia avuto fin qui; moltissimi altri documenti nuovi se meno importanti dal lato storico-politico sono pur interessanti per la psicologia, l'umanità e la coltura della corte sforzesca.

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A Catania, nel Museo Civico, non sfugge a chi abbia pratica di caravaggeschi un Cristo flagellato, di mezze figure (n. 58) *.

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Anche parla di copie che Caracciolo avrebbe tratto di sulle opere napoletane del Merisi, e sebbene quella che cita della Flagellazione di Cristo alla Trinità degli Spagnuoli, in dubbio se attribuirla a Battistello o a Vaccaro, non esista più e forse non sia mai esistita, è difficile credere che B. non abbia veramente e ripetutamente copiato le opere del maestro. Vediamo di dimostrarlo meglio.

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Meglio è rivolgerci addirittura alla tela più importante, io suppongo, che Battistello abbia fatto fra le prime opere studiate e la notissima Lavanda del periodo maturo a San Martino: io mi riferisco alla Immacolata Concezione con San Domenico, Sant' Antonio da Padova e Adamo [figura 90], ch'è in un ripostiglio della sagrestia di Santa Maria della Stella 21. V'è tale rinascita di caravaggismo in questo capolavoro che noi non potremmo creder l'opera che di poco, seppure, posteriore al soggiorno romano di Battistello.

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Si offrono dunque questi elementi a chi abbia bisogno di molte stratte per convincersi che Velazquez non è che Caravaggio vissuto qualche anno di più; per noi basta che esistano ancora, nel mondo della pittura, la Cena in Emmaus di casa Patrizi e la Madonna del Rosario, che vorremmo vedere al Prado piuttosto che, tanto spaesata, a Vienna.

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Lo si sente di finezza non comune quando abbia a rendere l'esattezza di delicati rapporti di colori in luci chiare, ma anche troppo attaccato al modello e al particolare, e privo di capacità integrativa, quando gli manchi dinanzi il naturale.

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Crediamo infatti che verso il 1618-20 Orazio abbia dipinto la Scena di gioco e di rissa che nel Museo di Copenhagen è attribuita, s'intende, a Caravaggio33*.

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Ai ricchi genovesi dovevano piacere assai queste contaminazioni di Caravaggio e di Bologna; mi pare infatti che Orazio abbia divagato ancora una volta in modo simile nella Sacra Famiglia** (propr. Spinola) che era esposta fino a qualche anno fa a Palazzo Bianco col nome del Reni e nella quale tuttavia non si può non ravvisare sotto il travestimento ancora Gentileschi.

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Penso ch'egli abbia avuto ragione ed aggiungo che l'opera deve cadere nel periodo genovese, perché un quadro affatto simile attribuito a Guido è descritto dal Ratti a Palazzo Spinola, donde forse passò a Pisa 35.

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Vale ad ogni modo la pena di accennare alla possibilità che per l’appunto con opere di questo genere Orazio abbia dato lo spunto al carraccismo irrobustito di Pellegro Piola.

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Di sotto alle volgari ridipinture che velano buona parte della superficie, appare il più bel pezzo di pittura che Caravaggio abbia fatto.

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Questo apparire di inflessioni toscane nella pronuncia pittorica di Artemisia potrebbe significare l'andata della pittrice a Firenze; che dovette avvenire appunto in questi tempi, tra il 1621 e il 1624: chissà anzi ch'essa non abbia accompagnato il padre, che partiva da Roma verso il 1621, per un tratto di strada, fermandosi poi in Toscana 62.

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È infatti eccezionalmente interessante vedere Artemisia svolgere fatalmente il programma protoolandese iniziato dal padre; ché questa Nascita del Battista è effettivamente il più condotto studio d'interno, come luce e determinazione ambientale, che il '600 italiano abbia prodotto, per la conoscenza che ne abbiamo a tutt'oggi; ed è implicitamente una delle risoluzioni più «attuali» che l'arte italiana di quel tempo abbia dato di un soggetto religioso. Non rileveremo mai abbastanza le difficoltà che si opponevano a un’artista nella trattazione di soggetti come questo che erano anche più restii a mutamenti per essere già accomodati da tempo in certi stampi apparenti di «genere», affatto mnemonici.

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In realtà quando si abbia a mente chiaro, lo svolgimento di Caracciolo, e ciò che importi la venuta a Napoli della signora Schiattesi; quando anche ci si ricordi del modo mirabile tenuto dai Francanzani, per superare al più presto il più stretto riberismo, si sa tutto quel che occorre per poter poi costruire in carne e sangue, tutta la pittura napoletana fino all'apparire spiegato di Luca Giordano.

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La quale non potendo esplicare la sua funzione veramente stilistica è costretta ad una che rimane in fondo realistica, per quanto abbia ad essere dolce, e poetica.

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Per la scultura egli si sbriga in poche parole, affermando che una scultura specificamente senese, salvo il fenomeno Iacopo della Quercia, non c'è; e qui gli potremmo quasi dar ragione se non credessimo che in certa scultura policroma Siena abbia prodotto, già oltre gli inizi del Rinascimento, delle cose superbe e singolarmente proprie, anche perché seguitatrici di certi spiriti medievali, inestinguibili in essa. Ma anche questa sarebbe troppo lunga dimostrazione, in gran parte da preparare; sebbene già con sospetti di certezza.

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Ma è naturale che un rilievo come questo non abbia seguito, dacché il Pellizzari non ha il coraggio di credere davvero che S. Tommaso parli piuttosto dell'arte figurativa che dell'arte in generale; mentre il riferimento specifico alla pittura è troppo evidente. Ed è vero peccato che dopo questo barlume il P. ritorni ancora sulle generali. Che valore ha per la storia della critica d'arte figurativa sapere che S. Tommaso abbia detto frasi come quella che l'«arte non è necessaria all'artefice per farlo ben vivere, ma solo per fargli produr bene le opere artificiate?». Frase deliziosa e giusta come tant'altre di quello ma che nella trattazione particolare non significa nulla. E nello studio poi dei trattati d'arte!

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Infine non è affatto impossibile che Romanino abbia potuto apprendere parecchio dal metodo rapido e violento di Altobello Melone. La certezza, naturalmente, verrà soltanto quando la stranissima mistione stilistica operatasi a Cremona tra il 1510 e il 1520, sarà completamente schiarata. All'uopo noi speriamo che a qualcosa abbia servito presentare i due Santi cavalieri di Lovere, punto così chiaro di rapporto, nello svolgimento artistico di Girolamo Romanino pittore «veneziano».

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Non si può negare che in questa scelta dei precedenti critici il Sirèn non abbia dimostrato mano leggera e gusto affinato: ma non si può neppure affermare ch'egli abbia condotto il problema leonardesco oltre que' due precedenti: cosa ch'era pur necessaria anche perché fra le due interpretazioni era un dissidio che andava dissolto e superata. Non sembra opportuno rilevarlo qui in esteso, ma anche di passata si può ben dire che mentre la concezione di Wölfflin era in fondo accademica, classica, nobiliare, di stampa burckhardtiano, considerava il '400 sempre 'come una « Frührenaissance», come un semplice avviamento alla «Hochrenaissance» che compiva non si sa se una sintesi o una composta di motivi d'arte quattrocentesca per mezzo di quelle simmetrie, di que' legamenti di composizione, a gruppi affrontati o triangolari o piramidali de' quali Leonardo dava esempi per primo, la concezione del Berenson era poco meno che opposta. In lui sorgeva la valutazione di un Quattrocento in cui gli elementi fondamentali dell'arte figurativa («line, plastic form, colour») che, come tali, hanno in se stessi la propria conclusione e classicità, si manifestavano allo stato di purità nativa, senza bisogno di sovrimporsi le cappe compositive piramidali o triangolari escogitate dal '500. E sebbene il Berenson abbia poi, in parecchi pensieri, mitigato la sua concezione di sano primitivismo della quale vedeva il pericolo fra le mani dei giovinetti corrivi e fantastici, sebbene egli abbia rivalutato con umiltà di figliuol prodigo il Partenone e Fidia, ogni volta gli se ne offriva il destro, ed abbia un poco attutito le intuizioni prime di forma e di linea, con l'altra un po' nebulosa, per non essere accademica, della « space composition », è certo che v'era in lui un fondamento corrosivo agli atteggiamenti del '500, quale si manifesta nella analisi sulla «Illustration » a proposito di Raffaello e di «Emotional expression in Art» di «Prettiness of Art» che cadono appunto intorno a Leonardo.

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Prendiamo atto di questa confessione del povero Dalbono, e senza sminuire per nulla i suoi meriti saltuari di buon gusto, specie nell'apprezzamento dell'arte del '600 locale e nel senso dell'ambiente e della moda, passiamo a cercare altrove chi abbia fatto migliore arte e migliore critica nell'Italia del secolo scorso.

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Ma non pare ch'egli abbia dimostrato in modo inconfutabile la paternità di Niccolò per l'Arca di San Ranieri a Castel Vitturi presso Spalato, nella quale veramente non vi è solo del donatellismo, ma anche dell'Agostino di Duccio e attraverso questi persino un risalire a forme robbiane anche in quel trattare la superficie del marmo col senso della maiolica.

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Tutto si spiega quando ci si avvede che lo Schmidt lavora d'astrazione e di schemi, poiché quando entra a toccare di caratteri più essenzialmente «figurativi» gli basta il fatto che il Carstens abbia rotto la tradizione pittoresca del '700 e abbia ripreso una forma «disegnativa» per credere di poter dire che ciò era porsi sulla linea tradizionalmente e tedescamente «zeichnerische» di Dürer - e non di Grünewald. Noi siamo lieti che con queste parole si venga a riconoscere che Grünewald in Germania è uno scherzo di natura; ad ogni modo non crediamo che per mettersi in riga con Dürer il metodo migliore fosse quello del Carstens di riprendersi allo «zeichnerische» greco, che non è precisamente quello di Dürer, Gli è appunto che lo Schmidt parla di un «disegnativo» astratto, generale, che non esiste, e noi di uno concreto, che varia tanto come Dürer varia dalla Grecia.

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Anche più raro è lo scrigno di Santa Cunegonda, che si potrebbe dire quasi un «pendant» di quello famoso di Santa Cordula, conservato a Cammin in Pomerania, L'uno e l'altro sono fra gli esempi più belli e affascinanti che ci abbia lasciato l'arte scandinava, che domina artisticamente anche la Pomerania nella prima metà del XII secolo; epoca cui risale con ogni approssimazione il mirabile cofanetto di Santa Cunegonda, decorato di originalissimi fermagli zoomorfici, e di inestricabili intarsi in osso.

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Convincersi che Van Dyck abbia rilevato la sagoma della sua Pietà d'Anversa da quella del Bonconsiglio a Vicenza?

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Supporre che Tiziano nel San Sebastiano del trittico del '22 a Brescia abbia tolto la modellatura dallo Schiavo del Louvre di Michelangelo?

Pagina 388

Lo stile volontario e ferreo di Lesueur ha nella sua glacialità molte attratrive per Roger Fry; il quale perciò non intende lamentare che Poussin abbia abbandonato le pose veneziane e tizianesche che dànno carattere a questa Sacra Famiglia per giungere a poco a poco alle uniche qualità del suo disegno tardo. Secondo il critico le qualità deliziose di questa opera primitiva furono bene sacrificate.

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Chi ora abbia fra mano la Guida del Touring e la esamini con certa attenzione, crede dapprima di rilevare nelle citazioni e nelle distribuzioni degli asterischi un certo spostamento del polo magnetico dal quattro e dal cinquecento al sei e al settecento; se una riflessione oltremodo facile non l'avvertisse che ciò risulta dalla maggior larghezza con che ogni argomento e perciò anche l'arte è riferito nella Guida; ed anche dipende dai luoghi presi in esame fin qui, ove l'arte che predomina non è certo la primitiva.

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Quanto egli abbia assunto in queste sue nuove ricerche dall'arte veneziana non ci riguarda singolarmente, ma soltanto il modo particolare con cui può averlo sviluppato. Può anche esser certo che egli abbia assunto maggior divario di toni, e maggiori trasparenze di luce da Venezia, l'importante è ch'egli abbia saputo aggiogare queste nuove entrate ai capitali antichi dell'arte sua. Nei grandi artisti le questioni storiche di connessione diventano fortunatamente questioni pittoriche generali, da trattarsi a nuovo.

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Si dice infatti che un brusio disapprobatorio abbia chiosato le parole di un funzionario governativo che esponeva il progetto di affidare la decorazione di una sala di Palazzo Venezia, o signori, a Ettore Tito, sì. Ora, quel brusio levatosi da una schiera di cultori officiali e officiosi d'arte e d'architettura, non era, io sospetto, ahimè!, l'espressione del convincimento profondo che Ettore Tito non possa e non abbia a decorare né quella né qualsivoglia altra sala del mondo, per non possedere la benché minima virtù di decoratore e di poeta - ch'essi ne avranno probabilmente un altissimo concetto - ma soltanto da quella generica pavidezza di far collaborare, come un tempo si usava, l'antico e il moderno. - Leon Battista Alberti e Ettore Tito? Orrore! - Orrore, sta bene; ma per quell'altra ragione.

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Siamo lieti infine che anche il Kehrer abbia beffate a dovere le ricerche preoccupate e ansiose di alcuni critici clinici sull'astigmatismo del Greco.

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Non ci pare, a dir vero, che in essa il P. abbia raggiunto quel grado necessario e sufficiente di chiarità concettuale che occorre agli avversari per intavolare una discussione; eppure sarebbe stato opportuno poterlo fare da che sembra il P. si volga - se pure con certo alone di rimpianto - contro la «critica figurativa pura» dei meriti o dei difetti della quale siamo in Italia i soli intimamente responsabili.

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Ad Hampton Court è il San Girolamo che gioca con il suo fare di Nettuno in bonaccia che abbia mutato il quos ego in un sinite parvulos. Il san Giovannino, con anche più garbo, in una mossetta di deliziosa serietà compresa e compunta, lo sostituisce in questa, che dalla residenza, sebbene fortuita, chiameremo la Madonna di Orléans.

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Il simile giova replicare per 1'Austria, spezialmente per Vienna, dove non si dorrebbe ormai per gli occhi Monsignor Bottari, risorgendo a mirar la gran macchina del Pozzo non più a Sant'Ignazio ma nell'aula grande del Lictenstain; più godrebbe che il Guglielmi, questo sventuratissimo soggetto Romano, abbia per vaghezza, per dolcezza, per discorde armonia, di molto superato le soffitte di San Spirito in quelle di Sciombrunn [figura 180]; di certo scuola indicibile per que' nazionali.

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Io non so se il signor Mengs abbia oltre ad Ercolano perlustrato anche Napoli; in tal caso egli avria riscoperto fra que' nostri municipali de' consanguinei di Velasquez, senza bisognare di Madrid.

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Non so per qual cagione il quadrettino della Betsabea sia tacciato di copia dal Pussino, senza che pure il Giordano abbia qui tentato di trasformarsi nel pittor franzese, siccome, ch'io 'l sappia, non vi si provò mai. Quivi appar tutto versato nel Cortona; con la stessa facilità del Cortona, con le stesse idee.

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Non corro con Voi il rischio di vedermi riservire questi privati, privatissimi ragguagli in qualche tomo di lettere ove ebbero finora anche troppo luogo, perché abbia a comparirvi anch'io, le cianfruscole de' minimi letterati, le briciole de' più magri banchetti pittoreschi. Io ho del pari la ventura di non conoscere il signor Stefano Ticozzi. Credetemi

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Veggo di essermi fin troppo indugiato nel viaggio, ma chi volesse ora sfrondarlo delle lungaggini e, come direbbe il conte Algarotti, de' truismi che vi spesseggiano, gli bisognerebbe più tempo e più fatica che non abbia io durato a regger la barra fin qui.

Pagina 492

Le note in parentesi quadra sono, invece, di aggiornamento ulteriore e le ho volute così contraddistinguere da quelle originali, appunto perché non si pensi che io abbia qui voluto farmi bello «col senno di poi ». Esse alludono infatti a soluzioni o a progressi più recenti, e non miei soltanto, su questo o quel problema. Firenze, 1 gennaio 1959.

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Non v'è forse che Picasso nel suo Uomo Nudo che abbia compreso quale sia il genere di curve che racchiudono il moto: là, da un gheriglio ellissoidale si sferrano curve rade e ampie che fan procedere il corpo come per torsione.

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Ma l'interpretazione rimane estranea come l'opera stessa quando non si abbia infine, facoltà sensibili per queste semplici parole: materia, peso, sostanza articolata, moto; qualità esaltate in un organismo trasfigurato.

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È infatti così: questa serie mirabile, talora di notazioni, talora di disegni che, come quelli dei vecchi maestri, si conchiudono in una loro perfezione non tramutabile in pittura, sono uno dei commenti più energetici che la fisicità corporea abbia ottenuto, e vivere con essi vuol dire esaltarsi ad ogni istante in un particolare atteggiamento vitale. Non molto diverso è il senso di rinnovata energia che sorge vivendo i disegni di Michelangelo.

Pagina 54

Non bisogna credere però che Vittoria Colonna abbia compreso un'acca del ragionar filato di Michelangelo. Tant'è che dopo una meravigliosa effusione di nazionalismo artistico del Buonarroti, la quale non è poi che una espressa disperata speranza che l'arte debba restare dove ha seguitato per un gran pezzo con intenti realmente lirici, ed è invece interpretata banalmente da Francisco de Hollanda col sussidio di spiegazioni etniche ambientali culturali, che i nostri artisti si son poi, col tempo, accaniti a smentire; la marchesa con ottuso ardimento si rifà da capo tramando il tema: «Qual sarà mai il virtuoso e pio (se anche non abbia aspirazioni vere alla santità) che non faccia gran conto o non adori le spirituali contemplazioni divote della pittura sacra?» in un compendiolo di illustrazione religiosa. Nulla di più semplice, poi, col trapasso con che applica lo stesso assunto alle cose della terra: pittura dilettosa pittura insegnativa pittura curiosa. E infine: vero e proprio ritrattismo, coi tipi; eroico, di belle donne, e a ricordi di famiglia.

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Vede la terra inarcarsi gibbosa sotto la inutilmente stabilita rettitudine dei campi recinti -; oh, i contadini sono pittori; il contadino è Van Gogh solo che ci abbia espresso, finora, lo sconnettersi prospettico della geometria umanadelle coltivazioni all'incurante respiro della crosta terrestre: La Crau.

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